Carmina Burana e lo Spellbound Contemporary Ballet Company

Carmina Burana e lo Spellbound Contemporary Ballet Company

Applaudito, osannato, apprezzato ovunque sia stato portato  Carmina Burana  presentato al Teatro Il Celebrazioni di Bologna, dalla compagnia di danza Spellbound Contemporary Ballet di Roma, si è rivelato – come preannunciato – uno spettacolo davvero emozionante, di grande fascino e bellezza sia per le esaltanti  coreografie originali di Mauro Astolfi, fondatore della compagnia stessa, ma anche in virtù di un corpo di ballo dalle  grandi qualità sia artistiche che  espressive.

Frutto di una ricerca ormai decennale, Carmina Burana si presenta rinnovato rispetto la versione precedente poiché il coreografo Mauro Astolfi suo ideatore  ha ritenuto più idoneo riconsiderarne il contenuto, modificandone quindi la struttura.

Un invito questo suo, molto diverso a  rileggere il Medio Evo con la presenza  della musica di Carl Orff di cui vi è un buon sunto dall’opera omonima, ma non tanto e  solo le musiche composte dall’autore tedesco, visto che vengono utilizzati anche brani di Vivaldi e altri autori un felice connubio – nell’ultimo caso –  fra danza contemporanea e musica barocca che ben si presta al caso.

Una pioggia scrosciante, una lampada sollevata da un braccio, un giungere di figure in penombra che  a mano a mano si riuniscono e  sapranno poi imbastire un discorso coreutico che pone la centralità sul corpo e quindi sulla materia, a differenza di ciò che  normalmente  siamo abituati a fare, pensando al Medio Evo, qui pare il trionfo di ciò che è fisico e di tutte le sue possibilità. Movimenti precisi, sicuri, rapidi fatti di torsioni, avvolgimenti, grande leggerezza e rapidità insieme, pur essendo accompagnati da una notevole forza muscolare.

Pochissimi gli elementi in scena, austerità e minimalismo anche in termini di luminosità, ben in linea anche col periodo storico, quello dei cosiddetti secoli bui. Una panca che tra le mani dei danzatori nei momenti giocosi diventa uno scivolo, un tavolo a emblema della convivialità, della gola quindi della cupidigia poi, con conseguente sguaiato, impudico, baccanale dei sensi ora smaccatamente sovrani; il sacro che si frappone al profano e  questa “sacralità” un po’ blasfema, espressa a tratti ironicamente nella musica di Orff, diviene più autenticamente devota negli intercorsi musicali vivaldiani, fino a quando la musica viene  meno e nel silenzio, assistiamo all’incedere  morbido e libero di un danzatore in un assolo di grande bellezza per l’armonica scioltezza delle movenze e la fluida sequenza dei passi.

Un grande armadio, contenitore segreto e scrigno di misteri, o semplice alcova? Una sorta di boit magique dalla quale usciranno ed entreranno con magistrale agilità corpi in grado di flettersi, piegarsi, come dei nastri umani, fino a scomparirne al suo interno. Che cosa rappresenta davvero questo armadio? Ognuno potrà trovare da sé le risposte che saranno varie quanto è vario il patrimonio che ogni spettattore reca dentro di sé .

Uno spettacolo che nell’arco di un’ora della sua durata ghermisce lo spettatore con la forza prorompente del suo fascino che emoziona e  lasciandolo poi solo alla fine, amareggiato forse perché si vorrebbe che lo spettacolo non  terminasse!

Applausi scroscianti in chiusura quasi a voler riecheggiare il tamburo battente della pioggia scrosciante che apre lo spettacolo.

Daniela Ferro

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