La Traviata e l’haut couture all’Opera: quando Violetta indossa Valentino

Riflessioni sparse attorno al capolavoro verdiano presentato all'Opera di Roma con la regia di Sofia Coppola e i costumi disegnati dalla Maison Valentino

La Traviata  e  l’haut couture all’Opera: quando Violetta indossa Valentino

Chi era  Violetta Valery  la protagonista de La Traviata? La storia è chiara al riguardo dal momento che Alphonsine Plessis, Marie DuPlessis, Marguerite Gautier, Violetta Valery sono tutte riconducibili alla medesima figura verdiana, trovando in Alphonsine Plessis la gemmazione omologa originaria. La conferma viene anche da Alexandre Dumas fils: “La personne qui m’a servi de modèle pour l’héroïne de La Dame aux Camélias se nommait Alphonsine Plessis, dont elle avait composé le nom plus euphonique et plus relevé de Marie Duplessis”.
Non ancora ventenne Alphonsine Plessis era divenuta quindi Marie DuPlessis ed era la più celebre, ricercata e apprezzata mantenuta dell’epoca. Alphonsine animava  i salotti della Parigi dell’alta società  ma quanto pare non solo quelli, data la professione da lei esercitata riconducibile  alla più antica al mondo o “d’une femme entretenue”.
Come scriverà l’autore de La dame aux cameliàs nel celebre romanzo,  Marguerite Gautier  aveva saputo creare anche un salotto frequentato da intellettuali, similmente Marie DuPlessis sovrintendeva un entourage frequentato da scrittori quali Théophile Gautier, politici e musicisti. Pare infatti che lo stesso Liszt invaghitosi della belle courtisane avrebbe chiesto di convivere con lei, altrimenti non si spiega come mai anziché una sola settimana di permanenza prevista per lui a Parigi avesse fatto lievitarne fino a dodici, il soggiorno francese.

In che modo questo era possibile? Si dice che nessuno, vedendola, fosse sfiorato dall’idea di trovarsi di fronte a una cortigiana: Alfonsine era spiritosa, brillante, colta  e questo per auto formazione, intelligente e grande ballerina di valzer per di più, quale lei era stata. Nel descriverla Dumas fils dirà di lei che era:« grande, très mince, noire de cheveux, rose et blanche de visage, elle avait la tête petite, de longs yeux d’émail comme une Japonaise, mais vifs et fins, les lèvres du rouge des cerises, les plus belles dents du monde ».

LadyoftheCamellias

5545_121001446206La “vera” Alphonsine Plessis era  morta di tisi nel 1847, ma alla stregua di Maria Stuarda anche per lei la sua fine sarà il suo inizio, avendo Alphonsine le caratteristiche eminenti di una giovane eroina romantica,  tragica, la malattia à la mode e la sua prematura dipartita non potevano che avviarla verso l’immortalità, l’arte ha fatto tutto il resto.
Sulla sua morte Charles Dickens allora a Parigi scrisse:“One could have believed that Marie was Jeanne d’Arc or some other national heroine, so profound was the general sadness.”  Il già citato romanzo pubblicato da  Alexandre Dumas fils,  solo un anno dopo la sua dipartita e di una pièce teatrale poi, saranno i preamboli all’opera verdiana. Dumas fils era stato inoltre, al pari di tanti altri, l’amante di Alphonsine, ma solo per il breve periodo che si era potuto permettere di mantenerla: la futura Signora dalle Camelie nella realtà era comunque piuttosto costosa, si quantificavano per lei spese di 100.000 franchi di allora, all’anno.
L’epoca in cui la nostra “eroina” si  muove vede una pletora di giovani colleghe  ripercorrere analoghi passi, sebbene non tutte per così dire “passarono alla storia”, passarono e basta divise com’erano in due opposte e mai belligeranti fazioni: le lorettes, da un parte e le grisettes dall’altra. Accomunate da un destino analogo,  solo  la fortuna, si può dire, parteggiasse per una delle due fazioni: le lorettes erano le più avvantaggiate, il nome lo presero dal quartiere di moda allora che dalla stazione di Saint Lazare a Rue de Bréda tra l’Opéra e la Madeleine, nel IX arrondissement in cui loro abitavano e dove si potevano sentire le campane di Notre Dame des Lorette. Sulle lorettes  Baudelaire ne “Quelques caricaturistes français” (1857) scriverà: “La Lorette est une personne libre. Elle va et elle vient. Elle tient maison ouverte. Elle n’a pas de maître; elle fréquente les artistes et les journalistes“. Alfonsine-Marie nel suo salotto aveva ospitato, fra i vari, anche Nestor Roqueplan  allora caporedattore de Le Figaro, suo infatti fu  il merito di aver coniato il neologismo di “lorette”  con un’ironia tutta francese, per definire con eleganza quello che i più non volevano nominare.
Diversa la situazione delle grisettes, pur celebrate anch’esse sia dalla letteratura che della musica, così denominate dal nome della stoffa di poco prezzo e spesso del colore grise/grigio evocato, queste ultime lavoravano come sartine o operaie, talvolta convivevano con studenti e artisti, dai quali pare accettassero doni, da lì il labile confine e la nomea ambigua poi.
Di loro Paul de Coch  ne  “La Première Amie” (1842) scriverà: “est à la fois si folle, si gaie, si vive, si légère, si tendre, si romanesque, si mélancolique, si passionnée; cette femme…qui dépense en une soirée le fruit de huit jours de travail. Cette femme, mélange bizarre de vertus, de vices, de sensibilité, de caprices, de malices, d’inconséquences, de rires et de larmes“.
Insomma non è un caso che questi siano anche gli anni d’oro letterari che hanno favorito una produzione di romanzi quali Nana,  Splendeurs et misères des courtisanes Les Mystères de Paris, accanto ad altri declinati su identico tema, poiché finita l’epoca delle grandi cortigiane o favorite, di periodo ancien regime con l’avvento dei nuovi ricchi, si avvia una forma di democratizzazione: la lorette diviene quindi alla portata di “molti”,  mantenerne una era considerato una sorta di  status symbol per i nuovi ricchi dell’epoca, neanche si fosse trattato di un livellatore sociale essendo queste donne condivise con duchi e conti. Una strana forma revanscista della borghesia sulla nobiltà, disputata tra le coltri  della camera da letto.

Ancora piuttosto giovane, dopo un’infanzia povera e diverse peripezie, Alphonsine  era giunta a Parigi e grazie alla sua intelligenza vivace  imparerà a leggere, a scrivere come si conviene, lei che ancora tredicenne incespicava  maldestramente in entrambe le abilità,  oltre che giungere a padroneggiare discretamente la tastiera del pianoforte. Il fascino e lo stile naturale uniti a un aspetto fuori dall’ordinario,   le apriranno tutte le porte che contavano, ma poi vedremo come quelle stesse porte le si chiuderanno lasciando per lei,  sempre qualche spiraglio aperto.
Appena sedicenne Alfonsine era la cortigiana più onerosa e pagata di Parigi quando Luigi Filippo era re. Il denaro meglio se tanto era un elemento dal quale non avrebbe più potuto  fare a meno, l’unico in grado di garantirle quell’alto livello di vita, il riscatto evidente dalla sua infanzia poverissima che solo nel lusso più sfacciato avrebbe trovato un vago riscatto.
Costi quel che  costi, lusso e ogni tipo di comforts  sono gli unici amanti ai quali sarà fedele infatti scialacquava e donava denaro a piene mani, tanto a lei e ad altre come lei, non  costava troppa fatica procurarselo. Questo senso di prodigalità  l’accomunava a tante altre traviate come lei, inoltre pare adorasse il gioco d’azzardo, forse il tavolo verde con i suoi rovesci o colpi improvvisi di fortuna, era la similitudine più speculare alla sua esistenza.

ob_3d0ead_marie-duplessis-jean-charles-olivier-e

Perché poi la chiameranno “la signora delle camelie”? Dopo vent’anni dalla stesura del romanzo lo stesso Dumas  dirà che si sia trattato “de pure invention” vero è che Alphonsine soffriva di tisi, le camelie erano fiori a quell’epoca costosissimi e ancora rari, una ragione di più questa per amarli, le camelie hanno quella spavalda eleganza che un fiore bello e un po’ vistoso può concedersi, ma al tempo stesso l’assenza pressoché totale di profumo lo rendeva tollerabile a chi soffriva di tale morbo. Certamente una trovata letteraria d’effetto, quella di attribuirle un mazzo di camelie bianche per informare gli amanti della sua disponibilità e al contrario per quei cinque giorni nei quali non lo era un mazzo di camelie rosse a redarguire i facoltosi clienti. E’ comunque vero che un numero notevole di ricevute di pagamento del fioraio vennero trovate proprio nei giorni seguenti la sua morte, allorché per sanare lo sconsiderato bilancio, i suoi beni vennero messi all’asta. Si auspicava di giungere alla cifra di 17.000 franchi ma il ricavato superò di parecchio le aspettative, surclassando  gli oltre 90.000 franchi.  Addirittura si vendette il suo parrocchetto. Lo scrittore E. Sue, di cui Alfonsine era stata una fedele lettrice, si beava di averne comprato il messale. Dumas acquistò invece una copia di Manon Lescaut con su le annotazioni della stessa Alphonsine.

Verdi e la  sua Traviata: un binomio sempre vincente? “A Venezia faccio la Dame aux camélias, che avrà per titolo, forse, Traviata. Un soggetto dell’epoca. Un altro forse non l’avrebbe fatto. Pei costumi, pei tempi e per altri mille altri goffi scrupoli, io lo faccio con tutto il piacere”.
Curiosamente Verdi stesso aveva rasentato di incontrare la giovane donna, quando Alphonsine/Marie DuPlessis  ancor viva era già leggenda. La letteratura, la musica soprattutto, i tanti testimoni a lei contemporanei o chi l’avesse incontrata,  la cantante Giuseppina Strepponi (la seconda Signora Verdi) fra questi,  faranno il resto.  A renderla però immortale è stata la musica che ne  La Traviata   rivela in parte la “sua” storia, come di seguito si vedrà.
Che Traviata sia un capolavoro è superfluo dirlo ma  è anche l’opera più rappresentata al mondo. L’opera più italiana che un autore nato in fondo francese abbia potuto scrivere, perché sì quando Verdi nacque non lontano da Parma, alle Roncole una frazione di Busseto nell’ottobre 1813 “un enfant  (…) né le jour 10 du courant, à 8 heures du soir” così recita il suo atto di nascita,  Parma era sotto il dominio dei cugini d’oltralpe, ma il futuro compositore  non sarebbe restato francese a lungo dato che  già nel 1815 Busseto diverrà parte del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla quando era l’austriaca Maria Luigia, l’amata granduchessa, a regnare su quelle terre. Divenuto italiano per davvero nel 1863 Giuseppe Verdi era già l’autore di questa fortunatissima partitura uscita un decennio prima, pochi anni dopo che  Alphonsine-Marie era venuta a mancare.
Verdi si era ispirato al romanzo utilizzandone alcune parti quali il setting parigino, un padre poco indulgente (Germont père) che vuole allontanare il figlio (Alfredo) da una cortigiana, la morte prematura a causa della tisi della protagonista.

traviaIl 6 marzo 1853  La Traviata debuttò alla Fenice di Venezia ma l’accoglienza non fu delle migliori, al punto che il compositore rimaneggerà in seguito delle parti della stesura, per renderla più veicolabile anche se non saranno solo o tanto gli accorgimenti musicali a riabilitare l’opera. La censura fin troppo attenta aveva preteso che l’autore spostasse i fatti al secolo precedente, sarà solo più avanti che gli allestimenti riproporranno un’ambientazione ottocentesca e quindi coeva al periodo in cui avvennero i fatti.
Verdi sapeva di avere di fronte a sé un muro di perbenismo ma nonostante  la fredda se non ostile accoglienza iniziale quello stesso pubblico avrebbe mutato atteggiamento di lì a poco. Verdi riuscirà a ingraziarsi  quel pubblico “sempre teso a cercare in argomenti inusuali un confine alla propria moralità” sebbene l’esito inizialmente non così trionfale, ma né totalmente disastroso andrebbe imputato piuttosto ai cantanti che alla prima non furono all’altezza del ruolo. Si applaudì durante il primo atto ma si rise in corso d’opera soprattutto perché la protagonista non esibiva certo le physique du rôle richiesto, risultando troppo abbondante e poco credibile per calarsi nel ruolo di una tisica moribonda, una stilettata questa al tanto osannato realismo di Verdi: “La traviata, ieri sera, fiasco. La colpa è mia o dei cantanti? Il tempo giudicherà”, scrisse il compositore il giorno dopo.

Come era arrivato poi Verdi a cambiare il nome della protagonista del romanzo da Marguerite in Violetta? Nel libro “Dialogo delle Cortigiane” di Luciano di Samosata precisamente nel XIII libro abbiamo lo stesso nome “Violetta” tradotto dal greco. Dopo  gli accorgimenti del caso e le varianti apportate, l’opera Traviata conoscerà una popolarità assoluta che dura ancora adesso.
La cortigiana più celebre all’epoca, Marie DuPlessis era stata forse il primo fenomeno mediatico, pur senza che vi fossero di lei foto, ben prima dell’invenzione di Daguerre, delle copertine delle riviste e a quanto raccontano non avrebbe avuto certo bisogno di ricorrere a Photoshop essendo di per sé bellissima, forse le poche immagini e le tante voci su di lei aumentarono la curiosità lasciando quel cono d’ombra utile a ricarmaci su qualsivoglia fantasia.  Cortigiana sì, femme fatale no, troppo giovane forse. Eternamente abbandonata dai suoi abbienti e nobili amanti, muore quasi da sola, un destino che trova conferma nella scrittura di Dumas figlio e che grazie anche a quella scrittura consegna l’ombra della sua esistenza alla posterità. Muore Alfonsine ma nascono Marguerite Gautier e Violetta Valery.  Dalle ceneri della “traviata” fanciulla normanna, nascerà una nuova fenice e proprio al Teatro Fenice di Venezia era avvenuto il debutto dell’opera di Verdi.

Ma come si arriva a parlare dell’edizione romana 2016 di Traviata? Per varie ragioni non siamo purtroppo ancora riusciti a vedere l’opera di cui  tanto si è parlato riguardo le scelte di regia affidata a Sofia Coppola, per la prima volta alle prese con un copione d’opera e soprattutto la produzione di Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, i cui costumi sono stati disegnati nientedimeno che dallo stesso Valentino. Lo stilista è stato coadiuvato da  Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, una produzione questa in cui l’occhio parrebbe prevaricare addirittura sull’orecchio.  
Moda e cultura si sono in tale contesto strette in un binomio imprescindibile. Nonostante la grande Coco Chanel sia chiara al riguardo  e sostenga che  “Il faut parler de la mode avec enthousiasme, sans démence; et surtout sans poésie, sans littérature. Une robe n’est ni une tragédie, ni un tableau; c’est une charmante et éphémère création, non pas une oeuvre d’art éternelle”,  nello specifico all’Opera di Roma, abbiamo la presenza di un grande couturier  che mette a disposizione dell’arte il suo osannato talento che gli ha consentito di entrare a far parte della storia sia della moda che del costume.
Moda e cultura allora possono stare insieme e sanno starci molto bene, con buona pace di  Mademoiselle  per la quale più praticamente “La mode doit mourir et mourir vite, afin que le commerce puisse vivre “ e dunque potremmo parafrasare  Alphonsine doit mourire et mourire vite, afin que Violetta puisse vivre.  
La cultura ha quindi bisogno della moda? In parte sì poiché  la moda assorbe anche la cultura. Alphonsine non disdegnava il lusso, era stata una giovane donna alla moda, ma era anche colta, si interessava al teatro, riceveva giornalisti, scrittori, artisti ed era in grado di affrontare una conversazione su qualsiasi argomento, questa messinscena di Traviata, all’insegna dell’haute couture,  le sarebbe certamente piaciuta.

 CAST

Violetta Valery Francesca Dotto /Maria Grazia Schiavo 25, 27, 29 maggio; 1, 4, 21, 25, 30 giugno
Alfredo Germont Antonio Poli /Arturo Chacón-Cruz 25, 27, 29 maggio; 1, 21, 25, 30 giugno/ Matteo Desole 4 e 23 giugno

INFO
Teatro dell’Opera di Roma Piazza Beniamino Gigli, 7 – ROMA

BIGLIETTERIA
Piazza Beniamino Gigli, 1 – 00184 Roma
Tel. 06 48160255 – 06 4817003 – Fax 06 4881755
ufficio.biglietteria@operaroma.it

DATE
da sabato 21 maggio, ore 18 ANTEPRIMA GIOVANI (minori di 26 anni)  a giovedì 30 giugno, ore 20 (clicca qui)

Daniela Ferro

Leave a Reply

Your email address will not be published.