In attesa di “Brachetti che sorpresa!”

In attesa di “Brachetti che sorpresa!”

Una breve conversazione con Francesco Scimemi che da stasera fino a domenica 1° marzo, sarà presente all’Europauditorium, in compagnia di Arturo Brachetti, Luca Bono, Luca e Tino in uno spettacolo da sbalordire, con la regia di David Livermore.
Scimemi che proprio quest’anno festeggia ben 30 anni di palcoscenico, avendo iniziato da adolescente a calcare il palcoscenico, ha un talento speciale per divertire (innegabilmente è un comico), ma anche per stupire essendo un mago, per necessità di sintesi ha deciso di condensare le due vene nel “Magicomio”. Francesco fece le prime apparizioni in TV nel ’90 riscuotendo un successo considerevole (mi riferisce di un’audience da 16.000.000 di spettatori N.d.R.). Ha nel curriculum nientemeno che una ottantina di trasmissioni a suo attivo e continua imperterrito, con lo stesso entusiasmo dei primi tempi condito poi dalla crescita professionale, costruita nel tempo. Questo che segue è quanto ci siamo detti.

Francesco-ScimemiCome possiamo definire il ruolo che rivesti all’interno di questo spettacolo?

Diciamo che il mio personaggio non è il mio personaggio: sono io che faccio quando faccio lo spettacola da solo. A me piace un rapporto vero col pubblico, io faccio “il teatro dello smascheramento” nel senso che tendo a togliere la maschera che ogni spettatore ha e si porta dietro a causa del suo lavoro o della vita che fa, cerco di riportarlo allo stadio umano, come siamo noi tutti. Ecco perché questo si chiama Magicomio: è un riassunto della condizione umana che viene decontestualizzata dall’essere spettatore, dall’essere avvocato, architetto, medico, operaio, viene sul palco e diventa uomo e basta. Quindi tutte le cose e le reazioni e le cose che ha tendono a mascherare, quello che lui tenta di coprire. Sembra tanto semplice ma è complesso, però!
Con Arturo invece è stato molto bello perché ci conosciamo personalmente da una ventina d’anni, abbiamo iniziato a collaborare dall’anno scorso, lui avrà collaborato, nella sua carriera, con quattro o al massimo cinque persone in questa maniera. Diciamo che io sono la parte di Arturo più terrena, “più porcella”, quella che vuole mangiare, vuole fare l’amore, ho quegli istinti primordiali che Arturo reprime.

Be’, insomma quello più materiale e terrigno!

Esatto, mi ribello un po’ a quello che è la voglia di Arturo di vestire gli stessi costumi, di essere così e di avere una sessualità molto vogliosa, voglio uscire dal personaggio di Arturo. Devo dire che tutto lo spettacolo si basa su queste sfaccettature di Arturo che prova a fare – diciamo questo upgrade – da Peter Pan ad adulto; recupera la sua infanzia per poter provare a crescere. Devo dire che è molto ben congeniato rispetto a quelle che sono le altre facce di Arturo nello spettacolo, sia Luca Bono che è la parte che ancora si stupisce della magia, la parte bambinesca, la parte pulita, e poi Luca e Tino che sono – come dice lui – la parte più idiota, del nonsense quella che lo porta a fare le follie.

Sono curiosa però di sapere: come avete costruito in toto lo spettacolo, perché da ciò che vedo siete un gruppo di ottimi solisti che però si sono messi a lavorare come orchestra, vorrei dire.

Il miracolo lo fa sia il fatto che ci conosciamo tutti bene e siamo amici fra di noi e questo porta ad essere che siamo un team vero, una vera compagnia, una squadra con nessuna competività, è un unicum, lo spettacolo che va avanti. Questo, diciamo che per chi è solista è una crescita, perché abituati ad avere solo il proprio occhio come giudicante, il fatto di sentire invece che so: “Questa cosa fa cagare!”; “questo non fa ridere!”; “questo sistemalo…”; “qua fa’ un passo avanti” etc tutti i movimenti di scena, le battute le discutiamo in maniera corale, si sente anche che c’è questo piacere di stare insieme sul palco.
Il miracolo viene fatto anche da Davide Calabrese che ci ha coordinato su quello che è il vecchio spettacolo di David Livermore, però è riuscito a dare, innanzitutto, un filo narrativo molto più comprensibile di quello dell’anno scorso, perché finalmente si coglie esattamente quello di cui ti ho detto prima e poi il fatto che avendo lui una grande cultura del Musical, avendo anche lui un’esperienza di team molto più di noi, insomma questo spettacolo è stato tirato su in pochissimo tempo ed è uno spettacolo di una complessità enorme! Dal punto di vista dei movimenti, di entrate, di uscite dei turni, di fondali che sembra una cosa per cui siano occorsi tre mesi, in realtà abbiamo lavorato molto poco, ma già fila che è una meraviglia!

Brachetti Che Sorpresa! (9)Come ci si trova – da un punto di vista emotivo o psicologico – a condividere stress e fatica insieme? Perché un conto è quando si è “one man band”, un altro quando si sta in un’equipe.

Guarda ti dirò che ci facciamo scherzi dalla mattina alla sera, ma proviamo anche tanto. Il perfezionismo di Arturo è a un livello superiore rispetto a quella che è la media del teatro italiano, nel senso che se anche la sera lo spettacolo va benissimo, lui ti tira fuori delle cose: “guarda là dovevi fare così, la luce era…, il piede dovevi metterlo….”. La crescita, in effetti, sta in questo. Se tu prendi certi opening che hanno fatto i Tony Awards, capisci come 250 persone possano muoversi all’unisono con una professionalità e con una esperienza e competenza che spesso, in Italia, ce la sogniamo! Se questa voglia di fare sempre meglio ci fosse in tutti i campi ci sarebbe molta meno cialtroneria, nella quale mi inserisco anch’io!
La crescita con Arturo è anche questo: riuscire a migliorare, anche nelle stesse cose che tu fai da 30 anni per cui tu hai la chiara certezza assoluta che le cose funzionino, bisogna avere il coraggio di riuscire a sistemarle, a cambiarle, a metterle con un tempo diverso, ti togli la certezza e lì cresci ed è un piacere enorme!

Daniela Ferro

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