Italian Soul e Cultura d’Impresa: intervista ad Alberto Improda

Italian Soul e Cultura d’Impresa: intervista ad Alberto Improda
Alberto Improda
Alberto Improda

Incontrare un avvocato e ritrovarsi coinvolti in piacevoli discorsi che spaziano dalla cultura d’impresa alla letteratura è un evento che quanto meno ti sorprende. I nostri discorsi non affrontano i temi legali se non per l’etica, punto di riferimento costante. L’avvocato Alberto Improda è titolare dello studio omonimo con diverse sedi in Italia che copre dai diversi aspetti dalla tutela giudiziale ed extragiudiziale ai diritti di proprietà intellettuale. E’ proprio in quest’ultimo campo che lo studio è riconosciuto a livello nazionale ed internazionale come uno degli studi leader nel settore. Alberto Improda è un’uomo giovane e di bell’aspetto, ed ha uno spiccato senso dell’umorismo molto “english”. Dialoga sempre con un sorriso rassicurante e ti illustra aspetti apparentemente complessi con una capacità di sintesi ed una dialettica coinvolgente. L’ho seguito così al Convegno del Sindacato Nazionale Scrittori sul tema “LA CULTURA E GLI ITALIANI OGGI”, che si è tenuto a Roma il 22 ottobre scorso ed ho approfittato dell’occasione per scambiare qualche battuta sul tema del dibattito:

Su cosa si basa il suo intervento nel dibattito organizzato per il Sindacato Nazionale Scrittori?

Svolgere alcune considerazioni in merito al rapporto che intercorre tra il mondo degli Intellettuali e il mondo dell’Impresa, per contestualmente prefigurare quelli che dovrebbero auspicabilmente esserne gli sviluppi futuri. Preliminare a qualsiasi ulteriore riflessione, ovviamente, è la definizione del concetto di “Intellettuale”. Riporto qui la celebre definizione fornita da Norberto Bobbio, secondo cui l’intellettuale è “colui che incarna o dovrebbe incarnare lo spirito critico … il seminatore di dubbi, l’eretico per definizione”. Ed aggiunge: “Cultura è equilibrio intellettuale, riflessione critica, senso di discernimento, aborrimento di ogni semplificazione, di ogni manicheismo, di ogni parzialità”. L’Intellettuale, dunque, è colui che ha gli strumenti culturali per vagliare adeguatamente la complessità della realtà, cogliendone la natura varia, articolata e spesso contraddittoria, sempre pronto a studiarne nuovi aspetti e significati, senza rimanere aprioristicamente ancorato a dogmi e certezze.

Avvocato, come contestualizza questi concetti nel mondo dell’Impresa?
L’Intellettuale può essere definito come colui che ha una cultura ampia e trasversale, non legata esclusivamente a competenze specialistiche in una determinata materia, con una spiccata attitudine alla comprensione di problematiche di diversa natura, sempre pronto a mettere in discussione le proprie opinioni e quelle altrui. Nel discutere di Intellettuali e di Impresa, un argomento assai interessante sarebbe quello inerente alla responsabilità sociale dell’Impresa, al suo ruolo quale ente atto a dare un peculiare contributo nel processo di sviluppo e di progresso della società. Intellettuali e l’Impresa, con particolare riferimento alla funzione che i primi possono svolgere all’interno della seconda, nell’ottica di un ottimale funzionamento dell’azienda e di una sua adeguata capacità competitiva.

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Lei ha dichiarato che: “negli ultimi decenni si è verificata una profonda crepa tra il mondo degli Intellettuali e quello dell’Impresa, figlia soprattutto di dinamiche intervenute nel più ampio contesto economico, politico e sociale. Tanto in ambito politico quanto in ambito economico. L’Impresa si affida solo agli Specialisti che possono essere considerati come coloro che vantano profonde ed analitiche conoscenze soltanto in un determinato settore, con una forte ed inamovibile convinzione nella esaustività delle proprie certezze”. Dove nasce la reale incomunicabilità?

Gli Specialisti, alias Tecnici, si caratterizzano per una scarsa apertura alle questioni che attengono alle materie che esulano dalla propria competenza e si segnalano per una sostanziale “impermeabilità e indifferenza rispetto alle opinioni altrui”. In un contesto simile, naturalmente, gli Intellettuali sono sempre più stati ritenuti come un elemento estraneo all’Impresa, o quanto meno da relegare a ruoli di secondaria importanza, al punto che l’abbinamento tra il concetto di Intellettuale e quello di Impresa è giunto a suonare come un ossimoro.

Quindi nella società attuale, lei descrive questa fase caratterizzata da uno straordinario tasso di complessità e di contraddittorietà.

Da un punto di vista valoriale, gli ultimi decenni del secolo scorso hanno visto il crollo delle grandi ideologie politiche e oggi anche il modello liberista sta mostrando i propri limiti e difetti, con il conseguente venir meno per ognuno di certezze e di saldi punti di riferimento. Il senso critico e l’apertura mentale dell’Intellettuale, in un tale contesto, diventano una bussola indispensabile per orientarsi in una realtà tanto magmatica e per mettere in moto i necessari processi decisionali. Con la Network Society, tra l’altro, si è passati da un modello socio-economico basato sostanzialmente sull’innovazione incrementale (tuttora, com’è ovvio, largamente presente ed anzi avente natura prevalente nella società) ad un modello nel quale la cifra di fondo è però data dall’innovazione dirompente, vale a dire da una innovazione che spariglia le situazioni consolidate e si pone fuori dagli schemi preesistenti, quindi impossibile da comprendere e da gestire per colui che vanta una preparazione squisitamente specialistica e settoriale. Mai, prima d’ora, nelle imprese i beni intangibili avevano avuto una rilevanza così pronunciata e un peso tanto significativo, al punto che in buona parte delle aziende del mondo occidentale l’aspetto immateriale del patrimonio prevale su quello materiale.

Mi può illustrare il significato di proprietà intellettuale? 

La proprietà intellettuale consiste nell’insieme di alcuni istituti finalizzati alla protezione legale di una parte del patrimonio dell’aziendale, quali brevetti, marchi, diritti d’autore, know-how. Alla luce della finalità e dei limiti del presente scritto, possiamo intendere per patrimonio immateriale dell’azienda tutto l’insieme di nozioni tecniche, valori di immagine e reti relazionali che contribuiscono a determinare l’essenza di un’impresa.

Cosa intende per “dinamiche più nettamente evocative e valoriali”?

Come dicevo prima gli Intellettuali siano chiamati a rivestire un ruolo di primaria importanza nella vita delle imprese, apportandovi quale vitale ed ineliminabile contributo un apporto di cultura, universalità, elasticità e capacità di sintesi. Vi è poi un ragionamento che vale in modo specifico per le imprese italiane. Le nostre imprese, come quelle degli altri Paesi Occidentali, per competere con successo sui mercati nazionali ed internazionali in una economia ormai completamente globalizzata sono chiamate a puntare con forza sull’elemento della qualità. Le economie più avanzate, infatti, per fare fronte alla concorrenza delle economie dei Paesi emergenti, insuperabilmente competitive nella produzione di beni a basso valore aggiunto, sono costrette a spingere sulla qualificazione e sulla esclusività delle proprie produzioni.  Le imprese italiane, tuttavia, in un panorama concorrenziale tanto difficile e problematico, godono di un proprio e specifico vantaggio concorrenziale: la loro Italianità. Le nostre imprese, in altri termini, incontrano ovunque un atteggiamento particolarmente favorevole da parte dei mercati per il solo fatto che i loro prodotti si ricollegano in qualche modo al “concetto di Italia”. Tale fattore, ovviamente, risulta particolarmente pronunciato in alcuni settori merceologici (l’agroalimentare, l’abbigliamento, l’arredamento, etc.), ma può essere considerato effettivo in tutti i comparti dell’economia.

Improda_2Stiamo parlando del fenomeno comunemente denominato Made in Italy?

In buona sostanza, affinché un bene goda sui mercati nazionali ed internazionali del vantaggio competitivo in questione non è necessario che esso sia stato materialmente realizzato in Italia e neanche che sia stato progettato o designed nel nostro Paese, ma è sufficiente che esso sia in qualche modo collegato ad un insieme di valori che nel loro complesso costituiscono l’Italianità, lo spirito italiano, l’Italian Soul. In questo complesso di valori confluiscono e si fondono vari elementi: il genio e il buon gusto che caratterizzano il nostro Paese, l’enogastronomia e la bellezza dei territori italiani, il piacere ed il gusto di vivere tipici della Penisola. Un interessante autore, portando in qualche modo all’estremo il concetto tradizionale di Made in Italy, ritiene che il cuore dell’Italianità risieda nel nostro “sapere artigiano” in senso lato: intendendo con tale concetto il “saper fare bene le cose” tipico del nostro Paese, senza alcun riferimento all’elemento organizzativo o dimensionale dell’azienda.

Cosa intende per Italian Soul?

L’ Italian Soul risiede nella Cultura italiana. E’ soprattutto il nostro patrimonio culturale che rende l’Italia un simbolo di eccellenza nel mondo, conferendo al nostro Paese quel gradiente di irripetibilità ed unicità che continua a riversare un afflato di reputazione e di attrattività su tutto ciò che viene percepito come italiano. E’ stato brillantemente scritto da Massarenti: “Perché nonostante tutto il nostro brand va fortissimo? E di che cosa è fatto questo brand? Vi sembrerà strano ma la parola che lo riassume è una sola: Cultura. Noi siamo il Paese della Cultura. Ovunque nel mondo”.

Che rapporto c’è tra Cultura e Impresa e l’Italian Soul.

Risulta un principio ormai assodato, infatti, che esiste una connessione tra lo sviluppo culturale di un determinato territorio ed il tasso di competitività delle sue imprese.

Quindi lei ha evidenziato una società caratterizzata da una estrema complessità e fluidità, dove le imprese del mondo occidentale si contraddistinguano per una peculiare esigenza di trasversalità, universalità ed eclettismo. Da questo si evince un ottimismo riguardo alle imprese italiane per questa spiccata vicinanza e originale contaminazione con il mondo della cultura.

Si è scritto con intelligenza nel testo di Antonio Calabrò: “… impresa e cultura non fanno riferimento a due universi differenti, ma sono parte dello stesso mondo. Fare impresa, impresa industriale soprattutto, vuol dire investire e lavorare sui cambiamenti dei mercati, dei consumi, delle tecnologie produttive. Puntare sulla ricerca e sull’innovazione. Seguire le trasformazioni tecniche e sociali. E l’innovazione, parola chiave, carica appunto di forti valenze culturali e simboliche, riguarda tutto: le tecnologie, i materiali, i nuovi prodotti e i nuovi processi per produrli, le relazioni industriali tra le varie componenti del mondo dell’impresa e del lavoro, i linguaggi del marketing e della comunicazione. Cos’è tutto questo se non cultura scientifica, cultura economica, cultura d’impresa? Bisogna, in altri termini, passare dalla tradizionale visione di “impresa e cultura” a una visione più forte e carica di valori “impresa è cultura”. Forse dire “impresa è cultura” significa dire troppo. Certamente, però, in una società tanto complessa, contraddittoria e magmatica come quella attuale l’Impresa ha più che mai bisogno della Cultura; ed ha più che mai bisogno che gli Intellettuali vi apportino il proprio insostituibile contributo in termini di spirito critico, apertura mentale e capacità di sintesi.

 

LaCinque

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