Siamo la “generazione di mezzo”?

Siamo la “generazione di mezzo”?

Ho comprato il libro di Andrea Scanzi non solo perché rimasta irretita dai suoi occhietti azzurri e dal ciuffo ribelle, ma per quella vena aspra della sua parlantina, sempre tagliente ed un po’ cinica, critica e spesso distruttiva, mai troppo astiosa e sempre sopra le righe. Guardo da sempre la sette, dove prediligo il programma “otto e mezzo” con Lilli Gruber, e quando c’è Scanzi mi diverto ad aspettare e scoprire man mano chi taglierà a pezzi. Ricorda vagamente Travaglio a livello giornalistico, ma meno saccente ed astioso con il mondo. Scanzi ti lascia spesso, dopo le sue battutine taglienti, la possibilità di immaginare una via di uscita. Provoca e sminuisce ogni ben fatto per poi acuire ogni leggerezza dei personaggi/argomento del giorno, dei politici e non solo.

Mi incuriosisce molto come uomo e spesso mi sono chiesta se dietro quel faccino indisponente, tra il sarcasmo delle sue battute e quegli occhi accigliati, ci fosse mai uno Scanzi leggero, ironico e sorridente. Ecco che qui scopro qualcosa, non l’ho mai visto sorridere. Perché? E’ complessato? Avrà i denti brutti? O non ne è capace? Gli auguro la prima, almeno con un buon dentista ed un po’ di soldi si risolve!
Insomma sarà così ipercritico anche con le donne del suo pianeta? Troverà in ognuna di loro i mille difetti che riconosce in ogni personaggio umano? Sarà sempre indisponente e distaccato, magari autocelebrativo? O concederà anche a qualcuna di loro la possibilità di esprimersi?
Insomma ho comprato questo libro per scoprire il giornalista che non si vede in Tv e per capire se le nostre generazioni, così vicine, avessero qualcosa in comune. Più di questo scoprire se la sua generazione, i suoi gusti, la sua visione accompagnata dalle sue sensazioni lo rendono più simile e più vicino a me.
Eh si! Devo confessare che più di qualche riga ci accomuna.
“Non è tempo per noi. Quarantenni, una generazione in panchinanon è un libro di autocommiserazione che passa in rassegna una generazione sicuramente più sfortunata di alcune che l’hanno preceduta, ma è un’analisi attraverso la musica, il cinema, lo sport ed i suoi miti.
Il tutto parte da una canzone di Ligabue, che è il titolo del libro stesso. Ma che originalmente doveva chiamarsi “e non è obbligatorio essere eroi”. “Non è tempo per noi” è uscita nel ’90 e per Scanzi è la descrizione esatta della generazione.

“L’etica di Ligabue è anche etica del quarantenne di oggi.”
“Non è tempo per noi, in ultima istanza, è la nostra colpa o il nostro alibi?”

Poi cita una canzone di vent’anni dopo: Il sale della terra. “Siamo le figure dietro le figure. Siamo la vergogna che fingiamo di provare. Siamo il culo sulla sedia, la farsa, la tragedia…”. Ed ancor più ritrova la “fotografia” dei nati nei Settanta in Urlando contro il cielo nella strofa “Se il Purgatorio è il nostro perlomeno, urlando contro il cielo”.
E mi stupisce che Scanzi, oltre ad intrecciare filosofie sulle strofe di Ligabue, abbia il mito dei Nirvana. Quello appartiene a me! Non solo perché ancora una volta vittima degli occhi cerulei e del bel faccino, ma perché il grunge di Nirvana commuove noi romantiche, già perdutamente innamorate della bellezza immortale (almeno lei!) di Kurt Cobain per lasciarci struggere al suono rock della sua voce aspra.

"Non è tempo per noi"
“Non è tempo per noi”

Certo non è la sua passione Jovanotti, che solo negli aspetti più superficiali rispecchia la generazione dei Settanta pur essendo nato nei Sessanta (’66).
Lo è invece Caparezza, ma su questo dovrei meditare un po’ prima di esprimermi. Amo Samuele Bersani e Daniele Silvestri, Caparezza più di di due-tre minuti non posso farcela….

Più di tutti ho una passione per Fabri Fibra, (del 1976), mio assoluto preferito (dopo Neffa che appartiene alla mia generazione). Immaginavo che Fibra fosse più vicino a Scanzi come capacità di “vivisezionare” il contesto sociale. Come mai non gli piace? Cosa ne penserà il nostro bell’autore dei testi di Fibra?
Del cinema esalta l’analisi spietata dell’insulsa ignoranza nel film, “compagni di scuola” di Verdone, ed è solidale (e come non esserlo?) con il personaggio di Fabris.

Giudica “Compagni di scuola” più dolente de “Il grande freddo”. E’ un Verdone senza speranza, che soppesa il fallimento morale di una generazione che non solo ha perso, ma ha pure fatto abbastanza schifo. Onorevoli per nulla tali, mariti pavidi, ricchi cafoni, paralitici finti e straccioni veri. Per la mia generazione è stato come guardarsi allo specchio in un flashforward impietoso. Terminata la visione ci si chiedeva chi sarebbe diventato Ghini o Eleonora Giorgi, chi Er Patata o chi il Ciardulli”.

Il capitolo dedicato a Paolo Sorrentino, sempre a proposito di cinema, è bellissimo. Esce un ritratto intimo grazie al loro rapporto di stima ed amicizia che li lega. Sarebbe bello sapere da Scanzi se, dato che Sorrentino è l’unico (o comunque tra i pochi registi) di cui lui prova un’ammirazione sconfinata, se ha mai pensato di produrre o creare qualche progetto con lui. A maggior ragione ora che Sorrentino ha ricevuto la nomination all’Oscar. Può essere questo di buon auspicio per tutti i quarantenni di oggi?
Poi osanna l’amato e compianto Massimo Troisi. Scanzi, a differenza mia, ama l’ultimo Troisi, quello del “Postino” attraverso il quale evoca la sua tragica fine che si consumava durante le  riprese. Le ripercorre con grande nostalgia. E dell’ironia del grande attore napoletano ricorda l’affiatamento con Benigni nel “Non ci resta che piangere”. Film che io non ho mai sopportato, né capito, né tantomeno apprezzato l’unione stridente tra il mio attore preferito, con il comico toscano.
Ricorda anche le altri morti celebri come Patrick Swayze nel cinema, così come Gilles Villeneuve e Ayrton Senna nello sport, dedicando giustamente un paragrafo ad uno sportivo che ho capito, rispettato e rimpianto, come il “Pirata” Pantani.
Cita la canzone di Gaber scritta nel 2001 La mia generazione ha perso e aggiunge amaramente “può anche essere, anzi per quel che vale ne sono convinto, ma almeno la sua ha giocato!”. E qui Scanzi aggiunge la mia non è neanche scesa in campo”. Sicuramente non ci sta ad essere rappresentato accanto a Fabio Volo e Fabrizio Corona. E tra i comici osanna (sinceramente non condivido) la Geppi Cucciari (anch’ella del ’73), in un confronto con la generazione precedente della Littizetto e Brignano, ed alle sue coetanee (che preferisco), una su tutte la Victoria Cabello.
Fa anche una carrellata attraverso le soap o le fiction, passando per Sex and city e Desperate Housewives fino a Lost.

Comunque salto i commenti sulla politica, tanto Scanzi oltre a non esporsi e dichiararsi apertamente, ci ricorda solo che vuole in tutto e per tutto dissociarsi dal suo coetaneo più noto al momento come Matteo Renzi!
Ora capisco questa sua asprezza quanto si rifletta nei suoi rapporti umani. Che non possono essere che conflittuali. Stare con Scanzi, oltre che piacevole dato il suo docile look apparente, dev’essere una guerra. Vivere con un iper critico sempre un po’ imbronciato (anche se il suo musetto lo troviamo delizioso!) deve essere un po’ faticoso. Sicuramente sarà poi un perfezionista che ti incute ansia da prestazione, e come donna, immagino che sia il tipico uomo che non ti fa sentire mai adeguata!
Poche righe dedica alla sua vita privata dove si descrive così: “che compagni siamo? Che genitori e che figli siamo? Forse occorrerebbe Paolo Crepet per saperlo. O forse no. Parlo un po’ per sentito dire ed un po’ da cattivo maestro. Sono separato. Non ho figli e ho lasciato (e sono stato lasciato) più di un serial killer sentimentale”.
Beh non so se vorrei essere una sua “vittima”, però il desiderio di incontrarlo, dopo aver letto il suo libro, è ancora più forte e persistente.

Fabiola Cinque

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