Giacometti, scultore di fantasmi, nasceva 120 anni fa

Giacometti, scultore di fantasmi, nasceva 120 anni fa

ACCADDE OGGI – Lo scultore delle figure esili, quasi inconsistenti ma dal forte impatto emotivo, Alberto Giacometti nasceva il 10 Ottobre del 1901 in Val Bregaglia, più precisamente a Borgonovo, in Svizzera. Figlio d’arte e dell’arte stessa, fu suo padre, pittore neo-impressionista, a trasmettergli interesse e dedizione. Per questo motivo, Giacometti frequenterà l’École des Beaux-Arts e l’École des Arts et Metiers a Ginevra. Ripercorriamo, in occasione dei 120 anni dalla sua nascita, le tappe fondamentali della sua esistenza e il suo stile unico e visionario.

Giacometti: vita e successi di un surrealista

Alberto Giacometti

Roma accoglie Giacometti già nel 1921, all’epoca in cui il grande talento di un giovane prodigio doveva necessariamente venire instradato attraverso il confronto con i grandi maestri del passato, nonché, nel caso di Alberto, attraverso il sostegno della famiglia.

Un’infanzia felice, una famiglia attenta, forse bastano a spiegare il celebre ritratto dedicato a sua madre, risalente agli anni del liceo di Giacometti.

Artista dall’animo solitario, non manca di trarre ispirazione da maestri quali Tintoretto, Giotto, Picasso, per proporre un’idea di arte spogliata di ogni intellettualismo e interessata a scavarne le origini più primitive.

Da Parigi nel 1922, alle prime esposizioni delle sue sculture surrealiste al Salon des Tuileries nel 1927, ecco che il successo finalmente lo investe: lui, artista razionale e avanguardistico, che fino a poco prima si adattava a scolpire mobili per vivere.

Giacometti inizia a tessere una rete di relazioni e sodalizi illustri e duraturi: da Mirò, Ernst e Picasso, per continuare con gli scrittori Prévert, Aragon, Eluard, con Beckett, Jean-Paul Sartre e molti altri, ma soprattutto Breton, fondatore del movimento surrealista. Per lui disegna e scrive.

Gli anni della maturità, fra successi e riconoscimenti

Dog

Nel 1933 Giacometti perde il suo primo maestro, suo padre, e da quel momento torna sullo studio della testa, dello sguardo, delle figure, con l’obiettivo di cogliere e rappresentare il pensiero, l’anima di ogni essere umano.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale torna di nuovo a Parigi, si ricongiunge al fratello e proprio come accade alla sua stessa evoluzione di artista, le statue iniziano ad allungarsi, a distendersi nello spazio. Non c’è crepuscolo per il percorso artistico di Alberto Giacometti: dopo il 1962, anno in cui riceve il Gran Premio della scultura alla Biennale di Venezia, spende l’ultima fase della sua vita in un’attività frenetica di mostre ed eventi, persino durante il periodo di malattia.

Muore l’11 Gennaio 1966 e torna esattamente dov’è nato 120 anni fa: viene infatti sepolto nella sua città natale, Borgonovo, accanto ai genitori.

Nel 2010 una sua scultura, L’uomo che cammina, è stata venduta all’asta per circa 75 milioni di euro, il prezzo più alto fino a quel momento mai pagato nella storia per un’opera d’arte.

L’arte di scolpire il sottile

Man Striding

Figure sottilissime e trasparenti, lunghissime, quasi fessure, sono quelle di Alberto Giacometti. Sono, o meglio, sembrano. Perché paiono sgretolarsi da un secondo all’altro, queste sculture molto più simili a ombre, a residui di ciò che è stato, che a persone o animali. Polvere, terra, fantasmi.

Soggetti spettrali, falling men sull’orlo del dissolvimento, in bilico tra ciò che è e ciò che non è. Forse disturbano, forse spaventano.

Un’arte, quella di Giacometti, che si presta a svariate interpretazioni. Molto attuale, anzi, attuale in maniera sconcertante. Giacometti è l’anti-Botero, che dei suoi rotondi e pingui personaggi ha fatto oggetto di ammirazione. Soggetti anonimi, una schiera di forme grigie e disperanti, ciò che resta dell’umanità, forse? In tal senso, Giacometti è stato un vero precursore dei nostri tempi o, forse è l’anima degli uomini a non avere età, scavalcando qualunque scansione temporale e presentandosi così, nuda e inerme di fronte all’artista dell’inconscio.

Un artista che è anche anti-classico, laddove l’arte greca celebra la perfezione e l’armonia del corpo. O forse, paradossalmente, uno scultore, Giacometti, quanto mai classico, dato che la sua arte rappresenta la dimensione ideale dell’epoca moderna, con tutto il nichilismo, la miseria morale e i disastri che si porta dietro.

La sua arte lascia impressionati (nel bene o nel male?): figure filiformi vicinissime ad antichi idoli, ma anche a creature aliene, fatte solo di neri e grigi, personaggi smilzi e allampanati.

Giacometti, dal Surrealismo all’Esistenzialismo

Un artista che è passato dal surrealismo all’esistenzialismo in maniera naturale, familiarizzando con Jean-Paul Sartre, nel cui pessimismo ha individuato la sua filosofia d’elezione.

Dalle mani di Giacometti (già pittore e disegnatore) escono tracce di umanità, relitti di esistenze, più infra-umane, che umane. La carne è idea lontana dalla concezione dell’autore, prossimo a una sensibilità scheletricamente essenziale, fatta di precarietà (idea pericolosamente contemporanea), fragilità, attesa disattesa.

Eppure l’opera di Giacometti non fa pensare alla morte. Piuttosto all’oltremorte, a dopo l’Apocalisse. O, al contrario, a una condizione limbale pre-biologica, pre-linfatica. Gli individui dell’artista svizzero mostrano sì sofferenza, ma non consapevole, distante e lontana, priva d’espressione per chi le osserva, anche a lungo, senza coglierne l’interiorità. Perché esse stesse sono già interiorità, sono ciò che rimane dopo un accurato processo di spoliazione dell’involucro, l’involucro dell’uomo, una privazione dell’esteriorità. Le individualità di Giacometti sono piuttosto archetipi, hanno qualcosa di sacro, forse di venerabile. Non si può amarle né disprezzarle. Stanno lì, impalpabili.

L’arte di Giacometti sembra essere l’incarnazione (termine decisamente fuori luogo, piuttosto la destrutturazione, la scarnificazione) del nostro inconscio più atro, delle paure e delle angosce che la nostra mente accantona nei suoi recessi per necessità di sopravvivenza, ma che da un momento all’altro possono riemergere mettendoci di fronte a noi stessi e a una realtà reale e non plastificata.

 

Martina Vecchi

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