Di cosa parliamo quando diciamo Street Style?

La società liquida ha ridimensionato le tribù dello stile generando l’implosione dello Street Style, favorendo la diffusione virale di ciò che viene chiamato Free Style.

Metalogo sull’uso delle parole/narrazione nella moda e delle loro trasformazioni.

Immagine iniziale del servizio apparso su Vogue, marzo 2016
Immagine iniziale del servizio apparso su Vogue, marzo 2016

 Johnny Scorreggia, seduto ad uno dei tavoli del bar che normalmente frequenta, attende con ansia l’arrivo di Minnie. Dopo essersi diplomata in Fashion Design, l’amica di tante conversazioni, da qualche settimana sembrava sparita dal giro. Poi con una breve quanto perentoria telefonata pochi giorni prima era ricomparsa, convocandolo per una bevuta il sabato in arrivo, nel primo pomeriggio. Finalmente, un po’ più trasandata del solito, arriva con il volto tirato in un sorriso sospetto…

 

Johnny Scorreggia: Ehi! Si può sapere perché hai il muso lungo. Problemi con il nuovo lavoro?

Minnie: Problemi dici? Gli stage sono una vera fregatura. Oltre a non essere pagata, sono capitata in un’azienda che non fa nulla per farmi apprendere qualcosa di veramente nuovo.

dialogo

Johnny Scorreggia: Ma dai, lo sapevamo no! Gli stage in Italia sono spesso così…uno sfruttamento legalizzato…Con la scusa che la scuola non ci prepara abbastanza le aziende furbacchione arruolano ogni tre mesi gli stagisti che servono per avere le routine di lavoro più semplici realizzate praticamente gratis.

Cosa ci possiamo fare? Per quel che sento dire questo modo di fare è tipico di tante aziende…

Minnie: Echecazzo! Almeno fammi seguire con attenzione, dico io. Va bene non essere pagate, va bene se conosco poco la vostra azienda…Scusate tanto se vi sono capitata tra i piedi!  Cos’altro posso dire alla mia Kapa quando per mettermi a mio agio mi dice tutte le volte che le girano, che noi stagisti siamo solo un costo? Che non produciamo nulla?… Ma sarà poi vero? Secondo te veramente siamo solo un peso per una azienda?

foto (1)

Johnny Scorreggia: E che ne so! Ma se fossimo veramente solo un costo le aziende prenderebbero stagisti con l’attuale regolarità? Io credo di no! Quindi l’ipotesi di uno sfruttamento legalizzato regge.

Minnie: Ma allora sfruttami bene! Penso io. Così forse imparo qualcosa per il mio futuro. Sai cosa ci ha detto la mia Kapa il primo giorno di lavoro? Eravamo io ed altre tre stagiste… Mettetevi sedute, accendete il computer, non muovetevi, non parlate, non fate domande, se ho bisogno vi dico io cosa fare… Questo ci ha detto. Ti pare normale? Non capisco il perché di queste umiliazioni. Lo sappiamo tutti che il mondo del lavoro è diventato precario per chiunque e non solo per noi stagiste, ma a cosa servono l’arroganza, la maleducazione, l’insensibilità…

Johnny Scorreggia: Non sono sorpreso. Lo scorso dicembre qualche settimana prima delle vacanze di Natale ho provato uno stage anch’io. Me l’aveva procurato mio padre. Sai la vecchia storia di un amico di un amico…insomma quel giro lì. Cazzo! il primo giorno hanno tenuto in piedi me ed un’altro sfigato per due ore perché non arrivava la responsabile dell’ufficio. Poi a metà mattinata vediamo arrivare una tipa vestita tipo Wanda von Masoch, hai presente quella che nei romanzi di Sacher von Masoch frustava tutti, uomini donne bestie e persino gli oggetti che la innervosivano, la quale senza salutare nessuno, parlando soltanto con il suo cagnolino da Hobbit  che si trascinava dietro, attraversa la sala e sparisce nel suo ufficio. Dopo dieci minuti una assistente preoccupatissima e agitatissima viene a dirci che la responsabile vuole vederci… Bussiamo e questa fenomena del management, agitata per via del pestifero cagnolino a suo dire un po’ raffreddato, senza quasi guardarci ci dice: “fatevi dare una scrivania e aspettate che qualcuno vi dica cosa fare e, mi raccomando, non intralciate il lavoro. Bene ora uscite che ho da fare”. Per fortuna la responsabile eventi aveva bisogno di collaboratori ed era una persona a posto. Dopo un paio di giorni mi ha dato da gestire il progetto di uno stand da portare in una fiera. Ho imparato più in quelle poche settimane che in un semestre all’Accademia…

Minnie: Se è per questo, una cosa del genere sta capitando anche a me. Ma non sono sicura che gli esiti saranno come i tuoi. Anzi a pensarci bene, dovrei dire che sinora sono il contrario…

foto (2)

Johnny Scoreggia: Non ho capito, spiegati.. Stai progettando uno stand?

.

Minnie: No, no…Voglio dire che a volte quando parlo con i miei colleghi ho l’impressione che sono io a portare cultura in azienda…

Johnny Scoreggia: Cioè dici che hai l’impressione di saperne più di loro…

Minnie: Sì,più o meno è così! Ora ti racconto. Dopo una settimana di frustrazione assoluta, nella quale mi facevano fare assurdità, vengo convocata a una riunione. La Kapa comincia ad insultare tutto il gruppo dei creativi dell’azienda dicendo che le collezioni mancano di energia, che il mercato è in crisi, che ci vogliono nuove idee. Insomma per farti capire, più che una riunione mi sembrava uno di quei test psichiatrici in cui tutti si patologizzano e tentano di buttare dalla torre qualcuno o qualcosa. A un certo punto, dopo aver portato i responsabili delle collezioni quasi alle lacrime, la Kapa si rivolge a me dicendo: Sentiamo cosa ha da dirci la stagista, eh!…Signorina non vorrà per caso farci perdere tempo. Qui non siamo a scuola, qui si lavora…

 

Johnny Scorreggia: Una vera super stronza!

Minnie: Vero! Ma fammi finire. Nel frattempo in pochi secondi ero passata dalla felicità un po’ crudele del vedere le persone che mi avevano sin lì snobbata nella disperazione, all’angoscia di stare per fare la loro stessa fine… Ho cercato di mantenere una dignitosa calma e poi ho detto: secondo me il minimalismo della collezione è eccessivo. I clienti stanno vivendo da anni nella paura di diventare poveri. Non credo che godano, quando possono finalmente permettersi di comprare abiti, nel vedere collezioni impoverite nei materiali e semplificate nelle linee per risparmiare sui costi di produzione. Io cambierei paradigma e farei abiti un po’ street style, cioè giovanili, reattivi…insomma più aggressivi… Poveri se vogliamo, ma contemporanei…

Johnny Scorreggia: …Grande, hai detto la prima cazzata che ti è passata per la mente…

Minnie: …Sì, è così…

Johnny Scorreggia: Ci sono cascati?

Minnie: Completamente. La Kapa non ha detto nulla per 10 secondi e poi ha cominciato a ripetere la parola street style in continuazione in frasi tipo: le nostre clienti devono sentirsi diverse, più giovanili, senza l’ostentazione minimal chic che da troppo tempo date al prodotto…Street è una buona idea… A un certo punto lo stilista che nel frattempo era passato dalla depressione post bastonatura all’eccitamento epilettico, le ha detto: cara, non devi preoccuparti, possiamo trasformare in un attimo questi prototipi in qualcosa di molto street…per esempio potremmo usare per alcuni capi spalla della pelle nera, possiamo togliere colorazioni troppo vivaci e usare solo i viola e i neri… Ecco vedi, tipo questo; creare un effetto rock…

 foto (3)

Johnny Scorreggia: Te la sei cavata bene, mi pare. Con una parola hai fatto il massimo. Sia la capa che lo stilista che pendono dalle tue labbra. Da non crederci.

Minnie: Aspetta. Non è così semplice. Fammi finire. Allora, eravamo arrivati al rock…La Kapa si rivolge a me e dice: è deciso facciamo sognare le nostre clienti con il rock. Con lo Street Style manderemo a tutte un bel segnale di cambiamento… Cosa ne dici tu?

“Veramente – le rispondo- il rock c’entra poco con lo Street Style. E poi è troppo aggressivo, con il rock non si sogna, al limite si può dire che ci si sveglia e ci si incazza. Vogliamo fare incazzare le clienti?”. La Kapa presa in contropiede si irrigidisce e guarda di traverso lo stilista che aveva tirato fuori il rock il quale imbarazzato comincia a fissare i disegni che aveva sparso sul grande tavolo… Poi la Kapa mi dice: va bene ho capito. Prenditi qualche giorno di riflessione per presentarci le tue idee street. Portaci dei concetti sui quali possiamo discutere e far lavorare l’ufficio stile”…

 

Johnny Scorreggia: Potenza di un parola!

Minnie: Si però ora sono nei guai!

Johnny Scorreggia: Non capisco…

Minnie: Non so un cazzo del significato operativo di Street Style! E poi ripensandoci, il rock può benissimo essere Street…

Johnny Scorreggia: Ovviamente, come altre cento subculture del resto. Perchè allora hai tirato fuori l’argomento?

Minnie: Uffi! Mi ero stancata di essere invisibile e umiliata. Per una settimana nell’ufficio stile ho guardato disegni, schizzi, progetti assurdi. Nessuno si degnava di rivolgermi la parola. Io dovevo disegnare solo bottoni, bottoni grandi, piccoli, tondi, quadrati, triangolari, minimalisti, barocchi, solo bottoni del cazzo. Alla prima occasione mi sono vendicata. Dal momento che alla Kapa non piaceva nulla di quello che avevano fatto quegli stronzi arroganti, ho detto una parola che non c’entrava niente con quello che avevano progettato…

Johnny Scorreggia: Secondo me hai fatto centro. È stata una buona intuizione…

Minnie: In realtà, a essere sinceri, proprio quella mattina a colazione avevo letto su un quotidiano il titolo di un articolo a tutta pagina intitolato proprio “Street Style. L’underground che fa tendenza”. La giornalista recensiva le sfilate di Parigi. Beh! Mi sono detta, se funziona a Parigi, perché non provare…

Johnny Scorreggia: Giusto! Bella mossa, vai a rileggerti l’articolo…

Minnie: Cosa credi che abbia fatto appena uscita dalla riunione? Mi sono attaccata a Internet, ci ho messo un po’, l’ho ritrovato e riletto.

Johnny Scorreggia: Sei a buon punto allora…

Minnie: Veramente dopo averlo letto ho avuto la sensazione di saperne meno di prima. La giornalista parlava della collezione di Balenciaga più o meno in questi termini: Demna Gvasalia, stilista georgiano divenuto art director del brand, ha avuto un grande successo nel suo tentativo di rendere contemporaneo il brand. Come ci è riuscito? Aspetta un attimo… (Minnie apre Note del suo I Pad per leggere la citazione dell’articolo in questione)…Ecco, ascolta, “ha fatto piazza pulita dei vecchi riti della moda. A partire da posto in cui sfilare…Per le modelle ha voluto un casting speciale, fatto nelle strade, su Facebook e Istagram”… Secondo te è tutto chiaro? Posso avere le idee chiare sullo Street Style con queste informazioni? Senti ancora cosa scrive: “Balenciaga nuova versione scatena gli entusiasmi del pubblico, alterna severi tailleur scultorei con maglie di lamè e giacche a vento, portate sempre con le maniche sulle spalle…Giubbini jeans si indossano con camicie e pantaloni con la staffa, gli abiti sono un mix di stampe floreali e le pellicce accollatissime del finale si portano con borsoni che ricordano quelli dei profughi”. Tutto chiaro? Guarda l’immagine che la giornalista ha scelto e leggi la dida: “Giacca a vento in versione couture”…Ma a te sembra una giacca a vento? Non lo definiresti un Trench? E poi l’effetto Street dov’è? Nel modo di indossarlo così slacciato fin sotto le spalle? Anche da Dior alcuni look mostravano in modo innaturale le spalle. Anche questo caso possiamo considerarlo un tocco di Street? Capisci ora le mie perplessità…

Johnny Scorreggia (dopo aver guardato con attenzione il look pubblicato dal giornale): Potrei pensare che in questa immagine l’effetto Street si concentri in quattro punti: la maglia dalla grande V, gli stivali ortopedici fetish, il borsone da viaggio e infine il modo di indossare tutti questi elementi…

Minnie (un po’ innervosita): Secondo te allora dovrei pensare che maglia a V più stivali fetish più borsone più spalle scoperte uguale a Street… Ma fammi il piacere! Lo so che forse sconto il fatto che a scuola mi hanno stressato con Assiro Babilonesi, pepli del cazzo, leggi suntuarie demenziali e di moderno praticamente la prof di Storia della moda ci ha fatto conoscere bene Chanel e Dior; ma un po’ per i fatti nostri e un po’ con altri docenti si è parlato tanto di subculture e anche di Street. Mods,  hippies, Punks eccetera eccetera. Comincio a sospettare che usassimo tutti questi termini dando troppo per scontato il loro significato… Faccio fatica a trovare una coerenza nell’uso ordinario di queste parole che poi dovremmo poter far diventare dei concetti portanti di una collezione…

Johnny Scorreggia: Ma cosa pretendi? Che la moda funzioni come un dizionario? Tra gli abiti che vengono presentati e le parole che li consegnano alle fantasie delle persone c’è un bel salto. Niente rimane come sembra. Niente può essere definito una volta per tutte e per tutti…

Minnie: Perché allora chi scrive di moda usa un tono tale da far apparire scontato e naturale il significato che le parole imprimono sulle cose della moda?

Johnny Scorreggia: È un trucco, un semplice trucco che serve per mettere ordine nel caos della moda contemporanea. Con poche semplici parole una brava giornalista illude una moltitudine di potenziali clienti sulla razionalità di un progetto moda…

Minnie: Non so, a volte penso esattamente il contrario. Penso che la moda oggi abbia scommesso sul disordine. Street Style è una parola introdotta per disordinare la moda…

(Johnny Scorreggia guarda intensamente Minnie, poi rivolge gli occhi al Negroni in attesa sul tavolo. Allunga bruscamente la mano per afferrare il bicchiere, ma dopo averlo sollevato di un niente, lo riposiziona esattamente dove era, volgendosi nuovamente verso l’amica)

 

Minnie: Cos’è quello? Uno sguardo arrapato? Il Negroni ti ha dato dei movimenti?

Johnny Scorreggia: Ti piacerebbe, eh!

Minnie: Dai non rompere. Sono agitata. Non ho voglia di scherzare.

Johnny Scorreggia: In realtà ti ho guardata cinque secondi di troppo perché sono indeciso se quello che hai detto sul disordine è una genialata oppure una stronzata.

Minnie: Finisci il Negroni e dammi una risposta…

Johnny Scorreggia: E se poi mi dà dei movimenti davvero?

Minnie: Vai in bagno e arrangiati come poi…

Johnny Scorreggia: La tua generosità mi commuove

Minnie: Vaffanculo!

Johnny Scorreggia: Ah!Ah!Ah!

Minnie: Allora mi dici perché la giornalista vuole impormi una relazione di equivalenza tra ciò che vedo nell’immagine e il concetto di Street Style?

Johnny Scorreggia: Guarda che non ti impone un cazzo. Semplicemente fa finta che ci sia una relazione naturale tra le due dimensioni…

Minnie: Ma c’è o non c’è una relazione? Come la possiamo definire? Una impostura? La giornalista che, visto l’importanza del quotidiano su cui scrive, indubbiamente fa parte del sistema della moda, si sta comportando lealmente nei confronti di me lettrice? E nei confronti delle subculture?

Johnny Scorreggia: Facciamo un passo indietro. Prova a comprendere che tipo di narrazione hai di fronte. È il racconto di una sfilata. La location è straniante, molte modelle sono ragazze comuni o quasi, sfilano tailleur formali portati con giacche a vento, nelle mani vediamo borsoni da viaggio… A me pare che la giornalista abbia distribuito tutta una serie di indizi che dovrebbero far presupporre al lettore l’idea di uno stile che si ispira alla “strada”. Tieni conto che già il nome dello stilista, per chi conosce la moda, va in quella direzione. Demna Gvasalia non è forse lo stilista che ha creato il brand Vetements? Quindi in sintesi,  è giovane e conosciuto come un creativo un po’ ribelle… Io lo trovo perfetto per risolvere i problemi che aveva Kering con Balenciaga. Sono convinto che anche il soundtrack della sfilata proponeva musiche conformi alla narrazione…

Minnie: La DJ utilizzata da Demna si chiama Clara 3000..

Johnny Scorreggia: Ecco vedi, tutto torna. Clara, bravissima DJ francese, è famosa nella club culture per i sui ritmi tribali che mettono in primo piano il corpo. Probabilmente quando lavora per un soundtrack di una sfilata, per creare atmosfere collegate con una collezione, mixa suoni di tipo diverso cioè non solo musica. Rumori, musichette idiote di B-movie…Ogni suono può essere utile per richiamare alla mente il messaggio che il creativo vuole trasmettere. In una sfilata il concetto è importante. A glorificare il corpo ci pensano le modelle che sfilano. La musica funziona come legame sintattico tra look spesso eterogenei. Comunque la regola generale è che se vuoi dare una forte impronta Street ad una collezione,  allora la musica diventa fondamentale…

Minnie: È ovvio, i vestiti sono importanti ma sappiamo tutti che le subculture non sono immaginabili senza la loro musica…

Johnny Scorreggia: Sono d’accordo. Torniamo all’articolo che hai citato. A questo punto metti insieme tutti gli indizi che la giornalista ha suggerito e vedrai che chiunque sia un minimo interessato alla moda può farsi una idea dello Street Style…

Minnie: Vuoi dire che non c’è con esattezza un singolo particolare che lo caratterizzi?

Johnny Scorreggia: Credo di no. Lo so, tu vorresti che la moda funzionasse come il segno linguistico, ma non è così…Il segno della moda è diverso. La moda ama confondere chi cerca di stabilizzarla in significati rigidi. Il segno di moda è vischioso cioè appiccica strati di senso l’uno all’altro rendendo precario l’orientamento logico del linguaggio naturale basato su un sistema di opposizioni…

Minnie: Non ho capito praticamente un cazzo, ma la vischiosità del segno della moda a pelle mi piace…

Johnny Scorreggia: Per forza non capisci nulla. La formazione di voi stilisti non prevede uno studio serio della moda come fenomeno comunicativo. Su questi temi siete terribilmente naïf. Con il metodo intuitivo o il faidate non si va molto lontano. Tieni conto che lo Street Style è un costrutto simbolico che mette insieme pezzi di linguaggio tratti da modi espressivi eterogenei… L’oggetto moda che definiamo Street in realtà è un crocevia di significati spesso contraddittori…

Minnie: Chi ci garantisce allora che una qualsiasi parola usata dalla moda corrisponda all’oggetto che desideriamo effettivamente conoscere o al limite che dica il vero su quella cosa che ci interessa?

Johnny Scorreggia: Nessuno in particolare. Però mi sono fatto questa idea: i mass moda e i suoi opinion leader  creano le condizioni affinché noi lettori associamo certe immagini o look a determinati giochi linguistici. La ripetizione di certi accostamenti crea l’abitudine di definirli in un certo modo. L’abitudine inoltre genera l’illusione di una relazione stabile tra l’oggetto moda e il significato che, a questo punto, ci sembra essere lì da sempre.

Minnie: Quindi secondo te i significati di una subcultura come lo Street Style dipendono dalle decisioni che prendono nei suoi confronti le riviste di moda?

Johnny Scorreggia: Accidenti, come vai in fretta! Ma sei sicura che lo Street Style sia una subcultura? Esistono le subculture? Non sarebbe meglio definirle semplicemente culture? Perché sub?

Minnie: In un mare di merda commerciale, forse, stare sotto la superficie liquida della società che si detesta non è poi così insensato..

Johnny Scorreggia: Ammetto che visto in questa prospettiva il prefisso latino sub, sotto, sembra convincente. Ma perchè sotto e non sopra? Potrà sembrarti strano ma a un certo punto sono state sempre di più le persone influenti nella moda che hanno cominciato a rapportarsi con le culture alternative con interesse. Da qui a imitarne i look il passo è stato breve. Quindi, per tornare al nostro argomento, io penso che quando i giornalisti di moda parlano di Street Style, implicitamente fanno riferimento a un vasto arcipelago di tribù di stile, spesso in guerra tra loro, nate nel secolo scorso, dopo il secondo conflitto mondiale. Mi vengono in mente i Zazou, i Bikers, i Beats, i Mods, i Rokers, gli Hippies, i Punks… Tieni conto che ce ne sono tante altre. Allora l’idea è questa: tutte queste tribù dello stile sono portatrici di segni distintivi, ti è chiaro questo? Bene, che cosa fanno gli stilisti del sistema moda? È evidente che trafugano alcuni di questi segni per dare alle proprie collezioni un mood un po’ ribelle…

Minnie: Mi hai preso per scema? Queste cose le sanno tutti. La domanda è: tra le subculture che hai ricordato e lo Street Style che relazione c’è? Lo Street Style è una subcultura?

Johnny Scorreggia: Sì e no!

Minnie: Ciaooo, sembri proprio uno dei nostri prof dell’Accademia. Abilissimi nello schivare le domande scomode e nel farti addormentare con i loro programmi-sonnifero…

Johnny Scorreggia: E tu sei una vera grattugiamaroni! E, aggiungo, una ritardata mentale. Lo capisci o no che non esiste una essenza che possa permettermi di darti una definizione di Street Style, per poi confrontarla con altre definizioni del cazzo e così via, fino a farti illudere di sapere di ciò di cui parli per poi cominciare ad agire. Cazzo non funziona così il mondo…

Minnie: Lo so benissimo che non funziona così. E infatti quando ho usato la parola Street Style, tutti facevano finta di aver capito e invece non avevano capito un cazzo, me compresa. Ma non è che se penso di non aver capito un cazzo tutta la faccenda si risolve. Anzi si complica ancor di più. Meglio far finta di aver capito tutto e giocarsela facendo vedere qualche immagine delle quali qualcuno afferma esserci sto cazzo di Street, ed evitare di chiedersi il perché…

Johnny Scorreggia: Brava, così potrai al limite imitare qualcosa e di certo non innovare…Buona fortuna con quella nevrotica della tua capa.

Minnie: Lo so cazzo! È per questo che ti stresso stronzone. Ma tu fai il filosofo del cazzo! Te la tiri, te la tiri, te la tiri con le essenze del signor Aristotele… Ah! Sei sorpreso? Pensavi di essere l’unico ad aver letto libri seri?

Johnny Scorreggia: Adesso mi hai fatto proprio incazzare. Vuoi la guerra? Va bene, vada per la guerra. Allora,  diciamo che tutto parte dalle tribù dello stile. Che cos’è che fa di una tribù una tribù?

Minnie: Non saprei… il tam tam, i bingo bongo che ballano in trace intorno al totem…

Johnny Scorreggia: Come no! Mettiamoci anche un po’ di Peyotl così ballano più felici…

Minnie: Peyotl? Mai sentito!

Johnny Scorreggia: Viene anche chiamato Il cibo degli Dei, un potentissimo allucinogeno…

Minnie: Forse mi interessa…

Johnny Scorreggia: Te lo sconsiglio. Faresti uno Street troppo autentico…

Minnie: Però tutte le tribù dello stile hanno avuto la loro droga preferita.

Johnny Scorreggia: Vero.

Minnie: Deve esserci un rapporto tra il loro look e le loro droghe…

Johnny Scorreggia: Puoi scommetterci!

Minnie: Non ho mai letto nulla di specifico su questo argomento. Perché non lo scriviamo noi un bel libro?

Johnny Scorreggia: Micca facile. Come lo intitoleresti? Dimmi come vesti e ti dirò come ti droghi… E poi sai che trovata! Se il libro avesse successo avremmo l’antidoping davanti alle boutique.

Minnie: Che figata però! Scusi che mestiere fa? Io spaccio abiti tossici, e lei?

Johnny Scorreggia: Io non ci scherzerei troppo! Le subculture hanno tanti nemici dormienti che aspettano solo l’occasione giusta per scatenare polemiche…E poi le tribù dello stile basano la loro coesione su ben altro…La droga è la fine di una tribù e non un inizio…

Minnie: E allora qual’è l’inizio? Cosa fa di un gruppo di giovani una tribù dello stile?

Johnny Scorreggia: Astuta, mi rimandi la frittata. Va bene, beccati questo: nelle tribù dello stile i segni distintivi del look hanno una relazione necessaria con i significati ad essi attribuiti…

Minnie: Tutto qui? Non capisco il tono da guru suonato…Parla chiaro cazzo!

Johnny Scorreggia: Ma cosa cazzo vi insegnano a voi stilisti…

Minnie: A fare abiti, non seghe mentali!

Johnny Scorreggia: Immagina un punk verso la fine dei settanta, quindi immaginalo con i suoi jeans luridi, strappati, la t-shirt con scritto sopra volgarità, catene al collo, capelli lerci e colorati eccetera eccetera. Ora sia i dettagli dell’abbigliamento e sia l’impressione complessiva del look hanno un significato del tipo: me ne sbatto di voi, il buon gusto mi fa vomitare, voglio essere un rifiuto totale. Posso aggiungere che per un Punk gli elementi significanti avevano un valore ben preciso per contornare una identità seppur deviata. Bene, ora con la mente fai un salto fino alla metà degli ottanta, quando grazie a uno straordinario voltafaccia Vivienne Westwood introdusse il punk nella moda couture: improvvisamente i look devianti da fuori di testa divennero il ricettacolo per una migrazione di segni che permise alla couture di rinnovarsi. Ma c’era un prezzo da pagare. Quei segni persero la relazione di necessità con le significazioni che permettevano l’identificazione con la tribù. Quei segni, ora, significavano anche altro. Il look punk non significava più io sono un rifiuto  bensì io sono trendy/  io sono avanguardia/ io sono cool…La relazione tra i tratti significanti e il senso ora aveva i caratteri della contingenza… Ecco il passaggio tra un modo dello stile assunto come una divisa e la sua trasformazione in moda… Lo Street Style è divenuto un termine che contornava questi espropri estetici che gli stilisti più commerciali utilizzavano per dare energia alle proprie collezioni…

Minnie: Autenticità addio!

Johnny Scorreggia: Ovviamente! Ma il discorso non finisce qui. In questo senso. Prova a chiederti che cosa potrà mai succedere tra i giovani ribelli nel preciso momento in cui il sistema moda si dimostra capace di rigenerarsi e addirittura di espandersi proprio con gli strumenti di chi lo negava…

Minnie: Se lo faranno loro lo Street Style, o no!

Johnny Scrorreggia: Brava! Proprio così! Inutile fare una tribù per poi essere sterminati. E poi, contrariamente a quello che pensano in molti, una tribù è come una gabbia dalla quale non si esce facilmente. I codici comportamentali di una tribù sono molto più rigidi di quelli della società ordinaria. Molto meglio la guerriglia individuale che permette di cambiare look quando serve o lo si desidera senza rompere nessun cerchio rituale. Questo fenomeno è stato documentato benissimo da  Scott Shumann, l’hai presente?

Minnie: Come no! È il fotografo americano che da un sacco di tempo fotografa la gente per strada. Grazie a Internet è diventato una leggenda. Forse è stato il primo fashion blogger.

Johnny Scorreggia: Tutto vero. Ma perché ha funzionato? Te lo dico subito: ha funzionato perché i look che documentava per strada erano spesso più interessanti di quelli ufficiali degli stilisti e spesso quantitativamente rilevanti, soprattutto quando davanti al suo obiettivo sono apparsi i Millennials, oggi nel mirino di tutti i guru delle tendenze. Hai presente tutte le lamentele sui consumi trasversali, sull’infedeltà dei clienti ai brand? Tutte stronzate superate. Molti giovani grazie al web si sono trasformati in costruttori di look capaci di esercitare una forma contagiosa di influenza. Questa realtà non si cambia con i piagnistei di chi vive il trasformismo dei clienti come una catastrofe epocale. I Millennials se ne fottono dei codici comportamentali. Aggrappati alla rete fanno velocemente surfing su mondi di stile eterogenei e poi scelgono cosa indossare senza porsi problemi di identità. È chiaro che non si muovono con rispetto e competenza. Mettono insieme i segni della moda secondo un registro privato. Per loro le subculture sono una specie di Bazar dal quale estrarre elementi utili per spiazzare ciò che propone la moda ufficiale. Quasi sempre producono schifezze, ma sono il loro look, sono le loro scelte… Allora, per ritornare al nostro discorso, Street Style oggi significa anche individualizzare i look o almeno creare l’illusione di qualcosa che nasca tra la gente, nello spazio della città, nei luoghi/non-luoghi in cui l’abito si mischia alle emozioni della vita. Ecco perché molti giornalisti hanno cominciato a parlare di Free Style…

Minnie: Ma come si passa dal Street Style al Free Style?

Johnny Scorreggia: Mettiamola giù così: all’inizio lo Street Style funzionava come una specie di ONU, nel quale si raccoglievano e si mischiavano pacificamente le tribù dello stile… Una confederazione di subculture che sperimentavano stili di vita ai bordi del sistema, utilizzati dai brand della moda per creare nuove tendenze. Il Free Style frammenta l’ordine tribale liberando i segni di stile dall’obbligo di significare qualcosa, vincolandoli piuttosto alle emozioni del momento…

Minnie: Eh sì! In una società liquida la gente non si pone più problemi di identità pressoché irrisolvibili, bensì gioca ad identificarsi agli oggetti che hanno la proprietà di eccitarli. Il troppo significato è un ostacolo per sentirsi individui liberi di scegliere… Sì mi hai convinto. E le tribù che fine hanno fatto?

Johnny Scorreggia: Sterminate, disintegrate, fottute da un sistema capace di cambiare velocemente i propri valori perché ha reso il concetto stesso di valore leggero ed evanescente come l’acqua che bolle quando ci facciamo il the. Hai presente tutte quelle bollicine ascensionali che increspano la superficie per perdersi nel nulla…

Minnie: Che tristezza! A me l’idea della tribù di stile piace, la trovo più spontanea, più vera, più socializzante di quella specie di carnevale senza festa del Free Style…

Johnny Scorreggia: Sì a patto di evitare il neo tribalismo nostalgico e le macedonie di stili che di tribale non hanno nulla e sono solo disordine di segni. Molto meglio la guerriglia individuale. Sentirsi delle singolarità non esclude la catena delle identificazioni; bensì le pone in una situazione in progress grazie alla quale vengono preservate le energie eversive, ribelli che delineano quei bordi della moda in cui abbiamo la sensazione di vedere effettivamente abiti che trasformano le persone…In definitiva è poi questo quello che conta.

Minnie: Devo dire che la nostra chiacchierata mi ha molto soddisfatto. Abiti che trasformano le persone. Mi piace. Non so ancora cosa fare, ma mi sento positiva…

Johnny Scorreggia: Allora adesso posso finire il mio Negroni e poi facciamo un giro nella toilette

Minnie: Te lo puoi skordare!

Johnny: Solo cinque minuti…

Minnie: Neanche morta! Stai chiedendo troppo alla nostra chiacchierata.

Johnny Scorreggia: Mi consola almeno averti dimostrato che nella costruzione della moda prima vengono le “chiacchiere” e poi arrivano i vestiti.

Minnie: Ah sì! A me sembra tanto una dimostrazione tipo, viene prima l’uovo o la gallina?

Lamberto Cantoni
Latest posts by Lamberto Cantoni (see all)

77 Responses to "Di cosa parliamo quando diciamo Street Style?"

  1. Robert   22 Marzo 2016 at 11:22

    Non mi è molto chiara a differenza tra Street e Free Style. Probabilmente perché l’autore voleva evitare che i protagonisti ragionassero come degli esperti: in definitiva sono giovani studenti o poco più. Il dialogo a due rende molto piu leggibile il Metalogo rispetto all’altro che avevo letto. Ci sarebbe stato bene l’addenda che stavolta non c’è. Un po’ di bibliografia l’avrei apprezzata.

    Rispondi
    • Luciano   22 Marzo 2016 at 11:41

      A me invece lo Scoreggia è apparso molto lucido e preparato. Credo possa essere vero che i giovani che entrano oggi nel mondo del lavoro ne sappiano molto di più della generazione precedente. Mancano di esperienza, è ovvio, ma sanno benissimo orientarsi tra le cose che la scuola fatica a digerire. Lo stile Street è un esempio. Nei libri di moda scolastici lo si cita in modo generico. Queste contro culture sono invece il sale e pepe della moda di oggi. È anche vero che è una parola della quale il significato sembra scontato e che è facile fare di ogni erba un fascio. Ogni moda ribelle giovanile a suo modo è Street. Ma con questo significato la parola non serve praticamente a niente. Ecco perché Minnie pur usandola con profitto po’ si trova in difficoltà nello svilupparla.

      Rispondi
  2. Franklin   22 Marzo 2016 at 17:05

    Secondo me nella moda non ci sono più i veri ribelli. Anche chi fa Street autentico non vede l’ora di accasarsi in un brand commerciale. Non si verificano prese di posizione radicali come nell’arte. Per esempio Blu, noto Street artist, ha distrutto tutti i suoi graffiti per impedire che fossero associati alla mostra di Street art organizzata a Bologna. Anche altri artisti di strada si sono ribellati alla mercificazione del loro lavoro critico contro l’arte ufficiale. Nella moda invece il ribellismo serve solo a mettersi in mostra per poi fare soldi con le marche che sfruttano l’apparente anti moda di chi scimmiotteggia le subculture del passato. Lo Street style e il free style sono solo un modo per fingere una contestazione fasulla al sistema che interessa il pubblico perché permette di essere un po’ all’avanguardia senza prendersi rischi.

    Rispondi
  3. Luisa   23 Marzo 2016 at 20:15

    Ho letto in fretta l’articolo e mi ha colpito soprattutto l’inizio dedicato alla critica degli stage. Concordo al 100% con quello che dicono i protagonisti. Anche per me lo stage è stato un piccolo trauma. Ammetto che in qualche momento mi sono sentita umiliata senza nessuna ragione. Devo però aggiungere che se tornassi indietro lo rifarei senz’altro. Solo con lo stage ho capito cosa significa veramente lavorare in una azienda con persone che sono in competizione con te. Alla fine ho capito che non erano tanto le umiliazioni a farmi soffrire, ma la paura di essere inadeguata.

    Rispondi
  4. Alessandra P   23 Marzo 2016 at 21:42

    Sarebbe bello pensare che attraverso il Free Style la moda abbia raggiunto il suo obbiettivo: essere svincolata da qualsiasi tipo di categorizzazione, di rimando così Aristotelico che oggi risulta anacronistico rispetto al relativismo moderno. Ma in fondo sappiamo che ciò resta comunque antitetico già per il solo fatto che si senta comunque il bisogno di definire questo fenomeno.

    Rispondi
    • Marina   28 Marzo 2016 at 12:15

      “essere svincolati da qualsiasi categorizzazione”… Bella intuizione. Sono d’accodo con Alessandra. Il senso della moda oggi è tutto in questa frase.

      Rispondi
    • Annalisa   29 Marzo 2016 at 10:42

      È definitivo. Alessandra ha colto l’essenziale. Ora la moda è libera di dire tutto e il contrario di tutto. Può scegliere di essere qualsiasi cosa. Ma mi viene un sospetto: ha ancora senso parlare di moda?

      Rispondi
  5. Antonio Bramclet
    Antonio   24 Marzo 2016 at 09:28

    In effetti il dialogo tra J e M mi ha fatto pensare che usiamo un sacco di parole come lenti per vedere più da vicino la realtà, delle quali sappiamo ben poco. Per esempio Street Style sembra essere un concetto che tutti conoscono benissimo. Ma quando tentano di spiegare cosa significa sono pochi quelli che vanno oltre a un banale riferimento alla spontaneità della strada. La strada è un luogo pubblico e uno spazio importante. Nessuno per strada è spontaneo nel senso banale del termine. In strada ci si esibisce, confronta e riconosce. La strada è un luogo di conflitti, è uno spazio aperto, dinamico, ai confini tra il naturale e l’artificiale. È ovvio che gli stili che maturano avendo la strada come spazio catalizzatore, non possono che essere stranianti rispetto a quelli creati negli atelier.

    Rispondi
  6. Adele94   25 Marzo 2016 at 12:07

    La moda parlata è così importante? Io credo di no. Quindi a cosa serve riflettere sulle parole della moda? A confondersi le idee. Per me contano gli abiti, la creatività, il talento. Il resto viene in secondo piano, quando ci poniamo problemi organizzativi. È sbagliato pensare la moda come se fosse proprietà di manager e uomini d’affari. La moda è di chi la fa. Ecco perché dovremmo ritornare ad apprezzare le piccole aziende, nelle quali conta solo il prodotto. È il gigantismo aziendale che produce l’abbondanza di parole che ci confondono le idee.

    Rispondi
  7. Piero   25 Marzo 2016 at 15:30

    Secondo la mia modesta opinione Adele sbaglia. Oggi tutto ci induce a pensare che siano più importanti le narrazioni del prodotto.

    Rispondi
  8. Lamberto Cantoni
    Lamberto cantoni   26 Marzo 2016 at 10:41

    Per Adele e Piero.
    Adele dice: P>N (dove P sta per “prodotto”, N per “narrazione” e il segno > sta per “maggiore”);
    Piero risponde: N>P.
    Entrambi cosificano la moda. Adele la coagula in un oggetto. Piero in parole che prendono il posto delle cose.
    Esiste una alternativa a questa de-vitalizzazione della moda: la risposta è sì! Basta osservarla in processo.
    Se mettiamo a fuoco pratiche e processi è facile accorgersi che risulta più fecondo interrogare configurazioni dinamiche che sintetizzo in questi termini:
    …PNPNPNPN….dove sono legittime sia sotto sequenze PNP e sia NPN, in funzione del grado di complessità aziendale.
    Per una azienda che considera i gusti della propria clientela come dati, allora P>N;
    Per contro una azienda che ha una clientela eterogenea, non predicibile (pensate per esempio ai brand che devono vendere una collezione in continenti diversi), allora N>P.
    È facile accorgersi che nel secondo caso N svolge il ruolo di sceneggiatura compensativa. Ovvero, le narrazioni hanno il compito di compensare l’assenza di omogeneità delle molteplici forme che configurano una collezione creata per un pubblico eterogeneo.

    Rispondi
    • Elisabetta   26 Marzo 2016 at 20:14

      Sono molto incuriosita, ma non mi è tutto chiarissimo. E poi cosa c’entra p e n con lo Street style? Il dialogo è interessante. Quante parolacce però! Repellente il nome del protagonista.

      Rispondi
      • Marina   27 Marzo 2016 at 04:08

        Non conosco le letture di Elisabetta ma non mi pare che il dialogo sia lontano dalla realtà. Conosco un sacco di amici che quando si sentono liberi conversano senza peli sulla lingua. A me è piaciuto lo sforzo di rendere il parlato vero, non quello che piace agli ipocriti. Mi ha fatto ridere il personaggio di Scorreggia. Uno strano mix tra pensieri originali e franchezza. Con molta ironia anche, il che non guasta. I temi sono molto interessanti. Originali non saprei. Anche a me piacerebbe capire meglio cosa c’entrano i pn nel contesto. Cioè ho capito la risposta ma mi chiedo a quali condizioni viene prima p e poi n e viceversa.

        Rispondi
        • Eli   27 Marzo 2016 at 08:30

          Non mi piace leggere articoli lunghi su internet. Il dialogo o meglio, il metalogo, per rispetto di chi l’ha scritto però è coinvolgente. Un po’ mi sono identificata con Minnie. Non è semplice capire cosa significano le parole retoriche della moda. Questo emerge bene e ci sono anche emozioni.

          Rispondi
  9. Dodo   27 Marzo 2016 at 08:58

    Ei creduloni!! Siete sicuri che lo street style esista? Io vedo vestiti piu brutti che belli e basta. E poi delle gran chiacchiere. Non fatevi prendere per i fondelli dai parolai. Lo street style è una invenzione del giornalismo modaiolo.

    Rispondi
    • Roberto   27 Marzo 2016 at 13:39

      E tu Dodi sei sicuro di esistere?

      Rispondi
      • Dodo   27 Marzo 2016 at 13:44

        Hai ragione forse non esisto nemmeno io

        Rispondi
        • Andrea   27 Marzo 2016 at 15:18

          Io sono sicuro di esistere e non sono ubriaco il giorno di Pasqua come voi, e ritengo esista qualcosa che gente con il cervello ha definito Street Style. Inventata una parola la realtà le arriva subito dietro.

          Rispondi
          • Dodo   27 Marzo 2016 at 17:33

            Andrea non hai capito nulla. Sono sicuro di esistere quando sono ubriaco. Quando sono sobrio come te mi sento prigioniero del linguaggio e delle realtà che mi arrivano nel didietro cioè nel culo.
            Visto che ci sono ti chiedo: quando dici una preghiera vedi forse Dio che diventa una realtà e beve un caffè con te?

          • Roberto   27 Marzo 2016 at 18:33

            Sostenere che la parola Street Style fa esistere lo Street Style è una follia. Non credo che l’autore del Metalogo sia d’accordo anche se spinge molto in direzione di una indagine sul senso delle parole.

  10. Marco   28 Marzo 2016 at 10:45

    Al netto delle parolacce che io diversamente da Elisabetta considero positivamente nel senso che ci stanno, il metalogo ha argomenti attuali.
    Porto un esempio. Come ha fatto Alessandro Michele un perfetto sconosciuto a far ritornare cool Gucci? vi sfido a rispondere senza parole come Street style o Free style.
    Tra l’altro è un anti personaggio che partecipa poco e sembra uno sciamano (a proposito di tribù). Possiamo considerarlo come Domna citato dai personaggi inventati del metalogo. Il vero problema è che quando si parla di moda vorremmo che tutto fosse chiaro con delle immagini e le parole uguali a etichette. Dentro le parole ci vanno in pochi.

    Rispondi
  11. Eleonora P   28 Marzo 2016 at 15:30

    Il termine Street style, inteso come ripresa di elementi estetici caratterizzanti le tribù/sottoculture utilizzati in seguito dagli stilisti per dare energia alle loro collezioni, è da considerarsi un concetto estremamente antiquato. Mi spiego. Antiquato in quanto non esistono sottoculture da anni ormai, e ancora gli stilisti cercano di appigliarsi agli elementi che distinguevano un tempo una tribù da un’altra accozzandoli insieme? La soluzione potrebbe essere nella nascita di nuove sottoculture(?). A quel punto nuovi stilisti prenderebbero gli spunti da queste nuove sottoculture, inglobandole nel mondo mainstream, dando inizio così al moto di un cane che si morde la coda senza fine.

    Rispondi
    • Luigi   29 Marzo 2016 at 10:51

      Eleonora ha ragione e nello stesso tempo ha torto.
      Ha ragione nel definire antiquato lo Street. Ecco perché i giornalisti tentano di imporre una nuova parola (free).
      Ha torto perché non da nessuna importanza alla storia culturale. Lo Street è nei musei. E quindi come banca di simboli esiste e continua a ispirare i creativi.

      Rispondi
  12. Alessandro P   29 Marzo 2016 at 17:27

    Il termine “street style” al giorno di oggi è fin troppo generico. Poteva avere un senso se avessimo preso in considerazione le passate sottoculture che con l’avvento di YSL e Westwood sono state inglobate interamente dal mondo del fashion. Nella società attuale non si può più parlare di “street style” ma di vero e proprio “free style”. Con l’avvento dei social media e lo sbarco di numerosi brand all’interno di essi la moda ha invertito il proprio flusso di diffusione: siamo passati da una moda conservativa (trickle down) ad una moda disordinata, momentanea ed in balia degli eventi (bubble up).
    Lo stile contemporaneo è un po’ come una strada, disordinato e imprevedibile.

    Rispondi
  13. Lamberto Cantoni
    Lamberto cantoni   30 Marzo 2016 at 12:17

    La tua conclusione è magistrale. Forse te la ruberò.

    Rispondi
  14. Claudia Polo
    Claudia I.M.   31 Marzo 2016 at 13:39

    In questo metalogo vengono affrontati degli argomenti più che attuali. Il concetto di post-modernità che oggi ha spazzato via quelle tribù che, in passato, erano coloro che “comandavano” la scena più ribelle, anticonvenzionale quasi ai limiti con l’anti-moda del sistema moda. Il post-moderno quindi possiamo dire che ha spezzato quei legami creati dalle tribù, quelli che legavano indissolubilmente significante e significato vestimentario; in passato coloro che si vestivano in un determinato modo ad esempio con borchie, di nero e che avevano atteggiamenti scontrosi erano ritenuti appartenenti alla cultura punk, ma ciò che faceva da corredo essenziale al tutto era l’ascolto di un particolare tipo di musica, appunto punk; in questo modo si venne a creare una vera e propria tribù, cui ingresso aveva delle rigide regole d’ingresso come ad esempio è successo con la tribù biker. Più o meno lo stesso discorso è possibile farlo con le sub culture metropolitane quando, con l’hip hop in America prima, in Italia poi, vi erano delle nette differenze di abbigliamento ma ascoltavano sostanzialmente lo stesso genere di musica e per questo avevano un paradigma comune. Oggi, come sostiene Minnie è molto difficile identificare in una precisa spiegazione cosa sia lo street style. Sicuramente la moda non può e non deve funzionare come un dizionario, ma deve essere libera di esprimersi. I giornalisti, i comunicatori, i pubblicitari e così via, sono coloro che illudono un’infinità di potenziali clienti con delle semplici frasi, ed è per questo che una brava giornalista può essere capace di spiegare una situazione (in questo caso una sfilata), di analizzarne le cose principali per poi presentarci il tutto in modo razionale e tecnico. Possiamo, grazie alla comunicazione e alle parole creare un’idea, un concetto astratto legato ad essa seppur non vi sia inizialmente una chiara connessione fra le due cose. Ma oggi la moda è un vero e proprio disordine, se nel passato potevamo associare il ciclo della moda ad un fenomeno che faceva scorrere la moda dai livelli alto- borghesi, fino al basso (trickle down) ovvero la massa, oggi è il “basso” ad influenzare le categorie di couturier e art director delle grandi case di moda. Un esempio lampante di questo cambiamento sociale e culturale è il gruppo Zara, la loro logica di investimento e di produzione si basa sull’opinione pubblica; oggi non è più il creativo, lo stilista a dover “dettare moda” bensì siamo noi con le nostre preferenze a fare la moda. Sono per cui d’accordo quando Minnie afferma che in una società liquida la gente non si pone più problemi di identità pressoché irrisolvibili, bensì gioca ad identificarsi agli oggetti che hanno la proprietà di eccitarli. Il troppo significato è un ostacolo per sentirsi individui liberi di scegliere. Lo Street Style, c’è da ammetterlo, è un costrutto simbolico che mette insieme pezzi di linguaggio tratti da modi espressivi eterogenei, quali le sub culture, le tribù e che oggi significa anche individualizzare i look o almeno creare l’illusione di qualcosa che nasca tra la gente, ma a tal proposito sempre più si sta facendo avanti una nuova espressione ovvero il Free style, un modo di concepire la moda senza basarsi su dei concetti veri e propri. Free style sarà indossare la mia Chanel vintage e mettermi una scarpa da ginnastica al piede con su un giubbotto di jeans. Per concludere, credo che questo nuovo modo di concepire la moda parti, inevitabilmente, dato il continuo mescolamento e dissolvimento delle nostre identità in social network quali fb/twitter/instagram, dal basso creando una sorta di movimento bubble up che investirà tutto il modo di percepire la moda.

    Rispondi
  15. Giada Russo
    Giada I.M.   31 Marzo 2016 at 22:38

    Il metalogo evidenzia con precisione uno dei grandi “poteri” della moda, ossia quello di dare nuovi significati alle parole, dimostrando così la capacità di abbattere qualsiasi barriera ideologica. La ricerca di nuove interpretazioni genera non solo confusione, espressa giustamente dal personaggio di Minnie, ma anche a mio parere, la possibilità di spaziare, di andare oltre qualsiasi confine già visto e di conseguenza nutrire la propria creatività.
    Lo Street Style, che è il protagonista di questa discussione, rappresenta uno di quei campi in cui tutto viene miscelato e non risponde a significati rigidi, come sottolinea Johnny, rendendo così complicata la percezione di segni distintivi. A tutto questo si aggiunge la libertà di giornalisti e social media di dare ulteriori interpretazioni, le quali essendo prontamente diffuse creano una sorta di circolo vizioso di immagini, termini e video di riferimento, vincolando il fruitore a riferirsi a loro per rientrare in quello specifico stile. Ritengo la posizione di Johnny molto più solida rispetto a quella di Minnie: l’accettazione di una finta relazione naturale tra ciò che vediamo e come viene chiamato rende più semplice la comprensione di meccanismi come lo Street Style.
    Il Free Style invece, resta uno dei fenomeni legati all’universo della moda che credo possa lasciare maggiore libertà al consumatore di dare un personale significato ai diversi stili proposti, poiché il tribalismo da cui attinge lo Street Style risponde a vincoli troppo stretti, mentre il Free Style si basa sulle emozioni e sensazioni del momento, rendendo semplice la scelta del ruolo di cui “vestirsi”.
    In una società che richiede maggiore attenzione ai dettagli ed alla personalizzazione d’identità, e in cui dominano i Fashion Blogger come punti di riferimento dello stile, i social network come Instagram, che ci propinano tutto già bell’ e pronto, la moda deve necessariamente dare spazio all’immaginazione, al bisogno di indossare abiti “parlanti”, nella speranza che la perdita di dialogo umano possa essere in qualche modo arginata.

    Rispondi
  16. Diana I.M.   31 Marzo 2016 at 23:54

    Se prima si pensava che la moda presupponesse il dominio simbolico di una classe alta e un’imitazione dei segni di prestigio da parte della classe media e bassa (TDT), oggi il pluralismo delle mode ha liquidato il modello verticale di profusione della moda promosso da Siemmel e Veblen. La nostra società è profondamente cambiata poiché emerge l’uomo irrazionale guidato dalle pulsioni profonde e inconsce, che portano alla perdita dei valori comuni e dei comportamenti razionali (società liquida) trasformando tutto in una questione spontaneista. Tutto nacque con lo Street Style, processo nel quale l’alta moda espropriava le tribù di stile dei loro simboli estetici rinnovando la couture (Westwood). Contemporaneamente questo processo di rinnovamento provocò l’eliminazione delle tribù di stile e la conseguente perdita della centralità della couture per quanto riguarda il gusto, che a sua volta determinò la frammentazione della moda e un’accelerazione del ritmo delle tendenze, moltiplicandole. La moda, dunque non è più un sistema stabile ma è diventata instabile, poiché non avrà più un soggetto ben preciso. Il Free Style diviene dunque il riferimento della nostra società liquida sempre pronta al cambiamento e instabile ciò significa che il singolo individuerà i look nello spazio dei luoghi / non luoghi in cui l ‘abito si mischia alle emozioni della vita. I centri di ricerca sulle nuove tendenze sono spiazzati dai movimenti di stile autoespressivi creati dai giovani, passando così dal concetto rigido di collezione a tema, alla collezione aperta a più traiettorie moda simultaneamente presenti (Fast fashion). Lo stilista non potendo creare più le tendenze diviene cacciatore di tendenza.

    Rispondi
  17. Eva Giaquinta
    EVA I.M.   31 Marzo 2016 at 23:57

    La domanda che mi chiedo leggendo questo metalogo è: per quale ragione siamo passati a preferire le grandi maison d’alta moda alla moda della strada? Sappiamo benissimo che ormai nel 21° secolo la moda è dappertutto, in particolare per la nostra mente di consumatore è un’ossessione apparentemente incurabile che muove l’industria mondiale. Anche per questa ragione ci troviamo fortemente sollecitati a tentare di definire che cosa essa sia o anche che cosa effettivamente non sia. Ma la moda è semplicemente un sinonimo di stile? E’ solo una definizione sintetica per tutto ciò che è in relazione con l’apparenza? Per comprendere la natura della moda dei nostri tempi è opportuno concentrarsi quindi sul modo in cui funziona il sistema stesso della moda, quindi su cosa vogliono realmente i consumatori. La nostra epoca, vorrebbe semplicemente trovare la sua chiara realizzazione visuale e semiotica in un sistema di stile personale che rifletta e celebri soprattutto la diversità, l’eterogeneità e la creatività individuale che caratterizzano il nuovo secolo. Con la nascita dello street-style diviene attuabile quello che noi non riuscivamo a fare. Le persone adesso possono liberare la propria fantasia e arrivare in posti che prima erano chiusi da leggi morali. E’ lo street-style che oggi fa tendenza, è la libertà appunto che fa moda e questa libertà come viene espressa? Con abiti succinti, larghi, colorati, monocromati, super accessoriati, così da valutare e cogliere ogni singola personalità e non essere più omologati come una sorta di macchina seriale che ci posiziona tutti allo stesso modo, no! Ogni persona è diversa dall’ altra ed ogni abito deve essere conforme alla tipologia di persona che lo indossa. Durante la settimana della moda a Milano come anche New York, Parigi, le strade si affollano di gente strabiliante, tanti colori e tantissimi stili, look audaci, allegri, ma anche malinconici; per creare un vero street-style bisogna osare e avere sempre in mente la propria personalità, se si vuole essere convincenti. Bisogna ad esempio, arricchire il proprio outfit con gli accessori, avere buon gusto e non abbinare capi e accessori a caso poiché il look deve essere studiato nei minimi dettagli, perché street-style non significa abbinamento sbagliato e di cattivo gusto appunto: convivenza, multiculturalismo, comunicazione ed evoluzione culturale; l’abito con la moda da strada diventa il vero simbolo di comunicazione per impressionare e lasciare un segno. L’ espressione dello stile personale acquisisce un importante valore estetico e stilistico anche quando sono colti spontaneamente nell’ambito della vita cittadina. E gli stilisti? Che ruolo hanno oggi gli stilisti rispetto al passato? Essi adesso devono essere capaci di costruire un linguaggio simbolico eterogeneo tratto da modi espressivi eterogenei, che ripetuti in un determinato periodo di tempo non fanno altro che creare l’abitudine di definirli in un certo modo. E quando parliamo di libertà, possiamo parlare anche di musica; non a caso le prime subculture dei punk, dei rokers, degli hippies erano accompagnate da un genere musicale che le caratterizzava, quindi le emozioni del momento venivano espresse attraverso la musica che ne valorizzava il senso! Oggi la moda è cambiata, le tendenze sfilano per strada, le scenografie non sono più gli sfarzosi palazzi d’epoca, castelli immersi nel verde, ma le vie delle città, i vicoli, i marciapiedi, le boutique. E i modelli chi sono? Ragazzi qualunque e non più modelli altissimi e super magrissimi. Fare tendenza ed essere quindi alla moda, deve necessariamente fare i conti con il tempo che passa e lo street-style incarna proprio questo concetto.

    Rispondi
  18. Rita Ricciardelli
    Rita I.M.   1 Aprile 2016 at 00:37

    Il termine tribù di stile ha il fascino di qualcosa di primitivo, parla di un linguaggio dei segni. Ogni bene ha un valore di scambio simbolico e un valore-segno di differenziazione, di valore sociale, ci dice il filosofo Baudrillard. L’accostamento alla parola stile afferma la relazione tra i segni e il vischioso mondo della moda. Ma ha pagato il prezzo di una rottura rispetto ad una società in cui vigeva il potere di fascinazione dello status elitario sulla classe media. Le tribù diventano di stile quando la moda si appropria dei loro simboli che dal basso ne influenzano i trend. Il simbolo perde il significato del contesto in cui nasce per essere battezzato ad una nuova vita, fatta di glamour e di tendenza. Così é stato, come viene ricordato nel metalogo, al tempo in cui la Westwood rese trendy le stravaganze del punk.
    Ma chi ha il merito della rottura del rapporto tra significante e significato? Sicuramente il creativo, ma anche il comunicatore, dando un senso al pensiero, un contenitore alle emozioni. L’idea di esprimere le emozioni tramite i simboli é senza tempo perché trascende la moda, riguarda l’identificazione, riguarda il messaggio che voglio trasmettere, riguarda diverse forme di comunicazione, non meno importante la musica, come viene evidenziato da Johnny, o la fotografia come ci insegna la Sozzani. La moda non funziona come un dizionario, non definisce, ci ricorda Johnny, ed io mi permetterei di aggiungere che la moda suggerisce, evoca. Ed infatti egli ravvisa l’effetto street in 4 punti, che elenca a Minnie, proprio il termine ‘effetto’ allude ad un gioco di prestigio, ad una sovrapposizione di livelli di comunicazione. Il concetto di street style di Minnie fa acqua da tutte le parti, appare scolastico. Ecco perché il riferimento al brand Vetements sembra più che mai appropriato. Creato da Gvsalia, si erge come baluardo contro il lusso, una fucina creativa da cui escono abiti oversize e capi fatti con materiali riciclati. Cosa c’è di più street?
    Il freestyle é l’espressione di una società dai tratti narcisistici-borderline in cui per esprimere le emozioni tutto é concesso. Il carattere di vischiosità della moda raggiunge qui il suo apice, con l’apertura al wed alle nuove forme di comunicazione dei social e alla nascita dei fashion blogger. Al centro vi é l’idea dell’apparente libertà di essere se stessi senza comprendere chi si é e dove si va. É su questo equivoco che i segni, i simboli, le tendenze acquistano significato non in generale ma rispetto a chi li indossa, allo stile di vita che diventa un’ossessione. Le strategie dei nuovi social tendono a creare un desiderio non solo di emulare ma di far riscoprire la somiglianza con i personaggi dello star system. La libertà di esprimersi diventa esaltazione allo stato puro, tutti vogliono il proprio stile. Ed ecco che Loboutin crea scarpe per tutti i colori di pelle delle donne, ed il gioco é fatto. Dove sono finiti i simboli dello street style? Quelli che la moda ha fatto suoi, e noi possediamo nei nostri guardaroba? Mi viene in mente una frase di un film ” siamo i sottoprodotti di uno stile di vita che ci ossessiona- le cose che possiedi finiscono per possederti”.

    Rispondi
  19. Elena Silei
    Elena I.M.   1 Aprile 2016 at 03:24

    Dal modello trickle down si è passati ad un policentrismo nel quale società si è frammentata in piccoli gruppi che hanno le proprie mode specifiche che si diffondono rapidamente seguendo un movimento laterale e verso l’alto. Le mode e tendenze che sono in grado di dettare gli stili di vita e i comportamenti di consumo emergono dai giovani sin dagli anni ‘50 con James Dean e Elvis Preasly, negli anni ‘60 inglesi con i Beatles e la minigonna di Mary Quant, nei ’70 questa regola si impone al mondo con la cultura pop, negli anni ’80 Bill Cunningham immortala i passanti di New York, nei ’90 arrivano i rapper, ma prima ci sono stati gli hipsters, i rocker, gli hippies, i punk.. ognuno con il suo stile e sopratutto la sua musica che codificava idee ed ideali che conferiscono un’identità di gruppo, si crea una tribù.
    Dal basso queste piccole tribù riesco a prevalere sulle forze che accompagnano la moda standard, il ruolo sociale della moda diventa quello di dare ordine e restringere il campo della scelta, di liberarsi delle tradizione per sperimentare nuove direzione e dare una forma all’immediato futuro; questa visione di Blumer oggi è superata da Bauman con la società liquida e dal post-modernismo, essi mettono in crisi il “dare ordine”, oggi la moda è caos, è una sostanza vischiosa di culture e stili che si fondono e si mescolano, Street Style è questa sostanza vischiosa dove i segni perdono il significato che gli permetteva l’identificazione con la tribù. Quei segni diventano l’oggetto che ha la capacità di eccitare la gente, gli viene tolto il significato e così l’ostacolo che permette di sentirsi liberi di scegliere.
    Questa estrema libertà di scelta fa si che si stia passando dallo Street Style al Free Style che fa prevalere le emozioni del momento, si può dire o essere qualsiasi cosa.

    Rispondi
  20. Sofiadn P   5 Aprile 2016 at 19:34

    Per me Street Style significa portare in strada la propria personalità, il proprio stile, è comunicazione allo stato puro. Gli scatti di Scott Shuman e il suo blog sono proprio una testimonianza di questo. Gira il mondo in cerca di persone da fotografare, persone che trasmettano emozione e sorpresa nel modo che hanno di interpretare la moda e l’eleganza. Un anziano signore nelle vie di Milano, una ragazza modaiola per le vie di Parigi. Street Style è interpretazione personale. Forse perché ha avuto così successo il suo blog? Perché rende protagonista la gente comune, parlando una lingua internazionale, comprensibile a tutti, facendo trapelare proprio ciò che manca alla moda di oggi: la capacità di rispecchiare il mondo reale, quello vero, dove quotidianamente ci muoviamo e dove possiamo trovare un qualcosa di noi stessi.

    Rispondi
  21. Ginevra P   5 Aprile 2016 at 21:37

    Lo street style come sappiamo bene è un riferimento verso l’estetica utilizzata in strada. Io però in questo caso valuterei che ora come ora non c’è esattamente uno style attuale e che quindi puntiamo sempre su elementi triti e ritriti, non c’è più stata probabilmente quella scintilla che ha entusiasmato quando hanno iniziato i primi stilisti durante gli anni 60 con le prime mode giovanili. Ormai non esiste più l’idea di essere differente ma di essere omologati e basta.

    Rispondi
  22. AnnaP   5 Aprile 2016 at 21:58

    Credo che al giorno d’oggi si possa davvero cominciare a parlare di Free Style.
    Lo Street style che conoscevamo prima, cioè quello delle subculture ormai va lentamente scemando. Non esistono più gruppi di persone legate dalla musica, dal lifestyle, dal modo di vestire come nelle epoche passate.
    Ormai lo Street Style è diventato un fatto puramente estetico, rubato dai grandi brand della moda e “è divenuto un termine che contornava questi espropri estetici che gli stilisti più commerciali utilizzavano per dare energia alle proprie collezioni…”.
    Qui la morte delle subculture.
    Ma allo stesso tempo nasce il Free Style, cioè la personalizzazione del proprio stile, magari mixando capi, colori completamente diversi tra loro ma che raggiungono una loro armonia.

    Rispondi
  23. Maria P   5 Aprile 2016 at 23:55

    http://www.lintellettualedissidente.it/societa/il-tempo-e-morto-il-silenzio-e-morto-ed-anche-la-societa-non-si-sente-molto-bene/

    Il focus generale che emerge da ogni metalogo è la confusione che regna sovrana nel mondo moda.
    Etichette date in modo sbagliato. Significanti privi di un significato universale.
    Se si scrive free style su google la definizione è wikipedia è: la moda inventata e indossata da giovani, piuttosto che dai designer di moda, spesso associata a stili popolari di musica e danza o con le sottoculture urbane. Ma se le subculture rivoluzionarie nella società liquida di cui parlava Baumnan non esistono più, cosa intendiamo oggi per street style?
    Onestamente quando penso allo Street Style penso al movimento, alle tute di Gosha, alle felpe di Stüssy, di Carharrt, a quei brands nati per una nicchia di persone che andavano contro il fashion ma che in realtà poi lo sono diventato. Ma perché Scott Schuman o Tommy Ton come Street Style propongono gli outfit di Anna Dello Russo, Kate Lanphear e quindi di personalità lontanissime dai veri esponenti di questa corrente?
    Una giusta definizione oggi non esiste più. Oggi lo Street Style è lo stile che delle persone intorno a noi, di quelle fotografate davanti all’entrata di una sfilata, alla fermata del bus nelle grandi città, ma forse anche in quelle piccole. E’ lo stile in cui possiamo riconoscersi, non trasmette un sogno bensì una possibilità perché puramente reale e vicinissimo a noi.

    Rispondi
  24. Lucia P   5 Aprile 2016 at 23:58

    Il fashion dovrebbe tornare ad essere meno street e più Moda: dalle strade oggi non arrivano forti messaggi. Le strade non sono in tumulto, non si respira il fermento e la rivoluzione che ha ispirato il punk, gli ideali che hanno mosso le grandi subculture, le estetiche di rottura e ribellione.
    Il fashion dovrebbe tornare ad essere meno free e più Couture, muovendo una piccola grande rivoluzione in un mondo troppo free, liquido e caotico. Se la rivoluzione non arriva dalla strada, può arrivare dalla moda: meno street and free, più concetti, narrazioni, arte e un briciolo di aristocrazia, che la moda non può permettersi di perdere.
    Back to Trickle Down

    Rispondi
  25. Zhujun P   6 Aprile 2016 at 00:02

    Lo street style, cos’è lo street style attuale, come lo definiamo? Non mi viene ancora una definizione precisa banche avessi finito di leggere tutto il dialogo tra J e M. Come ha detto Alessandra P (commenti antecedente), forse oggi non esistono più lo street style, quelli look che vediamo e pensiamo forse siano street style invece sono free style, non ci sono più la confine tra loro due. Caratterizziamo i nostri comportamenti e caratterizziamo i nostri look. Ci ridiamo i significati a tutte che cose che facciamo, e le immagine che pubblichiamo su internet, e le immagine ci bombardano tramite i social media. Se street style si parla su di subcultura e tribù, allora secondo me free style si parla della identità personale. Ma mi viene un’altra domanda, oggi, nel mondo che sviluppa cosi celere e ci perdiamo nel mondo di internet, cos’è la identità personale 2.0? Dove ci troviamo noi stessi?

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   6 Aprile 2016 at 08:17

      Bella domanda. Con web possiamo parlare di “nuovi giochi d’identità”. Voglio dire che, grazie a Internet, in un certo senso abbiamo sdrammatizzato la questione del “Chi sono?” attraverso una deriva ludica. Prendi come esempio le mille facce di un/a fashion blogger o i travestimenti linguistici cinguettati e diretti a fruitori quasi sconosciuti…
      Tuttavia l’aspetto ludico potrebbe rivelarsi essere solo la superficie di un fenomeno tutt’altro che gioioso. Potrebbe segnalare una crisi dell’altro (da noi stessi), fondamentale per la strutturazione della dimensione etica (responsabilità, rispetto, reputazione…). I giochi d’identità potrebbero allora segnalarci un debordamento psicotico della soggettivizzazione un tempo classificato come patologico.

      Rispondi
  26. Sofiap P   6 Aprile 2016 at 00:08

    Credo che oggi raggiungere un proprio Free Style sia difficile ancor più che dichiarare di seguire uno Street Style a tutti gli effetti.
    Si può davvero parlare di Free Syle? Stile libero da cosa? Per quanto ci si provi, sarà sempre, consciamente o meno, incatenato, anche alla lontana, a qualche stile, tendenza o cultura precedente.
    Di puro Street Style ne possiamo sentire giusto il termine oggi, dato che le subculture da cui nasce non fanno in tempo ad esplorare le strade che si ritrovano in passerella, completamente o quasi deprivate dei loro codici ed etiche iniziali: nulla è più tabù, nulla è più contro-tendenza.

    Rispondi
  27. Giulia P   6 Aprile 2016 at 00:41

    Se prima le personalità potevano brillare di un certo charme e i look risultavano tanto attraenti ai millenial (e non solo), ora come ora credo che persino il “free style” in termini di “street style” abbia perso la sua autenticità; l’unico misterioso velo di naturalezza che li rendeva così potenti.
    Sì, per strada siamo oramai abituati a vedere un grande mélange di stili, “macedonie di segni”, ma a mio parere ben poco free. Ormai i curiosi soggetti degli “scatti rubati” si rivelano passanti di strada a contratto, influencers (per caso) assaliti dai brand perchè spingano il loro prodotto attraverso messaggi subliminali, se non diretti. Raramente i look e la personalità nei mirini dei grandi fotografi giocano di spontaneità.
    Anzi, se prima lifestyle e look si rincorrevano in armonia, oggi appaiono più come due lego a braccetto.

    Rispondi
  28. Annalisa P   6 Aprile 2016 at 09:11

    Vivendo in un momento storico nel quale questo termine “ Street Style” ha preso il sopravvento, mi sono accorta che Minnie ha completamente ragione a chiedersi quale realmente sia il mood della corrente. Ahimè, però! Johnny con tante belle chiacchiere è riuscito a parlar di esso senza in realtà dire niente di così importante e determinante sulla lettura dello style. Chissà se Minnie, dopo la conversazione tenuta, sia riuscita a buttar giù qualcosa. Magari lì per lì si è sentita più sicura, ma parlando di una cosa che non ha punti di riferimento, i nodi possono tornare al pettine. L’impossibilità di determinare in modo preciso una corrente è un problema strettamente legato all’epoca in cui stiamo vivendo. L’assenza di subculture ha creato un periodo di stallo, nel quale lo Street style può essere inserito senza però essere determinante.

    Rispondi
  29. Sara P   6 Aprile 2016 at 12:05

    Lo street style, quello ”vero”, che nasceva dalle sottoculture è ovvio che oggi non ci sia più. Molte persone si sciacquano la bocca con quesi termini, concetti e tendenze, senza nemmeno sapere di cosa si parli; oggi non esistono sottoculture, o meglio sono assolutamente meno rilevanti di quelle che ci sono state, di conseguenza non possiamo essere così influenzati o asserire che esista un vero e proprio street style.
    Ognuno porta la sua personalità per la strada, ecco il nuovo street style.

    Rispondi
  30. Daria Craparo
    Daria I.M   7 Aprile 2016 at 14:02

    L’introduzione del dialogo tra due ragazzi, con uno scambio di battute sulla posizione degli stagisti, crea il contesto in cui prende vita la questione di un ben preciso interrogativo: definire lo Street style e il Free style.
    Fondamentale é chiarire al lettore che il tono della discussione é basato su una condivisione di idee giovanili piú che una conferenza di guru della moda. Schietto, screziato e spontaneo, ben lontano da un saggio giornalistico o un articolo di moda con la pretesa di spiegare un concetto.
    Non solo, stabilisce che le voci narranti potenzialmente rispecchino una fetta di pubblico.
    Fondamentale per arrivare al nocciolo della questione é focalizzare l’attenzione su un cambio direzionale delle tendenze avvenuto trasteversalmente attraverso le epoche.
    Dai vangeli stilistici dettati dai grandi coutourier, Worth, Chanel passando per Poiret (il noto effetto trickle down o gocciolamento dall’alto al basso) fino a una rivoluzione ‘di strada’ scandita dalle scene creative giovanili di adolescenti al culmine del loro spirito di ribellione e iniziativa.
    Opponendosi agli schemi rigidi e imposti di una societá di cui fanno parte anche e soprattutto i codici vestimentari, lo Street style delle subculture (culture nate appunto sotto la superficie della societá) crea un linguaggio codificato da precisi segni riconoscibili al fine di ‘gridare’ univocamente una negazione.
    Una risposta alla cultura mainstream quindi, se diamo per scontato che la moda ha un potere comunicativo immediato e trascinante.
    Per decenni le subculture hanno dominato le scene modistiche, marcate da un panorama di avvenimenti e cambiamenti storici. Vediamo il punk, forse la piú grande rottura insieme agli hippie ma anche i mod, i biker, gli esistenzialisti, i rockabilly fino a giungere ai piú recenti emo. La lista é lunga. Ognuno aveva qualcosa da dire e voleva farsi sentire attraverso la voce energica della massa.
    Sdoganando dei dogmi hanno reso la societá meno rigida fino ad arrivare a quella che oggi definiamo societá liquida.
    Ove lo Street style lancia un messaggio chiaro definito da un gruppo portavoce, il Free style é probabilmente la forma piú moderna di ribellione: una mescolanza di elementi, di svincoli stilistici al fine del raggiungimento di uno stile unico, diverso da quello di un altro.
    La parola chiave risulta individualismo e ricerca di una libertá a cui non importa di farsi esponente di un’idea di massa ma ricerca della propria personalitá.
    Per dirla con le parole di Matteo Guarnaccia, artista e storico del costume: ‘ c’ era chi voleva cambiare il mondo e chi solo il proprio guardaroba’.

    Rispondi
  31. Arianna P.   18 Aprile 2016 at 22:04

    Una moda fuori dalle passerelle che ci slega da qualsiasi tendenza: ma è davvero questo lo street style adesso?
    Il termine è stato un po’ rigirato e usato anche spropositamente.
    Il vero spirito dello street style non ha regole, dress code, “do” o “don’t”, segue la logica fatta di emozioni e modi di essere, e il risultato è sicuramente unico.
    Il vero street style è imprevidibile e continua ad evolversi e cambiare nel momento stesso in cui viene portato in passerella e diventa un trend.

    Rispondi
  32. Mattia P   26 Aprile 2016 at 22:19

    A mio avviso la direzione che dovrebbe prendere il fashion system oggi è quella di tornare alle origini, all’artigianalità, riconoscere il giusto valore alle abilità manuali degli artigiani che hanno contribuito a creare quella stupenda favola che è la storia della moda.
    La moda ha il compito di documentare lo spirito del tempo, ma al giorno d’oggi continuare a scomodare elementi di subculture di un tempo ormai passato – che in una società come quella odierna sono privi dei significati e dei valori che possedevano un tempo – sembra essere diventato l’unico modo per rafforzare collezioni che senza essi sarebbero scialbe e prive di contenuto poiché dalla strada al giorno d’oggi non arriva più nulla, nessuno stimolo per i designer che sono così costretti a ripescare dal passato, e il che è un segnale non trascurabile circa la società in cui viviamo: la moda attuale è caotica e confusionaria, segni della moda gestiti e mischiati secondo un proprio gusto personale dalle nuove generazioni. È una stratificazione di stili e simboli appartenenti a epoche diverse, ma anche di significati diversi. Il chiodo indossato da un punk negli anni settanta aveva un significato e un valore diverso rispetto al chiodo venduto oggigiorno in una qualsiasi boutique, per via del contesto socioculturale in cui era inserito.

    Rispondi
  33. GiuliaP   26 Aprile 2016 at 23:22

    Lo Street Style oggi è cambiato, esiste ancora o è già una tendenza consumata? Il nuovo Street/Free Style è la propria personalità, il proprio modo di vestire, di abbinare, di voler apparire o non apparire.
    Le immagini scattate da Scott Schuman per il suo The Sartorialist cercano di catturare l’essenza della personalità delle persone e non lo ‘Street Style’ dei brand che oggi non si dovrebbe più trovare usato e riusato sulle passerelle. Gli stilisti dovrebbe riportare la nave verso la Couture e non preoccuparsi di fare lo Street Style, quello ci pensano le persone/personalità a farlo.

    Rispondi
  34. Sabrina Turturici   22 Maggio 2016 at 18:38

    Se bene è certo che lo Street Style e una moda che viene dalla strada e che fa impazzire sopratutto ai giovani, in primo termine perché non è legato al mondo della moda e in secondo termine perché permette che certi capi, anche se particolari, possono essere indossati per fare una semplice passeggiata, e pure certo che ormai, forse, questo stile è molto legato ai grandi stilisti e guru della moda per cui, secondo me, ha perso uno dei suoi principali significati. Ora, lo street style sembra più un gioco fatto dagli stilisti per fare avvicinare i ragazzi e farli “giocare” facendole abbinare i vestiti secondo la sua personalità, piuttosto che una cosa più naturale della strada.
    Ma cosi dicendo, ovviamente, lo street style ha perso anche la sua accessibilità, facendola diventare più che Street Fashion, Steet “Luxury”, e facendole perdere cosi quello che la rendeva speciale, cioè poterla indossare un po’ tutti e non farla diventare un’esclusività.

    Rispondi
  35. Alice P   23 Maggio 2016 at 10:37

    Ha ancora senso parlare di street style? Se pochi decenni fa la moda sfilava in passerella e la strada la faceva sua imitandola e adattandola alle proprie esigenze e in seguito secondo un’inversione di tendenza le sottoculture dettavano le regole dello stile e i designer ne traevano ispirazione per le proprie collezioni, oggi chiunque crea i propri outfit e li condivide sui social network creando così un panorama di stili eterogeneo e confusionario. La moda è oggi più che mai personalizzazione. Lo street style non esiste più, in quanto mancano gli elementi distintivi e caratterizzanti di esso.

    Rispondi
  36. Irene P.   21 Ottobre 2017 at 17:40

    Street Style: stile della strada. Se è possibile fare una traduzione letterale dell’espressione, è ben difficile darne una definizione valida per tutti e universalmente condivisa.
    In questo senso concordo con le affermazioni di Johnny Scorreggia che “niente può essere definito una volta per tutte e per tutti”, “non esiste un’essenza che possa permetterti di darti una definizione di Street Style, per poi confrontarla con altre definizioni.” Se infatti Street Style faceva riferimento alle subculture che si diffusero nel secondo dopoguerra, in quelle “tribù” (Beats, Mods, Rockers, Hippies, Punks…) portatrici di un proprio mondo di valori, considerati disvalori dalla società nei confronti della quale essi mostravano il loro atteggiamento di rottura e ribellione, oggi non è più possibile pensare a tale espressione secondo i riferimenti di quegli anni. Per esempio, in un articolo di Giulia Pacella (Elle, 12/10/2017), si parla delle 34 idee moda più nuove dallo Street Style per indossare sneakers, felpe e tute da ginnastica secondo la tendenza del momento, in relazione all’abbigliamento sportivo, diventato il “nuovo classico”, un “cult” per la donna contemporanea, dinamica e veloce.
    Questo non vuol dire che i riferimenti a quelle subculture siano scomparsi del tutto, infatti, come afferma Samira Larouci nel suo articolo “Avere 40 anni” (Vogue Italia AGOSTO 2017 N.804 pag.156), “è impossibile oggi guardare alla moda senza vedere l’impronta lasciata dal punk. Rei Kawakubo lo cita da tempo come una delle sue principali fonti di ispirazione per Comme des Garons”.
    Tuttavia, in una società liquida, disordinata, senza valori di riferimento, in cui “l’originalità in senso lato non esiste perché non è più nelle cose, ma nel modo in cui le si mette insieme” (“Tutto e Niente è Originale”, di Angelo Flaccavento, Vogue Italia LUGLIO 2017 N.803 pag. 66), ci troviamo di fronte alla costruzione di uno stile che è più adeguato definire Free Style che Street Style. Ognuno si sente libero, cioè, di prendere spunto e mischiare vari stili, non per farsi portatore di un significato, ma per rispondere ad uno stato d’animo momentaneo. Ma allora la nostra identità dove va a finire? Se non esprimiamo ciò che siamo con un nostro stile definito, ma ci “mascheriamo, camuffiamo” con una sorta di abbigliamento “copia e incolla”, allora è l’abito che indossa noi? Oppure, come afferma in chiusura del suo articolo (art. cit. pag.67) Angelo Flaccavento, “assemblare è un modo di essere e di esserci?”

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   21 Ottobre 2017 at 18:44

      Mi è piaciuto il tuo intervento. Interessanti le citazioni.

      Rispondi
  37. Karina P.   24 Ottobre 2017 at 10:53

    Ho trovato il metalogo molto convincente. Mi trovo d’accordo con Johnny Scorreggia, in quanto reputo che lo Street Style come veniva definito prima, cioè quello proprio delle subculture si va attenuando, perché non ci sono più quei gruppi di persone accomunati da un forte senso di appartenenza a un determinato gruppo, caratterizzato da tratti comuni, come per esempio l’abbigliamento. Oggi lo Street Style è presente nelle grandi maison di moda, come è affermato da Robin Givhan, giornalista statunitense, nell’articolo “Lo street style non esiste più” (The Washington Post, 2016): “Quello che una volta era considerato street style – un abbigliamento atletico, economico, assemblato a casaccio e multiculturale – oggi si ritrova nelle collezioni della storica casa di moda Christian Dior o di Maison Margiela”.
    Infatti oggi il significato attribuito allo Street Style è differente, si può descrivere come un modo di fare moda, per questo motivo sarebbe più corretto parlare di Free Style, dato dalla volontà delle persone a rendere il proprio stile diverso dagli altri, a personalizzarlo, permettendo alla persona di sentirsi a proprio agio ed essere quello che vuole, in certi casi di lasciare libero spazio alle proprie emozioni. Proprio come suggerisce Bella Freud nell’intervista rilasciata “La moda è molto di più che semplici vestiti” (Vogue Italia, 25 agosto 2017) “you wear your heart on your sleeve” , “La moda è molto di più che semplici abiti. La tua vita interiore è la cosa più importante, è come la mostri agli altri, quello che fai vedere alle persone”. Ed è proprio così, oggigiorno le persone scelgono di indossare determinati abiti, perché questi rispecchiano la loro interiorità.
    Però per essere al passo con questo stile bisogna essere diversi, agire fuori dalle regole, proprio come già all’epoca suggeriva Coco Chanel, “Per essere insostituibili, bisogna essere sempre diversi”.

    Rispondi
  38. Lucrezia P   24 Ottobre 2017 at 11:27

    I metaloghi mi appassionano e divertono sempre più, poiché lasciano a me l’interpretazione più pura dei concetti citati. Nella liquidità delle definizioni di Street Style ho individuato uno slittamento di icone: dai vestiti “tribali” emergenti da vere e proprie subculture nel mondo dell’alta moda, oggi street style può anche essere riscontrato nei look casual che i social media ci propongono costantemente, look dati da individualità differenti che però si rifanno a un concetto di estetica prevalentemente unico. Street Style oggi può essere uno skinny jeans e una décolleté, una giacca militare e una borsa di lusso, ma può essere anche una delle tante proposte che Giuliano Calza ci propone dal 2015. Il designer, fondatore di GCDS (God Can’t Destroy the Streetwear), mette in scena una visione soggettiva di questo modo di essere, più che di vestire, fondato sull’insistenza sul logo, sulle linee sportive e sui colori forti. Mi è venuto in mente questo brand per il nome che ha e per la lettura dell’intervista che Calza ha rilasciato a Vogue nel luglio 2017: Made in Italy, sporty e catchy, sono i valori del marchio, che si è saputo ritagliare uno spazio nel mondo del luxury streetwear.

    Rispondi
  39. Melissa P.   24 Ottobre 2017 at 11:43

    Terminata la lettura dell’articolo, mi son sorpresa a riflettere sulla veridicità da noi attribuita ad alcuni vocaboli. Mi è parso incredibile constatare come il più delle volte attribuiamo alle parole un potere, senza interrogarci sulla loro reale accezione.
    È per tale motivo che ponendomi la domanda: “cos’è lo Street Style?”, a cui erroneamente credevo di aver già dato risposta, non ho saputo replicare.
    Street Style è ciò che la strada impone o ciò che la strada recepisce?
    Come spiega il celebre fotografo Guy Marineau (Dazed, 29/03/2017), fu solo a partire dai fiorenti seventies che la strada divenne fonte di ispirazione per stilisti e fotografi, e questo, i suoi lavori, ce lo mostrano in maniera dirompente.
    “Street style oggi significa […] creare l’illusione di qualcosa che nasca tra la gente” esordisce durante il dialogo Johnny Scoreggia, possiamo in qualche modo dargli torto?
    In una società come la nostra, dove ogni processo si capovolge ed inverte a velocità inaudite, risulta difficile e pressapoco inutile distinguere da che parte stia la verità.
    Può l’alta moda stessa divenire street? Se prendiamo ad esempio la collezione SS 2014 di Miuccia Prada, come scrive Anna Winston (Dezeen 02/05/2014), avremo l’impressione che essa venga presentata al pubblico tra le mura di una moderna città, mura che adornate da variopinti murales, simbolo per eccellenza dell’arte di strada, sottolineano il messaggio della stilista “I wanted to give encouragement, to be out there”. Può il messaggio risultare più chiaro di così?
    Quando parliamo di Street Style dunque, parliamo di imporsi o di imposizione?
    “A me sembra tanto una dimostrazione tipo, viene prima l’uovo o la gallina?”

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   24 Ottobre 2017 at 13:29

      Melissa, ottima la citazione del fotografo ma la questione delle mode di strada è più contorta.
      Ti faccio un solo esempio. Quando nel 1957 Yves Saint Laurent subentrò a C.Dior, le sue collezioni suscitarono sconcerto tra molte clienti storiche della maison. Lo accusavano di aver imbricato nei suoi abiti troppe citazioni di mode di strada. Quindi possiamo retrodatare il potenziale radioattivo di look spontanei nati dal basso, almeno agli anni cinquanta del novecento. È chiaro che in quei giorni la metafora della strada rappresentava il rovescio della moda. Le élite della creatività la snobbavano. Ma nel breve battito di pochi anni si comprese che Yves aveva ragione: dalla minigonna in poi, per quanto riguarda la creatività, l’opposizione alto/basso perderà progressivamente senso.

      Rispondi
  40. Almida P   24 Ottobre 2017 at 13:54

    Street-style significa prendere ciò che il fashion proprone e reinventarlo a proprio gusto. Non ci sono regole. . Lo stile urbano segue una logica tutta sua, fatta di emozioni, stili, culture, modi di essere, in un mix di tutto ciò che è moda, chic o trash che sia. Insomma una moda fuori dalle passerelle in cui le tendenze vengono stravolte con fantasia, questa moda è giovane e fresca. La dimensione quotidiana funge da presupposto catartico che svincola e libera le persone da qualsiasi tendenza. In strada la moda è un vero remix di idee e colori in cui gli stilisti di grande fama non dettano le regole..

    Rispondi
  41. Karim.P   24 Ottobre 2017 at 18:33

    Il concetto di street style si può riportare nella collezione di Alexander Wang del 2006. Il designer urbano ha definito i suoi jeans neri e le magliette slouchy come il tipo di abbigliamento che una modella di successo potrebbe indossare nella vita quotidiana.
    Forse la forza trainante della popolarità dello street style è l’accessibilità di tutto questo. Piuttosto che fotografare una modella sfilando in un runaway, i soggetti in street style spesso mescolano abiti di alta moda con altri vestiti provenienti da brand di fascia inferiore. Gli uomini e le donne presenti in questi fashion blog non sono la perfezione del modello da sfilata, ma persone reali che offrono soluzioni di stile accessibili a tutti. Una mamma può trovare ispirazione da un modello couture a Parigi, mentre un urban teen può prendere ispirazione da uno style che ha visto su Instagram.
    Diversi brand hanno cominciato a sponsorizzare i loro abiti anche attraverso fashion blogger abbastanza conosciuti sui social network.
    Dopotutto, la gente sta prestando più attenzione a ciò che gli spettatori indossano alla sfilata di moda invece che agli abiti presentati negli spettacoli stessi, è chiaro che qualcosa deve cambiare. Prendendo spunto dall’alta moda e dallo street style, gli stilisti hanno imparato a incorporare gli stili urbani e le soluzioni real-life nelle collezioni fantasiose e di alta moda.

    Rispondi
  42. ChiaraM P   24 Ottobre 2017 at 19:59

    Il termine street style riconduce ovviamente allo “stile di strada”, ma diciamo che negli anni ne è stata modifcata la definizione. Come citato nel metalogo, inizialmente con questo termine ci si rifaceva a delle subculture ben identificate, che erano icone di ribellione e di provocazione. Oggi non è più così. Con questo, concordo con Jonny Scorreggia nel dire che non possiamo più dare un’inquadratura precisa dello street style, perché quelle tribù che prima lo rappresentavano sono state sostituite da un’immagine sfuocata e non chiara, costituita da un mix imprevedibile di capi, modi di indossare, colori e materiali. Ancora più in generale, possiamo parlare di free style, il quale esprime al meglio il concetto che la moda non è solo qualcosa da indossare ma è uno strumento per esternare liberamente la propria personalità. Questa moda “reale” o detta anche moda di tutti, è talmente influente da dettare i vari trend e spostare l’attenzione dalla passerella alla strada, oppure portare direttamente la strada sulla passerella. In particolare mi ha colpito uno storico elemento di street style: il bomber. Negli ultimi anni è stato destrutturato e rivisitato da molti designer, come nella collezione Haute Couture FW 2017/2018 di Viktor & Rolf in cui il giubbotto di nylon assume forme scultoree e romantiche con volant e rouches; oppure Vetements che lo ha reso oversize e capo chiave delle sue collezioni.

    Rispondi
  43. Antonio P   24 Ottobre 2017 at 20:40

    Il metalogo proposto dall’autore consente di poter riflettere su come in realtà termini che sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana nascondino significati di cui spesso ignoriamo l’importanza. Quante volte abbiamo sentito o abbiamo noi stessi pronunciato ‘’ street style’’ attribuendo al termine un significato superficiale , e non rendendoci conto che in realtà che nella società in cui viviamo lo street style può arrivare a costare ingenti somme di denaro . ‘’ La moda è prima di tutto l’arte del cambiamento ‘’ ha sostenuto John Galliano , ed è proprio del cambiamento che spesso ci si dimentica , continuando ad attribuire alle parole un significato statico e stabile nel tempo.

    Rispondi
  44. Ginevra P   24 Ottobre 2017 at 21:46

    Il “padre” dello Street Style è Bill Cunningham,  il quale con una bicicletta ed una macchina fotografica gira per le strade di Manhattan, scattando ciò che oggi viene definito come   “Street Style”; le sue foto ritraggono persone per strada , senza essere parte di un servizio fotografico, ma semplicemente perché hanno un particolare che lo attraggano.
    Le prime foto di Bill Cunningham furono pubblicate sul The New York Times  ”57th and Fifth: A Holiday Magnet for the World”, il 30 Dicembre 1978 .
    (Giada Graziano, “Glam Observer”)
    Un aspetto che mi ha colpito molto dello street style è la spontaneità.
    Le persone erano già -street- senza saperlo, questo, secondo me, ha l’obbiettivo di evidenziare la semplicità e la naturalezza dei look altrui, cogliendone gli aspetti più soggettivi e intimi.
    Cogliere i particolari della -quotidianità- è la cosa più difficile che ci sia, dato che, vivendo in un mondo sommerso da un continuo -lancio- d’informazioni è complicato concentrarsi sul singolo emarginando l’insieme.
    La giornalista Marina Battaglia in un articolo su “Vogue” riporta un pensiero di un intellettuale statunitense: “Visto che non esistono più gli aristocratici per promuovere gusti e mode, chi decide cos’è che deve piacerci?” (Susan Sontag 1964).
    Questa domanda mi ha fatto riflettere molto, soprattutto perché con lo “street style” si risponde al dubbio di Susan Sontag, ovvero che, attraverso questo stile, le persone hanno modo di esprimere in piena libertà e piacimento i propri gusti.
    Penso sia molto difficile dare una definizione di “street style” poiché come dice -Minnie- nel metalogo, è un vero e proprio caos.
    Personalmente trovo affascinante vedere come uno stile sia nato dalla semplicità di un particolare e ammirare come ancora oggi, stia completamente “affondando” le sue radici nelle fashion week e nei fashion shows più famosi del mondo.
    Un altro aspetto che mi ha colpita dello “street style” è l’accessibilità che permette indistintamente a tutti; spesso la moda tende ad essere un pò classista; gli audience a cui si rivolge rispecchiano la disponibilità economica che ognuno di loro ha.
    Con lo “street style” si ha la possibilità di essere “street” come meglio crediamo, senza dover per forza rispecchiare un determinato -target- di abbigliamento o di proiettarsi in un’ idea già standardizzata. Grazie allo “Street” siamo indistintamente e allo stesso tempo distintamente parte di un fenomeno sociale del fashion.

    Rispondi
  45. Elisabetta Boldrini P   24 Ottobre 2017 at 22:59

    Il concetto di street style si usa per indicare la moda di strada,quotidiana, una moda fuori dalle passerelle che ci libera da qualsiasi tendenza.Non esistano,infatti, modelle che indossano creazioni ma esistono solamente ragazzi o ragazze “normali” che mischiano tendenze e a volte inseriscano nuovi look originali che li rappresentano. A mio avviso il vero street style è imprevidibile e continua ad evolversi e cambiare nel momento stesso in cui viene portato in passerella e diventa un trend.
    Bisogna ammettere che lo Street style che conoscevamo prima, cioè quello delle subculture ormai va lentamente scemando. Non esistono più gruppi di persone legate dalla musica, dal lifestyle, dal modo di vestire come nelle epoche passate. Oggi non sappiano bene definire questo concetto, ecco perché mi trovo in accordo con Johnny Scoreggia quando sostiene che “non esiste una essenza che possa permettere di dare una definizione di Street Style”.
    Un esempio possono essere le magliette di DHL di Vetements, le quali sono state una mossa intelligente. E’ diventato in breve tempo una vera e propria “dichiarazione di stile” e rappresenta più che altro la normalità di tutti i giorni.Una semplice maglietta t-shirt gialla DHL indossata dai corrieri, è diventata un’apprezzatissima creazione haute couture per la primavera 2016,diventato uno stile di moda ricercato.

    Rispondi
  46. Letizia P   24 Ottobre 2017 at 22:59

    Ammetto di aver usato molto volte il termine “street style” in modo del tutto inconsapevole. Cercando la definizione di “street style” ho trovato ” stile di abbigliamento informale, talvolta eccentrico e provocatorio, adottato specialmente da giovani e giovanissimi, diversamente caratterizzato a seconda del gruppo di appartenenza”. Questa definizione è giusta se relativa al passato, quando le subculture o tribù ( come afferma Johnny Scorreggia) erano distinte dallo stesso codice di abbigliamento, stessi codici di valori, spesso stessa appartenenza sociale e voglia di esprimere il proprio pensiero. Il chiodo di pelle era il simbolo del rock, il parka era il simbolo dei militari americani durante la seconda guerra mondiale, le converse erano scarpe usate dai giocatori di basket, i jeans erano pantaloni da lavoro e i primi ad utilizzarli furono i cercatori d’oro. Tutte queste citazoni sono esempi di “street style” perchè da codici delle “tribù” sono diventati capi dei più grandi designer, protagonisti delle passerelle ma non solo, sono diventati dei veri e propri evergreen. Ma oggi quando usiamo il termine “street style” a cosa alludiamo? Sicuramente non ad uno stile adottato dalle subculture, le quali non esitono più o almeno non sono così forti e visibili come in passato, sia per una grossa mancanza di valori della società liquida, sia perchè il mondo è completamente omologato. Un bellissimo esempio è la sfilata fall winter 20017/2018 di Vetements dove gli abiti sono indossati da uomini e donne comuni, e la location è la scala mobile e i corridoi delle gallerie del Centre George Pompidou. Questo spiega cosa è lo “street style” oggi, trarre l’ispirazione dalla strada, dalla gente comune che diventa la protagonista delle sfilate. Per questo oggi la strada è come una passerella.
    Come afferma il fotografo Vincenzo Grillo “Chi fa streetstyle lavora sulla strada e ha quindi la fortuna, ma anche la difficoltà, di poter avere contemporaneamente mille stimoli diversi”. La bravura sta nel catturare gli stimoli giusti per farli diventare un nuovo modo di vestire.

    Rispondi
  47. Margherita P.   24 Ottobre 2017 at 23:39

    Lo street style è uno stile inclusivo che nasce dalla strada e si identifica per la sua mescolanza di generi e trend che si realizza in modo del tutto personale e originale con il fine di rappresentare l’identità di coloro che ne sposano l’ideale. Questo è uno dei motivi per cui adoro lo street style. La cosa che mi ha affascinato è la sua origine, lo stretto legame che esso ha avuto con la nascita dei movimenti culturali giovanili punk, hippy e Metal degli anni ’70-’80. Tenuti hai margini della società del loro tempo, i giovani di quelle generazioni hanno creato un loro modo di vestire del tutto originale che è stato fonte di ispirazione e parte integrante dello stile “street” attuale.
    Lo street style si ispira alla gente comune, quella di tutti i giorni che vediamo per strada, piuttosto che a elaborate creazioni realizzate per un ristretto pubblico. L’intuizione di alcuni stilisti, ne ha fatto una fonte d’ispirazione per le proprie collezioni diventando un vero “must” anche per i grandi brand. Un esempio, si ritrova in un articolo pubblicato sul sito “the walkman” il quale illustra le collezioni di sciarpe che Louis Vuitton ha realizzato in collaborazione con famosi street Directors come Lady Aiko, Os Gemeos e Andrè Saraiva. Questo approccio dei grandi brand nei riguardi dello street style si è dimostrato una mossa strategica e di marketing azzeccata, infatti, ha avvicinato la moda a un pubblico più vasto ed eterogeneo. Nessuno si stanca mai di rappresentare se stesso e forse questa la grande forza dello street style.

    Rispondi
  48. BelindaP   24 Ottobre 2017 at 23:52

    Con il termine Street Style andiamo a definire uno stile particolare di abbigliamento che precedentemente era adottato da subculture di giovani che li caratterizzava a seconda del gruppo di appartenenza. Ultimamente lo street style e’ presente anche nelle più grandi case di moda. Infatti di recente molte riflessioni sono dedicate proprio a questo fenomeno.
    Possiamo dire che l’ispirazione stessa deriva dalla strada ,ma oggi non è più così perché anche Jonny Scoreggia dice che ad oggi non possiamo fare una definizione precisa dello street style ,perché non esistono più quei gruppi che in un certo senso lo rappresentavano. Infatti sarebbe più opportuno parlare di free style ovvero che ognuno e’ libero di mixare vari stili per esprimere la propria personalità.
    Questo tipo di abbigliamento economico e atletico oggi lo ritroviamo nelle collezioni di molti stilisti come per esempio: Vêtements che ha dato inizio a un epoca di forme sgraziate e oversize ,contribuendo a trasformare dei capi banali in un oggetto ambito dalla moda ,ad esempio la maglia con il logo DHL.

    Rispondi
  49. Chiara R   25 Ottobre 2017 at 00:14

    A mio parere non esiste una definizione adatta per “Street Style” ogni persona puo dare un significato diverso a questo termine, essendo gia in se qualcosa di molto soggettivo.
    Sono molto d’accordo su quanto afferma Jhonny Scorreggia quando lo paragona alle subculture tuttora inesistenti.
    Oggi lo street style si puo trovare ovunque anche nelle più grandi maison di moda dove si apprezza questo tipo di vestiario che è un misto tra semplicità e stravaganza.
    Ho apprezzato molto il paragone che Minny ha fatto tra street style e disordine, sono pienamente d’accordo, non c’e un ordine e tantomento una definizione adatta essendo in se priva di coerenza.

    Rispondi
  50. Elisabetta Boldrini P   25 Ottobre 2017 at 11:00

    Il concetto di street style si usa per indicare la moda di strada,quotidiana, una moda fuori dalle passerelle che ci libera da qualsiasi tendenza.Non esistano,infatti, modelle che indossano creazioni ma esistono solamente ragazzi o ragazze “normali” che mischiano tendenze e a volte inseriscano nuovi look originali che li rappresentano. A mio avviso il vero street style è imprevidibile e continua ad evolversi e cambiare nel momento stesso in cui viene portato in passerella e diventa un trend.
    Bisogna ammettere che lo Street style che conoscevamo prima, cioè quello delle subculture ormai va lentamente scemando. Non esistono più gruppi di persone legate dalla musica, dal lifestyle, dal modo di vestire come nelle epoche passate. Oggi non sappiano bene definire questo concetto, ecco perché mi trovo in accordo con Johnny Scoreggia quando sostiene che “non esiste una essenza che possa permettere di dare una definizione di Street Style”.
    Un esempio possono essere le magliette di DHL di Vetements, le quali sono state una mossa intelligente. E’ diventato in breve tempo una vera e propria “dichiarazione di stile” e rappresenta più che altro la normalità di tutti i giorni.Una semplice maglietta t-shirt gialla DHL indossata dai corrieri, è diventata un’apprezzatissima creazione haute couture per la primavera 2016,diventato uno stile di moda ricercato.

    Rispondi
  51. belinda p   25 Ottobre 2017 at 11:00

    Con il termine Street Style andiamo a definire uno stile particolare di abbigliamento che precedentemente era adottato da subculture di giovani che li caratterizzava a seconda del gruppo di appartenenza. Ultimamente lo street style e’ presente anche nelle più grandi case di moda. Infatti di recente molte riflessioni sono dedicate proprio a questo fenomeno.
    Possiamo dire che l’ispirazione stessa deriva dalla strada ,ma oggi non è più così perché anche Jonny Scoreggia dice che ad oggi non possiamo fare una definizione precisa dello street style ,perché non esistono più quei gruppi che in un certo senso lo rappresentavano. Infatti sarebbe più opportuno parlare di free style ovvero che ognuno e’ libero di mixare vari stili per esprimere la propria personalità.
    Questo tipo di abbigliamento economico e atletico oggi lo ritroviamo nelle collezioni di molti stilisti come per esempio: Vêtements che ha dato inizio a un epoca di forme sgraziate e oversize ,contribuendo a trasformare dei capi banali in un oggetto ambito dalla moda ,ad esempio la maglia con il logo DHL.

    Rispondi
  52. Letizia P   25 Ottobre 2017 at 13:58

    Ammetto di aver usato spesso il termine “street style” ma in modo del tutto inconsapevole. Cercando la definizione, ho trovato “Stile di abbigliamento informale, talvolta eccentrico e provocatorio, adottato specialmente da giovani e da giovanissimi, diversamente caratterizzato a seconda del gruppo di appartenenza”. Questa definizione è corretta se relativa al passato, quando le subculture o le tribù ( come afferma Johnny Scorreggia) erano distinte da codici di abbigliamento, valori comuni, spesso appartenevano alla stessa classe sociale e con un pensiero da esprimere. Il chiodo di pelle era il simbolo dei punk, il parka era quello dei mods, le converse erano utilizzate dai giocatori di basket, i jeans erano abbigliamento da lavoro e i primi ad utilizzarlo furono i cercatori di oro. Tutti esempi di “street style” che non solo sono stati utilizzati dai più grandi designer, diventando i protagonisti delle passerelle ma sono diventati dei veri e propri evergreen. Oggi quando usiamo il termine ” street style ” a cosa alludiamo? Sicuramente non alle subculture, le quali non esistono più o almeno non sono più così forti e visibili, perché viviamo in una società liquida dove i valori si sono persi e dove il mondo è completamente omologato. Un bellissimo esempio di “street style” è la sfilata di Vetements fall winter 2017/2018 dove i modelli sono uomini e donne comuni che sfilano per la scala mobile e i corridoi della galleria del Centre George Pompidou. Questo è lo “street style” quando l’ispirazione viene dalla strada e la gente comune diventa protagonista, per questo la strada è come se fosse una passerella. Come dice il fotografo Vincenzo Grillo “Chi fa streetstyle lavora sulla strada e ha quindi la fortuna, ma anche la difficoltà, di poter avere contemporaneamente mille stimoli diversi”. La vera bravura oggi è catturare gli stimoli giusti e farli diventare se possibile degli evergreen.

    Rispondi
  53. VittoriaP   25 Ottobre 2017 at 18:04

    Mediante questo metalogo, traspare quanto talvolta sia difficile esprimere un concetto astratto come quello ad esempio di Street stile, con le sole parole.
    Volevo però dare io un accezione a questo termine. Secondo me lo street stile è qualcosa di informale, esuberante e provocatorio che può comprendere qualsiasi fascia di età!

    Rispondi
  54. Sara P   26 Ottobre 2017 at 12:09

    La forma del metalogo mi sta sempre di più catturano e convincendo, poiché esprime in modo chiaro le opinioni dei personaggi e invita i lettori ad una maggiore e più attenta riflessione. In questo caso il metalogo fa riflettere su quanto spesso usiamo parole in modo inappropriato, senza conoscerne veramente il loro significato. Questo tipo di comportamento è evidente con l’uso del termine “street style”. Dopo la lettura mi sono chiesta se davvero esiste una definizione esatta di “street style”, rispondendomi, come Jonny Scorreggia, che non è possibile trovarne una corretta che metta fine alla questione. Ho però riscontrato un’ interpretazione interessante nelle parole di Giulia Pacella, (elle 12/10/2017) la quale afferma: “Lo street style parla chiaro. Ed è da lì che arrivano le idee moda più belle e originali per reinventare l’abbigliamento sportivo Anni 80, le felpone Champion, le tute adidas e i capi cult della Nike in un modo tutto nuovo di vestire che sdogana l’eleganza della scarpa da ginnastica e la versatilità dei piumini logati in chiave perfect coat da usare anche sugli abiti da sera.” Infatti, se prima street style era associato alle subculture, alle loro tribù e ai loro valori, oggi questo stile arriva ovunque. Negli ultimi anni siamo ci stiamo infatti abituando a vere “street style” anche sulle passerelle delle più grandi maison. Queste si ispirano, anzi ripropongono i codici dello sportwear (vedi Valentino, Gucci e Dior), i designer si divertono rielaborare le più classiche scarpe da ginnastica (vedi Virgil Abloh che con Off White ridisegna per Nike le trainers più iconiche degli Anni 90 o Riccardo Tisci con le sue collab molto edgy sempre con NikeLab) e gli stilisti portano in passerella collab con gli storici marchi di abbigliamento sportivo (vedi l’accoppiata Gosha Rubchinskiy x Adidas, Fila x Gosha Rubchinskiy o il suo predecessore Demna Gvasalia con Champion-Vetements).

    Rispondi
  55. Sofia P.   31 Ottobre 2017 at 10:38

    Trovo il metalogo una chiave molto chiara e convincente per esprimere un concetto poco definibile a parole, poiché riesce in qualche modo a tracciare i confini di tale definizione, rendendo bene l’idea agli occhi del lettore.

    Concordo con Johnny Scoreggia, il quale afferma l’esistenza di una terminologia specifica nel mondo della moda con il fine di “mettere ordine nel caos della moda contemporanea”.
    Non vengono quindi utilizzati termini precisi; li definirei più “concetti”.

    Un articolo che mi ha aiutato a comprendere la natura del termine Street-Style è “Street style e moda” di Marina Battaglia (www.vogue.it/news/encyclo/moda/s/street-style-e-moda).
    “[…] le grandi mode e le tendenze capaci di dettare stili di vita e comportamenti di consumo, nascono tra i giovani, sono essi stessi a crearle, adottarle, convalidandole nel tempo. E’ la regola della cultura suburbana che decontestualizzata dal suo habitat naturale. La strada trova nuovo contesto e successo nel sistema moda.[…]”

    Concludo con una citazione di Coco Chanel: “una moda che non raggiunge le strade non è moda”.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   31 Ottobre 2017 at 15:27

      Attenta alla logica Sofia. Un concetto è uno strumento cognitivo più accurato e preciso rispetto al contenuto di una parola ordinaria.
      La citazione di Chanel rischia di apparire fuorviante: Coco ci sta dicendo che un couturier ha compiuto il suo dovere quando le sue creazioni si vedono circolare per le strade. Quindi indica un percorso ideale che va dalla maison (alto) ai luoghi dove la gente passeggia (basso). Ora, la traiettoria dello Street è il contrario: una creatività che nasce spontanea dalla strada (metafora di un esuberante vitalismo di soggetti che non appartengono alla moda ufficiale) e che diviene un elemento d’ispirazione per gli stilisti.

      Rispondi
  56. Beatrice P   1 Novembre 2017 at 17:10

    Ho trovato il dialogo molto interessante con parecchi spunti, quasi da aprirci un dibattito simile a quello di Minnie e Johnny Scorreggia e con molti riscontri sulla realtà di oggi.
    Viviamo in questa età dove il termite “Street Style” ha preso sempre più campo.
    “La moda passa, lo stile resta”: così sentenziava Coco Chanel , icona della moda femminile del Novecento. La moda non è soltanto qualcosa da indossare. È un mezzo per esprimere la propria personalità.
    Quindi con Street Style possiamo intendere dal giubbotto di pelle nero, a una borsa di grande lusso, a un pantalone strappato o portato con il cavallo basso.
    Ognuno è libero di esprimere per un concetto così ampio come può essere lo Street Style, l’abito che secondo lui/lei esprime più quello stile.

    Rispondi
  57. Ilaria P   2 Novembre 2017 at 12:01

    Credo che non ci sia una vera definizione di street style , ma comunque attraverso questo metalogo intuisco che sia un modo di sentirsi liberi e fuori degli schemi .
    Come riporta Johnny Scoreggia : “Street Style oggi significa anche individualizzare i look o almeno creare l’illusione di qualcosa che nasca tra la gente, nello spazio della città, nei luoghi/non-luoghi in cui l’abito si mischia alle emozioni della vita” .
    Ad oggi viene attribuito un significato diverso a questa parola , un tempo street style era considerato uno stile particolare adottato da giovani di diversa appartenenza , questo significato è andato per disperdersi , perché non esistono più quelle tribù che sperimentavano stili di vita in modo molto naturale e istintivo , utilizzati poi dai brand della moda per creare nuove tendenze e forse è anche da questo che i giornalisti hanno cominciato a parlare di Free style , perché ogni individuo è libero di scegliere cosa indossare senza porsi nessun tipo di problema , mettendo insieme segni della moda senza nessuna competenza , o magari essere condizionati semplicemente dalle emozioni del momento.

    Rispondi
  58. Elisabetta P   2 Novembre 2017 at 16:15

    Sono la prima molto spesso a usare parole come “Street Style” per indicare degli stili che non lo sono; penso che però soprattutto negli ultimi anni sia molto difficile attribuire un nome preciso ad un determinato stile considerato che anche i più importanti brand dedicano delle collezioni a quella che è la “moda di strada”. Penso quindi che proprio a seguito di questi stili che si fondono tra loro le persone possano usare “Street Style” attribuendola a diversi concetti a seconda di un giudizio personale.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   2 Novembre 2017 at 18:11

      Io differenzierei l’uso che si fa dell’effetto Street Style dal tentativo di capire la deriva dei significati che lo hanno imposto all’attenzione della moda alta.
      Nessuno impedisce la libertà delle ibridazioni. Ma tuttavia esistono anche le interpretazioni aberranti, fasulle, improvvisate, fatte nel nome di pseudo mode di strada completamente sballate. Avere una cognizione articolata dei tratti distintivi che configurano l’effetto Street ci dà maggiori chance di evitare la solitudine del solipsismo soggettivistico, pemettendoci di agganciare gli eventuali oggetti-moda a correnti di senso condivise che oggi immaginiamo fornire freschezza, energia, forza ai look.

      Rispondi
  59. Greta P   2 Novembre 2017 at 22:53

    I metaloghi da lei scritti mi affascinano e divertono sempre più, non solo per il ruolo che interpretano i suoi personaggi ma perché essi mi permettono di capire in maniera più semplice ciò che lei vuole esprimere.
    Riguardo questo argomento, io mi sono sempre chiesta che cosa sia lo Street Style,so come è nato ma credo che nel corso degli anni ci si sia dimenticati del perché è del come sia nato. Oggigiorno credo che lo Street Style si possa riscontare nei look casual che i social media ci propongono tramite attori, modelle o figure che noi seguiamo come esempio di moda; le quali siamo abituati a vederle sempre con vestiti perfetti, per questo consideriamo i loro look casual come un look che si avvicina allo Street Style e cerchiamo di imitarli perché per noi è più semplice cercare di vestirci con dei capi alla portata di tutti rispetto i loro abiti costosi.
    Credo che tutto questo sia possibile grazie ai fotografi di Street Style che sono coloro che ormai creano i trend, le fashion icon e sono importanti quasi come le sfilate stesse, perchè spesso la vera sfilata avviene fuori dagli show; il noto fotografo Bill Cunningham del New York Times ama dire che “I migliori fashion show sono per strada, è sempre stato così e sempre sarà” ed io sono pienamente d’accordo con lui.

    Rispondi
  60. Sara P.   18 Febbraio 2018 at 22:26

    Lo Street style nasce spontaneamente dalla strada e di lì è diventato fonte d’ispirazione per gli stilisti. Ognuno lo ha interpretato e rappresentato in modo differente. Forse ne è stato dato un significato sopravalutato o sottovaluto, non ne abbiamo la certezza ma, del resto, il dubbio non è piacevole.

    Rispondi

Leave a Reply

Your email address will not be published.