Nerua. In bocca al peccato con Josean Alija

Nerua. In bocca al peccato con Josean Alija

Ci sono luoghi, nel mondo, in cui io tornerei mille e mille volte. Città speciali, scorci redentori, visioni totalizzanti che riempiono il cuore. Esistono paesaggi che non mi stancano mai, che hanno quel “non so che” di casa e di “mio” che mi fa prendere la macchina o l’aereo per ritornarci. Sono centri che, spesso, hanno all’attivo una rivoluzione strutturale che parte dalla mentalità della gente, si protende all’urbanistica e poi si estende nell’arte e nella cucina. Sono capitali che hanno subito dei cambiamenti e hanno saputo diventare esempi satellite del domani. È quello che è successo a Bilbao. Si, lo so, sono incorreggibile, non so resistere al tanto concentrato di emozioni. Madrina dell’architettura mondiale e dell’arte contemporanea, dimostrazione tangibile che con la volontà si può migliorare, è lei la mia seconda casa. Quest’anno si festeggiano i quindici anni del Museo Guggenheim, per l’occasione al guardiano Puppy è stato cambiato il vestito, sono state attivate moltissime iniziative culturali per attirare i visitatori da tutto il mondo e lo chef del Nerua, Josean Alija, il prossimo 23 Ottobre terrà la conferenza “15 años cocinando en un museo: evolución y divulgación del conocimiento”. Montanari afferma che il cibo è cultura, “è cultura quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova in natura… è cultura quando si prepara, perché una volta acquisiti i prodotti-base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e un’elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche della cucina. Il cibo è cultura quando si consuma, perché l’uomo, sceglie il proprio cibo, con criteri legati, sia alla dimensioni economica e nutrizionale del gesto, sia ai valori simbolici di cui il cibo stesso è investito”. In questo viaggio, verso la città perfetta io partirò dal cibo, in quanto è attraverso i suoi percorsi che si configura come elemento fondamentale dell’identità umana e come uno dei più validi strumenti per comunicarla.

L’Ingresso del Nerua

Ho avuto la fortuna di visitare il ristorante Nerua alla fine dell’estate, in un periodo in cui il vento e il caldo si intrecciavano in un ardente abbraccio e il sole, che baciava la cittadina Basca, rifletteva spettacolarmente sulle lastre di titanio del Museo Guggenheim. Arrivando a passeggio lungo la Ria del Nerviòn e salendo lungo la scalinata di pietra si arriva direttamente all’ingresso. Entro in uno spazio futurista, neutro, pulito in cui la prima immagine è quella della cucina con vista, un’emozione già che toglie il fiato per la sua nudità, spogliata da orpelli inutili, qui l’unica protagonista è la cucina delle radici, dell’essenza e dell’innovazione di Josean Alija (Bilbao, 1978). Sicuramente uno dei 10 chef spagnoli più interessanti del momento, Josean, (Premio al Mejor cocinero Joven nel 2000, Mejor Chef Internacional per Identitá Golose nel 2009, Premio a la Innovación conceptual nel 2010, Prix du Chef de L’Avenir nel 2011, stella Michelin 2011 e 3 soli nella Guida Repsol) è un cuoco brillante e generoso, una mente vivace e  dinamica, un professionista che sa mettere la magia nel piatto creando con personalità e identità e che sa sempre suscitare un effetto sorpresa che lascia spiazzato il commensale (me per prima). Il suo ristorante e le sue creazioni gastronomiche, come lui stesso afferma “sono un riflesso della società: hanno una propria identità sempre in evoluzione per rispondere alle necessità delle persone che cercano novità e desiderano aprire le porte alle nuove esperienze ”. La sua cucina è un metodo di espressione che provoca sentimento e nella quale non manca mai il cariño, elemento intangibile fondamentale per rendere unico ogni assaggio.

Sono completamente rapita dal suo modo di essere, dalla tranquillità che mi trasmette mentre mi racconta della sua città, di quando mi dice che ama vivere a Bilbao per gli scorci che offre tra passato e futuro, rimango allibita nell’udire il suo amore viscerale nell’essere bilbaìno, essere nato qui, in questa città in continua evoluzione, nella città in cui vorrei abitare anch’io. Alija è un raro esempio di cittadino che ama la sua terra, la rispetta, la coccola e le sussurra nell’orecchio, come lo si fa all’amata, che lei e solo lei ancora amerà per sempre, nonostante il suo lavoro lo porti a viaggiare continuamente. La massima espressione di sentimento, Josean, la riversa cucinando e raccontandomi che nei suoi piatti esiste uno stato d’animo potente riconducibile all’amore. Quella passione, ossessione e chiodo fisso che ti fanno creare una pietanza spinti dall’urgenza di esaudire i sogni. È solo gustando i suoi “tomates en salsa, hierbas aromáticas y fondo de alcaparra” che capisco che quello è il suo piatto dell’amore. Erotici, lussuriosi ma anche spirituali e mistici, questi pomodori ripieni sono la massima espressione della sua prova d’amore. Con le mani afferro un pomodorino avidamente, pregustandomi la sensazione di calore che si diffonde tra le dita, lo avvicino alla bocca ne affondo i denti nella pelle scarlatta, ne percepisco il profumo intenso, ne desidero la consistenza, lo osservo un attimo prima che si cali nella cavità orale per poi esplodere in un orgasmo lento e profondo che fa fuoriuscire la salsa interna sporcandomi ovunque. Non è forse questa l’immagine più ingenua di un rapporto sessuale? Non è forse vero che nella storia quello che oggi noi chiamiamo pomodoro, portato dalle Americhe da Colombo, era conosciuto come poma amoris e che gli ungheresi lo battezzarono senza tanti giri di parole, Paradice appfel o mela del Paradiso? Sfacciatamente rosso, (anche se Josean ne usa diversi tipi che donano un tocco arcobaleno) traboccante di succhi allusivi (internamente lo chef mette salsa de tomate rispettivamente con cebollino, citronelle, menta, romero) e dal gusto inebriante, questo piatto è palesemente afrodisiaco (anche se io non credo esistano cibi afrodisiaci bensì esitano gesti afrodisiaci). E che dire delle salse che una a una riempiono il cervello di ricordi prima di deflagrarsi in bocca? I pomodori venivano considerati dai capi morali della chiesa di Roma “cibi deplorevoli” e le salse ancor peggio, definite “un’insidia di Satana” perché celebravano l’atto del mangiare, che in effetti era il primo passo diretto verso il peccato di gola che a sua volta conduceva ad altri vizi capitali, in primis alla lussuria.

Se Alija fosse stato chef ai tempi della scoperta delle Americhe sarebbe sicuramente stato un eretico e io probabilmente bruciata al rogo. Ma giuro che per un gusto cosi penetrante, per la succulenza incredibilmente carnale e per un così alto tasso di passione, avrei rischiato anche la vita bruciando felicemente all’inferno.

Dopo alcune di ore di assaggi mi alzo dalla sedia. Ho provato anche la “Cebolla blanca dulce, fondo de bacalao y pimiento verde”, “Habitas, brotes de berza, caldo de alubia blanca y castañuela de cerdo ibérico” e la “Ostra, espárrago blanco y jugo de puerro” in cui si percepiscono ampiamente gli elementi vegetali, imprescindibili nella filosofia del Nerua.

Sono sazia. Di testa, di anima e di cuore.

Nerua
Avda. Abandoibarra 2.
(bajo el puente de La Salve)
48001 Bilbao
Tel. +34 944000430

 

Blue G.
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One Response to "Nerua. In bocca al peccato con Josean Alija"

  1. paolo   21 Ottobre 2012 at 20:58

    Josean Alija non poteva trovare migliore interprete delle sue creazioni!!!

    Rispondi

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