Il corpo della voce tra il sensibile e il simbolico in mostra

Il corpo della voce tra il sensibile e il simbolico in mostra

ROMA – È in corso fino al 30 giugno 2019 al Palazzo delle Esposizioni la mostra IL CORPO DELLA VOCE – Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos. Un interessantissimo viaggio nell’universo sonoro della vocalità vista dal punto di vista scientifico e artistico, che culmina nella ricerca e sperimentazione di tre grandi figure del Novecento che in maniera diversa furono grandi innovatori nell’uso della voce. Nel lungo reportage che segue, vi racconto la mattinata di presentazione e la mia visita in anteprima della mostra, che consiglio sin da ora vivamente a quanti si trovassero a trascorrere le festività pasquali nella Capitale.

Siamo quotidianamente abituati a muoverci in una realtà complessa, in cui la fitta rete di relazioni interpersonali che ci chiama ad occupare il nostro posto nel mondo è tenuta insieme essenzialmente dalla nostra capacità di comunicare. Il web, i social network e con essi la tendenza al ritorno all’immediatezza del potere descrittivo delle immagini stanno in parte ridisegnando il concetto di comunicazione, deresponsabilizzandoci dalla complessità della narrazione. Eppure la parola, sia essa scritta o affidata all’oralità, rappresenta ancora lo strumento-principe a cui affidiamo la possibilità di comprendere gli altri e di esserne compresi. Ho sempre subito la fascinazione esercitata dal potere del linguaggio, dalla forza creatrice con cui, ad esempio, i bravi scrittori costruiscono mondi, evocano immagini ed emozioni vivide semplicemente descrivendo quello che tutti vediamo, ma spesso ci lasciamo scivolare addosso. Sin da quando ero un bambino che mostrava buona propensione ad alterare la fisionomia della sua colonna vertebrale per avvicinarsi a libri e quaderni ho cominciato a scoprire i meccanismi rudimentali che stanno dietro a una gradevole scrittura. A causa di un’emotività perennemente inquieta, il mio vero ostacolo restava, ameno sino alla maturità classica, il dominio di un’eloquenza benedetta da un respiro capace di suscitare in chi mi ascoltasse delle reazioni diverse dall’angoscia. Parlavo sempre molto velocemente, i miei discorsi non prevedevano pause, erano monocordi e talora difficilmente comprensibili. Ricordo che quando una volta in classe il mio professore di lettere mi chiese di leggere dei versi di antologia, mi interruppe ben presto per dirmi che semmai un giorno avessi letto qualcosa a un figlio la sera per farlo addormentare, questi avrebbe sgranato gli occhi terrorizzato e mi avrebbe chiesto pietà con frasi come: “Va bene, papà. Va bene. Ti assicuro che sto per addormentarmi, ma ora ti prego, smettila”. Qualche anno dopo queste “incoraggianti” premesse sulle mie doti comunicative, l’incontro con un’adorabile ex-dirigente RAI, che fu la mia prima insegnante di dizione, e quello ancor più inaspettato con il mondo del teatro, che per timore avevo sempre rifuggito, fecero sorgere in me il dubbio che i miei problemi relazionali potessero non dipendere dall’inadeguatezza del mio aspetto o della mia voce, ma dalla non conoscenza e dal cattivo uso dei miei strumenti. Mi resi conto che la differenza tra “belle voci” e “brutte voci” è più relativa di quanto si creda, che la seduzione del canto delle sirene raccontato da Omero nel XII libro dell’Odissea è un mistero che va al di là della perfetta dizione, perché può derivare anche da un’imperfezione o da sfumature difficilmente descrivibili. Quel “misto erotico di timbro e linguaggio” o quella particolare “grana della gola” di cui parla Roland Barthes, andrebbe ricercata, per dirla con Nietzsche, nella musica che sta dietro le parole, nella passione dietro questa musica, nella personalità dietro questa passione: dunque in tutto quanto non può essere scritto. Cosa ancor più sorprendente, man mano che nella mia esperienza di lettore per web radio locali o in recital inseriti in eventi culturali cominciavo a ricevere qualche sincero apprezzamento, con cui si dissipavano alcune delle nubi adolescenziali, realizzai che la capacità di emozionare gli altri intenzionalmente non è esclusiva degli attori del cinema. In verità potremmo continuare a non capire come e perché quello sconosciuto/sconosciuta abbia potuto fermarci il cuore semplicemente chiedendoci che ore fossero una mattina qualunque in un bar o all’ufficio postale. Possiamo chiederci perché un buongiorno pronunciato con lieve inflessione dialettale ci abbia in qualche caso ispirato fiducia e in qualche altro sia addirittura bastato a farci arrossire nonostante i nostri quindici anni siano passati da un pezzo. Pur accettando il fatto che l’alchimia delle emozioni che si muovono sotto la superficie dell’animo umano è governata da un’infinità di fattori su cui non possiamo avere il controllo, è facilmente dimostrabile che la consapevolezza e il buon uso dei propri mezzi espressivi può fare la differenza tra un successo e un fallimento in moltissime circostanze della vita. Non è un caso che vi sia attualmente un proliferare di corsi di dizione e public speaking, rivolti a pubblici molto eterogenei e a professionisti che, come nel caso di insegnanti, operatori d’azienda o giornalisti, possono avere poco o nulla a che vedere con il mondo dello spettacolo. Eppure nel Novecento ci sono stati artisti che meglio di altri hanno esplorato le pieghe più insondabili dello strumento vocale, sino allo svincolamento della parola dal senso e dalla presenza stessa del soggetto dicente, realizzando sulla scena un teatro dell’irrappresentabile. Tra costoro, l’attore e regista Carmelo Bene (1937-2002) è stato fra i primi e resta probabilmente ad oggi il più grande ad aver dimostrato nella prassi il concetto di phonè, che in greco indica la voce in quanto suono, prima di articolarsi nel linguaggio e precede qualsiasi intenzione di voler dire e di significare. Per questi motivi apprendere, circa dieci giorni fa, che il Palazzo delle Esposizioni stava per inaugurare una mostra intitolata Il corpo e la voce. Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos, ha acceso in me un grandissimo interesse. La mostra è stata presentata lunedì 8 aprile alle ore 12:00 e sarà aperta sino al 30 giugno. Promossa da Roma Capitale-Assessorato alla crescita Culturale e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo, l’esposizione è dedicata alla voce intesa come pura potenzialità sonora e ripercorre quegli avvenimenti e le esperienze artistiche che hanno infranto il legame indissolubile tra il significato della parola e il fenomeno acustico.

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Tappe ineludibili in tal senso sono state le avanguardie artistiche del Novecento, che hanno influenzato la ricerca dei tre grandi protagonisti de Il corpo della voce, i quali oltre a Bene sono: la cantante mezzosoprano americana di origine armena Cathy Berberian (1925-1983) e il musicista cantante di origine greche Demetrio Stratos (1945-1979).

Il particolarissimo percorso nell’universo sonoro tra voce e suono, nel quale è accompagnato il visitatore, include più di 120 opere tra foto, video, materiali di repertorio, partiture originali, corrispondenze, documenti esposti per la prima volta al pubblico oltre a exhibit interattivi, aree di ascolto e apparecchiature elettroniche utilizzate dagli artisti al fine di esplorare i limiti delle proprie possibilità vocali. La raccolta della corposa documentazione è stata possibile grazie alla consultazione di diversi archivi e all’accurato lavoro di ricerca di Anna Cestelli Guidi e Francesca Rachele Oppedisano, curatrici della mostra, che hanno reperito materiale sorprendente e mai divulgato prima.

Sono presenti anche due sezioni scientifiche: la prima, introduttiva, curata da Franco Fussi, medico-chirurgo, specialista in Foniatria e Otorinolaringoiatria, offre ai visitatori un’accurata analisi dell’interno della cavità di risonanza dove si configura la voce nella sua carnalità. Durante la visita è infatti possibile visualizzarne il funzionamento anatomico anche grazie all’indagine tecnologica, come la laringostroboscopia e la spettrografia.

-La voce, nella sua miscela di intensità, ricchezza timbrica, colori, prosodia, dice chi siamo ed è il prodotto di tre sistemi, la laringe con le corde vocali, la cavità di risonanza e l’apparato respiratorio- ha dichiarato Fussi in un’intervista. -Abbiamo indagato il suo funzionamento fisiologico e le sue modalità di utilizzo nell’arte per rendere sempre più chiaro che la voce non è qualcosa che abbiamo ma che facciamo, è un comportamento motorio che lascia trapelare i nostri stati d’animo e le nostre intenzioni comunicative fino alla sua sublimazione estetica da cui scaturisce l’arte vocale-.

La seconda sezione scientifica è invece curata da Graziano Tisato, Ingegnere e ricercatore presso l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) – CNR di Padova, e si trova all’interno della sezione Stratos, con tre postazioni interattive realizzate ad hoc per la mostra, attraverso le quali è possibile approfondire la comprensione degli effetti vocali prodotti dall’artista.

20190408_121355Prima di unirmi al nutrito gruppo di colleghi accomodatisi nella sala della presentazione, sulla cui parete di fondo bianca scorrevano alcune immagini della mostra, ho ricevuto all’ingresso un’elegante cartella stampa e una graditissima sorpresa: una busta in edizione speciale contenente alcuni prodotti a cura di Anberries Pastilles, partner della mostra che insieme al Palazzo delle Esposizioni ha creato la lattina limited edition, ispirata al Palazzo, delle squisite pastiglie aromatiche all’arancia e cannella. La nuova lattina da collezione, iniziata lo scorso anno per celebrare la partnership tra l’azienda triestina e il museo romano, è stata rinnovata per tutte le mostre che saranno ospitate nel 2019 ed è disponibile nelle migliori Farmacie e Parafarmacie italiane.

Il primo a prendere la parola dal tavolo dei lavori foderato di stoffa scura è stato il Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, Cesare Maria Pietroiusti, il quale ha sottolineato come la mostra coniughi brillantemente gli aspetti scientifici dell’anatomo-fisiologia e dell’onda sonora con quelli della sperimentazione artistica. Tra i vari ringraziamenti per la qualità del lavoro di allestimento della mostra è stato menzionato lo staff tecnico oltre, naturalmente, agli eredi degli artisti che hanno permesso l’accesso a materiale esclusivo: Raffaella Baracchi Bene e Salomè Bene, Cristina Berio, Daniela Ronconi Demetriou e Anastasia Demetriou.

Come ha aggiunto Pietroiusti, fondamentale insieme alle curatrici, ai collaboratori scientifici e agli autori dei testi dello splendido catalogo, è stato anche il supporto di: Fondazione Musica per Roma, di cui fa parte la curatrice della mostra Anna Cestelli; Siae, che ha patrocinato l’iniziativa; Rai teche, per aver fornito materiale interessante e in molti casi inedito; tutti gli altri prestatori, aditori e autori di fotografie e materiali in mostra; gli archivi che hanno aperto porte all’analisi del materiale, ricerca, prestito, e in particolare la Fondazione Paul Sacher Stiftung di Basilea per il fondo Cathy Berberian, la mediateca della Fondazione Biennale di Venezia e Archivio Carmelo Bene per i materiali spesso inediti sull’artista e la Sovrintendenza di Lecce che lo ha in custodia e ha avuto presenza attiva nel portare, esporre e decidere come presentare i materiali in mostra; l’artista Gianni Emilio Simonetti e Marco Berti, curatore degli eventi speciali che accompagneranno la mostra nei prossimi tre mesi.

La curatrice Francesca Oppedisano, nell’intervento di apertura della presentazione, ha parlato del problema di mostrare l’immateriale, che si evince dal titolo della mostra e viene riscoperto come fatto antropologico e sonorità arcaiche nella territorialità di Carmelo Bene e Demetrio Stratos, i quali furono in grado di recuperare le valenze quasi magiche custodite anticamente nell’oggetto sonoro. Un accenno da parte di Oppedisano è andato poi ai 2 padri nobili della mostra: il primo è Sam20190408_121831uel Beckett, che con la bocca protagonista della sua opera Not I apre simbolicamente il viaggio dello spettatore, costringendolo a un confronto in cui la parola si infrange simbolicamente contro il muro del linguaggio e comincia a significare altro. Il secondo è Antonin Artaud (1896-1948), che segna un punto importante nel percorso di superamento della parola come comunicazione, atto comunicativo e mercificazione del senso. Stratos sentirà l’esigenza di riprendere i versi di Artaud e riportarli nella sua vocalità. A queste due figure si ricollegano i tre protagonisti Bene, Berberian e Stratos, che hanno in comune anche l’uso delle tecnologie, sulla scorta delle avanguardie del Novecento e soprattutto con quello che accade nella nuova musica nel secondo dopoguerra, soprattutto grazie all’attività dello Studio di fonologia della Rai di Milano, voluto da Luciano Berio e Bruno Maderna.

Sull’importanza della presenza del compositore e teorico musicale statunitense John Cage (1912-1992) in Italia si è poi soffermata l’altra curatrice della mostra, Anna Cestelli Guidi. Tra Cage e Stratos nacque infatti un sodalizio, in cui il secondo, parallelamente alle sue autonome sperimentazioni sulla voce e sul “corpo” della voce, non perse mai di vista il primo. La ricerca dello sgretolamento del significato della parola, come spiegato da Cestelli Guidi, è un altro punto fondamentale che grazie alle possibilità aperte dal mezzo elettronico lega Cage e Stratos anche ad Artaud e Cathy Berberian, la quale in modo particolare esplorò nuove vocalità.

Quanto a Demetrio Stratos, tutto o quasi si sa di lui dal punto di vista dell’impegno politico e artistico, ma non altrettanto di quello scientifico. Aspetti su cui nel corso della mattinata ha fatto luce il curatore scientifico della mostra Graziano Tisato, che conobbe e lavorò con il musicista greco. -Dai primi anni ’70 abbiamo fatto queste ricerche per frugare sotto la superficie del linguaggio e trovare quella che secondo Stratos è la realtà oltre la parola- ha dichiarato Tisato, che ha poi aggiunto: –Lui parla di piccole differenze che non si sentono, ma che secondo lui costituiscono la vera essenza energetica della realtà. Noi la riconosciamo come ricercatori.

Il corpo della voce – curatori

Mentre scrivo a poco più di 24 ore dalla tragedia che ha colpito Parigi, con il terribile incendio della cattedrale di Notre-Dame, assume un valore di ancora maggior vicinanza tra l’Italia e Francia la coincidenza non programmata di una mostra gemella a Il corpo della voce, che negli stessi giorni ha aperto al Palais de Tokyo. L’esposizione francese, dal titolo La voix libérée, affronta lo stesso tema di quella romana, utilizzando i materiali sonori di uno dei più interessanti archivi e collezioni che esistono in Italia sulla poesia sonora e sull’arte del suono, che è la Collezione Bonotto. Per questo motivo, al tavolo di presentazione lunedì mattina a Roma era presente anche Patrizio Peterlini, curatore della mostra al Palais de Tokyo. La poesia sonora, al centro della mostra di Parigi, può essere considerata un’espressione artistica interdisciplinare, in cui la vocalità svolge un ruolo preminente anche rispetto alla scrittura e si lega ad altre forme espressive che possono essere visive, gestuali, musicali… Ecco perché, come spiegato da Peterlini, la possibilità di registrazione e sovraincisione della voce ha aperto nuovi spazi di espressione che i poeti hanno indagato a partire dai primi anni ’50, con l’avvento dei primi magnetofoni. Non a caso, anche nella mostra La voix libérée è presente, fra gli altri, Demetrio Stratos, che ha collaborato con poeti italiani come Nanni Balestrini, al quale si deve un lavoro straordinario sulla voce e sulla registrazione, oltre alla pubblicazione vari lavori sulla poesia sonora. Peterlini si è detto particolarmente soddisfatto del gemellaggio fra le due mostre, che assumerà forma concreta oltre che simbolica il 27 aprile, giorno in cui al Palais de Tokyo si svolgeranno delle performances, che saranno trasmesse in diretta anche nell’esposizione Il corpo della voce grazie al ponte radio a cui si unirà Radio Arte Mobile. Ciò sarà possibile soprattutto in virtù del fatto che l’intera mostra La voix libérée è stata concepita come un punto di emissione sonora, senza nulla di tangibile, come documenti o altro. Vi è solo un punto di emissione sonora che viene trasmessa fuori dal Palais con una rete di radio che collega vari Paesi del Sud America e arriva fino al Giappone. Un’eco delle voci che si propagano come onda sonora in tanti luoghi del mondo si udirà così anche a Roma il 27 aprile 2019, dalle 14.30 alle 20.00. Le performances saranno 6 e costituiranno produzioni inedite di altrettanti poeti contemporanei di fama internazionale. Tre storici: Tomomi Adachi, giapponese che vive a Berlino, Giovanni Fontana, una delle voci italiane più importanti della poesia sonora, e Katalin Ladik (Ungheria); tre giovanissimi: Zuzana Husàrovà (Slovacchia), Violaine Lochu (Francia) e Jörg Piringer (Austria).

Prima di avviare la mattinata di presentazione verso la seconda parte, il Presidente Pietroiusti ha ricordato che la filosofia sottesa oggi all’attività delle Istituizioni culturali come il Palazzo delle Esposizioni, il MACRO e il Mattatoio, è quella di –favorore l’emancipazione del visitatore da soggetto passivo di uno spettacolo a soggetto attivo di una comunità che produce senso-, rivestendo una funzione sociale e in qualche modo politica. Riflettere sul senso della vita, del nostro operato e del nostro rapporto con gli altri è infatti una delle missioni principali della cultura. Aspetti su cui ha riflettuto nel suo intervento anche il vice Sindaco Di Roma Luca Bergamo, il quale richiamava l’attenzione sull’oggetto di discussione della conferenza dell’Organizzazione Mondiale dei Comuni e dei Governi Locali sul tema dello sviluppo culturale svoltasi qualche giorno fa a Buenos Aires. Elemento importante emerso dall’incontro in America Latina, ha spiegato il vice Sindaco, è stato il rilevare l’attuale passaggio delle politiche culturali dalla semplice produzione di beni e servizi per il tempo libero al ric20190408_130051onoscimento del diritto dell’uomo di partecipare liberamente alla vita culturale della propria comunità, come sancito dall’art. 27 della Dichiarazione Universale dei diritti umani. Il significato della parola “liberamente”, ha proseguito Bergamo, rimanda alla necessità di -creare circostanze per cui ciascuno sia sottratto dai vincoli fanno derivare quella partecipazione da uno sfruttamento puramente commerciale della vita culturale-. In tal senso il vice Sindaco ha potuto concludere come la politica culturale del Comune di Roma e delle Istituzioni culturali della città si pongano in perfetta sintonia con le attuali tendenze della comunità internazionale.

Proprio con l’obiettivo di coinvolgere attivamente i visitatori rendendoli protagonisti in prima persona, sono state pensate le visite, gli incontri e gli eventi speciali con cui Palazzo delle Esposizioni accompagna le mostre. Si tratta infatti di eventi che si svolgono per lo più nell’auditorium o in sala cinema, sono molto spesso a ingresso gratuito e soprattutto non costituiscono un’offerta collaterale, ma una parte principale della mostra. Il Presidente Pietroiusti, prima di dare la parola al responsabile deli eventi speciali, Marco Berti, ha specificato che le proiezioni cinematografiche che avvengono a Palazzo delle Esposizioni, specie nel caso di film non recentissimi, avviene in pellicola da 35 mm. Il museo romano, dopo il switch off del 2013 in favore del digitale, resta così uno degli unici punti della città in cui è ancora possibile vedere film in pellicola.

Punto di partenza per la progettazione degli eventi speciali per la mostra è stata nella mente di Berti proprio la classica domanda sul rapporto che ognuno di noi ha con la propria voce, magari quando la sente registrata. Tale rapporto è notoriamente negativo o conflittuale per la maggior parte di noi. Dunque si è pensato di inserire in mostra delle esperienze in cui ciascuno possa sperimentare serenamente le potenzialità del proprio strumento vocale, tanto importante nella comunicazione col mondo esterno. Tali esperienze si rivelano in particolar modo utili ad accorciare virtualmente la distanza che, almeno in termini di consapevolezza, separa l’uomo comune dai tre mostri sacri che troneggiano inarrivabili negli ambienti dell’esposizione. Marco Berti ha poi illustrato sinteticamente il ricchissimo programma di incontri ed eventi speciali della mostra. La prima fase di attività mirate a una partecipazione attiva è prevista ogni sabato e domenica sino 16 giugno, dalle ore 11.00-13.00 e dalle 14.40-18.00. A intervalli di 20 minuti il pubblico della mostra può prendere parte, anche solo per gioco, a un’esperienza di riscaldamento vocale in gruppo, intitolata Liberare la voce e condotta dall’insegnante del metodo Linklater, Valentino Villa. Tale metodo di addestramento vocale è celebre in tutto il mondo tra cantanti, attori e in genere coloro che siano interessati a una più efficace e libera comunicazione nel quotidiano.

Il secondo grande progetto all’insegna del coinvolgimento del pubblico ha avuto luogo sabato 13 aprile alle 21, con Edipo re di Sofocle – Esercizio di memoria per quattro voci femminili spettacolo teatrale di Chiara Guidi, produzione Societas. Guidi, cofondatrice della compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio, è una regista, attrice e cantante autorevolissima nel campo della ricerca vocale e ha deciso di regalare a Roma la versione definitiva del suo Edipo re, che porta avanti in ricerca da anni. Per l’evento speciale di Palazzo delle Esposizioni, le quattro attrici in scena sono state affiancate da un “coro” poetico composto da settanta cittadini di Tebe, interpretato da partecipanti a un laboratorio condotto dalla stessa Chiara Guidi in preparazione del debutto romano dello spettacolo.

Terzo momento di centralità assoluta dei visitatori è stato infine quello in cui si è avuta la collaborazione dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, che ha inserito quest’anno nel suo piano di studi una performance ideata e diretta da Monica Demuru appositamente per la mostra: Altre voci dalla città stanca. Chi abbia acquistato il biglietto de Il corpo della voce domenica 14 aprile alle ore 16:00, si è sicuramente imbattuto, camminando negli ambienti monumentali di Palazzo delle Esposizioni, in un gruppo “particolare” di visitatori: allievi attori che con la voce e il movimento interagivano in risonanza tra loro, con il resto del pubblico e con l’ambiente circostante. Il curatore della sezione dedicata agli eventi della mostra ha poi proseguito parlando degli appuntamenti di approfondimento e riflessione sulle ricerche alla base del progetto espositivo. Fino al 5 giugno, sarà possibile partecipare al ciclo di incontri a ingresso libero in sala cinema, dal titolo A voce alta, dove esperti della materia affrontano il tema dal punto di vista scientifico, filosofico, psicologico, antropologico e artistico.

20190408_130606Fino al 17 maggio, alle ore 21:00, è inoltre in corso la rassegna cinematografica Vedere la voce: un ciclo di incontri quasi quotidiani, con ingresso libero fino a esaurimento posti, in cui vengono presentati film celebri che hanno come filo conduttore il tema della voce: voce spezzata, voce malata, voce della follia, del soprannaturale, della tecnologia. Si ritroveranno film quali Il discorso del re, Figli di un dio minore, A star is born e tanti altri.

Infine, ogni domenica fino al 26 maggio sarà in corso un omaggio a Carmelo Bene con i suoi film, che per ragione di lunghezza sono stati inseriti in forma breve. Con questi appuntamenti a ingresso libero il pubblico avrà la possibilità di vederli in forma integrale in sala cinema.

Dopo la densa presentazione che ha visto avvicendarsi numerosi relatori ero pronto a salire la scalinata per immergermi in un universo di suoni osservati al microscopio della scienza e dell’arte. Come anticipato dalle curatrici della mostra, ingresso ideale del viaggio e soglia fisica che dal mondo esterno immette nel corpo della voce è la bocca protagonista del monologo Not I, di Samuel Beckett. Il curatore scientifico Franco Fussi, ci guida all’interno della cavità di risonanza dove essa si configura nella sua carnalità, aprendoci la strada fino alle pliche vocali in cui si produce il suono, al meccanismo della respirazione e al muscolo diaframmatico in movimento. Questa prima sezione della mostra evidenzia già chiaramente il paradosso intrinseco alla duplice natura della vocalità, tra l’etereo e il muscolare. Paradosso che trova nell’opera video di Anna Maria Hefele una esemplare sintesi visiva. Proprio nell’area dell’esposizione maggiormente dedicata agli aspetti 20190408_130712anatomo-fisiologici della voce e dunque più legati al corpo umano, è presente l’area in cui per 10 minuti si può sperimentare il metodo Linklater sotto la guida dell’insegnante Valentino Villa. Non nego che i suoni prodotti dal gruppo di colleghi che in anteprima hanno avuto l’opportunità di cimentarsi con i particolari esercizi di liberazione della voce conferissero un’atmosfera del tutto particolare anche a tutto l’ambiente esterno che ospitava la prima parte dell’esposizione. Proseguendo nelle sale successive ci si imbatte presto nel perturbante artistico sonoro prodotto da artisti come Antonin Artaud, la cui voce nel poema radiofonico Pour en finir avec le jugement de Dieu (1947) ci introduce alla ricerca vocale di Demetrio Stratos.  Negli anni Settanta, il mitico frontman del gruppo progressive rock Area intraprese una ricerca sulle proprie capacità vocali che lo portò all’incontro con il lavoro di John Cage, il compositore che aveva messo in discussione il concetto di musica oltre i limiti della tradizione. Muovendosi con naturalezza fra i vari ambiti della performance, poesia, musica e teatro, Stratos avviò una rigorosa indagine scientifica volta a sondare le proprie potenzialità. Nel 1976 collaborò con il Centro di Studio per le ricerche di fonetica del CNR di Padova e rivolse la sua attenzione allo studio del pensiero psicoanalitico freudiano e alla pratica di tecniche vocali extraeuropee. In mostra ritroviamo la partitura performativa dei Mesostics di John Cage (con le annotazioni di Stratos), una sua lettera dattiloscritta, emblematica della riflessione sulla voce, una serie di foto di Lelli e Masotti sulle bocche di Stratos, sui progetti Mesostics, Metrodora e sulla performance tenuta a Bologna nel 1978 che ci restituiscono il clima in 20190408_132320cui prendeva forma la complessità della ricerca vocale con immagini di grande suggestione. Particolarmente straniante ho trovato l’ascolto di Metrodora (ovvero come gridare e produrre qualsiasi suono con la voce), che è possibile all’interno di un’area chiusa e dotata di cuffie ritagliata all’interno della sala dedicata a Cage e Stratos.  Debutto solistico di quest’ultimo, Metrodora è una diafonia ispirata ai frammenti del codice medico-ginecologico post-ippocratiano della celebre medico-donna attiva a Bisanzio nel Vi secolo dopo Cristo. Se il testo di medicina era dedicato al trattamento di diverse patologie femminili, l’opera di Stratos alterna e sovrappone a ritmi variabili due voci che non veicolano significati verbali, ma esprimono una forza primitiva e infantile. Attraverso il mezzo tecnico fornito dalle tre installazioni interattive realizzate per la mostra da Graziano Tisato, è inoltre possibile approfondire la comprensione degli effetti vocali prodotti da Stratos ed effettuare alcune misurazioni del suono della propria voce, comprendendone sicuramente più di quanto possiamo fare base alla sola esperienza comune.

Demetrio Stratos

Addentrandosi maggiormente nel cuore della mostra, non può che aumentare lo spaesamento prodotto dalle disarmonie dissonanti che ci investono prima delle immagini sugli schermi e sulle pareti. Oltre le tende blu che ci lasciamo alle spalle insieme al mondo di Demetrio Stratos, risuona infatti la voce di Cathy Bernerian nel brano solistico Aria, collage di stili e interpretazioni diverse composto per lei da John Cage. Negli anni Cinquanta, la ricerca di una nuova vocalità fu perseguita anche dalla cantante di origine armena nell’ambito delle sperimentazioni elettroniche, ma non solo. Grazie alla sua capacità di esercitare stili di canto diversi e di mettere in atto una vocalità carica di espressività, l’artista diventò s20190408_135650timolo creativo per molti, da Cage a Luciano Berio, che compose per lei Thema (Omaggio a Joyce), ad altri compositori che scrissero appositamente per la sua voce, come Bruno Maderna, Henri Pousseur e Sylvano Bussotti. Il pezzo principale relativo a Berberian presente in mostra, però, è certamente Stripsody, il brillantissimo saggio sull’onomatopea vocale ispirato ai comic strips che la cantante compose nel 1966. Nata dalla collaborazione con Umberto Eco e il pittore Eugenio Carmi, la composizione per voce sola di Cathy Berberian rivela l’indiscusso talento dell’artista anche come autrice di sé stessa, oltre all’interesse per l’onomatopea che caratterizza la ricerca di una nuova vocalità nei sodalizi con Berio e Cage.

In mostra è pertanto presente il materiale mai pubblicato proveniente dalla Paul Sacher Stiftung di Basilea: documenti inediti tra cui un corpus di foto e lettere, e varie partiture performative di Thema e Stripsody.

Cathy Berberian

L’ultima parte della mostra Il corpo della voce è dedicata al genio teatrale che più di ogni altro nel Novecento svincolò la parola dal cadaverismo di un teatro cosiddetto “di regia”, che si illude, oggi come ieri, di poter “significare”. Mi riferisco ovviamente alla grande quanto poco amabile e discussa personalità di Carmelo Bene, il cui interesse per la voce lo spinse, fin dagli anni Sessanta, a indagare le possibilità espressive dei mezzi di campionatura, amplificazione e restituzione del suono, articolati con maggior rigore a cominciare dagli spettacoli-concerto che, sul principio degli anni Ottanta, sancirono il legame profondo dell’artista leccese con la musica. Non a caso è la stagione del 20190408_140219Manfred, poema drammatico di G.G. Byron musicato da R. Schumann, dello spettacolo-concerto Majakóvskij e dell’Adelchi di Alessandro Manzoni, quella a cui la mostra dà maggior risalto. Gli anni dei grandi avvenimenti scenici in cui Bene sperimentò la potenza della strumentazione elettronica amplificata, tanto più efficace quando trasposta negli spazi chiusi dei teatri classici così trasformati in enormi cavità orali. Fu in questa fase che la voce prese sempre più “corpo” e nella quale Bene si consacrò macchina attoriale, particolare espressione con cui s’intende una graduale scarnificazione della scena, una parola in grado di smarcarsi dal senso e una voce dimentica dell’io che si fa puro ascolto. Troviamo poi esposte immagini e materiali relativi ai Laboratori della Biennale Teatro di Venezia, che Bene diresse a porte chiuse dal 1988 al 1990, lontano “dagli altari della drammaturgia”: in mostra viene proiettato per la prima volta un filmato del Laboratorio che vide protagonisti musicisti jazz di altissimo livello, come il percussionista olandese Han Bennink e la cantante francese Anne-Laure Poulain. Particolarmente emozionante, per quanti di Carmelo Bene hanno amato il raffinatissimo intelletto e i lampi mefistofelici della sua arte, è il poter vedere i copioni, i manoscritti inediti e i documenti che costituiscono parte delle fonti musicali, teoriche, filosofiche, da cui l’attore, regista e scrittore traeva ispirazione.

Carmelo Bene

Dopo la visita della mostra, che ho completato con la dovuta lentezza, per via della grande quantità di materiale tangibile e sonoro, corredato da numerosissime postazioni di ascolto fra le quali smarrirsi piacevolmente, ho potuto acquistare nel bookshop di Palazzo delle Esposizioni il catalogo che ripercorre l’esperienza al museo, arricchendola di numerosi saggi. I testi sono a cura di Guido Barbieri, Adriana Cavarero, Anna Cestelli Guidi, Angela Ida De Benedictis e Nicola Scaldaferri, Franco Fussi, Luca Nobile, Francesca Rachele Oppedisano, Gianni Emilio Simonetti e Graziano G. Tisato.

Info

Hashtag Ufficiali della Mostra: #PalazzodelleEsposizioni        #IlCorpodellaVoce

Titolo: Il corpo della voce. Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos

Sede: Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194 – 00184 Roma

Periodo: dal 9 aprile al 30 giugno 2019

Promossa da: Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e Azienda Speciale Palaexpo

Organizzata da: Azienda Speciale Palaexpo

Con la collaborazione di: Fondazione Musica per Roma

Con la partnership: per i materiali audiovisivi di Rai e Rai Teche; con il supporto di SIAE; si ringrazia Anberries Pastilles, Krumiri Rossi; Moovenda; media partner Dimensione Suono Soft, sponsor tecnici Trenitalia, Coopculture; partner Alitalia,

Orari: Domenica, martedì, mercoledì e giovedì: dalle 10.00 alle 20.00; venerdì e sabato: dalle 10.00 alle 22.30; lunedì chiuso

Biglietti: Intero € 10; ridotto € 8 Informazioni e prenotazioni: Singoli, gruppi e laboratori d’arte tel. 06 39967500;  www.palazzoesposizioni.it

 

 

Stefano Maria Pantano

4 Responses to "Il corpo della voce tra il sensibile e il simbolico in mostra"

  1. Antonio Bramclet
    Antonio   26 Aprile 2019 at 10:08

    Grande articolo. Una mostra sulla voce e sul sonoro è una genialata. Complimenti agli organizzatori. Raramente ci soffermiamo a riflettere sull’importanza della voce a ogni livello. Ho avuto il piacere di vedere (e sentire) parecchie volte Carmelo Bene a teatro e devo dire che ne riporto un ricordo indelebile. Ero giovane e probabilmente fu lui il primo a farmi capire che strumento meraviglioso sono gli organi della fonazione.

    Rispondi
  2. Stefano Maria Pantano
    Stefano Maria Pantano   26 Aprile 2019 at 19:54

    Grazie, sono contento del riscontro generoso sul mio resoconto di una mostra che mi interessa moltissimo su molti fronti. La parte dedicata a Bene è semplicemente l’ultima, ma a mio avviso la più affascinante. Non fu indubbiamente una bella persona e molti lo detestano anche come artista, perché apparentemente esagerato, pomposo e affettato nella dizione quasi manieristica. Carmelo Bene, come recitava un vecchio spot di un noto brand di scarpe sportive, “o si odia o si ama”. Io sono fra i secondi, perché in quella voce dell’estensione impossibile, sotterranea e maledetta, ritrovo tutto il non-senso dell’abbandono, del non-esserci proprio della nostra condizione in cui siamo stati sbattuti pur non avendolo mai chiesto.

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  3. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   30 Aprile 2019 at 10:11

    Bella mostra/evento con annotazioni di ricerca ammirevoli. Un solo dubbio: io l’avrei intitolata “Il corpo nella voce” per far intendere che le pulsioni più private e coinvolgenti innervano il linguaggio non solo artistico ma anche quello che utilizziamo ogni giorno per relazionarci.

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  4. Stefano Maria Pantano
    Stefano   30 Aprile 2019 at 16:11

    E’ un’osservazione più che condivisibile e lo posso argomentare con un esempio pratico. Da appassionato lettore sono affascinato dalle emozioni che la voce è in grado di regalare, soprattutto al cinema e nel mondo della radio, fatto di quella penombra magica che è un po’ come il mondo che prende vita sotto le coperte dei bambini, con le loro immagini simboliche. Per questo da alcuni anni ho iniziato a studiare recitazione e dizione per dedicarmi in modo particolare alla pratica del doppiaggio. La frase che tempo fa mi mise con le spalle al muro veniva da un insegnante mio coetaneo, attore di grande esperienza: “Può esistere un corpo senza voce? Può esistere una voce senza corpo?”. Nel mondo naturale la riposta alla seconda domanda è sempre negativa, per questo tutte le difficoltà che ci sono nel veicolare le giuste emozioni attraverso l’intenzione della battuta non è mai di natura tecnica, ma riguarda la nostra capacità di ascoltare il corpo e le sue relazioni multiple. Se non so stare nel corpo, non lo conosco e non so muoverlo, i suoni che escono dalle mie labbra saranno più o meno gradevoli, ma in essi non ci sarà mai verità. Questo concetto è ben chiaro allo staff tecnico e artistico dietro la mostra. Ecco perché c’è grande attenzione a tutta la parte anatomico-fisiologica e corporea, prima di arrivare agli eccessi della phonè come abbandono e delirio intesa da CB, con la quale peraltro altri grandi attori come Gassman non sono affatto d’accordo. Basti ricordare la tenzone in diretta fra i due nel 1984 all’Università La Sapienza di Roma.

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