Akiyoshi Ito. I sogni sott’acqua che ci risvegliano

Akiyoshi Ito. I sogni sott’acqua che ci risvegliano

Uno sguardo al futuro del pianeta

I profeti non mi sono mai stati particolarmente simpatici. Mikio Kaku però, appartiene ad un genere di visionari ai quali presto molta attenzione. Nel suo ultimo libro, Fisica del futuro, lo studioso propone una eccitante narrazione che parte dai dati attuali registrati dalle osservazioni scientifiche in tutti i campi dello scibile, per poi estenderne le conseguenze nell’immediato futuro della vita dell’uomo.

A partire da un concerto di voci autorevolissime, alcune centinaia di scienziati tra i più accreditati, in un modo o nell’altro invitati a riflettere sugli scenari possibili causati dall’ipotetica amplificazione degli effetti dipendenti dai processi in atto, l’autore arriva a proporre una visione sul futuro che grazie al suo talento narrativo, mi fa pensare più che ad un accumulo di congetture alla profezia in forma di parabola, ovvero ad una storia fantasiosa raccontata a fin di bene.

L’usciere ©Akiyoshi Ito 2012

Del libro mi hanno particolarmente impressionato le conseguenze della nostra scelta di basare le attività economiche principalmente sull’energia ricavata dai combustibili fossili. In breve, il nostro pianeta si sta surriscaldando; negli ultimi cinquant’anni lo spessore dei ghiacci artici è diminuito del 50%; porzioni dei ghiacci dell’Antartide ampie quanto uno Stato europeo di medie dimensioni si stanno staccando e vagano negli oceani come immensi fantasmi in dissolvenza; ogni metro di innalzamento del mare equivale alla scomparsa di 100 metri di terra costiera; le temperature terrestri degli ultimi vent’anni sono le più alte mai registrate da quando gli scienziati hanno cominciato a documentarle con sufficiente affidabilità (ovvero dalla metà del ‘700), l’inquinamento da emissioni di anidride carbonica (dovuta all’utilizzo di fossili come petrolio e carbone) impedisce alla luce solare di fare ritorno nello spazio e intrappolata nella nostra atmosfera trasforma in un incubo le nostre estati in città.

Ferma il tempo ©Akiyoshi Ito 2012

Ovviamente la catena di retroazioni negative per l’omeostasi marina, causate da fattori scatenanti che frettolosamente sintetizziamo appellandoci all’inquinamento, potrebbe continuare sino all’esaurimento. In questa sede mi preme sottolineare il fatto che la messa in discussione dei processi che generano la vita degli ecosistemi non investe solo il destino delle future generazioni, bensì anche la sopravvivenza degli organismi marini. È pur vero che la prestigiosa rivista Nature ha appena pubblicato un rapporto stilato da 60 scienziati di diverse istituzioni, nel quale si legge che un nuovo sistema di valutazione sulla salute dei mari, denominato Ocean Health Index, consentirebbe una diagnosi per ora rassicurante. In breve il nuovo metodo di valutazione dei danni inflitti ai mari stabilirebbe un voto per il pianeta intorno ai 60/100 (per la consultazione della ricerca potete digitare www.oceanhealthindex.org). Le cassandre dell’ecologismo catastrofico sembrerebbero dunque avere esagerato ancora una volta i loro calcoli. Eppure malgrado l’inaspettata sufficienza il buon senso ci dice che i rischi per gli organismi più deboli degli ecosistemi marini in assenza di cambiamenti strutturali nel tasso di inquinamento non potranno che aumentare. E tra gli ecosistemi che per primi pagheranno la nostra cecità verso il futuro dobbiamo annoverare i coralli che formano le stupefacenti barriere la cui ecologia produce un modo di rivelarsi della bellezza di inesauribile fascino.

Trucco leggero ©Akiyoshi Ito 2012

Un tributo alla bellezza wabi-sabi

Mi rendo conto che usare come prologo per la presentazione di un grande artista, suggestioni tratte da un libro di scienza visionaria, è sicuramente un azzardo.

Tuttavia, vi prego di credermi, quando per la prima volta mi sono trovato di fronte alle meravigliose immagini di Akiyoshi Ito, l’immediatezza della percezione della bellezza si è subito sciolta nel pensiero umorale la cui semantica affonda nelle considerazioni di sapore ecologico dalle quali sono partito. In altre parole, il fascino di immagini per le quali non è sprecata la parola perfezione non mi hanno provocato il sentimento che di solito attribuiamo all’oggetto bello nel senso di beauty (categoria estetica che ci restituisce il “bello” contaminato dal desiderio). E nemmeno nel senso del classico tò kalòn (sarebbe il “bello”, dominato da una idea preesistente che, in qualche modo gli conferisce l’armonia, l’ordine, la proporzione ideali). Nelle sue fotografie ho percepito una inquietudine, una sorta di appagamento da dosi di bellezza inaspettate, pervase tuttavia da un rumore di fondo che potreste immaginare corrispondere alla melanconia.

Le immagini di Ito, rappresentano mirabilmente i paesaggi dei reef di tutto il mondo così come potrebbero apparire davanti agli occhi di ciascuno di noi se potessimo osservarli nel preciso momento in cui il fotografo ha deciso di riprenderli. In altre parole, le immagini del grande fotografo giapponese sono un invito a lasciare le cose come sono.

Nella lingua giapponese ci sono due parole, sconosciute a noi occidentali, che mi permettono di presentarvi la struttura concettuale che connette il discorso della precarietà ecologica con il sentimento apparentemente inutile che chiamiamo bellezza.

Il concetto di wabi possiede una nota emotiva particolare che sembrerebbe appropriata quando ci riferiamo ad un oggetto tutto sommato umile, persino banale, tuttavia complesso dal momento che presenta qualcosa di esterno alle procedure lineari preferite dalla mostra mente. Potremmo avvicinare questa esteriorità, fonte di una corrente emotiva di bellezza diversa dalla percezione armoniosa di una forma, con parole come asimmetria, imperfezione, disgregazione.

Sabi, la seconda parola, porta con sé un sentimento di solitudine e di malinconia.

Crispin Sartwell, nel suo bel libro intitolato I sei nomi della bellezza (Einaudi, 2006), ci ricorda che l’estetica racchiusa dalle parole wabi-sabi, nella cultura giapponese, è normalmente associata alla cerimonia del tè, codificata nel XVI secolo da Sen no Rikyu. Ancora, è bellezza wabi-sabi l’imperfezione della tazza Kizaemon; possono essere wabi-sabi gli alberi d’inverno, i suiseki (i paesaggi di pietre) e l’ikebana (l’arte della composizione dei fiori).

Insomma, sembra di capire che la batteria passionale che accompagna la parola wabi-sabi sia l’esatto contrario dell’entusiasmo e della meraviglia che noi occidentali siamo stati educati a provare quando ci troviamo di fronte a un capolavoro, a un saggio magistrale di perizia tecnica, a tematiche sconvolgenti.

Nelle composizioni wabi-sabi troviamo calma, compostezza, pace e una punta di nostalgia (o semplicemente di inquietudine).

Poesia della vita ©Akiyoshi Ito 2012

Aldilà dello specchio

Osservate ora le immagini pubblicate a corredo del mio intervento. Per esempio guardate con attenzione Healing light (L’Usciere): la purezza del colore dei coralli, la freschezza che ci trasmette la gradation dell’azzurro del mare in contrasto con la tinta rosacea dei microrganismi del reef attraversata da ramificazioni evidenziate da una intensità del timbro di colore dominante, come se fossero i centri nervosi di un enorme organismo pensante protetto dall’oceano; la luce fioca che filtra dalla superficie delle acque che mi fa pensare al sole d’inverno, quando i fotoni di luce arrivano dallo spazio leggeri, discreti, frettolosi. E che dire della tartaruga marina in primo piano, ripresa come se fosse un fantasma scortato da uno sciame di piccoli pesci fiduciosi nella giustezza delle sue traiettorie. Mi punge l’incredibile texture di segni che ne disegnano la forma le conferiscono una grazia inimmaginabile per un organismo marino quant’altri mai goffo e pesante.

Entrare in questa fotografia sembra veramente di essere in un sogno dominato dal desiderio di perfezione. Ma dal momento che per vedere e farmi guardare da questa immagine devo essere sveglio, come faccio a rimuovere ciò che so sulla precarietà della vita dei paesaggi marini in essa rappresentati? Cosa ne sarà di tanta bellezza quando avremo trasformato anche i mari nella cloaca maxima del nostro stile di vita?

Akiyoshi Ito è riuscito a trasformare un soggetto molto frequentato, i paesaggi delle barriere coralline sono tra i più amati dagli amatori della fotografia subacquea, in qualcosa dal quale promana una possibile ma non scontata eternità. La sua bellezza è wabi-sabi perché ci ricorda quanto la purezza e la perfezione non abitino soltanto i mondi ideali e astratti generati dalla nostra mente, ma siano anche nelle cose che ci circondano e che per noncuranza possiamo perdere.

Magnifico ©Akiyoshi Ito 2012

Forse potrete pensare che in definitiva questa lettura dell’artista giapponese odori un po’ troppo di soggettivismo. Nulla vi impedisce di trovare nelle sue fotografie melodie di colori tutt’altro che melanconiche o nostalgiche. E non ci sono dubbi sul padroneggiamento tecnico che l’artista manifesta. Chiunque si sia misurato con la foto subacquea comprenderà al volo l’infinita pazienza e maestria necessarie per raggiungere gli esiti estetici che nella fruizione dell’immagine liquidiamo con uno sguardo. La meraviglia o il problema se volete, è che questa fatica in Akiyoshi Ito non si vede. L’artista sembra raggiungere i suoi esiti senza alcun sforzo.

Osservate meglio ciò che l’occhio post-moderno vorrebbe semplicemente cannibalizzare. Io non trovo nell’artista giapponese la compiacenza e l’esaltazione della tecnica. Le sue composizione risultano certo armoniose ma non per questo mi rimandano all’ego dell’artista ri-creatore di un reale imperfetto da redimere. Dov’è Ito nelle sue foto? A volte mi è sembrato di scorgerlo in un’ombra umana che galleggia sopra i reef. Ma perlopiù Ito non c’è. E in questo non esserci trovo l’empatia che dopo anni di passione è riuscito a creare con il meraviglioso mondo sommerso dei reef. In altre parole Akiyoshi Ito è riuscito a divenire una cosa sola con le cose per le quali vale la pena di perdersi. Una specie di amore che lo rende assente proprio nel preciso momento in cui è più presente. È vero che niente più della bella forma ci fa pensare a quella specie di incantamento che ci fa innamorare. Ma se Akiyoshi Ito scompare di fronte al soggetto significa che ciò che vediamo è un’emanazione del reale e quindi il soggetto della foto non è soltanto forma ma anche processo. E se aldilà dello specchio della bellezza (tò kalon) è il processo che l’artista vuole raffigurare allora, i rumori dell’etica che ho cercato di mettere in gioco con wabi-sabi, non mi sembrano un elogio alla critica soggettivistica bensì forzature del linguaggio interpretativo che il prodigioso talento dell’artista ha reso necessarie.

Chiacchierando © Akiyoshi Ito 2012

La prima mostra italiana di Akiyoshi Ito è stata recentemente presentata dal Museo Nazionale Alinari della fotografia.

Tutte le immagini sono coperte da copyright (©Akiyoshi Ito 2012)

Lamberto Cantoni
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2 Responses to "Akiyoshi Ito. I sogni sott’acqua che ci risvegliano"

  1. paolo   4 Novembre 2012 at 15:27

    ++++++++

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  2. Antonella   11 Gennaio 2013 at 11:05

    Visitai anche io la mostra al Museo Alinari e la trovai interessante e accattivante. L’analisi eseguita da Lamberto Cantoni mi ha “risvegliato” e mi ha reso comprensibili certi passaggi che mi erano sfuggiti. Complimenti!

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