Monet: in mostra le tele private del padre dell’Impressionismo

Monet: in mostra le tele private del padre dell’Impressionismo

ROMA – L’attesissima mostra incentrata sul padre dell’Impressionismo, Monet, è stata finalmente inaugurata; fino all’11 febbraio 2018 il Complesso del Vittoriano ospita circa 60 opere, tutte provenienti dal Musée Marmottan di Parigi: le più care, quelle che l’artista conservava nella sua dimora di Giverny.

Monet

Monet. Capolavori dal Musée Marmottan è una mostra curata da Marianne Mathieu, vice-direttore del museo e responsabile della sezione Monet. Il grande pubblico conosce e ama il pittore impressionista, quello delle ninfee, dei paesaggi evanescenti; della pittura che si sfalda e decompone in segni materici e pennellate di colore che acquista leggibilità e uniformità facendo un passo indietro di fronte all’opera: al Vittoriano questo Monet c’è tutto.

Ma la mostra romana ci permette di ammirare anche i primi lavori del maestro, non particolarmente noti al grande pubblico: ritratti di famigliacaricature. Con esse Monet iniziò ad affacciarsi nel “mercato” e a divenire celebre nella sua città natale, Le Havre: dai ritratti che egli donava ai suoi compagni di collegio fino all’esposizione delle sue caricature presso il cartolaio Gravier in rue de Paris.

MonetIl primo nucleo di opere incontrate, racchiude un senso di intimità e appartenenza al mondo privato di Monet, filo invisibile che percorre l’intera mostra; la famiglia del pittore, allargata, diremmo oggi, era composta da due figli, avuti con la prima moglie Camille, prematuramente scomparsa, e dai sei che la nuova compagna aveva avuto con il precedente marito.
Da Le Havre Monet si trasferì a Parigi per completare la sua formazione per poi stabilirsi con la nuova famiglia a Giverny. L’amore per i figli si evince dal fatto che tra i non molti ritratti che egli realizzò, la maggior parte sono a loro dedicati.

I viaggi che compì si rivelarono sempre di grande stimolo; a Londra la scoperta della pittura di Constable e Turner, orientata verso la ricerca di mutevoli effetti di luce, lo interessò così tanto da farne una delle varianti fondamentali dell’Impressionismo.

MonetLo spostamento ad Arguentil fu purtroppo segnato dalla morte della compagna; ad essa seguì una lenta ripresa del pittore. Siamo nel 1885 e Monet dipinge le coste della Normandia. Il paesaggio non è più solo rappresentazione statica e la materia comincia a diventare più spessa, la pennellata si allunga: il segno pittorico acquisisce un vigore quasi vitale e tende ad esprimere quella forza che appartiene alla natura rappresentata, difficile da imprigionare tramite il linguaggio pittorico.

I giochi di luce riflettono la sensibilità di Monet per gli elementi naturali: essi diventano il soggetto principale delle sue tele;  Il pittore tenta costantemente di riprodurre gli effetti mutevoli e cangianti che la luce crea sulle superfici consapevole che ogni istante catturato è unico e irripetibile, nella sua relazione luce-colore.

Ciò che vede in quell’attimo è inevitabilmente diverso da quello che ha visto l’attivo prima o che vedrà l’istante dopo: è l’effimero del tempo che inevitabilmente scorre e modifica spazio, atmosfere, colori. Da qui il suo progressivo approccio al trattamento di un unico soggetto in “serie”: il risultato è un medesimo soggetto reso in molteplici modi, grazie al cambiamento della luce.

Nel 1883 Monet arriva, insieme all’amico Renoir, sulla costa mediterranea: la riviera ligure con la sua brillantezza di colori incanta l’artista. Questa meraviglia si traduce ne Il castello di Dolceacqua (1884).

Monet
Nelle sue opere scompaiono progressivamente le figure umane; anche laddove sono presenti, vengono riprodotte con quello stesso impasto utilizzato per dipingere la Natura.

Nel 1980 Monet era diventato proprietario di una casa a Giverny; qui allestì il suo primo atelier e iniziò a plasmare il giardino come se fosse un dipinto vivente: diventa il suo soggetto prediletto, quello che dipingerà fino alla morte.

Al suo interno scaverà un bacino e inizierà a coltivare piante acquatiche, che dipingerà costantemente; lo stesso spazio è organizzato come un quadro (o i quadri sono organizzati come il giardino?): lo sfondo è occupato da una vegetazione abbondante che forma uno schermo sul quale si stagliano le chiazze colorate delle ninfee. Esse acquisteranno sempre più importanza, tanto che divenire progressivamente un soggetto a se stante e, addirittura, un’ossessione.

Monet

MonetLe tele in mostra potrebbero essere considerate degli studi preparatori per le importanti composizioni monumentali che si trovano presso il Musée de l’Orangerie.

La longevità di Monet ha come contropartita il verificarsi di molti lutti; le difficoltà e la tristezza di questo periodo si traducono nella serie di tele con i Salici piangenti; Monet ha raggiunto una grande libertà espressiva: l’intera superficie del dipinto è occupata dal singolo albero con la pioggia verticale di colore a suggerire l’ondulazione dei rami fluttuanti.

MonetAnche nella serie dedicata al Ponte Giapponese,  il soggetto, ormai disgregatosi, è quasi indecifrabile sotto l’esplosione di colori che caratterizza questi dipinti, in cui è sempre più evidente la pennellata come unico elemento distinguibile.

Il museo Marmottan di Parigi, ha accolto il lascito del figlio del pittore, Michel Monet. Nel 1966, sono entrati nelle sue collezioni, circa 100 dipinti, gelosamente custoditi dall’autore nella dimora di Giverny. Michel, senza eredi, respinse l’idea di un eventuale lascito allo Stato e decise di lasciare quanto possedeva all’Accademia di Belle Arti. Per ospitare le opere d’arte conservate in parte a Giverny e in parte a Sorel-Moussel, l’Accademia decide di ampliare il museo, nella cui collezione entreranno.

Possiamo concludere con queste importanti parole di  Maupassant, da cui si evince chiaramente la portata innovativa della pittura di Monet:

“Lo scorso anno, in questo paese, ho spesso seguito Claude Monet in cerca di “impressioni”. Non era un pittore, in verità, ma un cacciatore. Andava […] con cinque o sei tele raffiguranti lo stesso motivo, in diverse ore del giorno e con diversi effetti di luce. Egli le riprendeva e le riponeva a turno, secondo i mutamenti del cielo. E il pittore, davanti al suo soggetto, restava in attesa del sole e delle ombre, fissando con poche pennellate il raggio che appariva o la nube che passava… E sprezzante del falso e dell’opportuno, li poggiava sulla tela con velocità”

MonetL’ultima sala della mostra è dedicata ad un interessante progetto promosso (e prodotto) da Sky Arte HD.

Esposta come un normale quadro la ri-materializzazione di una delle celebri Ninfee di Monet; nel 1958 l’opera fu coinvolta, insieme ad altre, nell’incendio che danneggiò il Museum of Modern Art di New York, subendo gravi danni.

Grazie alle più recenti tecnologie e tramite un meticoloso studio digitale dell’opera sopravvissuta ma fortemente lacerata, gli esperti di Factotum Arte hanno ricostruito il modello 3D dell’originale. Per ricostruire le parti distrutte nell’incendio, sono state prese in considerazione opere di Monet simili e appartenenti allo stesso periodo: ciò ha permesso di simulare le caratteristiche della superficie pittorica nell’opera danneggiata, in modo verosimile.

La storia del dipinto e il processo di ri-materializzazione saranno il contenuto di uno dei 7 documentari appartenenti a “Capolavori perduti”, una produzione internazionale diretta da Giovanni Troilo e co-prodotta da Ballandi Arts, in uscita nel 2018. Il progetto ha avuto come apri fila il documentario “Operazione Caravaggio” (2016) in cui sono ripercorse le vicende storiche della “Natività” palermitana di Caravaggio, opera rubata nel 1969 e mai più ritrovata.

Opere rubate, scomparse, tragicamente perdute che tornano ad esistere nella loro materialità, non solo virtualmente. Il discorso è di grande interesse e fascino ma esula dal percorso espositivo e meriterebbe un approfondimento a sé stante.

 

Per maggiori dettagli sulla mostra consultate il sito del Complesso del Vittoriano.

Monet. Capolavori dal Musée Marmottan, Parigi
Complesso del Vittoriano, Ala Brasini.
Dal 19/10/2017 al 11/02/2018

 

Giulia Chellini

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