Alessandro Preziosi è Don Giovanni

Sarà un classico come il Don Giovanni di Molière ad aprire il 6 novembre la stagione della prosa al Teatro Duse. Sul palco e in regia Alessandro Preziosi.

Alessandro Preziosi Porta in scena l’opera dell’affabulatore per antonomasia: il Don Giovanni di Molière.

Esaltante successo al Teatro Duse, quello ottenuto da Alessandro Preziosi e dalla sua Compagnia di ottimi attori, per l’allestimento di un grande classico della letteratura francese: il Don Giovanni, di Molière da lui diretto e interpretato.

La prima è stata accolta da un teatro in tripudio, visto il numero imponente di spettatori entusiasti, lì giunti, a salutare l’evento, in apertura di stagione.
Il dramma giocato su tinte opposte, luci e ombre, chiari, scuri ha posto in rilievo la cromia testuale e scenica sin dall’apertura del sipario, rimanendovi coerentemente legata, testo e azione subiscono un crescendo che la trama ha ripercorso dall’inizio alla fine, dallo sfondo avorio chiaro, caratterizzante l’antefatto ossia la scena iniziale del duello che sarà lo snodo da cui si dipartirà la tragedia, fino al climax finale, caratterizzata dall’uso del colore nero e con esso della dipartita del protagonista, verso l’oscurità.
Un’enorme cornice dorata a rifinire i contorni di quella scena, quasi a simboleggiare l’immensità di un affresco vivente, o di un immenso specchio, come a voler dire che quanto avviene sulla scena, sia anche speculare di chi ci si siete di fronte ad essa, cioè il pubblico e la società quindi, come dire “Don Giovanni, in fondo, siete tutti voi”; ma al tempo stesso a confermarne la fresca bellezza e l’attualità, di un testo che –malgrado i secoli- non smette ancora di interrogarci.
Il testo tradotto e adattato da Tommaso Mattei, è stato ben rispettato e reso in modo esemplare non solo da attori di livello, ma anche da una intelligente ambientazione d’epoca, seppur sobria nel numero degli oggetti in scena, ma aiutata da un uso spiegato di tecnologie usate con abilità e chiarezza, a enfatizzare ancora un interesse, verso l’autenticità del testo a 360°, i bellissimi costumi di Marta Crisolini Malatesta, le scene di Fabien Iliou non hanno fatto che impreziosire la messa in scena.
Don Giovanni e il suo alter ego Sganarello (uno spassosissimo Nando Paone), servitore fedele ma altrettanto imparziale nel giudizio e perennemente impegnato nel tentativo di riportarlo in carreggiata, sono i ruoli che più incidono nell’economia del dramma, quelle per cui non si potrebbe fare proprio a meno e che in virtù di questo, sono anche state ben sostenute dai due ottimi attori.
Si apre il sipario, due uomini a duello: il Nostro e il Commendatore, quest’ultimo sarà doppiamente vittima: sia nel tentativo di difendere l’onore perduto della figlia che di sé stesso.
Quasi in simultanea il servo Sganarello e Gusman (Roberto Manzi), alle dipendenze di Donna Elvira (Lucrezia Guidone), una delle tante “mogli” del protagonista, sono a confronto, Sganarello rivela e svela in parte anche a noi chi Don Giovanni sia in realtà lo fa senza mezzi termini, secondo il servitore infatti è niente meno che “il più grande scellerato che abbia mai calcato la crosta terrestre, un forsennato, un cane, un diavolo, un turco, un eretico”, un libertino per definizione, che non crede in niente, salvo che in sé stesso, che pertanto “non crede né al Cielo né all’Inferno” dedito com’è al piacere e soddisfare ogni appetito della carne, “un vero Sardanapalo, che non dà retta a qualsiasi rimostranza gli venga fatta, e considera una fola tutte le cose in cui crediamo”, a nulla gli servirà perorare la causa della padrona; sedotta e abbandonata, la stessa Donna Elvira ex novizia, era fuggita dal convento, per assecondare l’ineffabile seduttore, mal ripagata in quanto, non solo Don Giovanni la ripudia, ma da bravo simulatore, aggiunge di aver “riflettuto che, per prendervi in moglie, vi ho sottratta alla clausura di un convento, costringendovi a infrangere i voti già presi; e so che il Cielo ha per queste cose un geloso attaccamento”
E siamo ancora all’inizio! A mano, a mano che l’azione si snoda, assistiamo a una serie di eventi tutti mirati a consolidare le parole pronunciate da Sganarello riguardo quel padrone che in parte, lui disprezza ma a cui lo lega: “la paura in me tiene il luogo della devozione, imbriglia i miei sentimenti e mi riduce molto spesso ad approvare ciò che dentro di me detesto”. Difficilmente ogni pretesto e tentativo di ricondurre Don Giovanni ad una condotta più morigerata, sortiranno alcun effetto, questi irriducibile, sostiene invece che “nulla può arrestare l’impeto dei miei desideri: ho un cuore che può amare il mondo intero; e come Alessandro vorrei che ci fossero altri mondi, per estendere le mie conquiste amorose”. Nonostante il mondo sia solo uno, Don Giovanni continua a perlustrarlo in cerca di sempre nuove fanciulle, non importa né il censo né la posizione siano novizie o spose promesse, per lui l’importante è che siano graziose e possibilmente tante!

Don Giovanni è la figura in assoluto del libertino e del libertario insieme, uomo dagli appetiti ineguagliabili, colui che infrange ogni genere di regole, per seguirne di proprie o che non vadano al di là delle proprie pulsioni, costi ciò che costi, lui non si pentirà mai: essendo colui che non avverte niente e nessuno al di sopra di sé, che affabula non solo le donne che ammalia così bene, ma anche gli uomini che dentro di loro vorrebbero forse emularne la grandezza temeraria, come, in parte, il creditore Signor Domenica, rientrato a casa –dopo una visita a Don Giovanni, dal quale sperava di riavere il denaro prestato – con le borse ancor vuote, ma ammaliato dalla stordente facilità di parola di questo, o come per lo stesso Sganarello che malgrado lo disprezzi, riesce solo alla fine, a svincolarsi da lui.

Tutto questo è stato ben ravvisabile e reso dall’ottima interpretazioni di Alessandro Preziosi, e da questa valida Compagnia di attori, in grado di onorare la bellissima pièce come merita, questa infatti pur vertendo su di un racconto tragico, non manca certo né di smalto né di numerosi spunti comici, resta tuttora un grande classico, ma ben fruibile e niente affatto noioso, se nonostante le due ore della durata, il pubblico ha dato segno di continuare a seguire con divertimento e molta partecipazione, rispondendo dal canto suo e contraccambiando con applausi ripetuti e davvero fragorosi.

Daniela Ferro

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