Marcello Michelotti e i Neon: l’onda lunga della new wave italiana [INTERVISTA]

In occasione della data romana del tour dei Neon di venerdì 1 aprile, riproponiamo l'intervista a Marcello Michelotti, voce e leader del gruppo

Marcello Michelotti e i Neon: l’onda lunga della new wave italiana [INTERVISTA]

In occasione della data romana del tour dei Neon di Venerdì 1 Aprile 2016 allo Zoobar di Roma (IT) / MetaMorfosi Alternative Club, riproponiamo l’intervista a Marcello Michelotti, voce e leader del gruppo.

di  Daniela Ferro Daniela Cisi

Incontriamo Marcello Michelotti, leader e voce dei Neon, nel backstage del Condor Club di Modena, un piccolo Club del capoluogo emiliano noto per la sua intensa attività di aggregazione culturale, per i suoi live e per le sue serate a tema dark-wave / new wave fin dai lontani anni 80 (per la recensione del live dei Neon e della serata cliccare qui).

Il concerto dei Neon – storico gruppo del panorama electro-wave fiorentino rientrato in scena nel 2008 dopo quasi 20 anni di assenza dalle scene – è prevista di li a poco, preceduta da quella di due gruppi locali che sono appena saliti sul palco e di cui sentiamo attutirsi i suoni dei sintetizzatori mentre ci addentriamo lungo i corridoi che portano al backstage.

Avevamo immaginato un’atmosfera elettrica e frenetica, poco adatta a un’intervista, invece troviamo Marcello che ci accoglie con la massima calma in un angolo con divanetti e ci rendiamo improvvisamente conto che forse questo è proprio il posto migliore per fare due chiacchiere informali: un ambiente dall’illuminazione soffusa, un po’ artificiale, in cui si respira una sorta di elettricità statica e in cui risuonano in sottofondo, in forma ovattata, i suoni e le vibrazioni della performance in corso.

Uno spazio sospeso, irreale, in cui l’energia si raccoglie brevemente prima di esplodere altrove. Non ci sorprendono perciò i toni bassi e profondi con cui Marcello inizia a parlarci.

Ecco la nostra conversazione.

Intanto ti chiederei, avete fatto quello che altri non hanno fatto in tanti sensi… dal punto di vista artistico e così via: avete avuto un exploit interessantissimo per un decennio, in cui eravate molto attivi anche solo dal punto di vista concerti etc
Siete una band che sostanzialmente si è anche molto trasformata, ha avuto vari cambiamenti al suo interno anche a livello di componenti. Poi? Cosa è successo a un certo punto? Sembra che il discorso si sia interrotto.
Eravate anche diventati interessanti dal punto di vista letterario, c’è uno dei massimi esponenti del postmoderno italiano per eccellenza che è stato Pier Vittorio Tondelli che ha scritto di voi in un suo testo…

Ha detto siete dei magnifici dilettanti, non dimentichiamoci questo…(puntualizza) ma è un complimento

Certo, dilettanti nel senso di chi fa cose per diletto, che sono piaciute anche a un’élite culturale, i numeri non sono sempre così importanti.
Poi cosa è successo? Si è rotto qualcosa, si è interrotto qualcosa proprio a livello di cultura, insomma… voglio sapere, cosa avete fatto in questi anni, ecco, in poche parole

Bè, a livello personale Neon è sempre stato un crocevia di persone… io preferisco parlare di Neon a livello di “ensamble”, di gruppo, non solo per quella che è l’attitudine musicale o il concerto, più che altro l’idea di un gruppo che fa qualcosa.

Questo gruppo non necessariamente deve essere unico e formato dalle solite persone, quindi… è un gruppo anche estremamente variegato che probabilmente insieme ha delle cose da dire in certi momenti… poi cambia qualcosa e le cose da dire…

Si riducono?

Mah… non necessariamente.

Il periodo del fine 89 è stato anche per certi versi un periodo di passaggio, era praticamente un’epoca, più che al declino, abbastanza satura di proposte, o di spontaneità forse, nel fare certe cose.
Per cui era naturale anche una certa perdita di interesse per quello che stavi facendo… specialmente se ti riconosci in quello che fai, (cioè, ndr) non in quello che stai facendo perché piace ma per quello (che è, ndr), perché è una cosa che fai perché ha un senso vedere cosa succede più che per vedere cosa ti dicono gli altri.
Per cui da quel periodo c’è stata una personalizzazione – se la vogliamo dire così – di quello che facevamo.
Tutti abbiamo continuato a suonare, probabilmente anche facendo cose che nell’insieme avrebbero prodotto dei risultati notevoli – se consideri notevole quello che è stato il prodotto Neon fino a quel periodo.
Però non essendoci più l’unione – vogliamo chiamarla “di tendenza”? – di fare certe cose ognuno ha proseguito la sua strada dando delle priorità a se stesso più che (al gruppo ndr).
Poi chiaramente quando finiscono certi cicli o certi periodi c’è anche il momento di staccare un po’, ognuno con i suoi problemi.

Però questo ritorno cosa significa: facciamo un passo indietro per poi guardare avanti oppure…?

Non necessariamente. Noi siamo un gruppo che organizzativamente non ha mai programmato più di tanto, malgrado quello che potesse sembrare.
Ormai sono diversi anni che ci siamo rimessi assieme. In realtà alcuni di noi non si erano nemmeno persi di vista, anche per questioni proprio di amicizia. E’ stato così… ci siamo rimessi a suonare più che altro facendo (quel)le cose che facevamo una volta.
Perché poi, ad esempio con lui, Nardo, il chitarrista (ndr: Nardo ci passa a fianco per recuperare alcuni materiali di scena), abbiamo continuato a fare delle cose tra di noi, e ci siamo trovati a fare… a riprovare a fare i pezzi vecchi.
Non tanto con l’idea di verificare (qualcosa ndr)… tanto per ritrovare il piacere nel fare certe cose. Ed è l’unica finalità che abbiamo portato avanti.
Non vuol essere una rivincita o una rivalsa di niente. Ci siamo trovati a fare queste cose, ci piacevano.
Io a dire la verità ero il più riluttante. Ma finché ci divertiamo quel minimo che l’età ci permette, non c’è una situazione che ci può far dire di no insomma.

Un piacere di suonare per se stessi che arriva anche al pubblico quindi…

Si, perché è anche chiaro, penso, che in ogni persona che fa musica o una forma di espressione c’è anche una forma di narcisismo o di esibizionismo… è chiaro che anche se lo fai in una cantina la tendenza è sempre quella di dire vabbè, usciamo… andiamo… non però con una situazione di sfida… cioè, suoniamo se c’è qualcuno che sente… meglio ancora se c’è qualcuno a cui piacciono queste cose, indipendentemente dall’età anagrafica delle persone o anche dei pezzi.
E’ un piacere.

E questo per quanto riguarda il fare la musica. E invece per quanto riguarda l’ascolto della musica, ci sono delle tendenze che vi incuriosiscono adesso? C’è di tutto e di più però bisogna andare a cercare… da una parte c’è un’industria che preme perché ha i suoi prodotti da spingere, poi però è anche un’epoca che consuma tutto molto velocemente

Si, l’interesse c’è per qualsiasi forma musicale, io ascolto di tutto, come ho sempre ascoltato di tutto, perché in realtà anche fin dalle origini non è che musicalmente io sia sempre stato monolitico.
Monolitico forse per quello che riguarda le cose che devo fare o che devo proporre.
Però a livello di piacere di ascoltare tante cose sono sempre stato molto vario.
E anche oggi più che avere un genere o uno stile particolare, mi piace un po’ di tutto. Chiaramente non come genere, ma perché ci sono degli elementi o delle cose di qualsiasi tipo di musica che mi piacciono.
Se dovessi ascoltare sempre un certo tipo di musica, di cui mi piace un pezzo o un artista, non ce la farei.
Non ho delle preclusioni particolari verso nessun tipo di cosa.
Mi piace tutto quello che mi stimola.
E lo stimolo non necessariamente deve essere una fonte di ispirazione.
Se una cosa mi piace, mi piace indipendentemente da che tipo di musica è, o che genere o chi la fa.
Chiaramente poi magari è un interesse limitato a quel momento.
Può anche non capitarmi di riascoltarlo o non provare l’interesse di riascoltarlo (…) però (mi stimola ndr) qualsiasi cosa che ascolto sia dalla radio che da internet che da qualsiasi forma di proposta musicale.

Fino a che punto conta l’estetica, la bellezza… possiamo poi discutere su quale tipo di bellezza, ma se dico bellezza intendo qualcosa a cui riconosco anche un valore

L’estetica secondo me come tutte le forme di espressione è non dico fondamentale però è importante. Chiaramente non l’estetica fine a se stessa.

Sennò si tratta di decoro…

Esatto. Vai su un’altra forma o modo di vedere, di visualizzazione delle cose.
Il rock come anche la musica leggera è anche estetica, è per forza un modo di porsi e di proporsi che non è solo musicale.
Quindi l’estetica è legata anche a qualunque forma di espressione musicale secondo me.
E’ importante. In alcune cose o in alcuni personaggi influisce anche tangibilmente su quello che è il prodotto. Però se c’è qualcosa sotto, l’estetica non deve coprire …

Deve amplificare in un certo senso una qualità.

Certo.

Ecco sono partita da questo perché guardavamo le vostre copertine e la loro grafica che è molto interessante e raffinata, c’e molta eleganza… volevo sapere: sono casuali quelle scelte? Oppure c’è un’ispirazione dietro? Ci sono dei richiami a 4AD ci sembra (ndr: etichetta indipendente britannica molto attiva negli anni 80 in ambito new wave e post punk, con cui uscirono i primi Cocteau Twins, Dead Can Dance, This Mortal Coil)
Esatto, eravamo curiose di sapere se c’è una ricerca dietro, se è casuale, se è una scelta dell’etichetta, se c’è anche una scelta vostra…

No, l’etichetta non ha mai avuto in nessun tipo di prodotto nostro nessuna influenza.

Ecco infatti, anche perché “etichetta” nel vostro caso è un po’ riduttivo, abbiamo visto che c’è stato un certo tourbillon di etichette nel vostro caso.

Si, noi abbiamo sempre fin dall’inizio cercato di curare ogni forma produttiva, del prodotto sia musicale che visivo che anche grafico.
Chiaramente bisognava anche un po’ rapportarsi a quelle che erano le tendenze tecniche e grafiche di quei periodi.
Le cover della 4AD come di certi prodotti erano bene o male tutti prodotti che dovevano adattarsi ad un certo tipo di tecnica grafica proprio per mancanza… perché non esistevano i programmi per computer per fare certe cose, per rendere certe immagini.
Ad esempio c’era una forma di arte grafica che era quella di combinare elementi diversi con richiami al neoclassicismo per quello che riguarda l’immagine.
L’uso molto del bianco e nero abbinato a poche macchie di colore che magari erano realizzate con un tipo di tecnica diversa da quella (di base n.d.r)
Anche dei patchwork di lavoro.
Porto ad esempio la differenza che c‘è tra la copertina di “My Blues is you” e la copertina di “Dark Age”.
Che sono (fatte con, ndr) i trasferibili, con linee dritte perché per fare le linee curve bisognava essere abbastanza bravi.
Un uso della fotografia che privilegiava più l’impatto che la tecnica della fotografia perché per ritoccare una fotografia 25 anni fa ci voleva un certo tipo di macchinario o un certo tipo di perfezione …che adesso magari con Photoshop crei combini assembli molto più facilmente.
Li era più un lavoro fatto a mano.
Vedi la copertina di Rituals che è fatta di 5-6 elementi diversi combinati a strati ma manualmente… montati anche, manualmente.
Era un modo per partecipare alla parte grafica come parte integrante di un progetto che non era solamente la musica in se stessa ma il presentarla in un certo modo.
Chiaramente non (lo facevamo, ndr) solamente noi.
Era un po’ la tendenza delle autogestioni degli anni 80.
Noi parliamo della 4Ad ma la 4AD non era un colosso, era un buchetto di 20 metri quadri dove lavoravano dei ragazzi che si occupavano della parte grafica, un ragazzo che si occupava della parte tecnica… si parla sempre di autogestione proporzionata al periodo.

(n.d.r. La computer grafica appare nel 1990, prima di quell’epoca – come ci racconta Marcello – per realizzare una grafica minimamente elaborata si utilizzavano tecniche miste basate su collage di materiali vari, principalmente fotocopie e trasferibili, montati a più riprese su fondi litografici, con dispendio di tempo e costi non indifferenti. Modelli di riferimento: oltre la 4AD, le cover della Factory Records, altra etichetta indipendente UK produttrice dei Joy Division. Per questo anche dal punto di vista grafico-artistico i Neon furono estremamente avanguardistici e sperimentali)

Poi però avete una copertina che è diversissima da tutte le altre, che ha un’immagine liberty che è quella di “The Ghost Dance”

 Si quella non l’abbiamo fatta noi

Perché…

Perché la Lacerba che è l’etichetta con cui fu fatto questo 45 giri a metà, era proprietà di un amico che curava completamente tutto, era un progetto grafico più che un progetto discografico, il disco fa parte della confezione delle etichette discografiche Lacerba che ha fatto due tre cose con quello stile estremamente preciso.
Sul quale fortunatamente – anche perché la copertina è molto bella – non siamo intervenuti.
Abbiamo dato un pezzo, un pezzo lo hanno dato i Schleimer K. (NDR.: gruppo post-punk UK attivo dal 1981 al 1983)
Però per quello che riguarda tutta la grafica quella è opera dell’etichetta stessa.
Che appunto non è un’etichetta ma è un ragazzo che aveva intenzione di confezionare un prodotto grafico, una fanzine parlante.
Infatti non è uscita con l’etichetta del periodo che avevamo noi, che era la Kindergarten.

Una domanda che ci incuriosisce molto. Il nome, Neon, da che cosa deriva?

Sul nome ti devo dire la verità ci sono varie versioni e non ricordo qual è quella giusta (ride)

Ma è un’idea che arrivava da altri o è uscita dall’interno del gruppo?

No, ma… il nome lo portò una volta Stefano, che purtroppo non c’è più.   Stefano Gasparinetti Fuochi, che era il fondatore assieme a me.
E mi sembra scegliemmo quel nome.
Noi ci ispiravamo… eravamo proprio pazzi di testa per la musica degli anni 70 non tanto dei cosmici tedeschi quanto dei tedeschi più urban… i Faust

Non soltanto Kraftwerk quindi che sono quelli che vengono sempre citati

No, no molto i Faust…
I Kraftwerk ci piacevano perché erano molto meccanici nella loro ricerca, però ci piacevano i Faust perché erano molto più cerebrali e ci piacevano i Neu! perché erano più immediati, finché non si perdevano troppo sulle schitarrate.
Tutta quella che era musica fatta con i sintetizzatori che era sì fredda però si riusciva a sentire la mano che la accendeva in qualche modo.
Appunto per quello Neon, che era si luce fredda però che illuminava.

Ecco, grazie per avercelo chiarito, perché raccogliere materiale su di voi non è così semplice, anche perché avete un rapporto con i media – diciamo che non li amate tanto.
Devo dire che ci siamo tutti stupiti quando abbiamo saputo che quattro chiacchiere le avreste fatte. Sono rimasta quasi sorpresa che abbiate accettato.
Capisco anche che i giornalisti siano molto noiosi, sempre con le stesse domande…

In parte è vero ma siamo anche noi che diamo sempre le stesse risposte.

Mah… come diceva Oscar Wilde “agli esami gli sciocchi fanno domande a cui i saggi non san rispondere”. A volte io credo succeda questo.

E’ che probabilmente c’è anche da fare una diversificazione fra quello che si intende per artista e quello che si intende per stampa.
Il parlare con le persone è sempre stata una cosa su cui io personalmente sono sempre stato disponibile.
Il parlare con un critico presuppone già che tu abbia una dialettica sulla quale ti devi confrontare, e possibilmente per come sono io anche contestare.
Per cui se è una chiacchierata dove ognuno mette del suo ossia come voglia di proporre domande o anche voglia di rispondere va bene.
Se dev’essere una cosa molto formale, preferisco che quello che è formale mi dimostri di essere formale, sennò è preferibile una chiacchierata tra persone che hanno voglia di sentire qualcosa e io ho voglia di parlare con queste persone, anche perché fortunatamente – o sfortunatamente – non si parla ne di Rock Star che hanno un programma con agenti che curano le loro relazioni e non si parla neanche di Vip giornalistici che ti propongono interviste per Rolling Stones.
Non è una cosa riduttiva, è una cosa proprio normale.
Se devi parlare è preferibile parlare con una persona con la quale in quel momento hai un certo tipo di rapporto che è anche conoscitivo, più che parlare e sentirti messo sotto esame quando poi il 90% delle volte più che sotto esame la cosa andrebbe invertita.

Concordiamo

E non è presunzione.
E’ che se tu vuoi farmi un’intervista e mi vuoi parlare di cose tecniche prima mi devi dimostrare che tecnicamente sai quello che dici e poi io ti rispondo, sennò parliamo del tempo.

Infatti, diciamo che io sono a metà strada fra (voi) e chi leggerà, faccio un lavoro di mediazione.

E va benissimo, perché la tua mediazione è fatta con la voglia di rapportarsi all’artista.

Si, di parlare alla persona che racconta l’artista e l’arte che propone. Io direi che a questo punto vi potremmo anche lasciar andare. Anche perché voi avete un concerto…

Considera che se vuoi io parlo volentieri.

Ho letto da qualche parte tempo fa che avreste degli inediti nel cassetto, rimarranno nel cassetto?

Si, per ora sì.

Non li volete far respirare, come si fa con un buon toscano rosso? (parlo del vino). No?

No.

Ma è più una questione di interesse personale… cioè ho degli inediti, qualcosa è uscito qualcosa probabilmente uscirà, ma non è una programmazione atta a far uscire qualcosa di diverso da quanto è già stato fatto e detto.
Poi se si vuole approfondire quello che è stato fatto, bisogna farlo con l’ottica di 25-30 anni fa.
Se si vuole approfondire quello che stiamo facendo adesso bisogna farlo con l’ottica di chi ascolta adesso e non di chi ascoltava 25-30 anni fa.
Sono due discorsi completamente diversi.
Non è (il nostro, n.d.r) né un gusto per il revival, né un voler cambiare lo status del tempo.
Queste sono cose che 30 anni fa facevamo, adesso le facciamo, le facciamo così, se ci sono o meno dei riferimenti diretti non sta a me dirlo.
Non sta a me dirlo ne valutarlo.
Ed è roba vecchia, tra parentesi, se poi qualcuno pensa che non è così tanto meglio, pezzi nuovi qui non ce ne sono, quindi…
Noi suoniamo e ci divertiamo.

E questo probabilmente passa più che qualunque altra cosa

Io poi mi domandavo se ha ancora senso etichettare la musica cronologicamente… perché chi esce adesso, tanti gruppi riscrivono la musica di periodi passati, e allora a maggior ragione mi sembra che abbia senso che ci sia la musica degli artisti a cui loro si ispirano… e mi sembra ci sia più spazio adesso forse che non paradossalmente negli anni 80.

Io sono totalmente d’accordo su questo.
Non necessariamente per coprire degli spazi che mancano o per delle valutazioni rispetto a quello che c’è oggi, ma per una questione filologica – vogliamo chiamarla così?
Ci sono delle cose che invecchiano, delle cose che invecchiano meno, e ci sono delle cose che sembrano nuove ma che non sono nuove, però se sembrano nuove quelle che non sono nuove allora vuol dire che sono nuove anche quelle vecchie.

Esatto.
Adesso ad esempio i Modern English stanno facendo un nuovo album pubblicizzandolo tramite Twitter – sono un po’ lontani da voi ma ne parlo perché vedo che nelle recensioni vengono avvicinati ai ragazzi che stanno suonando adesso
(NDR: I Dade City Days sono sul palco e dal backstage si sentono i brani in sottofondo)

 Si, diciamo i primi Modern English, perché i Modern English del periodo americano erano odiosi.

In effetti… che dire, ogni artista ha fatto i suoi esperimenti e siamo andati avanti tra alti e bassi. Lindo Ferretti dei CCCP/CSI ad esempio, dopo l’esperimento PGR, adesso riempie anche lui i Club con le sue vecchie canzoni.
E non credo che tutti quelli che vanno a vederlo siano suoi fan dell’epoca… mi sembra ci sia un bello spazio quindi. Per gruppi come voi che all’epoca venivano riconosciuti come l’avanguardia poi però lo spazio non c’era sempre… e io mi sono sempre domandata perché… era una questione di distribuzione? O era una questione di scelta per cui si fanno più live e si punta su quelli?

No, la scelta è subordinata anche alle possibilità che hai.
E’ chiaro che come dicevi anche tu si parla di nicchie.
Guardiamo il fenomeno della musica anni 80 – anche nel suo punto più emergente, magari la scuola fiorentina per certe cose… – si parla sempre di cose di nicchia e le cose di nicchia si fermano al momento in cui hai saturato l’ambiente in cui tu stai.
Poi chiaro ci sono dei valori che vanno oltre e che si accendono.
Ci sono tante lucine di quell’epoca che chiaramente messe tutte assieme hanno fatto splendere gli anni 80
Queste lucine si sono tutte esaurite, magari c’è stata anche qualche lucina che ha brillato un po’ di più e che magari (brilla, ndr) anche adesso… se vogliamo c’è solo un gruppo che è uscito dagli anni 80 che è riuscito a fare un percorso commerciale fuori di nicchia, i Litfiba… però i Litfiba quando hanno finito di fare quelle cose degli anni 80 …erano già un gruppo che aveva delle idee ben precise su come arrivare e su come andare a un certo tipo di risultato.
Per il resto gli anni 80 sono quelli, facevi poca gente ma perché era quello.. Il mercato non è mai esistito, il mercato delle industrie discografiche non si è mai interessato agli anni 80 perché nel momento in cui se ne è interessato ha cercato di prendere quei gruppi o quegli elementi che secondo loro potevano essere commercialmente validi e… il problema è che se per essere commercialmente validi (gli artisti, ndr) devono non fare quello che fanno, allora pochi sono in grado o sono stati in grado di sopravvivere.

E per questo forse c’è più spazio oggi

In questo ambito ancora di nicchia certo

Perché la nicchia si allarga geograficamente e quindi riesce a rimanere nicchia anche con un pubblico più vasto.

Certo.
E puoi anche applicare questo concetto alla diffusione internet che negli anni 80 non c’era e quindi non ha permesso una diffusione sempre a piccoli passi ma capillare verso tante cose.
Tu negli anni 80 potevi arrivare a fare più concerti, arrivavi a fare un concerto a Milano, a Bologna. Riuscivi ad uscire da un certo tipo di ambito geograficamente ristretto.
Ma l’informazione era quella.
Il disco autogestito aveva 10 punti vendita in tutt’Italia.
I concerti, se eri un po’ più in forma di altri, potevi farne tanti, ma arrivavi a quei posti là.
Tutto l’incedere che abbiamo avuto è stato quello.
Adesso con internet tranquillamente se riesci a sviluppare una piattaforma tua riesci bene o male a fare 100 persone a Firenze ma 100 persone le puoi a fare anche a Berlino.

Contemporaneamente

…l’importante è arrivarci

Molti hanno detto di voi che era stancante e logorante il fatto che puntavate molto sui live, o almeno noi vi abbiamo sempre percepito molto più live che da etichetta discografica. E adesso? Cambia qualcosa? Adesso che vi troviamo dovunque, ad esempio su youtube?

E’ la stessa identica cosa… noi eravamo un gruppo – io direi, tra parentesi – proprio quasi esclusivamente live, perché tutto l’incedere che abbiamo avuto sempre nel picco è stato quello. Adesso con internet è molto più semplice perché posso fare si un concerto per cento persone o anche 200 persone o anche un po’ di più in certi posti però questo concerto lo posso far vedere anche in infiniti altri posti dove magari ci sono sempre altre 50 persone, non ti dico mica migliaia di persone… però 50 che lo vedono a Stoccolma, 50 che lo vedono a Berlino, si sommano gli interessi per una cosa sola, bene o male… ed è meglio

Questo mi porta al mio ultimo punto interrogativo. Voi vi siete trovati meglio in Italia o all’estero? Perché ci sono artisti nostri che vengono meglio valutati fuori… Voi avete fatto tour con John Foxx, con i Simple Minds…

 Killing Jokes…

 Ecco, però in Italia c’è gente che nemmeno lo sa

Si dice sempre meglio all’estero che in Italia, però obiettivamente all’estero c’è una forma mentale diversa

Una preparazione culturale maggiore per quanto riguarda la musica?

Bè, se sei un “carciofo” (ride) lo sei anche all’estero, non è che cambia… però in Italia è vero che noi magari facevamo 3-400 km per andare a suonare in un piccolo posto in Sicilia o in Calabria dove magari questa (cosa, ndr) era organizzata come una festa di piazza.
Lassù non capita perché ci sono dei settori specifici dove puoi fare un certo tipo di musica…
è gestito in modo diverso.

A livello di Festiva, di raduni intendi

Certo, a livello di festival, di tendenza a raggruppare anche quello che può essere il carnet o il budget per fare una manifestazione proporzionale alle proposte che poi devi chiamare.
Non è che vai alla festa della birra in Germania… poi per carità, voglio dire, io ci vado pure volentieri… però se vado a suonare in un festival a Berlino più che magari a Praga o in altri posti è chiaro che vado perché c’è un certo tipo di proposta e un tipo di pubblico che è predisposto maggiormente ad ascoltare quello (che facciamo, ndr), più che magari andare 30 anni fa in Sicilia in un paese sperduto sui monti dove magari ci trovi pure delle persone che hanno sempre voglia di sentire però resta della gente non si è nemmeno posta il problema di ascoltare certe cose.

Soddisfazioni diverse in Italia e all’estero, insomma

Mah, guarda a livello pratico no perché poi in realtà io ho sempre pensato che le soddisfazioni sono quelle che tu riesci ad avere nel momento in cui hai fatto quello che dovevi fare al meglio, per cui il problema è che se qui ci sono venti persone, per dire, contente il problema non è se sono venti, il problema è se sono contente.
E contente, sei tu che devi farle contente.
Se invece di 20 ce ne sono 200 meglio ancora – però la soddisfazione è quella, non è nella quantità di persone ma in quanto sei riuscito a comunicare, in quanto sei riuscito a dare a chi c’è.

E la scelta dell’Inglese?

Si la scelta dell’inglese è che io qualche volta lo dico e poi mi danno dello sciocco ma io non credo a una geografizzazione della musica o di certi tipi di musica. Parto dal presupposto che il Rock per quanto con tante sfaccettature è Rock, non è una forma di musica italiana, il fatto di cantarla in italiano non la rende italiana – la rende tra parentesi “ruffiana”?
Per certi versi. Per altri versi semplicemente la New Wave italiana non è New Wave italiana perché è cantata in italiano, è italiana perché fatta da italiani, ma essendo New Wave non è una forma musicale italiana.
Non è il fatto dell’italiano che la rende valida o non la rende valida.
Il Rock è la stessa cosa, il Rock se lo canti in italiano puoi fare un buon pezzo ma non fai rock italiano. Fai rock, e quindi i parametri di paragone non sono sul fatto che hai un bel testo in italiano ma sul fatto che il pezzo ha una sua valenza.
La New Wave specialmente, essendo già di suo una mescolanza, una forma di shakerare tanti stili, tanti gusti sia tecnicamente che artisticamente, non è italiana.
La New Wave è una forma generale, poi ci sono delle geografizzazioni per cui alcuni la fanno in italiano alcuni la fanno in tedesco alcuni la fanno in inglese però insomma la lingua non è secondo me rilevante

I Pankow cantavano in tedesco pur essendo italiani.

Si, cantavano in tedesco.
Il cantante era madrelingua tedesco però non è che i Pankow per questo fanno New Wave tedesca, non l’hanno mai fatto… hanno fatto anche un disco in italiano.
La New Wave secondo me è un genere che va oltre.
Un gruppo italiano fa New Wave italiana? No.
Per cui probabilmente il fatto dell’estero è anche un po’ un mito.
Pensare che io perché faccio musica in inglese faccio l’internazionale…
E’ che se faccio cose in inglese è chiaro che all’estero vengono capite meglio, apprezzate meglio.

A questo punto vista l’ora, ringraziamo Marcello per la disponibilità e la lunga chiacchierata e raggiungiamo la sala per assistere al concerto.
(Per la recensione del live clicca qui)

Redazione

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