Fashion Blogger: il non-sapere delle giovani generazioni sta cambiando il modo di comunicare la moda

Fashion Blogger: il non-sapere delle giovani generazioni sta cambiando il modo di comunicare la moda

Come il non-sapere delle giovani generazioni sta cambiando il modo di comunicare la moda

Mario Testino è una delle star della fotografia di moda più ambite nel parterre delle sfilate. Per un image makers del suo calibro è normale essere invitato con tutti gli onori dagli stilisti con i quali collabora. Ma nel corso della sfilata di D&G nell’autunno 2010 qualcosa non funzionò nell’arte del sitting, normalmente interpretato con rigore nazista dalle pierre del brand. Almeno così sembrava la pensasse un Mario Testino molto nervoso, mentre chiedeva a gran voce che gli fosse cambiato il posto. “Cos’era successo?” Si chiedevano le esterrefatte signorinevestitedinero. Niente di particolarmente grave… Il fotografo si era indignato quando scoprì che gli era stato assegnato il posto di fianco a Tommy Ton, un fashion blogger evidentemente entrato nel mirino dei due stilisti, ma per niente apprezzato dal famoso fotografo.

Tavi Gevinston in prima fila alla sfilata Dior. Immagine Grazia

Qualche settimana dopo, Paula Reed, giornalista di moda per Elle, a Parigi fece di peggio; uscì arrabbiatissima dalla sfilata di Dior quando scoprì che gli era stata assegnata la seconda fila dietro a Tavi Gevinston, la più nota fashion blogger in circolazione in quei giorni.

Episodi simili si ripeterono a Milano e in altre capitali della moda. Nel frattempo la stampa di settore si scatenò per denunciare l’irriverente invasione di giovani improvvisatisi trendsetter. Senza alcuna cultura certificata, sprovvisti delle competenze necessarie per comunicare la moda secondo i canoni ritenuti standard dalla maggioranza degli intermediari, raccogliendo nei propri portali improvvisati un pubblico crescente di giovanissimi interlocutori, bloggers di tutto il mondo stavano attirando l’attenzione su di sé da parte del gotha degli stilisti e delle marche.

Finché il loro esibizionismo modaiolo rimase confinato nei labirintici mondi del web, la loro esistenza sembrava poter essere ristretta in una nicchia semiologica fortemente ancorata al momento particolare attraversato dallo sviluppo della rete e pochi si preoccuparono della loro presenza. Apparteneva alla logica della situazione congetturare che verso la fine della prima decade del terzo millennio fosse giunta a maturazione la prima generazione completamente alfabetizzata dal web. Era chiaro a tutti che l’apparizione di tecnologie grazie alle quali comunicare, interagire navigando in rete e registrare elementi del realtà facendoli circolare in tempi brevissimi, il tutto contenuto in un dispositivo grande quanto un cellulare o poco più, avrebbe cambiato le regole del gioco. Ma nessuno pensava alla strabiliante velocità dei mutamenti in atto. Nessuno poteva immaginare che in un paio d’anni la pseudo autorevolezza dei mass moda, padroni della comunicazione seduttiva necessaria alla modazione per far nascere desideri là dove forse avrebbero impiegato un po’ più di tempo per raggiungere le intensità necessaria per l’acting out del consumo, avrebbero dovuto negoziare la propria legittimità con le tribù dei blogger.

Capisco dunque lo sconcerto e l’inquietudine dei protagonisti della fashion communication posti di fronte alla scioccante presenza dei blogger nel luogo rituale nel quale si celebra la magnificazione del nuovo e del futuro dei nostri guardaroba.

Tavi Gevinson

1. Cosa poteva pensare il privilegiato image makers o giornalista il cui posto nel front row della sfilata era stato attribuito a Tavi Geviston, di anni 12 o giù di lì, i cui outfit esibiti nel sito thestylerookie.com sembravano patetiche fantasie di una bambina che al posto delle bambole usava se stessa per sperimentare una identità ai bordi della psicosi?

Non ci vuole molta fantasia per immaginare i pensieri nati a partire dell’irritazione causata da quell’irriverente presenza: ma come, io ho impiegato una vita per conquistare la prima fila e mi trovo in compagnia di una idiot savant adolescente per la quale i responsabili della marca manifestano una inspiegabile reverenza! Cosa conoscerà dei processi della moda? Che contenuto critico potrà mai suggerire? Al massimo i blogger potranno avere un ascendente con i loro coetanei. Ma veramente marche dagli abiti costosissimi pensano di aumentare le proprie quote di mercato grazie ai blogger?

Sembravano questioni sensate, ma viste da vicino rivelarono la loro ambiguità. Non è colpa dei blogger se il discorso critico è pressoché scomparso dagli scenari moda. Quante giornaliste di moda possono permettersi di presentare collezioni, abiti, stili secondo i criteri della critica? Gli uffici stampa e le pierre delle grandi marche vigilano sul contenuto degli articoli dei giornalisti nel loro mirino. Le libere interpretazioni dal contenuto negativo vengono immediatamente sanzionate. Non credo di esagerare se spesso la leva degli investimenti pubblicitari, fondamentali per quasi tutte le testate di moda, viene abilmente manovrata per addomesticare gli spiriti più indipendenti.

D’altra parte perché una marca dovrebbe fare pubblicità su una testata che ne critica i prodotti?
C’è chi sostiene che in realtà, raramente si arriva sino a questo punto, dal momento che i giornalisti hanno un interesse personale a mantenere buoni rapporti con il maggior numero di marche possibile: solo così possono avere l’opportunità di essere invitati nei momenti che contano e quant’altro.

Comunque la vogliamo vedere è un fatto che, salvo poche eccezioni, la critica della moda è pressoché scomparsa dai mass moda. Anche superpotenze editoriali come Condè Nast raramente danno spazio ad una vera critica. Troppi interessi in gioco, troppo grande la parte del budget implicata dalle negoziazioni pubblicitarie. Per contro stilisti e marche, nel tempo hanno affinato pratiche di auto legittimazione talmente efficaci da oscurare il bisogno di uno spazio critico indipendente dal quale far discendere una assiologia più ponderata rispetto alle fascinazioni del momento.

Se il mio ragionamento è corretto, allora ne discende un sostanziale e storico ridimensionamento della figura del giornalista di moda tradizionale, soprattutto nel preciso momento in cui la sua figura si scontra con una moda culturale molto eccitante e controversa come quella dei fashion blogger.

Perché grandi stilisti e marche di prestigio hanno scelto di corteggiare personaggi improvvisatisi trendsetter, quasi sempre animati da un ammirevole e cieca dedizione al web (si parla di blogger che passano davanti al computer dalle 4 alle 10 ore al giorno), quanto da una spaventosa ignoranza dei fondamenti della cultura della moda?

2. Se prendiamo sul serio le dichiarazioni dei grandi creativi della moda che per primi hanno effettuato una decisa azione di riassorbimento del potenziale comunicativo presupposto dai fashion blogger più affermati, l’argomento principale addotto per motivare la loro scelta pro blogger sarebbe centrato sulla presunta ventata di aria fresca che questi ragazzi avrebbero portato nel polveroso e statico fashion system. Verso la fine della prima decade del terzo millennio era divenuta una necessità adeguare l’immagine della marca ai nuovi standard d’immagine imposti dal successo planetario del web.

Con un certo ritardo i protagonisti del fashion system stavano imparando a mettere a profitto gli investimenti nel web. L’ultimo ostacolo era rappresentato da chi aveva fatto della rete il media di riferimento, soggetti in prima battuta ostili alla mercificazione dei processi on line e alla comunicazione asimmetrica delle marche della moda. Il coinvolgimento diretto dei fashion blogger più famosi risolveva entrambi i problemi. Gli outfit spontanei che cominciarono a pullulare in internet hanno suggerito al marketing delle vie di fuga da routine pubblicitarie off line sempre più costose quanto di dubbia efficacia. Invitando in prima fila alle sfilate i fashion blogger in un colpo solo strizzo l’occhio ad un pubblico giovanile che tutti immaginano influente e proattivo. E ancora, avvicinandoli ai miei prodotti oppure regalandoglieli, aggiungono gli osservatori più smaliziati, li invito a comporre i loro outfit con abiti o accessori con il mio marchio.

Non bisogna essere particolarmente perspicaci per intuire che questa tattica di comunicazione indiretta della pregnanza di una marca, può risultare particolarmente vantaggiosa dal momento che metacomunica qualcosa del tipo: il look di x (blogger) mi piace/non mi piace (dal momento che clicco non posso evitare la sua messa in valore); la costruzione dell’outfit presenta la marca y; la marca y mi piace/non mi piace; la marca y entra in modo liquido (Baumann) nel mio guardaroba immaginario.

Si intravede in questo calcolo della misura comunicazionale, la sensibilità dei grandi nomi del fashion system per un riequilibrio della modazione nella sua fase simbolica, orientato a negoziare con il pubblico giovanile un diverso modo di significare il valore dei prodotti di una marca.
A me sembra chiaro che dal punto di vista operativo gli effetti auspicati dalla presunta rinuncia all’ostentazione dell’ego di una marca sia la viralità che in un certo qual modo il coinvolgimento dei blogger rende possibile.

Se le mie congetture hanno senso, allora mi spiego il perché sia nata una alleanza provvisoria tra i grandi stilisti e il marketing con i fashion blogger. È chiaro che il prezzo da pagare per questa svolta, è ricaduto sulle spalle del giornalista di moda tradizionale, nei confronti del quale si è scatenata una guerra generazionale. E, se ci pensate bene, il un mondo che ogni porco giorno trasmette ai giovani messaggi del tipo “il lavoro (che ti piace) è finito” oppure “non c’è posto per te”… il tentativo di creare un’opportunità là dove il mondo adulto non può arrivarci, non solo appartiene alla logica della situazione, ma probabilmente rappresenta l’aspetto innovativo della comunicazione della moda potenzialmente più esplosivo da molti decenni a questa parte.

È vero che i fashion blogger conoscono poco la moda intesa come processo culturale, ma è anche vero che questo non-sapere è la loro forza. A partire dal non-sapere i loro micro atti di moda, vissuti come un gioco, stanno destabilizzando gli assetti tradizionali, costringendo ciò che normalmente definiamo fashion system a cambiamenti che nessun giornalista, nessun intellettuale della moda, nessun libro avrebbero mai potuto causare.

Fashion Blogger
Twitter di Chiara Ferragni: Love my name on @maisonvalentino Valentina Assoluto parfume! Did you notice it? Thanks so much! #milanfashionweek

3. Grosso modo, forse in modo inconsapevole, la guerra generazionale sta seguendo un decorso simile a quello di tanti hakers. Sono fuori dal sistema e quindi faccio casino, scompiglio le regole del gioco; non ne accetto le regole d’accesso ma invece che contestarle uso gli spazi che la tecnologia mi offre per creare momenti di protagonismo. Raggiunta la notorietà mi faccio assorbire dal sistema.

Per tornare a Tavi Gevinson, a 13 anni controllava una pagina sul New York Times, ben remunerata suppongo. Anche Pop’s magazine la pagava per avere i suoi commenti scanzonati sulla settimana della moda newyorkese.

Per citare personaggi meglio conosciuti nel nostro paese, Chiara Ferragni (theblondesalad.com), senza dubbio la fashion blogger più famosa in Italia – anche se l’analisi dei dati tecnici (numero accessi, numero di pagine viste, tempo di permanenza, tasso di abbandono, etc.) sottoposti ad un complesso algoritmo danno come prima blogger Laura Manfredi di rock’n’moda- la bocconiana dicevo è sempre più chiacchierata nel web, non solo per la presenza alle sfilate ufficiali ma per l’evidente mercificazione delle sue prestazioni.

Fashion Blogger
Chiara Ferragni

Ci troviamo di fronte ad un tipico problema di crescita in un contesto in cui la mitizzazione della purezza delle origini sembra generare conflitti tra chi vuole rimanere una tribù di iniziati e chi intende proseguire un processo di crescita che fatalmente deve fare i conti con agenzie più strutturate il cui movente, pur con tutte le distinzioni che volete, non può che essere il business della moda.

Si tratta di un conflitto che dovremmo conoscere benissimo. Scott Schumann, il creatore di thesartorialist.com, probabilmente il primo vero fashion blogger globale, all’inizio era un fotografo americano che si dilettava a fotografare gente comune per la strada. Ovviamente sceglieva di riprendere i personaggi che interpretavano l’abbigliamento con originalità e bizzarria. Anche la sua fidanzata Dore Garance è una fashion blogger famosa. Entrambi dopo aver avuto successo collaborano oggi con diverse testate di moda. Il progetto originario di Scott Schumann traduceva per i naviganti del web l’intuizione che ebbe alla fine degli anni ottanta Ted Polhemus sulla maggiore creatività che esibivano le cosiddette mode di strada, oggi conosciute come street style, nei confronti delle variazioni stagionali proposte dalle grandi marche.

Fashion Blogger
Scott Schuman e Dore Garance

Ted Polhemus, da inguaribile romantico, era ossessionato dalla perdita di purezza del vero street style sottoposto al gioco di interessi di marche affermate che, imitandone vagamente gli stilemi ne disattivavano l’energia, la portata trasgressiva e quant’altro.

Perdita di autenticità, questa era la parola magica per creare una barriera tra il tribalismo delle origini e la scomposizione liquida dei suoi elementi prevista dalla post modernità.

Se osservate quello che sta succedendo ai fashion blogger di successo, vi accorgerete che, a distanza di una ventina d’anni, si sta riproducendo il medesimo schema simbolico: da una lato, sottoposti alle lusinghe della moda ufficiale, i blogger più preparati manifestano l’intenzione di trasformare un gioco in un progetto di vita, dall’altro lato chi è rimasto un blogger duro e puro osserva questa deriva con preoccupazione cercando di delegittimare i protagonisti del primo gruppo con l’accusa di essersi venduti al sistema. Chi ha ragione?
A mio avviso è immensamente importante che la questione rimanga costantemente aperta. Le ragioni dell’autenticità non devono spegnersi così come l’intenzione di partecipare più attivamente e razionalmente allo sviluppo della moda non dovrebbe suscitare scandali bensì riflessioni.
Sto prefigurando un passaggio stretto nel quale probabilmente sarà difficile per gli integrabili e i puri camminare insieme.
Ma vorrei fare notare che malgrado tutto la rivoluzione è in atto.
Provate ad interrogarvi: avreste scommesso tre anni fa che l’autorevole e arrogante Vogue, avrebbe aperto in modo così plateale ai giovani blogger?

Autenticità, soprattutto per i giovani più sensibili è una parola magica, lo so.
Ma non è più ragionevole battersi per una moda migliore? E come farlo standone fuori? Non trovate che, se vogliamo una moda che dia più spazio alle giovani generazioni, occorra in qualche modo partecipare alla sua crescita?

Lamberto Cantoni
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27 Responses to "Fashion Blogger: il non-sapere delle giovani generazioni sta cambiando il modo di comunicare la moda"

  1. Simona   2 Novembre 2012 at 22:15

    Questo articolo fa riflettere, Cantoni riesce sempre a suscitare in me un sacco di domande.

    é in atto una rivoluzione. i Visitors/Bloggers ci stanno invadendo e stanno prendendo spazio anche tra le prime file delle sfilate più importanti. Io, personalmente credo che sia necessario partecipare alla crescita e dare spazio anche alle nuove generazioni.
    Osservo e rifletto
    Un abbraccio

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  2. Arianna M.   6 Novembre 2012 at 19:46

    Il fenomeno dei fashion blogger inizialmente è stato piacevole da seguire. Questo nuovo modo di proporsi sul web, il fatto di vedere persone comuni che giocavano con vestiti e accessori raccontando un po’ della loro vita era interessante, ora però si sta trasformando in un’esagerazione.

    E’ l’idea di partenza, ovvero ciò che faceva Scott Schumann, ciò che, a mio parere, è giusto definire “essere fashion blogger”. Un fotografo che trae ispirazione dalla moda che lo circonda. Prende il meglio dalla strada e ne fa consiglio.
    I nostri moderni fashion blogger invece sono persone comuni (appunto), un po’ egocentriche, che si vestono e sistemano per creare degli outfit da postare e far vedere.
    Persone troppo spesso inqualificate, che dettano legge in campi che a fatica conoscono, usando termini professionali “sentiti dire”, e parlando di moda senza conoscere la storia del costume o i personaggi che l’hanno scritta; subentrando così pian piano al posto di giornalisti, professionisti che hanno studiato, fatto sforzi e gavette per essere i riconosciuti tali.

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  3. Margot Ferri
    Margot F.   8 Novembre 2012 at 22:39

    Questo radicale cambiamento nel modo di comunicare, sta portando le giornaliste di moda a nutrire un vero e proprio odio nei confronti delle fashion blogger. Addirittura, in questi giorni, hanno dichiarato che non entreranno alle prossime sfilate di moda se ci saranno di nuovo le blogger. Si parla dell’inizio di una vera e propria guerra, in cui, a mio parere, è solo opportuno dare spazio ad entrambe le professioni (sempre se il blogging possiamo definirlo professione). Lo sbaglio è stato quello di mettere sullo stesso piano, due realtà piuttosto lontane. La maggior parte delle blogger non hanno alle spalle studi specifici riguardanti il mondo della moda e la sua evoluzione nel tempo, competenze proprie delle giornaliste. Dall’altro lato, però, sono le fashion blogger ad avere la capacità di trasmettere quella freschezza di cui la moda ha bisogno.
    Queste due categorie dovrebbero sfruttare il fatto di essere complementari, accettando prima di tutto il fatto che i tempi sono cambiati e che le professioni evolvono.

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  4. Chiara P.   13 Novembre 2012 at 18:18

    Pensiamo al fatto che la moda è un grande mercato e che deve sfruttare il mezzo di comunicazione più appropriato per potersi vendere. Se prima erano giornalisti,fotografi o personaggi di cultura a far vendere un prodotto, ora sono i fashion blogger. Questi ultimi possono essere bravi o non bravi in quel che fanno, ma c’è poco da fare,vendono. Il processo di imitazione che si scatena guardando uno di questi blogger è pazzesco. Pensare che un oggetto,anche quello più banale come fu mesi fa una semplice cover per iphone con le orecchie da coniglio, dato in mano a qualcuno di loro diventi dal giorno stesso l’oggetto must have del momento credo faccia riflettere. Penso che le persone comuni vogliano abbandonare l’idea della moda vista solo alle modelle perfette ed irraggiungibili, per poter invece vederla indossare a persone come loro, che oltre a far vedere i loro outfit e bei capelli fanno dare un ‘occhio ad una loro parte di vita di tutti i giorni, ovvero il backstage che solitamente non siamo abituati a vedere alle riviste. Se tutto questo sia giusto o sbagliato sta solo nel pensiero individuale di ognuno di noi. Il trovarsi accanto uno di questi giovani nuovi miti è sicuramente uno shock per chi ha lavorato anni e magari ha sacrificato tempo e denaro per studi universitari che magari questi altri non hanno nemmeno preso in considerazione, ma credo che sia solo una piccola invidia sul fatto che qualcuno con una passione si sia inventato un mestiere che non richiede più di troppi sforzi. Credo inoltre che alla fine sia proprio il consumatore che si stia evolvendo ulteriormente nel suo approccio di acquisto e che quindi le varie aziende di moda e non solo si stiano solo adeguando a quello che è il miglior modo per vendere.

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  5. Lamberto Cantoni
    Lamberto   16 Novembre 2012 at 13:52

    Mi trovo d’accordo con l’idea di complementarità segnalata da Margot, anche se mi attendo una crescita culturale del fashion blogger.
    Interessante anche l’idea di una evoluzione cyborg del consumatore, in sincronia con la fiducia anticipata per il web.
    In realtà stiamo assistendo ad una co-evoluzione tra soggetti che consumano cultura preferibilmente nella rete e altri soggetti pro attivi a piu’ dimensioni che ne moltiplicano gli effetti.
    Non vedo alcun problema per i giornalisti off line: nulla impedisce loro di acquisire in tempi ristrettissimi una sorta di doppia competenza.
    (ps: e’ ciò che sta succedendo nelle riviste che guardano al futuro).

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  6. Gilda Treppete
    Gilda T.   18 Novembre 2012 at 19:55

    Io penso che non bisogna confondere il ruolo di giornalista di moda da quello di fashion blogger. A mio parere tra le due categorie c’è una grande differenza, e non capisco il perché di tutta questa indignazione da parte dei giornalisti. Il loro compito è quello di saper comunicare le sfilate, di criticarle e confrontarle ma soprattutto essere al passo con i tempi, destreggiarsi tra il business moda e le sue attività comunicative. Quindi il “fenomeno” dei fashion blogger non è altro che uno dei tanti modi utilizzati dai brand di moda per vendere,vendere e ancora vendere. Come biasimare le tantissime fashion blogger che realizzano il sogno della stragrande maggioranza di ragazze, partecipando a tutte le sfilate dei più famosi marchi di lusso, alle loro feste mondane, indossando abiti da favola? Sinceramente io farei lo stesso magari con un pizzico in più di originalità.

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  7. Ilaria p.   20 Novembre 2012 at 20:05

    Una domanda mi viene spontanea ogni volta che sento nominare fashion blogger… cosa li ha spinti ad aprire un fashion blog?
    Ovviamente è un’attività (che se svolta seriamente) fa passare a queste persone dalle 4 alle 10 ore al computer, come giustamente ha fatto notare nell’articolo, una così grande dedizione per un mondo per cui non hanno un effettivo amore; molti blogger come abbiamo appreso non studiano moda e tanto meno hanno mai pensato di lavorare in questo settore, ma si ritrovano a voler parlare al mondo del loro hobby e grazie al potere di internet vengono catapultati a vivere un sogno che probabilmente non gli è mai appartenuto! Ed è qui che si può trovare ciò che infastidisce tanto chi alla moda ha dedicato la propria vita, chi ha venerato i grandi stilisti da sempre e ha fatto l’impossibile per arrivare alla loro portata, come biasimarli se non riescono a tollerare questi nuovi membri del branco, ma presto ci ritroveremo a discutere su come altri personaggi saranno venuti ad ostacolare i fashion blogger.
    Il mondo gira in questo modo e se non si vuole essere esclusi è meglio cominciare a collaborare.

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  8. Arianna Fuccio
    Arianna F.   20 Novembre 2012 at 20:56

    E’ quasi paradossale, a mio giudizio, che i giornalisti possano ritenersi offesi da queste nuove figure professionali. Sappiamo tutti che ormai il mondo in cui viviamo e fatto di tecnologia ed immediatezza e le fashion blogger- in quest’ottica- non fanno che contribuire alla diffusione e, se vogliamo, anche all’accettazione del prodotto moda. E’ normale che qualcuno possa “adirarsi” per essere stato surclassato in un settore che, tuttavia, non gli compete? Per me, no. Il lavoro del giornalista, a suo tempo, ha fatto la stessa identica cosa. Di che ci meravigliamo? I blogger rappresentano il futuro, la società giovane. Perchè gli stilisti dovrebbero far in modo di tenerli separati o di “posizionarli”- quasi fossero pacchi- nel retro e privarsi di uno sguardo, tutto sommato, sul mondo?
    Se è vero che la moda è lo specchio della società moderna, per quanto mi concerne dirlo, credo che i fashion blogger siano i fotografi più creativi, i romanzieri più espositivi…

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  9. Giulia Chafrai
    Iulia Chafrai   21 Novembre 2012 at 17:04

    Sarebbe bello poterne collaborare e cambiare le regole del gioco da dentro, contribuire, come dice Cantoni, alla sua crescita, ma è una forma di collaborazione, direi addirittura di collaborazionismo, che nessuna delle due parti ricerca. Strano mondo il nostro : non è un paese per giovani, indubbiamente, nel senso che difficilmente si trovano spazi accettabili e che diano possibilità di esprimerso prima dei 30-35 anni, ma non è nemmeno un paese per lavoratori, prchè ormai vedo che la mia generazione è diventata talmente frustrata da un punto di vista professionale da diventare impaziente. E allora ecco il tutto e subito, andare a eventi, il front row, i capi griffati in regalo senza studiare nemmeno un giorno, perchè non si studia, non si cerca di capire un mondo che fa del disprezzo e dell’ altezzosità una strategia di marketing. Lo si piega invece, e faccio i miei sinceri complimenti alle fashion bloggers per questo, al capriccio di una foto, al gusto di una consumatrice che nemmeno consumatrice è, perchè non potrebbe mai permettersi quei capi. Le aziende, le grandi riviste , sbagliano a dare così tanto spazio alle fashion blogger ma non ne possono fare a meno, perchè mentre le clienti/ ammiratrici/ viveur senza arte sono affascinate e un po’ scherzosamente vittime della moda, la moda spesso è vittima delle ossessioni, e più odia e più è vittima della propria ossessione ed ecco perchè fa così ridere vedere giornaliste attempate , critici vestiti come clown e stilisti primedonne con palesi manie di egotismo prostrarsi davanti a queste giovani ragazze che vengono al front row in jeans, fanno due foto con lo smartphone, sorridono amabilmente e se ne vanno perchè loro sì, che hanno di meglio da fare.

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  10. Susanna Poggi
    susanna   21 Novembre 2012 at 19:06

    Interrogarsi sul perchè la figura del fashion blogger, in un modo o nell’altro, mette in ombra quella del giornalista è come domandarsi il criterio con cui i più importanti brand decidono di scegliere il canale distributivo dell’e-commerce per vendere i propri prodotti.
    La risposta, a mio avviso, è semplice e sta nel considerarne l’immediatezza.
    Citando Bauman come ha fatto Lei, Professore, molti nodi vengono al pettine in quanto la liquidità della società di oggi ci vuole rapidi e ci impedisce di consolidarci in stili di vita ed abitudini; dunque, che c’è di meglio di giovani appassionati di moda, spesso davvero competenti, che ci comunichino in poche righe il nuovo trend o ci informino dell’ultima novità?

    Trovo assurdo dover aspettare giorni per vedere un articolo che ci interessa, pubblicato sul nostro settimanale preferito, quando in due minuti possiamo googlarlo e trovare risposte nei blog. Ci sono tuttavia quotidiani online (con giornalisti veri e propri), è vero, che però ci lasciano in balia di articoli lunghi e per lo più ampollosi che ci descrivono i cambiamenti nel mondo moda da osservatori.. ecco, perchè non lasciar da parte tante parole e diventare noi stessi l’argomento di cui parlare? La moda va vissuta e capita, non va letta.

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  11. Giorgia Ceroni
    Giorgia Ceroni   21 Novembre 2012 at 21:54

    Questa non è altro che l’evoluzione sociale che vede come protagonista degli ultimi anni il mondo di internet, che ha facilitato l’interazione azienda-consumatore tramite la diffusione e la condivisione di informazioni. I social media, i blog, i social network non sono nient’altro che luoghi d’incontro e di discussione gestiti da consumatori cresciuti intellettualmente e sempre più coinvolti. Grazie ai fashion blogger si è finalmente arrivati a capire che non vogliamo più essere CONVINTI ma COINVOLTI!!!.
    Molti blog sono espressione di originalità e di personalità, altri rappresentano il trionfo dell’egocentrismo.
    Mi piace l’idea che grazie al fenomeno dei fashion blogger le aziende abbiano imparato ad ascoltare e a percepire il modo in cui il brand è visto dai consumatori sotto molteplici aspetti. Così facendo le aziende hanno apportato innovazioni nelle strategie di relazione e di comunicazione grazie allo sfruttamento degli strumenti tipici del Web 2.0. Sono state aperte le porte ad attori “esterni”, in questo caso i clienti, le fashioniste, creando una relazione fatta di collaborazione.
    Mi viene in mente il caso di Burberry e del sul sito theartoftrench.com, come esempio lampante di quanto sia riuscito a creare questa relazione, ha raggiunto il successo creando una storia che è piaciuta ed è stata raccontata tramite immagini grazie alla collaborazione con Scott Schuman che ha evoluto la visione del classico trench di Burberry immortalando uomini e donne di tutto il mondo che lo indossano.
    Tutto questo per arrivare a dire che i fashion blogger sono un fenomeno assolutamente innovativo, soprattutto sono diventanti fondamentali nel processo d’acquisto, quindi questo significa che alla gente piace questo tipo di condivisione e alle volte di ispirazione, perciò è giusto che ci siano presenti, purché aiutino ad avvicinarsi alla marca, a conoscere i prodotti e a scoprirne la storia, proprio come è riuscito a fare Christopher Bailey con Burberry.
    Le fashion blogger non devono essere tutte uguali, bisogna fare delle distinzioni e i brand dovrebbero imparare a farle.. un po’ di meritocrazia!
    Non possono essere considerate fashion icon persone come la “bocconiana“ bionda, cosa ci racconta della moda? cosa ci insegna o ci fa scoprire dei brand che si “lancia” addosso?! il suo blog sembra un Look Book di scarsa qualità! e le aziende lo sanno, lo vedono.. ma non importa perché l’importante è il profitto! fino a che saranno gli stilisti stessi a permettere questo e non avranno la pazienza di educare il pubblico, le blogger saranno sempre convinte di saper parlare di moda solo grazie al fatto che (non sempre) hanno buon ”gusto” e che gli vengono regalati gli abiti, non vanno confuse con le giornaliste di moda… il loro è un mestiere sta alla gente capire la differenza! Concludendo, se il signor Mario Testino si innervosisce perché non è più in prima fila a godersi le sfilate non ha che ragione!

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  12. Lamberto Cantoni
    Lamberto   22 Novembre 2012 at 17:02

    Mi attrae la congettura di Giogia sul supposto bisogno di coinvolgimento delle giovani generazioni, estenuate dalle tecniche tradizionali di persuasione basate sulla seduzione e sull’asimmetria informativa. Ma mi chiedo: perché un frame di moda impressionistico come quello di un fashion blogger produce una forma di fruizione assimilabile ad un coinvolgimento? E’ un banale gioco linguistico o veramente i blogger suggeriscono un in piu di realtà tale da trasformare il loro messaggio in una sorta di atto di moda? In altre parole, il successo dei FB dipenderebbe piu dai contenuti pragmatici che dal livello della semantica esibito dal loro frame. Insomma il loro fascino e’ l’azione presupposta dal messaggio.
    A Iulia vorrei chiedere ragguagli su dove andranno le signorine di cui parla … Ho capito che le vecchie trombone della moda indugiano nelle chiacchiere, ma cosa avranno di meglio da fare le signorine FB?

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  13. Francesca Biricolti
    Francesca B.   22 Novembre 2012 at 20:05

    A mio avviso, i fashion blogger hanno democratizzato la comunicazione nella moda. In un contenitore libero come il web, chiunque può esserne protagonista.
    Chi segue i blog si identifica con i loro autori perchè, fondamentalmente, sono come loro, persone che studiano o lavorano e non sono dei professionisti. I blogger sono figli della generazione dell’apparire,di Facebook e dei social network dove si condivide tutto ciò che si pensa e si fa. La loro forza sta nello sfruttare questo potere per dire: ci sono anch’io! Ti faccio vedere come concepisco IO la moda, come mi vesto, cosa mi piace e lo faccio prendendolo dal mio armadio. La comunicazione “classica”, fatta dalle professioniste del settore, è filtrata da ciò che loro ritengono sia di moda, da quale possa essere il trend della stagione ma non solo. Sono due modi diversi di parlare di moda: uno, se vogliamo viene dal “basso”, l’altro dall'”alto”.
    Quando però i fashion blogger diventano famosi cambia il meccanismo originario: non sono più i/le ragazzi/e “della porta accanto” ma dei professionisti che collaborano con i brand, che disegnano linee di abbigliamento o accessori con il proprio nome. Da semplici blogger diventano dei testimonial mediatici con un seguito di pubblico impressionante. Per questo ” fanno gola” ai brand, perchè loro garantiscono una visibilità tale che le campagne di advertising sulla stampa non fanno più.
    In conclusione, ritengo che i fashion blogger ed i giornalisti rappresentino due modi diversi di comunicare la moda e che quindi, possano e debbano coesistere.

    Rispondi
  14. Virginia   22 Novembre 2012 at 22:28

    L’argomento è molto interessante, spesso mi è capitato di riflettere riguardo ai fashion bloggers. Personalmente ho sempre cercato di riconoscere il peso sociale di tale fenomeno, senza arrischiarmi in antipatici giudizi riguardo alla sua portata culturale, giudizi che peraltro spesso sottolineano più l’inadeguatezza di chi critica che la criticabilità dell’oggetto in sé. Trovo il fenomeno bloggers interessante quanto ogni altro evento in qualche modo scomodo per un ordine stabilito e appunto questa “scomodità” intrinseca lo rende ai miei occhi pure divertente. L’indignazione dei giornalisti di moda nei confronti dei bloggers è poi il dettaglio che più mi fa sorridere e dal quale è partita la mia considerazione.
    L’immagine che mi viene in mente pensando all’attuale situazione della moda è quella di un genitore che per far smettere il bambino più piccolo di piangere, irragionevole e spietatamente irruento, trascura il figlio maggiore, già inserito nei ritmi familiari grazie a delle competenze conquistate nel tempo. Il genitore, esasperato dalle urla del più piccolo, che molto probabilmente lo mettono in difficoltà di fronte agli occhi degli altri, non può preoccuparsi di capire se quelle urla siano dovute a un’esigenza fisiologica degna di attenzione o da un mero capriccio; il primo obiettivo sarà quello di mettere a tacere le urla e cessare l’imbarazzo.
    Ecco, in questo modo immagino la situazione, con i marchi della moda piegati di fronte all’egocentrismo di una generazione di nuovi critici – o presunti tali – che chiede di essere ascoltata, senza buone maniere e senza comportamenti consapevoli, ma semplicemente in nome della sua esistenza, della sua istanza innovatrice – evolutiva in senso stretto – del sistema. La moda così si è comportata nella mia visione: ha concesso spazio ai bloggers perché quello era il proprio compito naturale, obbligato. La moda, come un genitore, DEVE essere ricettiva verso il cambiamento, alle esigenze delle sue creature, altrimenti è un ruolo mancato, indegno. Anche se magari realmente non riesce a soddisfare l’esigenza dei nuovi giovani arrivati e anche se quelle esigenze non hanno un vero e proprio significato, deve almeno dare segno di percepirle, seppur – nel caso dei marchi/genitori meno motivati – per dare una buona impressione, per dimostrare di essere un genitore “up to date” come si richiede oggigiorno, sensibile e attento.
    E’ inevitabile, però, che questo significhi perdere di vista i figli più grandi, quei critici che l’attenzione l’hanno ricevuta, incontrastata, fino a quel momento e magari non solo per forza di cose, ma anche perché guadagnata con la stima o, nel peggiore dei casi, con la compiacenza. Il rapporto fra genitori e figli maggiori, fra case e critici di moda, potrà essersi evoluto all’insegna dello scontro o della complice serenità, ma comunque non aveva visto, fino ad ora, altri attori sulla scena. Non deve essere stato semplice per i genitori grandi marchi inglobare l’indiscreta capacità di imporsi dei lattanti fashion bloggers (definizione talvolta anagrafica, talvolta sostanziale ), né tantomeno per i primogeniti, che considerano i critici del web solo piccoli, inutili e fastidiosi individui.
    Di conseguenza, appare sottile la linea di confine che separa un comportamento sensibile, ricettivo, ma stabile, da uno succube e impotente, da parte delle aziende di moda. Assai più difficile e faticoso è poi per i fratelli maggiori, i giornalisti e i fotografi di moda consacrati, elaborare uno stato d’animo comprensivo nei confronti dei nuovi arrivati, disponibile a concedere lo spazio necessario per l’evolversi delle nuove realtà, consci di una superiore e inattaccabile – qualora esista – propria maturità.

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  15. Bramclet   23 Novembre 2012 at 13:38

    Mi piace la lettura freudiana proposta da Virginia. Se ho ben capito mamma moda nel tentativo di riassorbire gli schiamazzi di bambini ritardati (nel senso che rifiutano di adeguarsi ai modi del linguaggio standard) tenta di curarli amorevolmente moltiplicando i giocattoli a loro disposizione affinché attraverso un apprendimento ludico venga stemperata la loro negatività e possano risultare utili alla “famiglia della moda”.
    Ma il papà dov’è? Se ben ricordo, la funzione paterna nel processo edipico funziona come istanza castratrice del principio del piacere (rappresentato dalla volontà dell’infante di fare della madre il suo “oggetto”). Questa mortificazione del piacere spingerebbe il desiderio del bambini a subire una lunga fase di latenza, fondamentale per l’incorporazione di principi etici.
    Quindi, cara Virginia, la moda non riconosce l’istanza paterna e quindi

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  16. Bramclet   23 Novembre 2012 at 14:01

    …. Mi sono incasinato…ho pasticciato con il touch screen …non avevo concluso il mio argomento.
    Una moda senza padri, dicevo, assorbe le istanze dell’infante modaiolo assecondandone le pulsioni. Ovviamente si tratta di una lettura per assurdo. Ma se ipotizziamo che la vera e autentica critica della moda funzioni come un limite all’esibizionismo fine a se stesso allora, le scherzose forzature interpretative non sembrano poi cosi insensate. Se ha ragione l’aurore dell’articolo che ha dato inizio a questa cascata di pensieri, tra i quali il mio e’ senz’altro il piu sregolato, e quindi se e’ ragionevole sostenere che le marche della moda hanno ucciso la critica, e se la critica e’ un limite all’autoincensamento, allora si può dire che non vi sia piu’ alcun limite etico all’esibizionismo.
    In questa assenza di limiti la Moda si trova perfettamente suo agio. Non ha che da assecondare le pulsioni auto espressive dei soggetti più reattivi, per regolarne poi le traiettorie che puntano al business.

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  17. Beatrice   23 Novembre 2012 at 15:54

    Credo sia doveroso sottolineare la differenza tra una fashion blogger ed un’inetta che crede di far parte del fashion system, non avendo assolutamente cognizione di causa sul buon gusto né una spiccata sensibiltà che le consenta di dar vita ad interventi utili, pertinenti ed originali. La fashion blogger -ahimé- è diventato un mestiere altamente inflazionato e come tutte le cose inflazionate ha perso importanza a causa, appunto, della “contaminazione” da parte delle inette di cui sopra. Dopo aver ribadito questa sostanziale differenza tra le due figure, mi sento di affermare che la fashion blogger sia assolutamente una figura innovativa, frizzante ed azzarderei dire oramai indispensabile per aziende e consumatori. I reverendi giornalisti che si sentono spogliati della loro aurea, prima di aggredire il trend dei blogger e dei blog, dovrebbero interrogarsi sul perché talvolta vengono schiaffati in seconda fila alle sfilate. Parole, parole, parole sapientemente accostate tra loro che troppo spesso dicono ben poco, tali da perdere fascino rispetto ad una foto scattata con istagram o ad un commento pungente e stimolante su facebook. Sarei banale a ribadire che la moda è una crasi tra business, arte e cultura, ma sarò meno noisa se qui sottoscrivo che spesso e volentieri una foto fatta con istagram mi emoziona di più rispetto ad un articolo faticoso, pomposo, avvilente.

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  18. Alice Pinzani
    Alice   23 Novembre 2012 at 23:07

    La prima volta che vidi The Sartorialist ne fui affascinata, finalmente qualcosa di nuovo! Il suo blog permetteva di rompere qualsiasi barriera geografica nel campo della moda. In pochi secondi eri catapultata nelle strade di Milano, Parigi, NY, etc. e riuscivi a captare attraverso i suoi scatti fotografici l’originalità e la singolarità dell’abbigliamento di gente comune. La sua idea e di conseguenza quella di Dore Garance è stata geniale. Si sono presentati con semplicità sul web mostrando al pubblico quale fosse il loro punto di vista circa la moda e il lifestyle, una semplicità tale che ha permesso di catturare l’attenzione di chiunque. L’aurea negativa che molto spesso accompagna il fashion blogger nasce secondo me dal fatto che non tutti sono capaci di farlo. E’ sempre più difficile trovare persone capaci di trasmettere un messaggio di creatività, eleganza e struttura attraverso un loro look. Il trash diventa monotonia del web.
    Non mi stupisce che molti dei blogger abbiano trasformato quello che era un gioco in una vera e propria attività lavorativa, difficilmente le buone idee non sono ammaliate e sedotte dal mercato. Tuttavia il blog ha permesso loro di poter raggiungere un settore impenetrabile.
    La scomparsa dell’attività giornalistica nel settore moda non è data dall’arrivo dei blogger. Queste due figure sono diverse, pertanto l’una non preclude l’altra. Il giornalista dovrebbe cambiare il sistema canonico di far critica poiché non è più uno strumento efficace di comunicazione e soprattutto di profitto per i grandi marchi.

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  19. Elena Bottai
    Elena Bottai   23 Novembre 2012 at 23:35

    Quando lo scorso anno l’istrionico blogger filippino, Bryan Boy, dichiarò che nel solo 2010 il suo blog aveva fruttato la ragguardevole cifra di 100 mila dollari la notizia fece immediatamente il giro della blogosfera; ma un articolo pubblicato qualche mese fa su WWD ci costringe oggi ad un aggiornamento delle cifre, il listino delle prestazioni offerte dai fashion blogger più quotati ha infatti subito qualche modifica: si va dai 5.000 dollari per servizi di styling, ai 20.000 necessari per una “appearence” ( così la chiamano in inglese, anche se l’italianissimo “COMPARSATA” forse rende meglio il significato della prestazione) fino ad arrivare ai 50.000 richiesti per partnership esclusive.. se a tutto ciò si sommano i banner online ( cioè le inserzioni pubblicitarie palesate), prodotti regalati e collaborazioni minori, l’indotto annuale di un blog di successo può arrivare a sfiorare i 500mila dollari annui.
    Ovviamente le cifre non sono le stesse per tutti, di sicuro non avevano guadagni simili i primi sparuti fashion blog comparsi nel 2003 – 2004 e nemmeno li hanno ad oggi le miriadi di wannabes ( cioè quelle che nascono come cloni delle blogger più accreditate e che nella maggior parte dei casi sono destinate a restare tali). Il dubbio però che si insinua è che questo fantastico strumento di espressione, autenticità e coinvolgimento che dovrebbe essere il blog forse cosi tanto autentico e spontaneo non lo sia e del resto, questa mercificazione della comunicazione di moda non sembra proprio una novità.
    Provando a sfogliare i numeri di Vogue Paris dell’ultimo anno non è necessario un occhio particolarmente allenato per accorgersi della straordinaria frequenza con cui sono inseriti, tanto nei servizi di moda quanto in quelle odiabili rubriche stile “consigli per gli acquisti” da cui nemmeno VP è indenne, alcuni marchi: si va da Isabel Marant a Balmain, Aurelie Bidermann, Giuseppe Zanotti e via discorrendo.. tutti marchi à la page e degni di menzione, per carità.. ma ad uno sguardo più attento ci si accorge che fino a qualche anno fa la stylist che si occupava delle loro sfilate o delle loro campagne pubblicitarie era, per l’appunto, Madame Alt. Sebbene quest’ultima , una volta assunto il comando di VP, abbia voluto rinunciare personalmente al ruolo di consulente, tutti questi marchi sono tuttora clienti dell’Atelier Franck Durand, uno degli art director più quotati di Parigi, nonché marito di Madame Alt. Di fronte a simili coincidenze…Che dire? È geograficamente un dato noto che Parigi non sia una città particolarmente grande, ma a quanto pare è molto più piccola di quanto si possa pensare!
    Analoghe, se non peggiori, constatazioni si potrebbero – forse- fare nei riguardi dell’edizione americana, Anna Wintour è sicuramente uno dei personaggi più potenti ( nel senso più fattivo del termine) del panorama della moda e se si pensa a che cosa innesca il suo arrivo a Milano durante la fashion week, figuriamoci di cosa non è capace nella sua New York.
    L’aspetto dunque più interessante, secondo me, non sono tanto le baruffe tra giornaliste e bloggers e nemmeno le razioni scomposte di qualche fotografo con manie di protagonismo ( e di garbo, mi piacerebbe sapere perché non si scompone quando nel suo front row compare qualche mediocre attricetta che s’intende di moda ancora meno che di recitazione o qualche celebrity che deve la sua fama a un filmato porno?) ma l’individuazione, da parte degli addetti ( marketing?) del settore, di un’ennesima piattaforma attraverso cui veicolare e vendere i prodotti moda e del conseguente slittamento dei punti di riferimento del pubblico ( da chi mi lascio consigliare? Chi mi dice cosa andrà di moda questa estate?).
    Nel momento in cui i brand si sono accorti della straordinaria potenza (IMMEDIATEZZA + VIRALITA’ ) degli strumenti del web 2.0 (non solo blog ma anche i vari social: facebook, twitter e l’ultima ossessione fashionista: instagram) ci si sono avventati sopra e con la stessa naturalezza con cui si sono creati dei profili su facebook , sono partiti alla scalata dei blog che rappresentavano, all’epoca, la voce nuova, giovane, vivace e coinvolgente rispetto ad una casta di addetti ai lavori a dir poco irraggiungibile dai comuni mortali.
    Ma la velocità sconvolgente con cui si muove il mondo di oggi, ha fatto si che dopo pochi anni lo scenario sia già radicalmente cambiato: l’impenetrabile casta non perde occasione per farsi fotografare fuori dalle sfilate, dove partono improbabili competizioni tra chi ha capi unici disegnati su misura e chi ha l’abito appena sceso dalla passerella, e le tanto amate e popolari fashion blogger, cosi come le loro pagine online, si sono ridotte ad essere vetrine pubblicitarie viventi; peraltro l’aspetto più imbarazzante, a mio parere, è la totale omologazione che prevale nella maggior parte dei blog: hanno tutte la stessa borsa, lo stesso anello, le stesse pose, ti consigliano – anzi ti “ linkano” – gli stessi siti…al limite dell’inquietante direi!
    Ovviamente bisogna evitare di fare di tutta l’erba un fascio poiché sia a livello editoriale che nel mondo della rete ci sono delle voci di notevole spessore contenutistico ed integrità, che stimolano alla riflessione e che sicuramente per questo meritano di essere ascoltate; la domanda che forse ci dovremmo porre è se il pubblico abbia voglia di ascoltarle e riflettere o se, travolto da tutta questa facilità, immediatezza e liquidità, non preferisca semplicemente agire/subire piuttosto che pensare.

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  20. Virginia   24 Novembre 2012 at 09:57

    Personalmente non ho fatto una distinzione – che ho avuto piacere, Bramclet, di riconoscere nel tuo ragionamento e di condividere – fra il ruolo materno e paterno della moda. Nel mio discorso ho voluto solo accennare all’atteggiamento generale ( e quindi, ai fini del mio pensiero finale, “asessuato”) della moda nei confronti dei suoi interlocutori principali. Servirmi di un’interpretazione “familiare” (più che freudiana) è stato un tentativo per dimostrare quanto l’indignazione di una generazione nei confronti della successiva sia per certi versi comprensibile e legittima, per altri inevitabile ai fini dell’evoluzione.
    L’indignazione, l’arroccarsi in una dimensione “superiore” e intoccabile, mi sembra di fatto un capriccio improduttivo oltre che infelice, che – eticamente – mette il critico/fotografo di moda consacrato allo stesso livello del blogger egocentrico. Due generazioni possono, in forza delle proprie differenze, deteminare un cambiamento (alla cui necessità hanno sintomaticamente gridato proprio alcuni bloggers), solo se con il tempo in entrambe si attivano una consapevolezza e una maturità degne della professione critica.
    Lo schiamazzo, a mio parere, è pur sempre schiamazzo sia che avvenga fra le fila dei giornalisti e dei fotografi “di alto livello”, sia che avvenga fra le “popolari” pagine web di un blog. E qui sì, devo riconoscere (mio malgrado) una differenza quasi freudiana fra i due sessi: nell’arte dello schiamazzo le donne sono imbattibili.

    Rispondi
  21. oriana   24 Novembre 2012 at 14:41

    Mi sembra giusto introdurre questo intervento dichiarando il mio amore sconsiderato per la carta stampata e il rispetto verso chi, con impegno, sacrifici ed esperienze, è riuscito a costruirsi pian piano una platea e l’appellativo di “critico”.
    Detto questo, sono anche consapevole delle rivoluzioni e delle evoluzioni che viiviamo, del loro impatto sociale, dia quanto sia cambiato conseguentemente il nostro modo di percepire tutto ciò che ci circonda, la moda in primis, grazie al web e ai blog.
    Il fashion bloggerismo è un fenomeno interessante, si, soprattutto per le aziende.
    Si è parlato di democrazia, del traguardo raggiunto dal “fruitore passivo” che finalmente, grazie al web, può proporre i suoi contenuti e della libertà di manifestazione del proprio pensiero che si respira nella realtà virtuale. Internet è dunque un formidabile incubatore di forme di partecipazione al basso. Su questo siamo tutti d’accordo, ma pur essendo il concetto di e-inclusion assolutamente esaltante, a me sembra che ci sia qualcosa che non va.
    Nel momento in cui i blogger “mercificano le loro prestazioni”, sinceramente, non riesco più a pecepire quale sia la differenza tra loro ed i giornalisti di moda, se non quel gap culturale imbarazzante che mi porta a propendere verso i secondi.
    Trovo avvilente la consapevolezza che le due Fashion Blogger più seguite in Italia siano Chiara Ferragni e Laura Manfredi. Studiando un po’ i loro blog non riesco a pensare ” per fortuna, in questo mondo di merda, almeno due ragazze comuni sono riuscite ad ottenere il successo, a riaprire quelle porte sbattute troppe volte in faccia!”.
    No, non ci riesco, piuttosto percepisco la pessima qualità delle immagini, la loro chiara mercificazione, tutti gli interessi economici sottostanti dei vari brand che la sovvenzionano e quanta poca creatività ed innovazione ci sia in tutto questo.
    Ciò che credo è che il concetto di fashion blog sia fantastico e democratico, ma ancora una volta ci siamo “abbassati le braghe” e abbiamo ceduto al sistema e al dio denaro. Tanto di cappello dunque alle aziende che hanno trovato il modo più facile per riuscire a gestire un canale poco conosciuto.
    Questo accade non solo nella moda. Abbiamo urlato al miracolo quando grazie alla rete siamo riusciti ad organizzarci e a partecipare attivamente alla vita politica, quando per la prima volta, nel 1999,a Seattle, la “manifestazione per eccellenza” è stata possibile solo grazie alla costruzione di reti di contatti, percorrendo le strade elettroniche. Ci siamo sentiti potenti, siamo riusciti a catturare l’attenzione di tutti gli altri media e il “Movimento a 5 stelle”, nell’ambito italiano, è un chiaro esempio di questa rivoluzione avvenuta grazie al web 2.0.
    Purtroppo però, i controlli, le censure, il digital divide, dimostrano quanti limiti ci siano ancora, quanto il web si avvicini molto al concetto di democrazia, quanto sia “potenzialmente” democratico, ma in fondo, non lo è.
    Inoltre, ritengo che tutto ciò che avviene nello spazio virtuale, abbia senso, se e solo se, trovi riscontro nello spazio reale, nelle strade, nelle piazze.
    A me non sembra che i modelli poposti dai f. blogger si possano avvicinare alla realtà, mi guardo attorno, in un’Italia in crisi e ciò che vedo è molto lontano da una Chiara Ferrigni, spensierata, a Mosca, con la sua borsetta Hermès e l’occhialetto Prada.
    Ci vuole far sognare? La ingrazio sentitamente per questo, ma io adoro lo steet style, la gente comune, quella che esprime la propria creatività e personalità, il proprio carisma, quella che si reinventa e cerca di dare nuova vita ad un abito ormai vecchiotto, ad una borsa ormai dimenticata da anni nell’armadio e lo fa con maestria, con stile.

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  22. Federica Z.   24 Novembre 2012 at 15:58

    Il fenomeno dei fashion blogger è ormai una realtà affermata e consolidata nel fashion system, costituendo, come è già stato spesso affermato, una vera e propria rivoluzione mediatica del modo di comunicare la moda. Ma cosa fa esattamente un fashion blogger? Si può realmente parlare di valore aggiunto apportato al mondo della moda o ci troviamo semplicemente di fronte a un gruppo di esibizionisti che tentano, senza neanche troppi sforzi, di prendere il posto delle spietate giornaliste di moda? Su questo ultimo punto mi permetto di dissentire. Infatti, il ‘j’accuse’ delle giornaliste di moda parte proprio dalla poca conoscenza e incompetenza che, secondo loro, gli stessi blogger dimostrano relativamente a quelli che sono i reali meccanismi alla base del Sistema Moda. Certo è che non si può parlare di professione, ma il lavoro dei fashion blogger nulla toglie a quello (vero) delle giornaliste di moda. A mio parere, si tratta semplicemente di due entità che possono tranquillamente coesistere, dal momento che rappresentano due differenti modi di comunicare. Ma mentre le giornaliste di moda lo fanno in maniera più critica e professionale, probabilmente la vera forza dei fashion blogger sta proprio in questa mancanza di professionalità, che rende la comunicazione meno impegnativa ma più fresca e, se vogliamo, anche più accessibile, dal momento che si spoglia della troppa ampollosità che spesso caratterizza gli articoli e le critiche di moda.
    Tuttavia, a mio parere sono pochi i blog che, alla fine dei conti, possono realmente considerarsi innovativi e originali. Spesso ci troviamo infatti di fronte a banali resoconti della routine quotidiana di questi giovani fashionisti, con l’aggiunta di foto neanche troppo interessanti. Inoltre, il far vestire i blogger da capo a piedi con abiti costosissimi non rende un brand più appetibile, dato che non tutti i lettori probabilmente possono permetterseli. Quando si legge un blog non ci si dovrebbe aspettare un ‘elenco della spesa’ delle marche indossate. Un blog deve essere una fonte di ispirazione, deve saper parlare di tendenze e di lifestyle; ecco perché trovo che in questo i blog di street style risultino in assoluto i più rappresentativi di questo fenomeno di bloggerismo. La forza di questi blog si basa infatti proprio sull’ispirazione che deriva dalle persone comuni, che diventano le vere e proprio icone di stile, attraverso le quali possiamo scoprire quelle che sono le ultime tendenze da ogni parte del mondo (senza la pretesa di dover ostentare a tutti i costi un abito costoso!).
    Per concludere, trovo quindi che l’ostilità delle giornaliste di moda nei confronti dei fashion blogger possa essere giustificata solo se si prendono in considerazione tutti quei blog che mancano di contenuti brillanti e sostanziali, e che nascono dal mero esibizionismo di chi ci sta dietro. Allo stesso tempo, trovo che il fenomeno in sé costituisca comunque un valido mezzo di comunicazione che ha permesso, a chi ha davvero qualche cosa di concreto da dire, di dare libero e personale sfogo a quelle che sono le proprie passioni e i propri interessi circa il mondo del fashion.

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  23. Louison P   25 Novembre 2012 at 15:21

    Ovviamente internet sta diventando il modo di sostituire tanti strumenti specialmente riviste e giornali.
    Infatti perché comprare ogni settimana una rivista quando possiamo guardare le news o pubblicità su internet gratis e in modo piu veloce?
    Purtroppo i giornalisti non hanno saputo adattarsi a internet e i fashion blogger piu giovani si sono adattati piu velocemente. Tanti giovani si sono identificati in loro e li hanno seguiti.
    Pero quando andiamo su uno dei fashion blog vediamo che i blogger sono solo dei giovani narcisistici che si creano una vita per sentirsi parte di un mondo che non è loro grazie ad internet.
    Ma secondo me internet da successo molto velocemente, ma se lo riprende anche immediatamente ” la star di oggi sarà lo sconosciuto di domani ” Solo i migliori restano.
    La nuova generazione non legge piu o legge pochissimo e se l’unica fonte di informazioni proviene da queste bambine bambole fashion blogger che magari sono molto piu facili da manipolare dai marchi che i grandi giornalisti allora la moda sarà fatta da gente che non sa cos’è veramente questo mondo.

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  24. Federica Tonet   26 Novembre 2012 at 20:13

    E’ dell’altro ieri la notizia che la nota fashion blogger Olivia-Alexandra Clenin di Milano è stata indagata per aver rubato vestiti nei backstage delle sfilate dove era stata invitata. Per di più le indagini su di lei appena incominciate sembrano dover riservare altre amare sorprese.
    Questo fatto, in qualche modo, potrebbe vendicare un pò gli smacchi subiti dai protagonisti della fashion communication come Mario Testino, star della fotografia, o ancora Paula Reed, nota giornalista di moda, che si sono visti relegare in seconda fila, nel corso delle sfilate, dietro ai fashion blogger.
    Siamo proprio sicuri che fare dei ponti in oro a questi “ragazzotti” dalla resa immediata e senza background, sia la soluzione giusta per propagandare la moda?
    Senz’altro è vero, come diceva il generale De Gaulle, che: “il faut vivre avec son temps” e che l’utilizzo delle tecnologie avanzate permette di far meglio. Tuttavia il dubbio sorge:sacrificare la competenza dei professionisti a favore dell’istinto di qualche illuminato, senza critica né pensiero, e a quella dell’immediatezza del messaggio, non ci fa scivolare tutti verso l’isterismo della novità? Tutto ciò premierebbe un gusto spesso border-line e sarebbe a discapito della moda e dei suoi gran stilisti.
    Mi sembra dunque che questi fashion blogger, che vedono il loro potere crescere a dismisura, si siano lasciti prendere un pò la mano e che la loro nomenclatura, a parte la velocità e la vampata di freschezza, cominci stranamente ad avvicinarsi a quella della vecchia.

    Rispondi
  25. Lamberto Cantoni
    Lamberto   27 Novembre 2012 at 09:23

    Prendo atto che in linea di massima molti commenti sono contro il passaggio del FB da momento auto-espressivo alla ricerca di riconoscimento a nuova professione.
    Ebbene, mi chiedo: in un mondo nel quale il lavoro tradizionale sta scomparendo e’ così disonorevole cercare nuove forme di attività?
    Se le ragazze che hanno criticato la Ferragni si trovassero al suo posto, cosa farebbero? Rinuncerebbero alla sfida di crescere? Ma per crescere ci vuole tempo e denaro…dove li prendo? Per farla breve, nella nostra forma di vita per esistere dobbiamo trasformare una parte del nostro tempo e delle nostre attività in qualcosa di mercificabile.
    Ma perché ogni volta che le ragioni dell’economia prendono il loro posto in altri generi di attività, chiamiamole pure “culture”, si grida allo scandalo? Un retaggio del cattolicesimo e del marxismo piu romantico?
    Oppure sentiamo che dobbiamo difendere qualcosa della nostra vita nata come passione disinteressata dall’immerdamento del denaro?

    Rispondi
  26. Diletta   27 Novembre 2012 at 22:30

    Credo che ci sia differenza tra la professione di giornalista di moda e quella di fashion blogger e non c’è motivo per cui l’una debba escludere l’altra. La prima si esprime con concetti, o almeno dovrebbe, la seconda con immagini. Blog come “the sartorialist” o “tommy thon” fanno vedere come si veste la gente comune, e dove si vede, se non in questo, la cultura e i cambiamenti che avvengono all’interno di un contesto sociale di un determinato paese? dove si vede, se non in quelle immagini, come le persone esprimono se stesse e il loro modo di vivere? è dal basso che nascono le mode.
    Come il giornalista descrive questi cambiamenti nei propri articoli, il blogger li rende alla portata di tutti attraverso le foto.
    Foto che raccontano uno stile, una tendenza. Non è una comunicazione atta a mercificare l’abito come quella fatta nei servizi fotografici delle riviste di moda; a quelle è giusto che ci pensi un fotografo di alto livello, con un background culturale tale che gli permetta, attraverso pochi scatti, di raccontare piccole storie di moda che danno un aura romantica e sognatrice a quei vestiti che, altrimenti, nessuno vedrebbe se non attaccati ad una gruccia. Perché non si può certo dire che blogger come Chiara Ferragni o tavi gevinson riescano a fare lo stesso con le proprie foto.
    Le aziende di moda avranno sempre bisogno di giornalisti e fotografi che sappiano rappresentare al meglio il loro marchio, ma è giusto anche che aprano le porte a dei nuovi personaggi che comunicano la moda attraverso il web, riuscendo a toccare le case di tutti, anche dove le riveste di moda non arrivano.

    Rispondi
  27. Lamberto Cantoni
    Lamberto   28 Novembre 2012 at 20:31

    Mi sembra di avere capito due cose: a. Dal punto di vista generazionale (giovani versus adulti) quasi tutte le partecipanti alla discussione sui FG stanno dalla loro parte; b. Tuttavia ne criticano la mancanza di cultura, l’esibizionismo e la mercificazione.
    Nessuna sembra prendere sul serio il fatto che, tra le altre cose, costruire un look fortemente individuale senza cadere nel ridicolo non e’ affatto scontato.
    Quindi sfido chi ha sinora partecipato o ci sta seguendo a produrre un FB e a sottoporlo come ulteriore contributo.
    In altre parole vi sfido a mettere sottosopra il vostro guardaroba e a produrre una immagine in sintonia con il tipo di esperienza che abbiamo tutti analizzato.
    Immaginate di essere una FB e di mettere on line un frame di moda nel quale credete. Ovviamente dopo quello che ho letto mi aspetto qualcosa di diverso da una pura immagine… Non so se si può allegare una foto ai nostri commenti. Credo di no. Ma potreste inviare un documento a Roberta. Poi in un secondo momento se il risultato non e’ compromettente potremmo farlo diventare un divertente articolo.

    Rispondi

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