Ma è proprio vero che la logica binaria, maschio-femmina, non funziona più? Altra domanda: la moda de facto, quella che la gente realmente compra, coincide con la moda di cui parlano i critici o che piace agli extreme fashion designer?
Attraverso un metalogo, ovvero il montaggio di una conversazione sregolata tra alcuni giovani studenti, ho cercato di configurare il gender all’interno di discorsi che mi piace definire “vreali”, fatalmente frammentati, la cui impronta significante ho la fantasia di averla intercettata in situazioni dialogiche eterogenee e che ho, après coup, rimodellato, per dare ad essi la linearità minima necessaria per raggiungere una certa coerenza testuale.
Agosto 2015. In una delle estati più calde di sempre, Minnie, rientrata da una breve vacanza in Grecia, ha accompagnato la sorella Sissy nella piscina di Monteombraro, piccola località nell’Appennino modenese …. Fanno parte della compagnia Johnny Scorreggia e Sophia, anch’essi impegnati in corsi formativi presso L’Accademia dei bei abiti di Firenze. Minnie ha appena finito un corso di Fashion designer e sta attendendo l’inizio del suo stage. A Johnny e Sophia manca ancora un anno di studio per diplomarsi, in Comunicazione della moda, il primo; in Brand Management la seconda.
Sissy invece, ha appena finito le scuole medie e i primi di settembre comincerà il Liceo Linguistico. L’avvicinarsi della nuova esperienza la eccita e vorrebbe parlarne con la sorella e gli amici di lei, venuti a trovarla. Ma nessuno dei tre se la fuma. E questo la rende inquieta. Dopo aver bisticciato per un po’ con il suo cellulare prova a chiedere a Johnny cosa ne pensa della sua idea di studiare in futuro come terza lingua l’arabo, ricevendo come risposta: “è una lingua orribile, complimenti per la scelta”. Prova allora a rivolgere la domanda a Sophia, ma gli ritorna immediato un perentorio “…detesto gli islamici comprese le loro donne velate e la loro religione. Non ne conosco la lingua. Suppongo che parlarla sia come avere un petardo che ogni tanto scoppia tra le corde vocali”. Sissy un po’ frustata e molto perplessa si avvicina alla sorella impegnata a guardare video di sfilate dal suo I Pad e decide di cambiare argomento…
Sissy: Minnie, perché nelle sfilate che stai guardando i ragazzi sfilano insieme alle ragazze?
Minnie (girando l’I-Pad verso Sissy): Veramente è da un po’ di anni che che nelle sfilate importanti, ogni tanto, maschi e femmine sfilano insieme. Comunque guarda meglio! Non sfilano solo insieme, ma indossano abiti simili. Pare che sia la nuova tendenza per la prossima primavera-estate.
Sissy: Stai dicendo che il prossimo anno mi vestirò tipo i miei amici maschi? Che schifo!
Minnie: No! Non dire cretinate. Sto semplicemente dicendo che molti importanti brand della moda stanno ridimensionando le distanze storiche tra le collezioni femminili e quelle maschili… Oggi non è più politicamente corretto differenziare troppo le apparenze dei due sessi…
Sissy: Perché? Cioè i ragazzi sono mediamente meno interessati alla moda rispetto noi ragazze. Lo sanno tutti…Ma questo discorso non vale solo i ragazzi. Per esempio, quasi tutti i miei professori spesso sono inguardabili. Le professoresse rispetto a loro sono molto più carine, anche quando a noi sembrano delle befane. Cioè pensa a papà: quasi sempre veste in modo distratto, lo prendi sempre in giro anche tu! mentre la mamma, a suo modo, è sempre a posto. Perché dovremmo imitare la goffaggine dei maschi? Perché i ragazzi dovrebbero cercare di essere attenti e carini come noi ragazze se non ne hanno voglia? Cosa ci guadagnano gli stilisti nel far finta che le ragazze siano come i ragazzi?
Minnie: Sissy, non è così semplice da spiegare. I tuoi amichetti ritardati mentali, non sono rappresentativi dei maschi che oggi fanno tendenza. Tra i giovani che influenzano veramente la moda, le differenze tra maschi e femmine contano sempre meno. E tra questi giovani di tendenza ci sono persone alle quali dà fastidio un look spudoratamente femminile o troppo maschile! Lo vivono come una costrizione ad essere come li vuole la società. Questi giovani stanno diffondendo un pensiero e una cultura no-gender…
Sophia: Oltre che diffondere look creativi io direi che, forse inconsapevolmente, stanno facendo una specie di guerriglia alle convenzioni sociali che normativizzano i sessi…la guerriglia dà ad essi una grande visibilità e la complicità con geniali creativi della moda li rende molto presenti sulla scena informativa.
Sissy: Non siamo mica in Islam! Che bisogno hanno di fare guerriglie. Chi impedisce ai no-gender di vestirsi come gli pare! Perché fanno di tutto per far sì che la moda metta il naso su questioni così personali? La moda dovrebbe proporre abiti belli, di tendenza…affinché noi possiamo scegliere liberamente ciò che ci piace.
Minnie: Te l’ho spiegato un sacco di volte. La moda non è mai così neutra. Nel corso del tempo è diventata importante perché rappresentano aspetti delle nostre identificazioni a ruoli significanti, clamorosamente pubblici. Nel senso che, gli abiti che scegliamo di mettere, in qualche modo danno voce a questioni che sembrerebbero lontane dal semplice abbellimento del nostro corpo o da altre funzioni segnaletiche di status o di appartenenza. Insomma attraverso gli abiti noi oggi costruiamo sia la nostra provvisoria identità e sia una quota importante del potenziale di relazione con gli altri. In questo contesto gli abiti sono una superficie che riflette la profondità del nostro essere. Come tale finisce con coinvolgere le nostre apparenze in discorsi che non c’entrano nulla con l’abbellimento del sé. Per esempio l’idea che esistano collezioni femminili e maschili, presentate da sempre separate, nel tempi e come stile, alle quali devo fare riferimento per i miei eventuali acquisti, porta a pensare che esistano solo due generi, due sessi, due forme di identità. E chi, per esempio i gay e le lesbiche, non si ritrova nelle regole basate sui due sessi, cosa dovrebbe fare? Molti stilisti hanno preso posizione e cercano di creare una moda basata su differenze individuali che scombussolano i codici vestimentari dei due sessi…
Johnny Scorreggia: …Bella ipocrisia! La moda dopo avere per quasi tutta la sua storia esaltato le differenze tra maschi e femmine, oggi, con gli stilisti che hai ricordato, autoproclamatisi avanguardia del gusto, vorrebbero che i maschi di punto in bianco femminilizzassero il loro guardaroba…Mica facile! Jean Paul Gaultier da vent’anni cerca di far portare la gonna a noi maschietti…Non è mai diventata una vera tendenza…Per fortuna! Ah!Ah!Ah! Non credo che a Thom Browne andrà meglio…anche se la soluzione che ha recentemente trovato quasi quasi mi convince…
(Sophia digita su Google il nome dello stilista statunitense e in pochi secondi recupera immediatamente alcune immagini che fa subito vedere a Sissy)
Sissy: Io proprio non ce lo vedo mio padre con la gonna e il rossetto come mamma. E poi a me non sembra che le sfilate no-gender che stiamo guardando significhino solo una richiesta di pari diritti. Ecco, guarda come sono sfrontati i modelli di Jeremy Scott che sfilano per Moschino…Altro che richiesta di diritti! Tutta la collezione mi sembra una gran confusione tra i generi…Guarda le bluse con i fiocchi in seta…e le facce da efebi un po’ perversi dei modelli? Ti sembrano una semplice rivendicazione? Io non vedo nessuna richiesta di diritti; al contrario, sembrano proprio un bello schiaffo dato ai normal…
(nel frattempo due bambine e un bambino, posizionati con la madre negli sdrai a fianco, sornioni si avvicinano al gruppo attratti dalle continue esibizioni multimediali)
Minnie (con un tono di voce studiatamente alto): Sì! Hai ragione. Mi piace l’idea di una moda che prende a schiaffi i normal…
Sissy: Guarda che io lo dicevo in un altro senso…
Minnie (tono ancora più alto): Non importa, lo schiaffo arriva lo stesso…
(la signora dello sdraio accanto, richiama i figli adolescenti che ciondolavano nei dintorni di Minnie, attratti dagli I Pad, sistema i teli in una borsa e si allontana con la sua piccola tribù)
Sissy: Prendere a schiaffi i valori dei normal che poi sono la maggioranza delle persone non mi sembra una gran figata!
Minnie: I normal sono insapori, insipidi, tendenzialmente spenti. Con loro la moda diventerebbe una specie di lugubre fascismo delle apparenze. La moda ha senso se produce contraddizioni, se scombina le carte in tavola. Infatti tutte le rivoluzioni della moda sono sempre partite da una messa in questione dei generi maschile e femminile…
Sissy: …Se lo dici tu! Comunque non mi pare che queste rivoluzioni abbiano cancellato la differenza tra i generi…Anzi, a parte le tendenze che piacciono a te, quando cazzeggio nel web, incontro molte più collezioni super femminili che no gender…
Sophia: …Cancellato la differenza forse no, ma trasformato certamente sì! Trasformato i guardaroba dei maschi e delle femmine, voglio dire. Come la metti con lo smoking maschile per le donne di Yves Saint Laurent? Non mi pare sia stata solo una provocazione. Anche la giacca destrutturata del primo Armani rendendo più sfumate le identità del maschile del femminile ha fatto un po’ di storia gender…
Johnny Scorreggia: Beh! se la butti giù così allora, l’antesignana del gender dovrebbe essere la Coco Chanel del periodo “à la garçonne”. Però secondo me nessuno dei grandi stilisti che hai citato voleva veramente annullare la differenza tra moda maschile e femminile. Oggi, invece, sembra che molti stilisti, forse solo per provocare, pensino veramente che la differenza sessuale sia un problema che possono risolvere loro, ibridando il guardaroba di maschi e femmine…Ma l’unisex non l’hanno mica inventato loro. Sono stati i ragazzi e le ragazze dei sessanta con i jeans e la moda di strada hippy a creare i presupposti per l’unisex…
Sophia: L’unisex anni sessanta, secondo me più che gender significava “noi siamo i giovani, quindi siamo il futuro, voi adulti siete solo degli stronzi”. Il conflitto generazionale era dominante rispetto le questioni gender…
Johnny Scorreggia: Sono d’accordo…essere giovani era più importante della differenza sessuale…Mary Quant, Ossie Clark, Biba lavoravano soprattutto per differenziare le apparenze tra giovani e adulti…Scusaci Sissy, ogni tanto ci dimentichiamo che sei ignorantella su queste cose…
Sissy: …Non conosco bene gli stilisti dei quali parlate. Cioè voglio dire: di nome sì, ma non sapevo che anche loro potessero essere gender… La cosa che non capisco è perché la differenza tra il modo di vestire dei sessi tra minoranze di giovani sia divenuta un problema che rende isterici gli adulti.
Sophia: …Sissy è molto semplice da capire. Tutte le volte che la moda ha avuto bisogno di cambiare radicalmente, il punto di partenza è stata la contaminazione dei guardaroba. Se una donna trovava più interessante vestirsi con uno stile da uomo questo significava automaticamente prendere le distanze dai normal, criticandone in modo palese i valori. Per esempio, la moda alla garçonne di Chanel, significava mostrare agli altri la propria intenzione di essere una ragazza libera… Quindi gli abiti possono servire per esprimere significati contro l’ideologia del normal…Oggi, i gay e le lesbiche non si accontentano più di riconoscimenti formali ma vogliono rimuovere le resistenze culturali e simboliche alla loro costruzione di una identità pratica. Questo tra l’altro,produce un allargamento delle libertà di tutti quelli che detestano i normal e non sono né gay né lesbiche…ma produce libertà anche a persone come te che non sai ancora chi sei…
Sissy: …Scusa tanto sai, ma oggi io mi sento libera di vestirmi come mi pare senza bisogno che le lesbiche mi dicano come farlo. Tra l’altro non so nemmeno sicura di come loro si vestono. So solo che sembrano volere a ogni costo, nella moda, tra i sessi e nella società, una specie di guerra…
Minnie: Senza scomodare la storia e tantomeno parolone come “guerra”, io penso che con le sfilate delle nuove collezioni, creativi, stilisti, art director dalle passerelle lanciano messaggi secondo il codice para linguistico della moda. Creando collezioni omogenee tra maschie e femmine vogliono ricordarci che tra i due sessi la completa uguaglianza è ancora una utopia…gli appelli al gender sono un modo per sfruttare il potenziale politico della moda. Per non parlare poi dell’influenza della cultura gay…Sono soprattutto loro ad insistere sulle caratteristiche repressive di abiti che mettono troppo in risalto le differenze tra donna e uomo…
Sissy: Ma Minnie, io mi sento diversa dai miei amici maschi! Perché dovrei vestirmi come loro? Perché loro dovrebbero vestire come me?
Minnie: Sei proprio sicura di non vestire mai come loro?
Sissy: Non so… Forse quando metto i jeans con una felpa assomiglio un po’ a loro…
Minnie: Vedi allora che si può immaginare modi di vestire che non esaltino sempre le differenze tra i sessi. Ci sono look che funzionano come uno spazio libero da questioni binarie…
Sissy: Veramente, io penso di mettermi jeans e felpa quando voglio stare comoda. Non mi vesto così per sembrare un maschio o perché non mi piaccio come sono! E poi poi io metto spesso i jeans e la felpa con le ballerine…
Minnie: Non credo sia molto importante cosa pensi tu quando metti i jeans con una felpa. Lascia perdere le ballerine. Sono affari tuoi. Ma per chi ti osserva è scontato trarre delle conclusioni. Forse, per gli altri che ti guardano non appari più come la ragazzina elegante che pensi di essere. Sembri piuttosto una maschiaccia…
Sissy: E’ quello che dicono ogni tanto papà e mamma quando non ho voglia di uscire vestita come vogliono loro!
Minnie: …succede molto più spesso di quanto possiamo pensare… con il nostro guardaroba senza accorgercene possiamo essere molto diversi dalla nostra identità burocratizzata…
Sissy: Stai dicendo che qualche volta ci vestiamo come se dicessimo delle bugie!
Minnie: In un certo senso è così. Ma ci sono bugie che si dicono a fin di bene…
Sophia: Dire sempre la verità su noi stessi è molto noioso! A me piace sembrare diversa, recitare nuovi ruoli. Senza questa disposizione alla recita, la moda diventerebbe solo la divisa di ciò che dovremmo essere per gli altri…
Sissy: Anche a me piace cambiare… La mamma mi dice sempre: ogni tanto una donna deve rubare qualcosa dal guardaroba del suo uomo… E’ forse una gender? Penso proprio di no!
Minnie: Beh! Comincia a pensare che quando cambi il genere degli abiti, oltre cambiare il look, è come se tu cambiassi la tua identità …
Sissy: E allora perché io mi sento sempre me stessa?
Minnie: Non fare la sciocchina. Tu ti vesti più per gli altri che per te stessa e lo sai benissimo che il tuo look influenza chi ti sta attorno…
Sissy: Lo dici come se facessi qualcosa di male…
Minnie: No, lo dico per farti capire che reciti un ruolo.
Sissy: Quindi non sono me stessa?
Minnie: Uffa! Me stessa, te stessa… Ma cosa significano poi queste parole? Hanno un senso? Tu, io, tutti costruiamo noi stessi ogni giorno. L’identità è un costrutto culturale…
Johnny Scorreggia: Che cazzo, Minnie! Se dici così non rispondi alla questione che ha posto giustamente Sissy…
Minnie: Quale questione?
Sissy (facendo l’espressione dell’incompresa): Tanto lo so che non mi ascolta mai!
Johnny Scorreggia: Lei ti ha detto che, anche quando cambia look ha la sensazione di essere sempre la stessa cioè la solita Sissy dalle gambe troppo sottili e con la taglia di seno 0,5…
Sissy: Tu stronzo!
Minnie: Mettetela come vi pare, ma la moda binaria non ha più senso ed è eticamente sbagliata.
Sissy: Invece io penso che sia sbagliato sostenere che tra maschi e femmine non ci siano differenze. È una stronzata che genera una gran confusione.
Johnny Scorreggia: Dai Minnie, la piccola merda non ha poi tutti i torti. Fa incazzare anche me la pressione che minoranze ultra aggressive esercitano sulla maggioranza delle persone per annullare il senso di ogni differenza attraverso la disseminazione di differenze…
Sophia: Per me state esagerando. La moda semplicemente sfrutta l’attuale fragilità dei confini tra i due sessi per per creare nuovi stili che garantiscano una posizione di avanguardia. Vai a vederti la sfilata di Gucci. I maschi sembrano tutti gay e la donna è vagamente gender. Alessandro Michele in un colpo solo ha cancellato il glamour anni 60/70 della Giannini facendo ritornare il brand di tendenza. Ma probabilmente il vero genio della rivoluzione in casa Gucci è il Ceo Marco Bizzarri, una specie di supereroe del marketing alla Yul Brunner. In effetti ci voleva molto coraggio nel scegliere il barbuto, inelegante Michele.
Johnny Scorreggia: A me sembra una presa per il culo! Sino a ieri dicevi glamour e poi all’improvviso mi chiedi di vestirmi simil gender, rincorrendo l’onda di giovani stilisti che possono permettersi, dal momento che non contano un cazzo, di fare collezioni trasgressive. La coerenza per il brand non conta più nulla! E poi, il tuo Marco Bizzarri è recidivo. Già aveva fatto incazzare Stella McCartney quando le impose di collaborare con H&M. Poi ha licenziato brutalmente la Giannini. E infine, recitando il ruolo preferito da tutti i Superman del marketing cioè “decido tutto io”, si prende un perfetto sconosciuto che rovescia i valori estetici del brand…Ma questa moda ha le carte in regola per enunciare qualcosa di serio su problematiche gender?
Sophia: Ma secondo te il cliente Gucci in giro per il mondo vuole comprare “coerenza”? O piuttosto vuole qualcosa che gli parli del qui e adesso? Del contemporaneo, insomma…E poi, ti faccio notare che Stella McCartney è divenuta una star del fashion dopo l’operazione H&M! La Giannini era bollita, le sue collezioni non vendevano più come un tempo. Marco Bizzarri ha fatto l’analisi giusta ed ha agito con determinazione, rapidità e durezza. What else?
Johnny Scorreggia: Non lo so, ma di sicuro, io annuserei in questi ribaltoni molta arroganza marketing e poca attenzione a me cliente.
Minnie: E se tutti e due al posto della parola coerenza cominciaste a metterci la parola etica, cioè la volontà di fare un discorso moda che proponga valori veri! Solo così potreste comprendere l’importanza della svolta gender. A me Alessandro Michele sembra più vero che la Giannini, troppo diva, troppo star system…
(Mentre la sorella parla, Sissy prende l’I Pad abbandonato ai piedi del lettino per cercarvi delle immagini…Prima digita su Google “sfilate Gucci 2015 ” ; poi dopo qualche minuto cerca “Alessandro Michele”…guarda con interesse la sfilata. Ogni tanto alza gli occhi per non perdere le fila della conversazione che ha contribuito a far nascere…)
Sophia: E sì, voi stilisti dimenticate spesso che la star deve essere il brand non il creativo!
Minnie: Certo, e nemmeno gli stronzi del marketing, però!
Johnny Scoreggia: Boh! Svolta gender della moda? Ammetto che con la complicità delle solite giornaliste anglosassoni post femministe, ossessionate dal politicamente corretto, il gender sia divenuto un tema molto caldo. Ma il mercato che conta va in un’altra direzione. Per esempio Armani ha subito messo dei paletti dicendo che un uomo gay non ha bisogno di vestirsi da gay per sentirsi realizzato…
Minnie: Cazzo non volete capire! Esiste una moda che non è solo marketing. A parte le differenze anatomiche, per la mente, i sessi sono molto più di due. Oggi si parla tranquillamente di FGBT e di QQIA…
Sissy (distogliendo subito l’attenzione dall’I Pad): Cosa significa FBC..no, come hai detto? QAI?…vabbè quella roba lì!
Minnie: FGBT significa lesbica, gay, bisessuale, transgender; QQIA sta per Queer Questing, Intersex, asexual.
Sissy: Queer Questing Intersexl…Cavoli! non pensavo che il sesso fosse così complicato.
Minnie: Ci sono persone che non sanno da che parte stare o semplicemente non vogliono o non possono vivere imprigionate in un codice binario; gli Intersex invece si sentono un po’ maschi e un po’ femmine; gli asessuali, come dice la parola, vogliono restare fuori dal gioco…
Sissy: Un bel casino! Ma la gente sarà più felice in questo disordine?
Minnie: Te l’ho detto anche prima. Le differenze anatomiche con c’entrano un cazzo con le scelte sessuali della gente. Anzi, i due sessi sono una costruzione culturale che spesso va’ contro la realtà biologica. Ogni 2000 nascite c’è un bambino Intersex che una volta veniva considerato un ermafrodita. In quei tempi orrendi per chi non riusciva a rientrare nei canoni…come dire, i bambini diversi, venivano forzati ad accettare una scelta definitiva fatta dai genitori. Insomma preti, istituzioni e medici, gli imponevano di stare o di qua o di là, o maschio o femmina. Così i disgraziati venivano di solito operati da bambini e trasformati in bambine. Oppure venivano bombardati di ormoni. Ma essendo Intersex la loro vita si trasformava presto in un incubo. In realtà da adulti non divenivano né maschi né femmine, non potevano generare, non potevano nemmeno provare piacere.
Johnny Scorreggia: Una vera vita di merda! Avete letto su internet la tragedia di Leelah Alcorn? Era una ragazzina transgender che si è suicidata per colpa dei genitori che non l’accettavano e le imponevano terapie intrusive… In Internet c’è una struggente foto di lei fatta da una fotografa inglese…
(Sophia e Minnie digitano velocemente il nome della transgender citata da Johnny e dopo pochi link appare il ritratto di Leelah fatto da Rose Morelli)
Minnie: Cazzo è vero, guardate gli occhi; gli occhi di Leelah dicono tutto di una vita di merda sponsorizzata dall’ideologia del binarismo sessuale che è spudoratamente falsa. Ciascuna di noi è tante cose assemblate insieme. Anche la nostra sessualità è molto più liquida di quanto a noi piaccia riconoscere. La moda ha il dovere di interpretare le nostre identità mutanti, dando ad esse una forma espressiva adeguata alla sostanza dell’essere che noi scegliamo di interpretare. Avete capito adesso perché parlo di etica?
Sissy: Non so, in base a quello che dici, a me pare sbagliata per una persona su 2000. Per le altre 1999 persone, il binarismo sessuale è la soluzione giusta.
Minnie: Basta! Io ci rinuncio, è impossibile parlare con te, Sissy.
(Minnie, innervosita, si alza dal lettino e raggiunge il bordo della piscina, immergendovi subito le gambe)
Sissy (visibilmente soddisfatta): Uffi! Quando discutiamo non sembriamo nemmeno sorelle!
Sophia: Certo che tu ci metti del tuo. Lo dovresti sapere che per Minnie la moda è un discorso tremendamente serio…E poi non esistono verità al 90%. Nemmeno al 99%. Basta un misero 1% contrario, per fare crollare tutto il grande edificio della verità. Se una persona su 2000 è diversa allora non è vero che siamo tutti fatti uguali. Punto. E quindi ci sono più di due sessi. Punto. Quindi la moda binaria rappresenta un triste polveroso passato. Punto.
Johnny Scoreggia: Sì, punto un cazzo! Invece io penso che viviamo meglio proprio grazie alle mezze verità. Se agissimo o parlassimo solo quando siamo assolutamente certi della verità o della certezza, ci saremmo già estinti. Anzi secondo me continuiamo a smenarcela proprio perché è così improbabile comprendersi. Detto questo, aggiungo cara Sissy, che sei una impertinente rompiballe. Però hai ragione a non fidarti delle pseudo certezze dei grandi. Per tua sorella, la moda dice sempre cose comprensibili e motivate, alle quali possiamo applicare i nostri giudizi. Per me non è così. Il linguaggio della moda è approssimativo e confuso. Per esempio non è sempre chiaro cosa vogliono i gender dalla moda. Difendere i propri diritti o attaccare il mondo borghese e capitalista?
Sissy: … è vero, sulla bocca di mia sorella la moda sembra sempre qualcosa di più importante di quello che normalmente pensa la gente. A lei il fatto che la moda possa essere semplicemente frivola e divertente non interessa…
Sophia: Ma la moda è importante Sissy! Attraverso le nostre scelte estetiche e di stile influenziamo costantemente gli altri. Con l’elogio del no gender molti stilisti stanno contribuendo a diffondere messaggi di tolleranza e di reciproca comprensione. Io trovo positivo che grandi brand come Gucci e Prada ne abbiano sposato la visione…
Sissy: A me non pare proprio che le cose stiano così! I messaggi di cui parli generano molta ansia e insicurezza…
Sophia: Certo, ansia e insicurezza tra i bigotti. Ma guarda che queste persone, ossessionate dal passato, comunque vada, qualunque cosa si faccia, avranno sempre qualcosa da ridire. Quando tua madre aveva la tua età, ai normal, dava fastidio la minigonna…Faceva le ragazzine un po’ puttane, dicevano. Qualche anno prima erano i jeans ad essere messi sulla graticola…Oggi sono i jeans a vita bassa a sconvolgere le anime belle..
Sissy: Ci sono persone che vogliono il rispetto delle regole. Mi sembra normale…
Sophia: Lo capisco bene. Ma non si può imporre un dress code valido per tutti.
Sissy: Ma nemmeno si può imporre un non-dress-code che diviene una nuova specie di dress code degli sfigati che dobbiamo accettare tutti perché, poverini, sono una minoranza che in passato ha subito ingiustizie…
Sophia: Il dress code per le identità mutanti di oggi, può essere solo qualcosa di provvisorio. Il codice binario dei sessi non rappresenta più il mondo interiore dei consumatori. A me pare positivo che la moda a suo modo dia delle risposte creative, coraggiose.
Sissy: Io non mi sento una identità mutante. Cioè mi sento che cresco, faccio esperienze mentre continuo ad essere me stessa. Se per esempio decidessi di vestirmi gender, prendendo come modello le donne che vogliono assomigliare agli uomini, ciò che muterebbe sarebbe solo l’apparenza esterna, non certo io…
Johnny Scorreggia (un po’ scoglionato): Sissy, sei una vera peste! Vuoi capire che nessuno, a parte i cretini, rimane se stesso per sempre!
Sissy: Ho capito, ho capito come la pensi…Quindi anche tu sei un mutante…
Johnny Scorreggia: … Sì! e allora?
Sissy: Suppongo allora che tu sappia chi desideri diventare o in chi ti stai tramutando?
Johnny Scorreggia: Come no! Sto per trasformarmi in una Milf, stronzetta!
Sissy: Una… cosa? Milf? E come veste? Chi è? Un altro dei vostri mostri sessuali?
Johnny Scorreggia: Fuochino, fuochino, piccola merda. Milf è un acrostico che sta per “Mother I’d Like to Fuck”… Una Milf veste preferibilmente come tua madre quando si addobba fetish…
Sissy: Mia madre non si addobba fetish!
Johnny Scorreggia: Peccato per il tuo papà!
Sissy: Il mio papà non è un gender pervertito!
Johnny Scorreggia: E tu cosa ne sai? Parli spesso con loro di sesso? Se sicura di conoscere le loro perversioni?
Sissy (portandosi le mani alle orecchie): Basta, non voglio più ascoltare..Sei cattivo
Minnie (nel frattempo ritornata sul lettino): BASTA COSÌ JOHNNY! stai esagerando. Le tue Milf non c’entrano nulla con il discorso sui gender.
(Per qualche lentissimo secondo nessuno parla)
Sissy (con voce castigata): Scusate se vi ho fatto arrabbiare. Cercavo solo di capire…si parla tanto oggi di natura, ecologia, sostenibilità e io mi sono permessa solo di dire che i gender, forse senza rendersene conto, attaccano la realtà cioè la natura, alla quale crede la maggioranza delle persone. Io penso che la moda dovrebbe ogni tanto ritornare a raccontare la realtà cioè la natura, e non perdersi troppo a rincorrere le frustrazioni di minoranze attorno alle quali persone complicate costruiscono storie che vorrebbero imporre alla maggioranza sana…
Sophia: Accipicchia Sissy, con i tuoi modini da principessina sul pisello, dici cose che arrivano sulle gengive come bastonate. Da togliere la parola…Neanche Papa Francesco ci è andato così duro…Ti rendi conto che stai dicendo che chi non si ritrova nel modello binario dei sessi è insano! Sono le posizioni dei fondamentalisti religiosi, degli ultra reazionari, degli psichiatri del paleolitico…Mettiti il velo e diventa mussulmana, a questo punto!
Sissy (visibilmente scossa): No, no, no! Non volevo dire che sono malati. Io li rispetto, lo so che Minnie ha molti amici gay, come Johnny…
Johnny Scorreggia: Oh! Questa è bella! E tu che ne sai signorinasotuttoio? Vuoi provare ad uscire una sera con me?
Sissy: Neanche morta! Con un bruttone come te! E poi cosa dico ai miei: che esco con uno che si fa chiamare Johnny Scorreggia?
Johnny Scorreggia: What? What? …Senti, senti questa zoccoletta reazionaria…
Minnie: Johnny ti prego, è solo una ragazzina che sta parlando di cose più grandi di lei…Vai a farti un giro…
Sissy (rivolgendosi imbronciata alla sorella): …Come lo definiresti tu, uno che vuole trasformarsi in una Milf? Un gay? Una checca? Un cretino?
(Minnie si prende, scuotendola, la testa tra le mani, Sophia si ribalta dalle risate, Johnny si allontana ingrugnito)
Sissy: Certo che parlare con voi grandi non è mica facile!…Non è colpa mia se la coppia naturale è fatta da un maschio e da una femmina. Cioè, io capisco che ci sono persone che la pensano diversamente. Che vivano come gli pare. Io non interferisco. Ma mi è permesso di scegliere ciò che per me è buono e sano? Posso difendere ciò che considero pulito e giusto?
Sophia (cercando di mantenersi seria): Definire innaturali i transgender equivale ad offenderli. Ti pare giusto?
Minnie (con voce ironicamente materna): Sissy, il punto che non vuoi accettare è questo: noi siamo più influenzati dalla cultura che dalla natura. Ciò che chiami realtà è semplicemente ciò a cui la gente crede. Sulla credenza nella natura divina del binarismo sessuale, la gente ha eretto un sacco di pregiudizi che hanno rovinano la vita di persone che giustamente oggi rifiutano ogni mediazione ipocrita. Molti stilisti, a loro modo, difendono le libertà delle minoranze di genere, rendendoli orgogliosi della loro diversità. E questo succede perché creano per loro, indumenti estranei al dress code dei normal…
Sissy: Ti ho già detto che per me possono vestire come vogliono. Ma però io li trovo troppo invadenti e sfacciati. A volte sembra che nel futuro esistano solo loro…Se permetti a me da fastidio passare per una bigotta solo perché alcune minoranze si sono autoproclamate il futuro della moda. Ma chi mai l’ha detto?
Minnie: Guarda che l’espressione formale di queste minoranze sono il cuore del tuo guardaroba!
Sissy: Cosa vuol dire espressione formale?
Minnie: La forma e i potenziali significati degli abiti delle minoranze che tu sottovaluti facendo finta di sopravvalutarle sono già presenti nel tuo guardaroba, molto più di quanto immagini. Il problema è che tu non riesci a cucire i giusti contenuti alle forme espressive che usi per i tuoi look. Quanti jeans hai nel guardaroba? Quante T-shirts, e felpe, e tute, e giubbotti e giacconi e calzoni e giacche dal taglio maschile…
Sissy: Certo che ne ho! Ma io non sono il mio guardaroba? Io lo uso!
Minnie: Ma te l’ho detto prima…per gli altri ciò che ti metti in qualche modo ti significa, che tu lo voglia o no..
Sissy: … Però se dici in qualche modo, significa che l’eventuale messaggio non è poi così trasparente…
Minnie: Vuoi dirmi che gli abiti che indossiamo non hanno un significato univoco?
Sissy: Si, proprio così. La moda non mi sembra il modo migliore per affrontare senza equivoci, temi come la differenza tra maschile e femminile oppure la loro liquidazione… Cioè si rischia di fare confusione…
Minnie: (con un cenno della mano indica a Johnny, ritornato con un coloratissimo spritz, dove sedersi e con un’altro di starsene zitto): Può darsi invece che sei tu ad avere problemi ad accettare ciò che un certo genere di abiti dicono…
Sissy: Ma come fai ad essere così sicura che gli abiti parlino in modo chiaro? Il tuo costume da bagno lo trovo molto carino ma se dovessi dire cosa dice non saprei…
Johnny Scorreggia (indifferente all’occhiata sinistra lanciatagli da Minnie): È un costume Individuals…praticamente senza cuciture, fatto con materiale riciclato, forme vintage… praticamente, indossandolo, tua sorella lancia un potente messaggio a favore della sostenibilità e di una creatività responsabile…
Sissy: Potente!Accipicchia! Per me pensavo piuttosto significasse: “Guardate come sono fica”… Non mi pare proprio un messaggio no-gender…
Johnny Scoreggia: Minnie per favore, concedimi di strozzare tua sorella…
Minnie: A cuccia Johnny, stai buono, fermo e zitto! Sissy, volevo chiederti…Dal tuo piccolo mondo incantato ti stai accorgendo che i rapporti tra i sessi sono in piena trasformazione?
Sissy: Per forza, non sono mica scema. Anche se i grandi non ne parlano mai con me direttamente, io ascolto quello che dicono e vedo quello che fanno. E poi in Internet se ne discute…
Minnie: Bene, allora che ruolo deve avere la moda? La moda può dire la sua in questa trasformazione? Può aiutare la gente a difendere la propria specifica individualità?
Sissy: Ognuno deve essere libero di vestire come gli pare…
Minnie: Sei d’accordo dunque che chi non si identifica nella logica binaria dei sessi ha il diritto al piacere di essere diverso ovvero se stesso?
Sissy: Non sono sicura di aver capito bene, cioè diciamo di sì, sono d’accordo…
Minnie: Spiegami dunque perché e cosa non ti convince nel no-gender o nel genderless…
Sissy: Non lo so, non so spiegarlo…Ecco, mi dà fastidio l’aggressività mascherata da vittimismo del genderismo. Un conto è difendere dei diritti, altra cosa è pretendere in modo subdolo di essere un modello per tutti…
Minnie: Cosa ti fa credere che i gay, le lesbiche o i trans vogliano essere un modello per tutti?
Sissy: Il casino che fanno…la complicità con la moda che sfrutta il loro esibizionismo. A volte ho sensazione che se non sei come loro non puoi essere di tendenza…
Minnie: Non è colpa loro se hanno un successo mediatico e sono uno stimolo per importanti stilisti!
Sissy: Non è colpa mia se il loro successo lo trovo esagerato. La maggioranza delle persone la pensa come me. Però il fatto che si parli tanto di loro ci mette in crisi, dà fastidio…
Minnie: Forse non siete poi così sicuri di voi stessi, di chi siete, dei vostri desideri…
Sissy: Sono sicura di non voler essere insicura che io sono una ragazza e come tale voglio rappresentarmi…
Minnie: Ma non dicevi prima che saresti la stessa anche se tu ti vestissi no-gender?
Sissy: Forse mi sbagliavo. Forse mi fa paura la mancanza di certezze…
Minnie: La paura di solito fa essere razionali o irrazionali?
Sissy: Irrazionali, credo
Minnie: Più liberi o meno liberi?
Sissy: Meno liberi, certo!
Minnie: Più giusti o meno giusti?
Sissy: Ho capito, ho capito… Vuoi dire che non dovrei avere paura di chi la pensa diversamente su cosa significa il sesso, l’identità…
Minnie: Precisamente!
Sissy: Ma perché è così difficile riuscirci?
Minnie: Forse perché è la cosa più importante e al tempo stesso la più misteriosa.
Sissy: Come fa la cosa più naturale ad essere la più misteriosa?
Minnie: Forse la natura non esiste, o forse noi siamo oramai cultura più che natura…
Sissy: Perché allora rompi le palle a tutti con la sostenibilità di qualcosa che non esiste? Oppure a me quando voglio mangiare una bistecca al sangue?
Minnie (sospirando): Johnny ho bisogno di buttarmi in acqua, mi accompagni?
Note al testo
1. Con no-gender, ovviamente intendo significare qualcosa di radicalmente diverso dal “no gender”, divenuto uno slogan dello schieramento conservatore nelle recenti campagne contro la cosiddetta ideologia gender. Nel Metalogo il termine si riferisce a forme di creatività che cercano di superare il binarismo delle collezioni, alludendo nei modi della moda al campo di significazioni polarizzanti che stanno appassionando e dividendo la gente.
2. Per quanto riguarda l’uso del “Metalogo“, rinvio l’internauta curioso alla lettura della nota dell’articolo Martin Margiela/John Galliano: metalogo sulla dissoluzione morbida dell’identità, pubblicato in questa rubrica il 3 agosto.
In quella sede spiegavo inoltre, quanto ci tenessi ad evidenziare una caratteristica fondamentale dei miei metaloghi: per molti aspetti appartengono alla fiction, ma per altri ambiscono a raccontare delle effettive realtà discorsive, ascoltate in momenti e luoghi diversi, sottoposte ad un montaggio situazionale necessario per dare coerenza al testo.
Provo infatti scarso interesse per la pura invenzione e preferisco di gran lunga mettere in fila parole profferite da soggetti inconsciamente attratti dagli incidenti conversazionali che capitano quando, misurandosi con qualcosa che per loro è più che reale, ambiscono a parlarla in termini di verità.
Credo che questo mio interesse dipenda dal piacere di ascoltare i miei simili, libero dall’ossessione di dover per forza calare la mia voce in conversazioni che fanno emergere la tragicomica commedia delle parole.
I metaloghi dunque, hanno come obiettivo la raccolta e la riconfigurazione delle piccole verità discorsive di soggetti che ho avuto il piacere di ascoltare. Dal mio punto di vista rappresentano una realtà e quindi rimandano ad una fiction piena di fatti, quindi una non-fiction.
3. Il tema che appassiona i giovani protagonisti del Metalogo che avete appena letto, è la cosiddetta ideologia gender ovvero ciò che chiamo una parola-narrazione: essa appare tra i parlanti come una categoria del linguaggio ordinario senza particolari problemi concettuali ma che però in breve tempo funziona come una polveriera: più la si usa connettendola con altre parole o ragionamenti, e maggiore diviene il rischio dell’esplosione.
Il gender sarebbe un tipico caso di guerriglia semiologica combattuta attraverso narrazioni che amplificano narrazioni. Per esempio, da alcuni anni lo schieramento conservatore in occidente trasforma ogni tentativo di riequilibrio tra i modi tradizionali di dare senso all’identità sessuale, alla famiglia e all’educazione, come un attacco diretto alla propria legittimità storica (naturale e religiosa) a perseguire un dominio morale ed etico. Ecco come narrazioni di differenze ( o sofferenze) si ritrovino immediatamente trasformate in ideologia. In altre parole, i problemi di giustizia sociale e/o di riconoscimento istituzionale, di soggetti non allineati con le categorie di genere che sancirebbero la “normalità”, nel preciso momento in cui trovano forme espressive efficaci per circolare con successo nella semiosfera, vengono vissute come un sistema organizzato di idee, pronte per aggredire lo stile di vita e di pensiero legittimato secondo “natura”. Come ha brillantemente dimostrato Michela Marzano nel suo ultimo libro “Mamma, papà e gender”(UTET,2015), una ideologia gender nel senso ottocentesco della categoria, non esiste. È una forzatura interpretativa che drammatizza una serie di discorsi provenienti da diverse fonti ed esperienze, quasi sempre orientati a migliorare i criteri dell’uguaglianza, dando ad essi un disegno o una strategia che attacca le roccaforti dello schieramento conservatore: famiglia, scuola.
4. Fa parte del modo di procedere della moda contemporanea, inscrivere spesso elementi reality nelle proprie specifiche narrazioni evenemenziali (in forma di sfilate, campagne fotografiche, testi audio-visivi…). Il no gender rappresenta forse l’esemplificazione più attuale di questa strategia di comunicazione/condivisione messa in campo da manager e creativi, basata su problematiche che polarizzano l’opinione pubblica. La narrazione-reality allude ad un riequilibrio dell’asse comunicativo con il pubblico, mantenendo però, ad un altro livello logico, una sostanziale asimmetria tra le enunciazioni del brand e i fruitori.
La posta in gioco non è dunque l’adesione forzata del cliente al programma estetico o di stile di una marca, ma il controllo delle narrazioni dominanti presso l’opinione pubblica, compatibili con il mondo possibile del brand, il cui scopo è l’attivazione dell’attenzione, immaginata essere un valore emozionale autonomo rispetto l’entrata in scena dei contenuti specifici della proposta moda del momento.
Quindi, anche se il teatro delle operazioni simboliche può apparire tradizionale, ovvero come ho già detto sfilate, campagne pubblicitarie, interviste a protagonisti, il vero campo di battaglia delle narrazioni-reality diviene la semiosfera (J.Lotman) configurata dalla stampa, dal web e dalle TV.
In questi contesti le narrazioni no gender della moda si prestano al gioco di una guerriglia di movimento che mobilita storie, immagini, parole che in tempi rapidissimi spostano opinioni, le polarizzano, radicalizzano posizioni….Mi piacerebbe poter aggiungere che in tal modo contribuiscono a far maturare i soggetti presi nella rete dei discorsi indotti dalle suggestioni di “messaggi” che trascendono lo specifico campo dell’abbigliamento. Ma non è affatto certo che sia così.
La scelta di creare collezioni no gender di tanti stilisti, approfittando della sovraesposizione mediatica provocata dall’interesse dei numerosissimi giornalisti presenti alla settimane della moda, a me pare che rischi per ora, di produrre la paranoia da accerchiamento da parte di chi la vive come un attacco diretto ai propri tradizionali valori.
Infatti, la teoria gender, amplificata, drammatizzata e in certi casi reinventata ad arte dalle rappresentanze politiche più conservatrici, allarmate anche dalla notorietà di stili dell’apparire, alternativi al binarismo del guardaroba, legittimati dalla cosiddetta moda di tendenza, è divenuta lo spauracchio delle componenti del senso comune ostili all’idea di perdere la propria centralità nel sistema di valori etico/morali.
Cosa pensano i neo bigotti? Sono convinti che l’attivismo delle associazioni Gay, lesbiche e transessuali, abbia superato la soglia della tolleranza e che le loro agguerritissime organizzazioni stiano cercando di annullare il binarismo maschile/femminile, sostenendo l’uguaglianza totale tra uomini e donne, a prescindere dal dato biologico. La distruzione degli argini “naturali” tra gli unici generi legittimati dal processo riproduttivo, aprirebbe la strada ad un cambiamento epocale delle strutture di base della società, ovvero la famiglia e la scuola, con conseguenze devastanti nell’evoluzione degli stili di vita delle nuove generazioni. L’ombra dei contenuti critici nei confronti del binarismo sessuale, trasformata dai dispositivi della moda in valori visivi di grande presa sul pubblico, corre il rischio dunque, di rafforzare l’idea sostanzialmente sbagliata che vi sia una coerente teoria ( definita “gender”) il cui scopo è l’abbattimento delle forme tradizionali di razionalizzazione della sessuazione dei soggetti.
Non è dunque un caso se negli ultimi anni, per il pubblico italiano i campi di battaglia di questo scontro sono stati fondamentalmente due: la legge sulle unioni civili che se approvata, secondo gli ultra cattolici, porterebbe in tempi brevi alla dissoluzione della famiglia naturale e la scuola (si pensi alle polemiche sui cosiddetti “libri arcobaleno”). Tuttavia non si può escludere che, in tempi brevi, anche le tematiche, direttamente legate agli effetti di senso delle mode gender, non entrino prepotentemente in gioco, creando effetti polarizzanti tra la pubblica opinione.
5. La propensione a mettere insieme le tecniche pubblicitarie con il modus operandi dei reality show, ha predisposto i brand della moda ad essere media-attivi, cavalcando le parole-narrazioni che in un preciso momento hanno la proprietà di surriscaldare la pubblica opinione. In questo momento creare collezioni no gender significa appropriarsi di valori espressivi che rinviano ad idee un tempo aggregate ai concetti di “avanguardia” e “tendenza”.
Essere una moda liminare, ovvero camminare (e creare) lungo i confini del senso percepito da insiemi di individui immersi nella liquidità dei processi di riconfigurazione permanente delle identità, previsti dalla post-modernizzazione delle relazioni sociali, è il modo più veloce per occupare spazi simbolici “caldi”, passionali e probabilmente efficaci, dopo lo svuotamento di senso di ciò che era “avanguardia e/o tendenza”.
L’elemento reality avrebbe il compito di creare l’immediatezza del consenso sociale in un contesto di rottura delle regole. La sfida è creare condivisione e al tempo stesso rompere le regole. Traumatizzare senza trasgredire.
Un esempio eclatante potrebbe essere l’ultima collezione di Margiela/Galliano presentata recentemente a Parigi. L’eccentrico stilista inglese ha fatto sfilare tre modelli che dal make up agli abiti erano del tutto in sintonia con le ragazze. Era evidente, nella fattura dei look, l’intenzione di con-fondere in modo esasperato tutte le variabili che sono utilizzate normalmente per creare il solco espressivo e simbolico che demarca i territori del femminile e del maschile. La maestria di J.Galliano, con picchi di virtuosismo da bricoleur geniale, necessario per domare materiali, colori, soluzioni formali veramente temerarie, ha contribuito senz’altro a rendere plausibili (quindi in un certo senso “normali”) il crescendo degli incredibili look presentati. Aggiungerei anche una nota sul modo sfilare dei modelli caratterizzato da un incedere di studiata (artificiosa) naturalezza senza alcuna provocazione. L’effetto di senso emerso dallo show, notificato dalla selezionatissima stampa internazionale, è stato strabiliante: il messaggio trasmesso dai media di tutto il mondo sottolineava la “normalità” della scelta creativa (abiti che abolivano i generi) intesa a promuovere singolarità dell’essere e dello stile, in un contesto di creazioni moda estreme che dieci anni or sono avrebbero scatenato la deriva dei commenti orientati alla trasgressione.
In breve, il lavoro degli uffici stampa e delle RP del brand, ha preparato gli intermediari culturali a cercare parole che rispondessero al nuovo paradigma provvisoriamente definibile con la formuletta “traumatizzare senza trasgredire”. Esiste dunque una classe di individui per i quali le divisioni di genere non hanno più senso. J.Galliano ha voluto dedicare a loro un saggio della sua straordinaria maestria. Questa la prima parte del messaggio olistico della collezione S/S 2016. Ma occorre aggiungervi le componenti simboliche inintenzionali. Il messaggio presentato a Parigi, città mediatica per eccellenza nella moda, ha fatalmente aggiunto una potente quanto sfuggente significanza improntata a celebrare l’attualizzazione della collezione, di modo che essa appare anche come una delle espressioni di una “nuova normalità”. E’ in questo supplemento di senso che si cela il carattere radioattivo del “messaggio” con gli effetti di polarizzazione dell’opinione pubblica facilmente prevedibili. Anche se in realtà per le strade non si vedranno molti look Margiela/Galliano, i benpensanti non potranno fare a meno di sentirsi circondati dal genderless e di conseguenza trarranno dalle “immagini” dei look, pubblicate dai media, una conferma post quem dell’ideologia gender.
6. Le battaglie in nome e contro i fantasmi generati dalle narrazioni gender si sono fatte particolarmente cruente solo negli ultimi 4/5 anni. Tuttavia, l’emersione delle eccedenze di desiderio rispetto a quelle previste dalle logiche binarie dei sessi, raffigurate dai mutamenti delle mode, hanno una storia sufficientemente lunga per farci capire che ci deve essere qualcosa nella contemporaneità che spieghi il fatto che non possiamo considerare il maquillage dei Mod, dei Glam, dei Dark oppure l’unisex degli hippies alla stregua di analogon con quanto oggi appare sotto l’etichetta del gender, no gender o genderless.
Le culture giovanili, dal secondo dopoguerra in poi, hanno sempre sfruttato la propensione dei soggetti più reattivi ad identificarsi con dispositivi passionali che producevano differenze (con il mondo degli adulti). Nell’ambito dell’abbigliamento e dello stile, il modo più semplice ed efficace di produrre differenza era generare con-fusione tra i pseudo-codici che pretendono di regolare e stabilizzare i territori simbolici del femminile e del maschile. Il bel libro di Alessandra Castellani, Vestire degenere (Donzelli Editore, 2010), lo dimostra con una ragguardevole ricchezza di informazioni. Per farla breve, l’autrice ci aiuta a comprendere che le innovazioni più eclatanti della moda che conta, sono avvenute quando si sono superati i confini del maschile e del femminile. Mi sembra anche di aver capito dalla lettura del libro che, se si vuole comprendere le dinamiche della soggettività ribelle, i processi di identificazione siano più importanti del problema dell’identità. Ovvero, chi aspiro ad essere? è una domanda più costruttiva del: chi sono? Domanda che a sua volta mi inchioda ad essere in prima battuta essenzialmente ciò che gli altri vogliono che io sia. Questa precisazione ci permette di capire il cambiamento di prospettiva che si apre nel passaggio dall’identità all’identificazione e di cogliere la specificità del dibatto attuale sul gender.
Ho la sensazione che attualmente sia lo schieramento conservatore ad inchiodare il dibattito gender sul fattore dell’identità sessuale dei soggetti, in funzione del tipo di inquadramento sociale (o dei limiti) da prevedere.
In sintesi, i conservatori sono sì disposti a tollerare gli individui che non rientrano nella logica binaria dei sessi, ma sono sostanzialmente sordi alle loro grida di uguaglianza istituzionale. Quindi non senza forzature, ricompongono un vasto ed eterogeneo campionario di esperienze ad un disegno teorico che non c’è, allo scopo di crearsi un nemico sufficientemente pericoloso in grado di scuotere l’apatia dei propri potenziali adepti e motivarli ad essere presenti in un momento storico in cui la loro legittimità al dominio sul valori fondanti si trova, indirettamente, messa in discussione.
Ora, se dobbiamo riconoscere che Michela Marzano ha ragione quando dimostra che l’ideologia gender non esiste se non nelle paure dei soggetti che si ritrovano nel binarismo, non possiamo sottovalutare che, da tempo, le esperienze e le narrazioni gender stanno riscuotendo grande attenzione mediatica, dalle TV al cinema, dall’arte alla letteratura: Trasparent (in Italia su SKY); The Danish Girl, film sulla storia del primo uomo trasformato dalla chirurgia in donna; Middlesex, un bel romanzo del 2002 di Jeffrey Eugenides, centrato su problematiche gender… L’elenco potrebbe continuare a lungo. Ma ciò che fa differenza rispetto al passato è il modo in cui queste narrazioni vengono recepite dall’opinione pubblica. Oltre a suscitare interesse, commuovono e responsabilizzano. In altre parole, producono un diffuso sentimento di partecipazione nei confronti di soggetti che soffrono, vivono, aspirano a raggiungere standard di vita “normali” attraverso un percorso istituzionale. Ma la sostanziale comprensione della pubblica opinione del problema di giustizia sociale del quale oggi i gender sono protagonisti, crea una particolare sindrome tra le mentalità conservatrici, che definirei, per ritornare al mio Metalogo, sindrome di Sissy: se ci pensate bene, Sissy vorrebbe essere tollerante ma il successo delle espressioni gender non glielo permette; in tal modo oltre alla paura della perdita di centralità (del proprio sistema di valori) vede allontanarsi anche l’ambiguo piacere di sentirsi comprensiva verso l’altro da s’è.
7. In definitiva, per chi crede nei valori della conoscenza, la questione gender ruota attorno ad una domanda molto semplice da porre: nasciamo maschi o femmine oppure ci identifichiamo a questi ruoli nel corso della prima parte della nostra vita? Il campo del sapere dal quale trarre indicazioni utili per un pensiero consistente è la psicoanalisi. Da Freud in poi, sembra corretto postulare che la scelta sessuale avvenga secondo scansioni che rendono spesso molto complicata la discesa del soggetto in un sesso piuttosto che nell’altro. All’inizio la demarcazione sessuale è biologica, ovvero nasciamo con un orientamento deciso da una sorta di roulette genetica. Durante la prima infanzia la dialettica tra l’aggrappamento alla madre e le forme della volontà paterna danno origine ad una prima configurazione del tenore pulsionale del rapporto del soggetto con l’Altro. Durante l’adolescenza, o per usare lo specifico linguaggio di Freud, durante il secondo culmine dello sviluppo della sessualità, avviene la scelta soggettiva del proprio sesso. Come si può evincere dal breve schema riassuntivo proposto, secondo il sapere psicoanalitico, la scelta del ruolo sessuale che può condurre un soggetto al piacere e ai legami erotici con l’altro, dipende moltissimo dalle configurazioni inconsce che emergono nella seconda fase del culmine della maturazione sessuale. Ecco perché la sessuazione del corpo può ragionevolmente essere definita un mistero.
Ma non è affatto misteriosa la demarcazione interiore che per molti soggetti viene a crearsi tra la loro realtà biologica e l’identificazione al ruolo sessuale che per essi significa l’accesso al rapporto erotico con l’altro. In altri termini, sono un uomo (o una donna) ma posso accedere al desiderio solo attraverso un altro uomo (oppure un’altra donna). Ancora, ho un corpo da uomo ma mi sento una donna…A me sembra chiaro che la pulsione sessuale non sia affatto un dispositivo binario, bensì debba essere pensato come una fonte di energia che spinge il soggetto a correlarsi con “oggetti erotici” eterogenei. Questa spinta della pulsione è stata sottoposta durante il processo di civilizzazione ad una drammatica regolamentazione che ha privilegiato storicamente la binarietà dei sessi. Chi non ha potuto identificarsi alla legge della sessuazione binaria senza resti alla lunga destabilizzanti, si è trovato emarginato, colpevolizzato, punito. Oggi abbiamo le condizioni culturali per comprendere meglio la demarcazione tra biologia e identificazioni a ruoli sessuali che la trascendono. Dovremmo prendere molto sul serio l’ipotesi che un mondo fatto di scelte di ruolo eterogenee, sottoposte ad un disegno regolativo improntato ad una uguaglianza sostanziale tra forme diverse di soggettività, qualunque siano i nostri orientamenti sessuali tra adulti, sarebbe da preferire ai modi del passato ancorati a visioni rigide sull’identità, su ciò che è “normale” o meno, sui limiti da imporre a chi non può vivere una vita di relazione erotica interamente nel solco previsto da una delle tante “tradizioni” inventate dai bipedi parlanti.
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Non capisco quelli che si arrogano il diritto di proibire l’assoluta parità di diritti tra tutti a prescindere dalle scelta sessuali. Io sto con i gender e gli stilisti che li vestono in modo diverso. Mi piacciono perché ridicono le distanze tra l’uomo e la donna.
È un tema delicato. La moda, come tutti, deve essere libera di esprimersi, ma non si deve sottovalutare la profondità emozionale implicita nella tematica no-gender. Io credo che uno stilista giovane, aperto, creativo debba esplorare nuove soluzioni per il nostro guardaroba. Ma bisogna anche considerare che nessuno è obbligato ad accettarne le forme. Specialmente se esse contraddicono le nostre tradizioni. Questo però non dovrebbe portarci ad escluderle dal momento che potrebbero incontrare persone che in esse trovano qualcosa che li appaga. Per me è importante che rimanga aperto il discorso. La moda che ci provoca mi piace se mi libera il cervello e non se mi impone il suo vangelo.
Si è facile essere buonisti o intransigenti, ma alla fine dei discorsi queste persone che si rapportano in modo diverso ai generi sessuali esistono e devono avere i nostri diritti. E tutti hanno diritto a non essere giudicati perché si vestono o scelgono un partner dello stesso sesso. Se la moda usa il gender significa che la gente è maturata e capisce l’influsso dei gay e delle lesbiche sul nostro gusto. Insomma piacciono anche alla gente normale e aiutano gli stilisti a rinnovare il guardaroba. Non è che io mi vesto gender. Semplicemente questa nuova moda mi sembra più eccitante, più contemporanea, più vicina al mondo libero che me piace. Il personaggio di Sissy non è da prendere sul serio. Si capisce che si sta rapportando con qualcosa che deve ancora maturare. Certo che l’intransigenza della sorella non l’aiuta. E jonni scoreggione mi sembra il tipico maschio progressista di facciata. Ma nei modi è il contrario di quello che crede di essere.
Il personaggio di Sissy è inquietante. A volte pensiamo che gli adolescenti siano per natura tutti curiosi, aperti e all’avanguardia. Forse sbagliamo.
Sissy va soppressa subito
Forse 4 voci sono troppe. Meglio 2. Bello il dialogo tra sorelle di diversa generazione. La moda gender è inevitabile.
Sono d’accordo, sbarazziamoci subito di Sissy.
Maschi e femmine sono mondi diversi e il loro modo di vestire dovrebbe esprimere la loro diversità. Sissy è una rompiballe ma ha ragione.
Si Franck, ma l’autore spiega chiaramente che non esistono solo maschi e femmine. Ci sono anche altri modi di vivere la sessualità. Anche a livello di scelte d’abbigliamento. Sissy è un bel personaggio creato per mostrare le resistenze che la gente che si sente normale ha nei confronti di chi non ha paura di mostrare chi è veramente.
Minnie politicizza tantissimo la moda. Mi chiedo se questo è vero nella realtà. Lamia impressione è che la moda sia più interessata al business.
Io credo che la moda attuale approfitti di un momento in cui la gente ci crede e persone un tempo marginali sono diventate simboli di un estetica un po’ ribelle e un po’ up. Mi chiedo quanto durerà e se resisterà ai cambiamenti prevedibili imposti dal terrorismo degli spazi di libertà.
In verità l’interrogativo sull’impatto del terrorismo nel campo del gusto e della moda è questione da non sottovalutare. Sembra scontato prevedere il progressivo restringimento delle libertà individuali al quale verremo sottoposti per via della strategia di indiscriminato terrore messa in campo dal fondamentalismo. A me pare evidente che attraverso l’orrore, aldilà delle motivazioni ideologiche di facciata, i terroristi vogliano provocare l’implosione della nostra forma di vita. In altre parole ci stanno chiedendo di suicidare il sistema nel quale viviamo. Se il mio ragionamento è corretto allora ne discende un’inedita valenza per i fatti della moda ovvero, gli stili individuali del gusto tipici dell’occidente evoluto, potrebbero divenire una barriera eretta contro l’oscurantismo che serve ai fanatici per perseguire la drammatica e patologica inversione che essi propongono tra realtà e il loro futuro immaginario paradiso post mortem.
Difendere la bellezza, la varietà, la creatività della moda, insieme al desiderio che danno ad esse un sapore passionale, diviene dunque un modo per vincere l’attuale guerra asimmetrica dal di dentro, in attesa che i nostri politici riconducano alla ragione le menti oscure che hanno scatenato l’orrore.
Ma si può fare politica con la moda? In certe circostanze sì, vedi gli anni sessanta.
La moda può funzionare bene solo in una società senza fondamentalismo religioso. Libertà significa accettare la diversità e quindi difendere i gender significa difendere la libertà di vestirci e vivere come ci pare, nei limiti del rispetto per gli altri.
Una moda libera è, come l’arte e la cultura, un bastione contro la stupida follia dei barbuti uomini neri.
Non sono d’accordo con chi sostiene che l’emergenza terrorismo può paradossalmente produrre una moda più creativa. Ritengo probabile che i consumatori entrino in una fase in cui sono meno disponibili a giocare con le mode. Gli attriti tra difensori del binarismo sessuale e gender è destinato ad acuirsi. Gli spazi di libertà e tolleranza si restringeranno.
Il Metalogo è interessante ma Sissy, l’indiscussa protagonista, non parla come una adolescente. È troppo abile rispetto le giovinette in circolazione le quali a malapena riescono ad articolare una frase.
Si sono d’accordo con te Antonio, ritengo anche io che purtroppo le ragazzine sedicenni non si interessino così a fondo degli argomenti e possano quindi esprimersi in questo modo..
Probabilmente il personaggio di Sissy deve molto alle idee sull’adolescenza che mi sono fatto leggendo libri come “Il giovane Holden”, “Bonjour tristesse”, “Huckleberry Finn”.
Di Holden Caulfield mi interessava l’identità in processo, reattiva nei confronti del mondo adulto. Di Hack Finn l’istintivo rifiuto verso l’indottrinamento. Cècile per me ha sempre rappresentato il crudele cinismo verso la “rivale’ che spesso accompagna le prime esperienze passionali dell’adolescenza.
In questi personaggi il sentimento di sentirsi incompresi dai grandi si accompagna spesso ad atteggiamenti reattivi che valgono in quanto istanza negativa. Denegare il buon senso degli adulti è una tappa fondamentale per mettersi alla prova in quanto soggetti.
Ho voluto anche sancire la realtà di una linea di demarcazione che separa la generazione del “tempo delle mele” (raccontata dal famoso film di Pinateau Claude) da quella attuale, raffigurata da Sissy. Vic, la tredicenne di mutevole umore, interpretata da Sophie Marceau mi sembra anni luce distante dalle adolescenti che ho conosciuto. Ho pensato che i modelli letterari che ho citato all’inizio fossero più utili per costruire un personaggio un po’ invadente, falsamente sicuro di sè, reattivo verso una forma di dogmatismo che si auto-immunizza da ogni critica grazie ad un asfissiante politicamente corretto. Sissy non è realmente una reazionaria insensibile ai problemi gender. A suo modo si ribella a discorsi che truccano l’Ordine che vorrebbero imporre, presentandolo con un volto mascherato da un altruismo eletto a verità universale.
Comunque il problema che mi sono posto creando il personaggio di Sissy, nasceva dal quesito su cosa significasse la moda per un adolescente.
Non ho mai creduto alle balle del marketing approssimativo che domina nella moda, relative al fatto che tutti i giovanissimi sono rivoluzionari, innamorati della tendenza per la tendenza, innovativi…e così via. Non è questo che vedo nelle strade. Non vanno in questa direzione le significanze che possiamo abdurre osservandone i comportamenti.
Non pensavo che anche Armani fosse gender. Ma i discorsi del metaalogo sono affidabili? Oppure sono pura invenzione
Ha sorpreso anche me l’appellativo gender ad Armani. Mi sono sempre sentita molto femminile nei suoi abiti. Ma mi rendo conto che gender é una parola strana e usata in molti modi.
Se Armani è gender allora lo sono anche tutti quelli che disegnano capi da donna ispirandosi all’uomo e viceversa. A questo punto un genderismo esiste da sempre.
Armani divenne un punto di riferimento nella moda sia maschile che femminile fin dall’inizio della prima fase della sua straordinaria carriera; tra il 1975 e il 1980, per intenderci. Sembra assodato che il suo immediato successo fosse dovuto anche (qualcuno dice: soprattutto) ad una duplice operazione effettuata sui guardaroba di entrambi i generi. Per esempio, con giacche destrutturate e tessuti morbidi addolcì il look maschile e al tempo stesso diede alla donna un’impronta di elegante rigore, facilmente significabile nei termini di un appello a ritenersi liberi, indipendenti, attivi. In quegl’anni il femminismo aveva radicalizzato tantissimo i rapporti tra i sessi. I look di Armani sembravano offrire una via d’uscita ad una guerra tra i sessi che nessuno voleva veramente. Un “uomo” che sapeva ascoltare la propria parte femminile era il partner perfetto per una donna che stava scalando le gerarchie nella società e nel lavoro, senza timidezze e nemmeno inutili esasperazioni. Le collezioni di Armani sembravano in qualche modo raffigurare questi contenuti meglio di altre. Secondo la maggioranza dei critici e degli storici questa sua intuizione e magistrale interpretazione di giacche e calzoni, non solo spiegherebbe l’inarrestabile successo del suo brand, ma lo collocherebbe in modo definitivo nella storia della moda.
Ora, possiamo definire gender il suo approccio? Secondo Giusi Ferrè, autrice di un recentissimo “Giorgio Armani, il sesso radicale” (Marsilio) evidentemente sì: gli scambi di prestazione tra i due guardaroba, maschile e femminile, presuppongono i glissement identitari, dei quali si parla nel Metalogo. Ma attenzione a non confondere gli scambi di prestazione con la negazione del maschile e del femminile.
In realtà, e credo che il libro di Giusy Ferrè lo racconti benissimo, Armani parte non con l’intenzione di togliere senso al binarismo sessuale, bensì con l’intenzione di restituire ad entrambi i poli il senso percettivo di concetti come libertà, uguaglianza, decoro, armoniosità… Tutti concetti che tra la fine di sessanta e la prima metà dei settanta sembravano non trovare la giusta calibratura.
Scusate, a me risulta che i neurobiologi abbiano dimostrato che il cervello femminile è strutturalmente diverso da quello maschile. Non potrebbe significare che effettivamente i generi sono sostanzialmente due?
Se la scelta sessuale è orientata dalla cultura, cosa ce ne frega delle pseudo verità neuro? Ma anche se fosse vero che il cervello femminile è diverso, cosa c’entra con il gender problem? Del Metalogo mi è piaciuto il finale…nessuna verità, nessuna ragione dominante.
Non capisco il perchè sapere più cose del cervello infastidisca tanto. Per secolo abbiamo indagato il cervello attraversi i suoi prodotti. Ora che abbiamo la possibilità di studiarlo dal punto di vista fisico trovo giusto farlo. Capisco che ciò mette in crisi l’idea che noi siamo soprattutto cultura.
Ma abbiamo anche un corpo che non cambia così in fretta come le mode culturali. Non basta dire gender per cancellare la differenza tra uomini e donne.
Immaginiamo pure che il cervello di noi ragazze sia diverso. Cosa cambia? Non ho mai sentito che i diritti per essere giusti ed equi abbiano bisogno del supporto di cervelli identici. Anzi, proprio perché non siamo esattamente uguali abbiamo bisogno di regole giuste uguali per tutti.
Le tematiche introdotte da Enrico, Gabriele e Gianni sono intriganti, ma non vedo un legame diretto con l’argomento del Metalogo. Per quanto ne so gli esperimenti fatti dai neuroscienziati per cogliere le differenze tra i cervelli dei maschi e delle femmine, non escludono a priori che In futuro si possa trovarne altre che permettano di marcare il funzionamento di specifiche reti neuronali a loro volta responsabili di differenziazioni diverse dal binarismo dei sessi. Ammettiamo pure che osservazioni e strumenti piu sofisticati ci permettano di localizzare le mappe neuronali gay o quant’altri. Questo cosa potrebbe significare? Dovremmo forse dedurne ragionamenti che mettono in discussione il diritto all’uguaglianza? L’argomento di Antonella è consistente e per quanto mi riguarda eticamente condivisibile.
Credo che la questione in definitiva sia questa: è giusto ideologizzare degli abiti? Si può prendere come esempio il velo islamico: è giustificato tutto il clamore che si fa nel suo nome? Anche i gender rischiano di trasformare degli innocui indumenti in focolai di polemiche infinite.
il velo islamico non c’entra niente con il gender. la sua proibizione nasce da una esigenza di sicurezza. la battaglia per vestire in modo diverso dalla generazione che ha radicalizzato la differenza tra maschi e femmine è squisitamente culturale. il problema è che senza saperlo quasi tutti caricano di troppi significati i segni esteriori del sè. insomma si prendono troppo sul serio. come l’autore ha messo in evidenza nel metalogo.
In realtà volevo che anche la scrittura sembrasse un po gender. Ho pensato far parlare una delle protagoniste in modo diretto come fosse una vera alternativa al discorso al maschile. Mi riferisco a Minnie. Il maschio del metalogo cioè Johnny Scorreggia dovrebbe sintetizzare tutta l’arroganza e la stupidità della presa di parola tipica dei ragazzi presuntuosi.
Ho apprezzato il metalogo ma non sono d’accordo con ‘idea che si possa sostenere che ci sia una lingua gender. La lingua è uguale per tutti
Eppure, lo sforzo per imbricare nella lingua le problematiche sociali inaugurate dal desiderio di legittimare a partire dagli atti di parola l’esistenza di soggetti che non sono un “lui” e nemmeno una “lei”,fa parte del dibattito attuale.
È altresì vero che per ora sono questioni che trovano tentativi di soluzione soprattutto in contesto angloamericano con protagonista la lingua “inglese”.
Nel nostro Paese siamo ancora agli inizi. I politici stanno ancora litigando sulla legge che dovrebbe formalizzare le unioni gay e le adozioni. Ma credo che presto si arriverà a discutere anche dei cambiamenti linguistici impliciti nel riconoscimento di forme dell’identità sino a ieri sottoposte a rimozione.
Io penso invece che Johnny Scorreggia sia una brillante creazione e mi sta anche simpatico
Johnny Scorreggia è fondamentale. Senza il suo politicamente scorretto il Metalogo risulterebbe una rottura di palle
Johnny Scorreggia è pura poesia e verità
Tendenzialmente detesto la volgarità. E Johnny Scoreggia è molto volgare. Confesso che ho avuto un moto di repulsione nel leggere il Metalogo. Mi è dispiaciuto dover ammettere che purtroppo è interessante. Avrei preferito rimanere con l’impressione che l’autore è un relativista da dimenticare subito. Invece è molto abile e credo abbia fatto uno sforzo per catturare una volgarità che circonda tutti noi.
non sono d’accordo con l’autore. la lingua araba è perfettissima come tutte le lingue.
Cazzo c’entra la lingua araba? Sajid hai bevuto?
no, ho letti l’introduzione…autore cattivissimo. non d’accordo lingua araba perfettissima
A parte la digressione sulla lingua araba, sicuramente melodiosa e misteriosa per noi occidentali. Mi sembra che si stia un po’ perdendo di vista il centro della questione. La moda gender è fondamentalmente oltre il genere, come potrebbe essere altrimenti in una società che tenta di essere portabandiera di parità di diritti, non solo tra uomo e donna, ma anche tra religioso e ateo, tra velato e non, tra ricco e povero?
O almeno, questa è la società in cui spero di riuscire a vivere, un giorno non troppo lontano, senza emigrare…
Il metalogo mi è piaciuto ma non capisco il personaggio di Sissy. È la più giovane e quindi dovrebbe essere quella priva di pregiudizi. Dovrebbe essere una fan della moda gender. Lo dicono anche le statistiche sulle scelte sessuali tra i giovani: sono sempre di più quelli che rifiutano l’eterosessualità.
Di certo viviamo in un mondo più liquido. Ma se guardo la gente che ho intorno questa esplosione gender non la vedo. Soprattutto gli adolescenti mi sembrano meno ribelli rispetto il passato.
Come mai le mode gender arrivano prevalentemente dai paesi di lingua anglosassone? Non conosco stilisti del made in italy compromessi con il gender. Siamo un paese tradizionalista o la nostra idea generale sul l’estetica del vestire impedisce al pattume del Nord di attecchire?
In un certo senso è vero che il genderismo è una moda che viene dal Nord. Forse è il caso di ricordare il ruolo del grande David Bowie all’epoca dello stile glam. A quanto mi risulta è stato uno dei primissimi a mettere in discussione il look basato sulla differenza tra maschi e femmine. La forza della sua musica è il suo talento hanno dato lo spunto a tantissimi per una ribellione che ha cambiato la moda.
Gli uomini che si vestivano in modo bizzarro emulando le donne esistevano da sempre. David Bowie ha saputo interpretare alla grande gli spazi di libertà conquistati dai giovani alla fine dei sessanta. Ha fornito a molti di essi l’ispirazione per essere se stessi e non dei conformista frustrati.Ma la cosa più bella é che oltre a creare il look dell’eroe che ha il coraggio di prendere per il culo la divisa borghese, dopo in po’ ha preso le distanze anche dal look che lo aveva reso famoso, trasformandosi in altri personaggi. Cosa ha voluto dirci? Ha voluto dirci che solo i cretini non cambiano mai. Quindi per me la questione non è gender si o gender no, la questione é saper cambiare e accettare il fatto che siamo tutti in trasformazione.
Sono d’accordo con Francesco nel sottolineare il work in progress dei look suggeritoci da David Bowie. Solo i cretini non cambiano mai. Aggiungerei il nome di Vivienne Westwood ai pochi creativi che ci hanno dato gli stimoli per spingerci aldilà della contrapposizione gender sì-gender no.
Ho letto l’art velocemente. Mi ha colpito il nevrotico bisogno dei prot di collegarsi col web per guardare immagini quando parlano tra loro. Diciamo che mi sono in parte rivista. Certo che a leggerlo questo comportamento suona diverso rispetto a quello che pensavo.
Si è vero, mi sono vista anch’io come una sciocca. In effetti non prestiamo sufficiente attenzione a chi ci sta parlando, apriamo subito dei link.
Vorrei dire a Claudia che sono d’accordo con quello che scrive su Vivienne Westwood ma che oggi sono tantissimi gli stilisti che stanno presentando collezioni gender. Purtroppo non sappiamo se hanno successo commerciale o no. Però la loro iniziativa è giusta. Probabilmente in Italia siamo in ritardo. Ma in città come Londra si vedono per strada molti look di questo tipo.
Il problema gender è complicato in Italia per colpa delle polemiche sul matrimonio gay e le adozioni. In altri paesi non esistono queste complicazioni. In Inghilterra persino i migliori college lasciano liberi gli allievi di indossare il genere di abiti che preferiscono. Siamo un paese che nel profondo è troppo conservatore. Difficile che le mode del futuro nascano qui da noi.
Secondo me Giulia è troppo ottimista. Ho letto anch’io del Brighton college e della possibilità che hanno le allieve di poter indossare i calzoni al posto della tradizionale gonna tartan e dei maschi di mettersi la gonna.. Sono d’accordo che la rottamazione delle tradizionali divise è un progresso. Ma la vera rivoluzione ci sarebbe se gli allievi potessero vestirsi come a loro piace, senza il vincolo di una divisa seppur vagamente transgender.
Ci sono abiti che dicono di più di quello che vorrebbero dire. Un esempio: il velo islamico. Se continueranno gli scontri ideologici sulle adozioni per le coppie gay anche i look gender finiranno così. Il metalogo è una interessante sceneggiatura di contrasti reali.
Condivo quello che dice Aurora. Il metalogo fa pensare. Ma io l’avrei fatto piu corto.
Tendenzialmente per come ragiono io affogherei i pensieri di Sissy nell’acqua, ma siccome parliamo di comprensione e uguaglianza può, ahimè, esprimere ciò che pensa. Ciò che mi irrita maggiormente è che tanti la pensano come lei, in tanti pensano che ci siano solo due generi ”naturalmente” corretti: uomo/donna. La moda mi piace per più cose, uno tra questi è la voglia di rendere tutti liberi. In tante collezioni, di vari stilisti, non ci si capacita di quanto un uomo non possa indossare quelle scarpe, piuttosto che altre, di una gonna, piuttosto che una maglia trasparente; non è forse questo il bello? Nella vita penso che una delle cose più importanti a cui si possa aspirare sia essere liberi, in tutto e per tutto. Ognuno di noi ha i suoi gusti, le sue preferenze e questo è giusto che si estenda anche in termini di abbigliamento. Un uomo che si sente donna, una donna che si sente uomo deve avere il suo posto nel mondo, esattamente come lo ha una donna che si sente una donna e un uomo che si sente uomo. Quando Sissy se ne esce con frasi tipo: ” Non è colpa mia se la coppia naturale è fatta da un maschio e da una femmina. Cioè, io capisco che ci sono persone che la pensano diversamente. Che vivano come gli pare. Io non interferisco. Ma mi è permesso di scegliere ciò che per me è buono e sano? Posso difendere ciò che considero pulito e giusto? ” sento che ancora c’è tanto su cui lavorare, che i pensieri cristiani a ci hanno abituato siano a tal punto radicati. Secondo il mio parere non esiste il concetto di naturale perché siamo noi che decidiamo cosa è più giusto e pulito per noi. C’è un detto che mi piace e he vedo molto incline al mio modo di pensare: la mia libertà finisce dove termina la tua.
Mi piace la visione di Sara sulla vita e sulla moda. All’inizio ho trovato eccessivo il personaggio di Sissy. Poi preso atto delle difficoltà per l’approvazione della legge che equipara le unioni di persone dello stesso sesso al matrimonio, ho capito che la forzatura dell’autore aveva un riscontro reale evidente. E poi senza Sissy il Metalogo si sarebbe trasformato in una specie di conferenza della sorella tutta spostata sull’elogio incondizionato del gender.
Non sarebbe nemmeno giusto. Tradizioni e abitudini secolari non possono essere cancellate di punto in bianco. Lo so che la moda ci ha abituato a rapidissimi voltafaccia. Ma anche la moda ha una tradizione. E per ora la maggioranza degli stilisti difende la differenza tra linee maschili e femminili che possiamo considerare la coppia di opposti dalla quale ha fatto partire il suo particolare linguaggio.
Errore nella citazione : *la mia libertà finisce dove inizia la tua .
Dovrei aggiungere un commento, un giudizio ma mi sento più di porre un ulteriore interrogativo: ho trovato molto interessante l’ intervento di Johnny dove accusa la moda di essere doppia faccia, voltando le spalle alla sessualità binaria che ha sempre accentuato. In realtà non mi sento di dar completa ragione a Mr Scorreggia, poiché a mio parere, il sistema moda propone idee e tendenze ma esse non sono altro che mere opinioni (sia che siano trickle down che bubble up) finché i consumatori non danno la loro sentenza, come l’imperatore alla fine di un combattimento fra gladiatori. I codici ormai fissi ed indissolubili del sistema moda, sono tali solo perché noi lo riteniamo noi. Il fatto che alcune tendenze e idee innovative di grandi designer del passato e di oggi persistano e costituiscano un esempio da riprendere e a cui ispirarsi, non fa di esse leggi fisse e perpetue, quindi non considererei un cambio di direzione come un volta faccia..anche perché se lo ritenessimo tale, tutta la storia della moda non sarebbe altro che una serie di contraddizioni. Consideriamo leggi fisse quelle sulla fisica e la meccanica perché da quando possiamo immaginare ad ora, l’Universo le ha sempre seguite, ma non possiamo dedurre da questo che in futuro sarà lo stesso in perpetuo. Il sistema moda è determinato da un subbuglio, un bisogno sociale di espressione e riconoscimento e il caso del no-gender non fa eccezione. Il mio interrogativo riguarda se davvero i grandi brand di moda (colta la palla al balzo dai designer emergenti), con l’introduzione del no gender nelle loro sfilate e nella loro comunicazione, intendano davvero uscire fuori dai canoni della sessualità binaria o solamente accentuarla attraverso una provocazione..o entrambe?
Forse il paragone è azzardato ed esagerato, ma mi viene in mente l’Uncanny Valley di Masahiro Mori, dove arrivati ad un certo punto di familiarità e riconoscibilità, si ha un crollo, dove non riusciamo più a distinguere cosa o chi abbiamo di fronte e veniamo pervasi dalla sensazione del “perturbante”. Da una parte la repulsione, dall’altra (a parer mio) l’inguaribile attrazione per ciò che non conosciamo, che non è chiaro e ci provoca insicurezza.
Seguendo questo schema, il no gender nel sistema moda potrebbe costituire non tanto una rivoluzione di codici di accettazione sociale ma piuttosto un vincente modello di business, come lo sono state altre novità ed altre tendenze in precedenza.
Bella l’immagine dell’altro trasformato nel perturbante. Molto freudiana.
Mi rivedo molto nei dubbi, nelle paure e nei pensieri di Sissy, per quanto sia troppo ingenua.
Chi è nato con certi valori, certi insegnamenti è ovvio che si ritrovi perplesso davanti ad una moda che elimina i due sessi “naturali” per generarne uno nuovo, ibrido.
Io penso che ogni persona libera debba scegliere di vestirsi come crede.
Ma se una persona è davvero libera non ha problemi a dichiarare di vestirsi in un certo modo. Se volessi vestirmi da uomo, non devo eliminare lo stile raffinato ed elegante della donna perché altrimenti gli altri non mi accettano dal momento che sono una donna con dei gusti mascolini, non affini ai classici gusti femminili. Non devo mettere in discussione la Natura per non sentirmi giudicata.
L’uomo e la donna da sempre sono esseri diversi, sia esteticamente sia psicologicamente, per quanto la nostra mente si adatti a volte a dei canoni già imposti dalla società in cui si nasce o si vive.
Ma la bellezza sta proprio nelle diversità, perché è solo dalle diversità che nasce il confronto e quindi la CRESCITA.
Se si togliesse la diversità saremmo automi, macchine uguali, senza un’identità viva e definita, e la moda finirebbe perché non più in grado di creare nuove soluzioni, nuove tendenze e nuovi stili. Eliminare la sessualità binaria del tutto farebbe perdere di credibilità ai designers che da sempre cercano di esaltare i particolari dell’uomo e della donna. Si sa però che la moda manchi di un’ etica salda e definita. La moda nel corso del tempo ha esaltato ciò che poi ha criticato e rinnegato. Non si sbilancia mai, non si schiera da nessuna parte, probabilmente concentrata solo su chi compra ciò che si crea: se quel prodotto viene apprezzato(=comprato) è okay, altrimenti si cambia. A maggior ragione però essa lancia imput e ognuno attinge da dove vuole a seconda del proprio gusto personale, senza calpestare gusti altrui.
Per questo penso che il no-gender style sia un trend passeggero, uno stile transitorio che fa novità, che può essere venduto, ma non a lungo termine.
Minnie dice: ” la moda non è mai così neutra”. Secondo il mio punto di vista è la verità. Sono gli abiti che fanno la moda, sì, ma chi li produce? Chi li disegna? I designers, che non sono altro che persone, come ognuno di noi, capaci di sentimenti e sensazioni. Per questo è inevitabile che la moda non possa prescindere da tutte le tematiche che ci circondano. In questo particolare Zeitgeist, caratterizzato dal terrorismo e dalla globalizzazione, l’abito è un segno portatore di un insieme di codici e valori. Certo, con le subculture era tutto molto più visibile! L’assenza di ideologie così forti ha creato un momento dii transizione. Questo però non giustifica il fatto che la moda sia influenzata dalle tematiche generali.
Minnie dice: ” la moda non è mai così neutra”. Secondo il mio punto di vista è la verità. Sono gli abiti che fanno la moda, sì, ma chi li produce? Chi li disegna? I designers, che non sono altro che persone, come ognuno di noi, capaci di sentimenti e sensazioni. Per questo è inevitabile che la moda non possa prescindere da tutte le tematiche che ci circondano. In questo particolare Zeitgeist, caratterizzato dal terrorismo e dalla globalizzazione, l’abito è un segno portatore di un insieme di codici e valori. Certo, con le subculture era tutto molto più visibile! L’assenza di ideologie così forti ha creato un momento dii transizione. Questo però non giustifica il fatto che la moda sia influenzata dalle tematiche generali.
La moda ha da sempre usato in passerella toni provocatori e i designer non si sono mai risparmiati ”commentando” in senso figurato i temi caldi del momento.
L’abbigliamento no gender proposto oggi dagli stilisti ha lo stesso impatto sulle grandi masse che ebbero le rivoluzioni stilistiche introdotte da Coco Chanel o Armani nei relativi momenti storici.
I designer attingono da sempre dalle tendenze delle strade, dalle agitazioni che le subculture producono tentando di cambiare i codici culturali della società cosiddetta “normale”.
Dal mio punto di vista anche ciò che in questo momento appare a molti come inaccettabile e cioè la confusione tra i generi, sarà tra pochi anni considerata una tendenza assimilata e integrata nei codici di abbigliamento.
Molti benpensanti soprattutto nel nostro paese hanno “inventato” la teoria del gender.
Credo che tale teoria abbia solo generato molte opinioni anche completamente diverse fra loro, senza far capire veramente cosa realmente significa gender. Cioè inculcare il fatto che
esistano diversi modi di essere donne o uomini, ma queste diversità non devono creare discriminazioni.
La moda riflette benissimo quest’idea, credo che gli stilisti, in quanto persone vogliano trasmettere il loro stile e modo di pensare tramite le collezioni, e che sia normale che nel fashion system, popolato da un’insieme di persone eterogenee al massimo livello le discriminazioni siano quasi inesistenti. Per questo la moda, in quanto sistema che accetta e celebra la diversità debba insegnare alla società che i tempi sono cambiati e che le discriminazioni sono ormai storia vecchia che appartengono quasi esclusivamente ai bigotti dalla mentalità estremista e retrograda.
Leggendo i commenti noto con piacere che la maggior parte dei lettori è in forte disaccordo con le opinioni della piccola Sissy. Potrei quasi perdonare le sue infelici uscite considerata la giovane età e la mancanza di esperienza, ma è un personaggio fittizio che rappresenta la caricatura del pensiero medio di molte persone (anche adulte) purtroppo. Il recente Family Day e i sempre più frequenti atti di omofobia e transfobia sono la conseguenza della paura per ciò che è diverso e della presunta minaccia ai propri valori. La mancanza di tolleranza verso realtà diverse dalla propria è il vero problema di fondo che andrebbe ricercato nell’educazione ricevuta da queste persone. Voglio vivere in un mondo con pari opportunità per tutti, in cui ognuno è libero di vivere la propria individualità senza il peso delle aspettative di genere. Quale siano le reali motivazioni che si celano dietro la svolta no-gender nelle ultime collezioni di molti brand non lo so, ma sono comunque felice perché è una realtà che non deve rimanere nell’ombra. La moda essendo lo specchio di una società in continua evoluzione più aperta verso realtà diverse, ha l’obbligo di mostrarle. Sono dell’idea che ognuno ha il diritto di essere ed esprimere sé stesso sempre e comunque, anche nella scelta dell’abbigliamento.
Immagino il fashion system e il mondo di coloro che non fanno parte di quest’ultimo come due binari di un treno, due rette parallele che paradossalmente si incontrano in un solo punto, il deviatoio che nel caso di brand come Margiela, dove la comunicazione off\online è quasi zero, viene identificato con il fashion show.
Da una parte c’è Galliano e la maggior parte del fashion system che crede fortemente nel genderless, diametralmente opposto c’è l’uomo kantiano più conservatore e dalla mente difficilmente apribile riguardo questo nuovo concetto di “BeenAry gender”.
Due linee parallele che per definizione non si incontrano mai, ma l’una influisce inevitabilmente sull’altra.
Le discriminazioni esistono da sempre. La moda ha solo colto, come spesso fa, un qualcosa che già esisteva e lo ha buttato nel suo sistema inglobandolo, facendolo suo. Già negli anni settanta e ottanta si parlava del “no-gender” e lo si vedeva per le strade, sui palcoscenici con uno straordinario David Bowie stretto nelle sue aderentissime tutine colorate.
Questo tuttavia non è un trend. Per il semplice motivo per cui non è mai morto.
Yves Saint Laurent ha disegnato il suo famosissimo smoking nel 1966 e lo ha fatto sbirciando per i marciapiedi delle strade di Parigi. Lui aveva colto una possibile rappresentazione dell’essere: l’essere no-gender. La moda diventa quindi portavoce delle rappresentazioni del nostro essere, le fa sue e per l’appunto dà loro una voce. Sono convinta che ci sia bisogno di questo, perché ci dà sicurezza.
Dà sicurezza il fatto che non siamo tutti uguali o per lo meno rassicura me.
Avrei paura di non riconoscermi altrimenti.
Secondo il mio punto di vista il modo di esprimersi e le tematiche che affronta Sissy non sono ricollegabili ad una ragazzina appena uscita dalle scuole medie, a quell’età l’attenzione si concentra su altri argomenti.
Ma tralasciando questo credo che la moda sia mezzo di comunicazione attraverso il quale i designer cercano di esprimere la propria visione, la propria opinione e i propri sentimenti. E perché non sfruttare un mezzo di comunicazione così potente e di attrazione mondiale da parte di tutte le categorie sociali per poter almeno cercare di trasmettere principi come uguaglianza e libertà?
Il mondo del fashion è visto come un mondo estremamente frivolo e superficiale ma perché non renderlo più utile e pieno di significato utilizzandolo come arma di diffusione di massa? Trovo necessario il messaggio che alcuni brand stanno cercando di dare, non dovrebbero esserci discriminazioni, a mio avviso ognuno di noi deve sentirsi libero di essere se stesso, un individuo non deve essere giudicato per i suoi gusti –o non gusti- sessuali. Tutto ciò che riguarda la diversità sessuale di una persona non dovrebbe in alcun modo intaccare il giudizio che di questa persona si ha, non vi è alcun collegamento tra i gusti sessuali di un individuo e la sua integrità. Purtroppo in Italia lo stampo cattolico complica estremamente l’accettazione di soggetti che non seguono la tradizionale logica binaria e quindi l’esclusione e il giudizio che queste persone sono costrette a subire porta la moda a divenire strumento necessario a diffondere i diritti di tutti.
Su temi e modo di esprimersi dei quattordicenni non so quasi nulla. Tuttavia ricordo che tanti anni fa, a quell’età nella tarda primavera mi presentai a scuola con una favolosa camicia gialla alla Tex Willer. Il mio compagno di banco alzò la mano chiedendo al prof se poteva cambiare posto. Alla domanda sul perché della richiesta rispose che non voleva avere vicino un frocio. L’esplosione di risate mi travolse. Il più divertito sembrava il prof che per mettermi bene in mostra e a mio agio pensò di interrogarmi in seduta stante. Mi beccai un tre meno uno per via della camicia tra il giubilio generale dei miei compagni.
Un’altra esperienza traumatica con quattordicenni o giù di lì l’ho avuta in età matura. Ero sulla veranda insieme a mia nipote e la sua migliore amichetta. Stavano facendo i fatti loro infischiandosene di tutti, con la noncuranza tipica di chi ha quell’orrenda età. Ebbi la malaugurata idea di interferire con il loro smanettamento al cellulare. Chiesi: allora ragazze ce l’avete il principino azzurro? Risposta:
A. Sono cazzi nostri; b. Se lo avessi non lo direi proprio a te; c. vallo a chiedere alla rumena che hai portato a pranzo (avevo invitato una amica per tenere buona mia madre, sempre felice quando mi vedeva in dolce compagnia).
Da quel giorno con gli adolescenti parlo solo a grugniti.
Allora, non sono così sicuro che il personaggio di Sissy sia così straniante. Tieni conto che nel metalogo è con la sorella e amici poco piu grandi di lei. Forse tu eri diversa. Ma hai mai ascoltato un gruppo di ragazzine, non del tuo giro, parlare in libertà tra loro?
Condivido il resto del tuo commento.
L’autore è bravo nel caratterizzare i personaggi. Ma al posto di Sissy poteva crearne uno più maturo. Gli adolescenti sono più romantici. E certo non così aggressivi.
Il genderless è un po’ la moda del momento è un po’ una delle tendenze che rimarranno nel futuro, dal momento che una società civile non può cancellare milioni di persone che hanno bisogni diversi. Queste persone è giusto che abbiamo il loro modo di vestirsi e quindi di esprimere se stessi.
Il metalogo qui proposto è sicuramente uno nei quali meglio va a sposare la triade che viene sempre più a crearsi fra moda, ideologia e cultura. La nostra cultura, e per nostra intendo quella inculcata dal cristianesimo e dalla Costituzione italiana, è essenzialmente fondata sulla famiglia formata, senza mezzi termini, da una mamma ed un papà. Quindi, la cultura altro non è che l’impronta “madre” data da alcuni comportamenti “base” che si sono trapassati negli anni e nei secoli.
Quando ci addentriamo nella spiegazione della parola ideologia (o per meglio dire teoria), ed in questo caso gender, è facile cadere in vari tranelli che vengono posti dalla società in cui viviamo. Infine, riferendoci alla moda possiamo dire che la sua etimologia, data la duplice accezione di “usanza, costume, abitudine” o di “misura, limite, regola”, può avere una spiegazione molto più ampia e vasta così da considerare la giusta spiegazione della stessa il fatto che si affermi l’esistenza di un gusto, in qualche modo regolamentato dal sociale, capace di definire la misura delle scelte individuali.
Ciò detto mi sento di rispondere che, nonostante il nostro tessuto socio-culturale sia impregnato di regole ben precise, di forme create ad hoc, il compito della moda può e deve essere anche quello di trasformare o meglio, andare incontro al cambiamento di quella minoranza di persone, in questo caso particolare i gender.
Molti sono stati i soggetti della moda, ancor prima dell’anno 2015 ad interessarsi alle prime piccole rivoluzioni, possiamo citare come capostipite di questa rivoluzione culturale l’uso dei jeans nella tribù hippie che hanno eliminato quella marcata differenziazione fra abbigliamento maschile e femminile. Per non parlare della cravatta, inizialmente simbolo di caratterizzazione prettamente maschile, per poi negli anni a venire usata dal movimento femminista delle Suffragette.
Insomma il credere che la moda non sia un amplificatore culturale e sociale è assolutamente sbagliato. Il mondo della comunicazione di massa, a mio parere, insieme alla moda è stato il trasmettitore sociale più rivoluzionario di ciò che viene associato alla parola gender o all’acronimo, usato anche nel metalogo, LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e queer, cioè chi rifiuta un orientamento sessuale definito e si ritiene libero di variare a suo piacimento o di rimanere “indefinibile”), ed è per questo che sostengo la posizione di Minnie, ognuno di noi è libero di assumere il ruolo sociale che preferisce però, bisogna ben guardarsi le spalle perché gli abiti non sono oggetti a sé stanti ma dei simboli e come simboli ci rinviano a delle immagini e a dei concetti.
E’ vero anche il fatto che io sono libera di vestirmi come mi pare, ma allo stesso tempo devo avere la consapevolezza che appartenendo alla semiosfera sarò categorizzata in un determinato modo ed è qui che c’è bisogno di intervenire, così come esistono delle collezioni femminili e maschili, a cui i due sessi binari fanno riferimento per il loro guardaroba, è giusto che in una moda-mondo come quella attuale si presentino delle collezioni che non abbiano regole ben precise e che scombussolino le norme vestimentarie dei due sessi.
Lo street-style oggi, più che mai influenza la nostra società e per questo che la moda sta “accogliendo” questa nuova corrente che abbraccia la categoria LGBTQ; sarà un movimento di business e quindi n movimento a cui i creativi devono acconsentire per avere maggiore successo? Non è facile rispondere però è sicuro il fatto che ci sia una certa influenza dal basso, una bubble up in piena regola.
Per quanto riguarda il personaggio di Sissy, io direi che appartiene a quella “categoria” di persone (non voglio chiamarli adolescenti perché sicuramente i suoi ragionamenti non possono rispecchiare al 100% quelli di una 14enne) ancorate all’idea di normale. Ma la normalità esiste? Ciò potrebbe aprire un’immensa digressione e credo che non sia il caso di farlo qui, ma sicuramente c’è da dire che la normalità è un punto di vista molto labile. Ciò che per me è normale, per il tedesco sarà a-normale, così come lo sarà per il musulmano il veder uscire donne senza protezioni (veli, burqa, hijab, chador o niqab) e di conseguenza come sarà a-normale per noi occidentali vedere donne che lo indossino. Allora mi chiedo: come possiamo definire “normale” un soggetto umano?
E’ vero che in sostanza nasciamo uomini e donne, ma così come viene detto nel metalogo, su 2000 bambini ce n’è uno che non è né uomo né donna, in passato forzato a divenire l’uno o l’altro, così rendendo la sua vita impossibile ed in eterna agonia con se stesso, capace di portare il soggetto interessato a non provare alcun tipo di piacere e al sentirsi estraneo al suo corpo. Per questo la domanda propostaci “nasciamo maschi o femmine oppure ci identifichiamo a questi ruoli nel corso della prima parte della nostra vita?”, è fondamentale per affrontare l’argomento. Così, avvalendoci delle teorie freudiane ci sembrerà corretto affermare che la scelta sessuale avvenga secondo scansioni che rendono spesso molto complicata la discesa del soggetto in un sesso piuttosto che nell’altro. Anche se nasciamo con una demarcazione sessuale biologica (uomini o donne che sia) è nella seconda fase della nostra vita, quella a cui appartiene l’adolescenza che si arriva a scegliere ciò da cui sessualmente si è attratti e ciò può prescindere dall’orientamento iniziale stabilito dalla biologica. Per questo concludo dicendo che seppur in passato vi siano state delle restrizioni, delle “norme” a stabilire ciò che era giusto culturalmente e sessualmente parlando, per un uomo o per una donna, oggi è giusto il libero arbitrio, così come un bimbo nato mancino ha il diritto di esprimersi con l’emisfero destro, così è giusto che un uomo e una donna si sentino l’uno donna e l’altro uomo.
E’ inevitabile che oggi il mondo si stia adattando a nuovi modi di essere e di esprimersi, così come la moda è diventata anch’essa un mezzo per esprimere il proprio essere e per dimostrare che in fin dei conti non esiste una differenza sostanziale tra il sesso maschile e quello femminile. E’ innegabile però, l’esistenza di elementi che non possono essere trasportati ( almeno in questo momento) all’altro sesso. La gonna di Gucci ne è un esempio eclatante quando la maison ha insistito nel farla indossare all’uomo e quest’ultimo ha chiaramente rifiutato, ma togliendo questo, c’ è da dire che molti abiti sono oramai divenuti unisex. L’essere umano, come d’altro canto diceva lo stesso Wagner nella sua Trilogia, è un androgino che combina caratteristiche ed elementi di entrambi i generi in una stessa persona; tale ambiguità ai tempi di Wagner può essere, anzi è sicuramente stata catapultata ai giorni nostri fondando la propria identità di genere o stile di vita. L’androgino si descrive come un essere a metà strada tra uomo e donna, ma possono anche identificarsi come asessuati, ovvero privi di genere di appartenenza. E quale mezzo più importante che ha la capacità di sviluppare al 100% questa espressività ambigua che caratterizza l’essere uomo se non la moda? Non a caso esempio esemplare di androginia è stata la modella Andreja Pejia,nota per la sua estrema androginia che le permette di sfilare con disinvoltare sia in abbigliamento maschile che femminile riproducendo in maniera significativa lo stile Gender: entrambi gli elementi della moda maschile e femminile si mescolano per dare vita ad un unico look. Punto di partenza per esprimere la propria identità diviene senz’altro la moda, tratto ormai distintivo per ognuno di noi, un crocevia d’ informazioni , abitudini e stili di vita che si fondono e danno vita ad una nuova realtà che è proprio la realtà del Gender-style la quale sta inevitabilmente prendendo il sopravvento nella nostra società. Siamo influenzati quindi da quello che ci accade intorno, così come lo siamo nella cultura e nella moda che si evolve nel tempo. Ma mi pongo adesso una domanda: siamo noi che cambiamo col tempo o è la moda che fa cambiare noi? Come dice Minnie nel metalogo “siamo più influenzati dalla cultura che dalla natura. Ciò che chiami realtà è semplicemente ciò a cui crede la gente” ed è probabile che le parole dette da Minnie siano vere; non importa quale sia la natura delle persone, che siano asessuati o meno, lesbiche, gay e chi più ne ha più ne metta, ma quello che concentra la nostra attenzione altro non è che il cambiamento e lo sconvolgimento della cultura che cambia l’essere umano e la moda non deve far altro che adeguarsi a questi cambiamenti, travolgendoli in un vortice di assoluta creatività. Queste mezze situazioni, il non essere ne bianco ne nero, stravolge il nostro essere e la moda non fa altro che rendere comprensivo e attuabile quello che per noi è incertezza. Lo stesso Jonnhy Scorreggia dice ”Viviamo meglio grazie alle mezze verità e nessuno rimane se stesso per sempre”; idea se vogliamo così dire discutibile poiché la moda non fa altro che trasformare il nostro essere “mezzi uomini” in un genere ben definito e distinto dagli altri. Ma nonostante questa messa in discussione del non essere mai sempre se stessi ci fa addentrare ancora di più nel mondo Gender: da un lato abbiamo la paura di esprimere la propria identità che non sarà più quella esteriore, ma quella che ognuno di noi sente di aver dentro, un’identità che deve fare i conti con una società aggrappata ai valori di un tempo, una società che ha paura di distaccarsi al tradizionalismo e che vede situazioni come la piccola trasgender Leelah Alcorn, suicidata per essere stata incompresa dai suoi genitori che non l’accettavano e le facevano seguire terapie inutili. Dall’altra invece, l’esuberanza con la quale queste persone valorizzano e comunicano il loro essere a metà senza la paura di essere giudicati, senza l’imbarazzo di presentarsi davanti a tutti, senza la paura di avere il diritto ad avere una vita alla pari degli altri ritenuti “normali”; e la moda in tutto ciò ha fatto sì che ognuno di noi si identificasse in un genere che sia maschile o femminile o entrambi, non ha più importanza, adesso quello che più importa è la libertà di essere se stessi. La moda non è altro che il segno distintivo della libertà, è l’elemento fondamentale di un mondo chiuso che lascia spazio all’immaginario, alla trasposizione dei pensieri in abiti fatti a regola d’arte, abiti che si identificano con qualsiasi genere e senza il timore di essere screditati. Gli abiti sono elementi di unicità che identificano le persone, ogni elemento viene contaminato da un altro per creare un nuovo modo di vedere e di percepire le cose, un nuovo modo di vedere la realtà, una realtà moderna e contemporanea.
Ciò che indossiamo rappresenta l’immagine di noi stessi che vogliamo proiettare , rappresenta un codice che fa si che i vestiti che portiamo suscitino in noi essenzialmente le stesse immagini e associazioni che suscitano in altri, anche se i valori ad essi attribuiti variano da momento a momento e da gruppo a gruppo, la moda è un modo diverso di designare lo stile prevalente di un gruppo particolare in un momento particolare. Questo implica che ci sia una successione di stili nel tempo, ed enfatizza il concetto di cambiamento che può individuarsi nel dare significati completamente nuovi o nel recuperarne di vecchi o trovare sfaccettature diverse. Ciò che muove il cambiamento è il fatto che ognuno di noi è occupato a costruire e ad articolare la propria identità sociale, con riferimento anche a profonde correnti collettive che si ripercuotono sul nostro senso di sé. Essendo soggetti a condizioni di vita simili, sperimentiamo desideri e atteggiamenti simili, che necessitano una forma di espressione; le identità hanno quindi una forte componente collettiva. La moda si rivolge a queste identità sociali che sono in costante fermento e per questo generano ambivalenze e contraddizioni. Per trovare nuove ispirazione la moda si rivolge ai conflitti generati dalle ambivalenze d’identità, in particolare quei conflitti che hanno carattere collettivo.
L’avvento dei social media e la velocizzazione delle comunicazioni hanno fatto da cassa di risonanza ai movimenti LGBT che già reclamavano a gran voce i loro diritti a partire dagli anni ‘70, con l’aiuto di internet negli anni ‘90 aumentano le spallate al pudore date dal mondo giovanile cambiando l’immaginario erotico della gente, si mette in discussione la separazione tra maschile e femminile e, verso la fine del millennio come naturale seguito, inizia a sfumarsi il confine fra normalità e perversione. Tutto questo fra proliferare ai giorni nostri soggetti che non si riconoscono più nei comuni generi, definiti “naturali” dai tradizionalisti bigotti spaventati a morte dal cambiamento (fra i quali mi sento di porre Sissy), e quindi ne reinventano di diversi per riuscire ad identificarsi e trovare così un senso di appartenenza e protezione di gruppo. A mia opinione la moda ha il diritto/dovere di permettere la libera espressione di questi individui. Se non ci sono regole di appartenenza ad un genere preciso e si è liberi di scegliere in quale identificarsi, come è giusto che sia, è giusto anche che ci siano collezioni sregolate che confondano le norme vestimentarie dei due sessi. La moda segue il cambiamento in atto della società, come quest’ultima si sta finalmente aprendo alle nuove combinazioni di genere, la moda fa suo questo cambiamento con collezioni no-gender.
La scelta del metalogo come strumento per giungere alla verità, ossia che non esiste una verità assoluta, mi ricorda il metodo socratico e mi fa sorridere pensare a come Socrate avrebbe interrogato i suoi discepoli sulle tematiche di genere, identità, identificazione soprattutto in riferimento al mondo della moda, dei suoi significanti e significati così evanescenti. È giusto che vi sia molto di irrisolto perché é da lí che nascono le idee ma è altrettanto ragionevole creare un punto di vista partendo dagli spunti interessanti forniti dai personaggi. Sissy rispecchia gli adolescenti più di quanto gli adolescenti possano pensare di loro stessi. Nell’epoca postmoderna in cui i ragazzi sono bombardati da una miriade di messaggi spesso schizofrenicamente contraddittori, in un mondo che li mette al centro delle aspettative della società che li vuole flessibili, stacanovisti, ma non troppo, sognatori ma non troppo, coerenti ma pronti a mettersi in discussione, e perché no anche alla moda, la risposta di Sissy é – chi se ne frega?- chi se ne frega di voi che vedete simboli dappertutto, dei messaggi che lancio quando metto una felpa da maschio, chi se ne frega di cosa voglio essere, femmina o semplicemente stare comoda, ma soprattutto chi se ne frega delle etichette e delle definizioni. Questa é la ribellione di Sissy, quando dice “chi impedisce ai no-gender di vestirsi come gli pare?”, Sissy non etichetta anzi afferma ” non sono nemmeno sicura di come loro vestono”, riferendosi alle lesbiche. Il suo mondo é fatto di emozioni, senza definirne troppo i contorni. É questa fluidità di intuizioni emotive che il marketing fatica a cogliere a cui stenta a stare al passo. Il no-gender non ha nulla di trasgressivo, perché nell’essere umano c’è una naturale sessualità, un naturale erotismo, per cui la lesbica probabilmente preferirà di più vestirsi come un uomo che da “no-gender”, i transessuali magari vorrebbero marcare la loro femminilità e i gay a seconda dei casi vorranno enfatizzare la loro parte femminile e così via. Il problema non é se sia giusto o sbagliato creare uno stile no-gender, le modelle sono sempre state poco curvy, statuarie ed evanescenti proprio come lo sono i sogni, e anche quelle spiccatamente androgine paradossalmente lanciano un messaggio di una nuova femminilità, una femminilità di avanguardia. Ed é una falsa affermazione, quella di Minnie, per cui saremmo influenzati di più dalla cultura che dalla natura. Cosa é naturale? Già il semplice dato che esistono persone con identità sessuali e sessuate differenti é un dato da registrare in natura. Allora forse vogliamo dire che la cultura stabilisce cosa é naturale? Ma sarebbe un paradosso, che nella moda funziona più che mai. Non ha senso parlare di una risposta della moda al problema sociale, non c’è rottura. La trasgressione sarebbe stata trasformare un’identità, non renderla asessuata, anche gli asessuali sono ossessionati dalla sessualità, altrimenti non si chiamerebbero così. Il gay vuole potersi baciare per strada in modo lascivo senza essere giudicato, non che vi sia un abbandono della sessualità.
Separato dal sociale il no-gender style é un ricettacolo di creatività, nel volerle annullare mette paradossalmente in risalto le differenze di gender, senza la “volgarità” della seduzione. Screma la patina del sessuale, lasciando il sensuale, il risultato é geniale. Su questa via lo stile é ispirazione, suggerimento, emozione, non solo, e non affatto direi, un elogio alla banalità del male, del socialmente inaccettabile.
Il no-gender non cattura perché abolisce i sessi. David Bowie era un no-gender? Forse si , ma non ci interessa, perché siamo rapiti dal suo sound. Il no-gender style ci interessa perché abolisce le differenze tra i sessi? No di certo – anche perché stento a credere che possa farlo. Ci piace perché avvicina e allontana i sessi, giocando sulle differenti anche se impercettibili differenze anatomiche, sui tagli degli abiti. In questo senso la moda si insinua nella emotività di massa e, come dice Sophia, sfrutta la fragilità dei confini tra i due sessi. Trasformando questa fragilità in un punto di forza, essendo all’avanguardia, cattura l’attenzione senza essere semplicemente trasgressivo.
Il no-gender style attraverso questo “fare finta” che non ci siano differenze risponde a pieno alla disgregazione di identità della nostra società. L’uomo e la donna scivolano in un unicum, assomigliando sempre di più a delle ombre, gli abiti, i tagli, lo stile sono in risalto e si ritrova anche un senso di umanità perduta. “Quando impariamo a conoscere la nostra Ombra e a viverla un po’ di più, diventiamo più accessibili, naturali, umani, completi”. In un certo senso, afferma in psicanalisi Maria-Louise Von Franz, ” l’Ombra ci rende uomini tra gli uomini e umani, semplicemente umani”, non generi.
Mi è piaciuto moltissimo l’intervento di Rita. Finalmente parole lucide su Sissy, la vera protagonista del Metalogo. Ho letto molti articoli sul genderless. Il commento di Rita lo batte tutti.
Da sempre la nostra cultura , è stata permeata da quella cattolica dove la normalità era sancita dalla famiglia naturale composta da uomo e donna, sostenendo quindi la diversità biologica tra questi, determinata imprescindibilmente alla nascita e aventi entrambi gli stessi diritti civili di uguaglianza sociale.
Secondo il Diacono Girolamo Furio nel suo libro L’ideologia del “gender”: se la conosci la eviti afferma che “la differenza maschile / femminile è una differenza esclusivamente culturale, cioè gli uomini sono uomini perché sono educati da uomini, le donne sono donne perché sono educate da donne. Se non ci fossero queste costruzioni culturali non ci sarebbero differenze tra donne e uomini e il genere umano sarebbe fatto di persone uguali. In tal modo la sessualità viene dissociata dalla personalità, non viene naturalmente connessa con la costruzione di una persona”
Questa normalità, sancita dalla tradizione viene stravolta prima negli anni ’50 con l’introduzione del termine “gender” dallo psicologo neozelandese Jhon Money riferendosi agli Intersessuali (persone che presentano in una certa misura i caratteri sessuali di entrambi i sessi) che al tempo erano chiamati ermafroditi. Egli esaminandoli da un punto di vista psicologico si accorse del fatto che nonostante la loro anatomia essi s’identificavano senza confusione con il sesso opposto a quello che gli era stato dato in origine, poiché il sesso cromosomico poteva essere maschile, mentre, invece, quello dei genitali poteva essere femminile (e viceversa). Nonostante questa confusione l’identità di queste persone era distintamente maschile o femminile.
Dagli anni ‘70 in poi, si assiste ad un successo senza tempo, determinato dai mass media dei Trans, dei gay, delle Lesbiche, dei Drag Queens che spopolando influiscono drasticamente sul modo di essere e di sentire delle persone. I grandi stilisti portano sulle passerelle uno stile completamente diverso da quello precedente: il perverso non è più considerato malato, ma è un esempio di sessualità senza tabù legittimato dai mass media e dal cinema. Questa predisposizione all’accettazione del feticismo, sadomasochismo e del travestitismo influenzarono l’alta couture (per esempio J.P. Gaultier) portando nell’alta moda le sottoculture estreme normalizzandole e rendendole accettabili per il vasto pubblico, ma con la consapevolezza che l’uguaglianza tra i due sessi è ancora un’utopia. La moda non è traghettatrice solo di tendenza, ma fa una battaglia politica silenziosa per l’acquisizione dei diritti fondamentali di accettazione della diversità, a ciò che noi per tradizione consideriamo “normale”! Purtroppo la “Teoria del gender” per gli attivisti cattolici è una sorta di copertura per nascondere un progetto predefinito mirante alla distruzione della famiglia e della società attraverso organismi internazionali e potenti lobby LGBTI che promuovono l’ideologia del genere attraverso: la sostituzione del termine “sesso” con il termine “genere”; l’estenzione alle coppie (omosessuali) dello stesso diritto al matrimonio, all’adozione e alle tecniche di riproduzione assistita. Secondo me questa visione della Chiesa è troppo estremista poiché queste minoranze rivendicano semplicemente l’accettazione da parte di una società che non accetta il diverso e che lo intende sempre come una minaccia per l’ordine prestabilito. Vorrei terminare citando ciò che affermava il personaggio di Minnie nel metalogo e con la quale sono in completo accordo:” la nostra sessualità è molto più liquida di quanto a noi piaccia riconoscere. La moda ha il dovere di interpretare le nostre identità mutanti, dando ad esse una forma espressiva adeguata alla sostanza dell’essere che noi scegliamo di interpretare”.
Contemporaneità è una parola che mi fa riflettere su diverse questioni , tra cui non solo ciò che riguarda il presente ma anche i dati che influenzeranno inevitabilmente il futuro. Il nostro presente è il risultato di un passato storico abbastanza complicato, ma soprattutto di una rigidità mentale utile per chi ha cercato di mantenere la società in una falsa stabilità. Abbiamo potuto apprendere dalla storia il rifiuto per tutto ciò che riguarda la femminilità, con il conseguente soffocamento di ogni libertà di espressione; l’esaltazione di una società patriarcale, nella quale anche solo un cenno di ribellione riusciva a durare ben poco.
L’avvento di una sorta di liberazione, data da diversi movimenti giovanili tra i quali il famoso movimento hippie, il punk e il punk rock, e in precedenza, seppur in piccolo, da donne coraggiose, ha permesso a chiunque di impadronirsi della propria identità e di comunicarla con trasparenza.
Se Amelia Bloomer, grande attivista statunitense dell’ottocento, avesse fatto capolino negli anni ’60 o giù di lì, forse sarebbe riuscita a far crescere la sua rivolta contro le insani e non salutari strutture vestimentarie imposte alle donne, e i suoi pantaloni alla turca indossati sotto la gonna non sarebbero sembrati così assurdi, ma solo una ricerca di comfort e libertà di espressione. Questa è una delle tante testimonianze di come la moda sia diventata successivamente un potente strumento per aiutare le ribellioni ad imprimersi efficacemente nella società.
Il no-gender, protagonista nel metalogo, è una questione complessa quanto delicata: la libertà di espressione, a mio avviso, ha portato negli anni ad una confusione generale; se da un lato ci ha permesso di dar voce a ciò che siamo o di scegliere chi essere e cosa far trasparire, dall’altro lato ha condotto ad una perdita di punti di riferimento, quelli che per secoli hanno costituito la società e che ancor’oggi persistono (il personaggio di Sissy li evidenzia chiaramente). In questa confusione è lecito chiedersi se il prezzo da pagare non è troppo alto, se la perdita dei valori, dovuta alla contestazione dell’esistenza stessa dei valori, non conduca ad una catastrofica insicurezza generale. La moda credo sia uno strumento utile per guidare le persone alla ricerca della propria identità o dei diversi ruoli di cui ci si vuole “vestire”, poiché tutto ciò che siamo è in continua evoluzione e dev’essere liberamente scoperto e comunicato. Una persona è caratterizzata da mille emozioni, pensieri, sensazioni ed espressioni, e ciò che ci ha limitato in passato è stato il rigido schema delle categorie, definite tradizionalmente normali, mirate a nascondere le parti che ci differenziano e che mostrano la nostra vera essenza. Le passerelle, soprattutto quelle di brand in vista, giustamente sfruttano, dal mio punto di vista cinico e meno poetico, le ribellioni quotidiane per imprimersi efficacemente sul mercato, con il conseguente giovamento di coloro che hanno bisogno di qualcuno che li sostenga, qualcuno che possieda gli strumenti giusti per arrivare dove deve e tessere le fila di un futuro meno confuso e più consapevole.
Sono d’accordo con Giada. Anch’io mi pongo la domanda se siamo consci di quello che stiamo perdendo. Ecco perché ho apprezzato il personaggio di Sissy e lo considero fondamentale tra le “voci” del Metalogo. Però so benissimo che nessuna idea buona o giusta può fermare la moda.
Io mi associo a chi ha proposto di sopprimere Sissy. Non stiamo perdendo nulla. Dando spazio al gender allarghiamo la grande famiglia dell’umanità. Considero fondamentale l’apporto della moda, finalmente schierata per una idea giusta.
È verissimo: nessuna moda buona ha mai fermato le mode cattive
Credo che prima di tutto venga l’individuo, e l’individuo non ha sesso. Il sesso è l’ultima cosa che conta.” cito Mustafa Sabbagh per esprimere al meglio quello che penso e credo fortemente quando si parla di gender. Soprattutto,sono in forte disaccordo con le opinioni di Sissy, che mi rende molto triste.
Dal momento che, al giorno d’oggi, non esiste più pensiero sulla persona svincolato dagli stereotipi di “uomo” e di “donna”, come può la moda, forma sociale di controllo, liberarsi dalle connotazioni del genere?
Eppure sta accadendo.
Dalla fine degli anni ’60 ad oggi, lo stile unisex e l’intercambiabilità dei ruoli sono sempre stati riproposti sulle passerelle e nei negozi come latest trend. D’altronde l’abbigliamento di genere neutro, con l’intento di avvicinare e mettere sullo stesso piano i due generi, ha rispecchiato i cambiamenti sociali di gran parte del XX secolo e il bisogno di eliminare il divario tra i sessi.
I tentativi di portare il pensiero non-binario alla luce sono stati fatti, e se ne fanno di continuo; basti pensare alla campagna Agender di Selfridges dell’anno scorso, che ha consentito ai clienti di fare shopping senza limitazioni, trascendendo dai tradizionali concetti di “per lui” e “per lei”, o all’introduzione del titolo Mx, nei documenti ufficiali, accanto Miss, Mrs e Mister nel Regno Unito. Si sa, gli inglesi sono avanti, ma c’è ancora tanta strada da fare.
Mi piace quello che sostiene Arianna anche se l’affermazione che l’individuo non ha sesso è molto forte. Forse Arianna voleva dire che noi non siamo le nostre pulsioni, e questo ci rende tutti abitatori del mondo con gli stessi diritti.
Mah!boh! Devo dire che mi fa impressione leggere che il sesso non conta nulla. Forse non ho capito Arianna e Lucia ma cosa c’è di più reale del sesso?
Io penso che la tendenza no-gender sia qualcosa di molto profondo che deriva da un’attenta analisi della nuova generazione (Generazione Z) in cui i ragazzi sono molto più aperti dal punto di vista mentale rispetto la generazione precedente. Ci sono studi che testimoniano che tra loro la tradizionale concezione dei generi è profondamente cambiata: nascere uomo o donna è parzialmente sinonimo di apparenza a qualcosa, ma è non definisce l’individuo dal punto di vista sessuale. Mi spiego meglio: questi ragazzi sono cresciuti in un ambiente molto più eterogeneo e sono stati abituati a promuovere e apprezzare molto più l’interiorità rispetto l’esteriorità di una persona. Sono pochi pochi quelli che si definiscono totalmente eterosessuali o omosessuali, favorendo invece rapporti con entrambi i sessi. Basta nascondersi. Vogliono potersi innamorare di una persona, al di la del genere e/o della razza, perché l’importante è ciò che sei non ciò che appari. Da qui ne deriva la tendenza a comprare capi originariamente destinati all’altro sesso e renderli parte integrante del proprio stile, perfettamente in linea con la propria personalità. La moda quindi come al solito sta solamente assecondando una corrente partita dal basso, rendendola trendy, trasgressiva, ma allo stesso tempo mainstream.
Personalmente rimango sempre perplesso quando incontro sociologismi del tipo “generazione z”. Questa discorsività pseudo scientifica porta a pensare che nella realtà vi sia veramente una vastissima classe di individui che di colpo hanno cambiato le carte in tavola sulle preferenze sessuali. Non ci credo. Trovo convincente invece l’idea che sia in grande crescita tra i nuovi giovani un atteggiamento più aperto verso l’accettazione di esperienze fuori dall’ordinario. Mettere in gioco l’essere mi pare fuorviante. Una domanda: se veramente ciò che conta per la “generazione z” è ciò che sei perché “comprare abiti originariamente destinati all’altro sesso”? Se si sceglie l’essere perché perdere (molto) tempo per apparire? Insomma, parti da premesse giuste ma come una vecchia baldracca della pubblicità trai conseguenze e generalizzazioni arbitrarie quanto spettacolari (“sono pochi quelli che si definiscono completamente etero o omosessuali”… Chi l’ha detto? Quanti sono? Su questo genere di questioni abbiamo l’obbligo della precisione…Cribbio! Pardon, scusami…Cazzo! Possibile che l’istinto riproduttivo si sia estinto di colpo!). Cerca di capirmi. Il tuo intervento mi è piaciuto. Vorrei però consigliarti di non cadere nella trappola di chi, avendo bisogno di fatturare, crea narrazioni truccate da analisi scientiste, che implicano la soppressione del buon senso critico.
La lettura di questo articolo mi ha fatto immediatamente ripensare al relativismo pirandelliano, al tema della maschera, ai concetti di vita e forma, perché la discussione del metalogo, in fondo, mette a confronto punti di vista tra chi si identifica in maschere e quindi forme e abiti che rispondano a convenzioni sociali e a schemi rigidi della logica, e chi, invece, ha fatto propria l’idea che, partendo dal presupposto che non esiste una verità oggettiva uguale per tutti, ma relativa a quello che è il proprio punto di vista, si sente ormai libera/o da ipocrisie e dalla necessità di adeguarsi a delle forme e a dei modi di vestire imposti. La stigmatizzazione nel genere binario non solo del proprio stile di vita, ma anche del proprio modo di vestire è stata influenzata, se non addirittura imposta, da una mentalità conservatrice condizionata fortemente soprattutto da idee religiose e nei secoli chi non si adattava a quella “forma/maschera/abito” è stato/a emarginato/a, additato/a come diverso/a, talvolta picchiato/a, ucciso/a. Se oggi anche attraverso la moda si riesce ad affrontare con meno ritrosia il tema del gender, sicuramente il segnale è di evoluzione culturale, di apertura verso la possibilità di sganciarsi da atteggiamenti pregiudiziali, di accettazione e di non demonizzazione dell’espressione individuale del proprio io. Certi modi di pensare e atteggiamenti sull’ideologia gender , e su questo sono d’accordo con Michela Marzano, non esistono “se non nelle paure dei soggetti che si ritrovano nel binarismo”, i quali, timorosi di essere messi in crisi nelle loro labili certezze, ritengono che quella del binarismo sia la verità oggettivamente valida. Ma, tornando al concetto iniziale, il loro punto di vista è relativo e quindi non verità assoluta e, oltre tutto, fa emergere talvolta la sua contraddittorietà; infatti nel metalogo Sissy, da una parte vorrebbe essere tollerante, dall’altra è infastidita dal successo mediatico del genderismo, che in qualche modo mette in crisi quei valori che sente come suoi punti fermi. Il tentativo di superare il binarismo nella moda, in tutto ciò, ha una valenza forte da un punto di vista sociale, perché, facendo propri gli spunti che intercettano nel mondo che li circonda, gli stilisti con le loro collezioni si fanno catalizzatori di un cambiamento nella mentalità oltre che nel modo di vestire. Oggi la trasgressione nell’abito che abolisce i generi appare sempre più normalità o meglio “nuova normalità” e questo è un dato straordinario.
La citazione di Pirandello è interessante. Ci fa capire la tensione attuale tra moda come mascherata (cioè come una maschera che consente di partecipare senza attriti ai giochi sociali) e la moda come seconda pelle (cioè come significazioni che riflettono le transitorie verità del soggetto).
Gli innesti gender nelle collezioni ci fanno passare dunque dal mimetismo esibizionistico del passato, a uno stile delle apparenze più vero quindi potenzialmente conflittuale.
Ho trovato il metalogo una tecnica di informazione innovativa ed efficace; ho apprezzato molto la riflessione sul significato di identità, la messa in scena della voce di un cliente-moda, la chiave umoristica e la trattazione di temi di cronaca attuale inseriti al fine di arricchire l’argomento dell’articolo, donandogli concretezza. I discorsi di alcuni ragazzi però a volte, se posso permettermi, non risultano troppo verosimili: ho letto pronunciare periodi troppo articolati e formali per una bambina di 14 anni come Sissy, che sì, esplicava concetti esposti in maniera magistrale, ma forse si crea un discorrere che non ci si aspetterebbe nella realtà. Ma forse non ci si aspetterebbe nemmeno che un ragazzo si possa chiamare Johnny Scorreggia. Ben riuscita la contrapposizione di correnti di pensiero, arricchita da giuste obiezioni e dubbi realistici. Procedendo mi è sorto un dubbio di comprensione: la moda no gender nasce esclusivamente dalla corrente LGBT o si adatta ad essi? O forse è nata per soddisfare una loro richiesta e poi ha preso campo come un trend? Inoltre grazie ad una determinata frase pronunciata da Sissy ho potuto interpretare, non so se con ragione, che il no gender costituisca il punto di partenza per una personalità giovane che poi servirà a trovare la propria strada: ma per tutti i giovani è indispensabile? Il metalogo si conclude senza una risposta definitiva, le domande di Sissy continuerebbero a non trovare certezze, il dibattito infatti non finisce, poiché per argomenti troppo vasti come questo non ci sono soluzioni univoche e tantomeno si pretende di trovarne.
Lucrezia, per quanto riguarda il personaggio Sissy, puoi leggere i miei commenti del 27 novembre ‘15 e del 2 marzo ‘16. Ho chiarito alcuni tratti della psicologia di Johnny Scorreggia nel commento del 15 dicembre ‘15. Il no-gender come caso nazionale, a mio avviso nasce a partire dai tentativi di istituzionalizzare l’uguaglianza dei diritti delle coppie gay e lesbiche. È chiaro che il clamore del conflitto tra schieramenti opposti ha fatto emergere altre voci diverse per orientamento sessuale. Anche per essi si pone il problema della legittimazione istituzionale. Non sono sicuro di aver capito a quale frase di Sissy ti riferisci nella seconda parte del tuo commento.
La mia attenzione durante la lettura non ha potuto resistere alla palese ingenuità di Sissy. Giustificata dalla tenera età, rispetto al resto dei personaggi che il metalogo ci presenta, Sissy a mio parere incarna idealmente il comune pensiero della larga maggioranza. La sua è una figura “scomoda”, dubitante, incosciente; Sissy non sembra cogliere il valore costruttivo che la moda può avere all’interno della società, sottolineando unicamente la sua futile mansione di oggetto decorativo.
È per questo che viene percepita da noi lettori come infantile e se vogliamo alquanto fastidiosa e seccante.
Inutilmente gli amici tentano di offrirle gli spunti necessari per l’inizio di una riflessione che dovrebbe condurla all’accettazione di differenze uniche ed inimitabili. Sissy però non sembra percepire il messaggio.
Come lei, nel mondo, milioni di persone serrano gli occhi dinnanzi al cambiamento, scelgono l’ignoranza, trascurando le novità che la società presenta, vivendo un interminabile sindrome di Peter Pan. Il fatto che un meccanismo tanto forte e potente quanto il fashion system stia presentando nuove possibilità e rivoluzioni, dona grande speranza.
Minnie, arresa, al termine della problematica conversazione, si concede un bagno rinfrescante. Speriamo non sia così anche per noi.
Minnie: […] attraverso gli abiti noi oggi costruiamo sia la nostra provvisoria identità e sia una quota importante del potenziale di relazione con gli altri. In questo contesto gli abiti sono una superficie che riflette la profondità del nostro essere.
Ho aperto il commento con un riferimento al testo, poiché ritengo che contenga in sé un concetto fondamentale: ci vestiamo per interpretare una parte, per avvicinarci a ciò che vogliamo essere, per esaltare e nascondere alcuni aspetti di noi.
In questo ambito un concetto da sottolineare in particolar modo è quello di Libertà: ciò che il mondo del fashion ha sempre cercato di valorizzare, spesso attraverso provocazioni.
L’attualissima questione (se così può essere definita) del no gender fa riflettere sul tema della libertà, presentando numerosi punti di vista, spesso contrastanti.
Sophia: […] Se una persona su 2000 è diversa allora non è vero che siamo tutti fatti uguali. Punto. E quindi ci sono più di due sessi. Punto. Quindi la moda binaria rappresenta un triste polveroso passato. Punto.
Ho ritenuto rilevante questo secondo riferimento al testo: il personaggio spiega con decisione l’esistenza di più di due sessi. Non si identifica con la maggioranza della popolazione, ma nella totalità di essa. Esprime un senso di appartenenza e apertura mentale che si scaglia contro i pensieri più “tradizionalisti”. Parla di un mondo in cui ognuno dovrebbe sentirsi libero di essere, di fare e di indossare ciò che vuole; il mondo rappresentato da molti fashion designer contemporanei.
Sophia: […] A me pare positivo che la moda a suo modo dia delle risposte creative, coraggiose.
Attraverso la moda ognuno si esprime come desidera, senza restrizioni, senza limiti, senza vincoli.
Forse è come far parte di un mondo parallelo dove “tutto è concesso”… forse questo mondo coincide con la realtà in quanto traduce in oggetti i pensieri… ognuno può interpretare come preferisce, fatto sta che non esiste una verità certa e indiscutibile, così come non esiste una conclusione al metalogo.
A mio malgrado viviamo in una società per certi aspetti non aperta ai mutamenti sessuali, quindi spesso le persone sono portate a indossare maschere. Queste ultime sono identificate proprio negli abiti, visti come seconda pelle, l’abbigliamento viene integrato nel nostro senso dell’io.
Fortunatamente la moda ti permette di essere libero. Se sei una donna e ti senti un uomo, è giusto che ti vesti da tale e questo vale anche per il contrario. Reputo molto interessante e di grande rilievo la scelta degli stilisti di realizzare abbigliamento no gender, perché ora viene vista come novità e fa scalpore, perché non si è ancora consolidata la questione sui generi, ma in futuro, ritengo, che verrà percepita come la normalità. Infine reputo un modo molto efficace nella comunicazione il metalogo.
Il dibattito presentato affronta un argomento molto attuale sul quale ci sono svariate opinioni discordanti. Sissy rappresenta forse la maggioranza della popolazione, scettica verso qualcosa a lei lontano, osserva il mondo della moda ancora con occhi ingenui, senza caprine la vera funzione. Ho trovato invece molto interessanti le parole della sorella Minnie, che afferma la sua tesi, portando alla luce anche eventi successi realmente. Personalmente mi allineo al suo pensiero, credendo che la moda, sia oggi un mezzo che può aiutare ad abbattere le barriere e i pregiudizi che ci sono nei confronti del cambiamento. Ritengo che la moda sia libertà, libertà di poter esprimere qualcosa di estremamente personale, e di poter trovare attraverso questa la nostra identità. Il nuovo focus è l’individuo che deve potersi vestire come preferisce, senza limitazioni imposte dagli stereotipi di genere. Far sì che tutte le persone possano sentirsi libere di acquistare in base alla propria individualità, piuttosto che in base al sesso. Per alcuni consumatori e consumatrici sarà una moda passeggera: si divertiranno a mixare femminile e maschile, e si cimenteranno in un’estetica nuova, senza che tutto questo abbia per loro implicazioni sociali o sessuali. Per altri consumatori queste collezioni rappresenteranno, invece, l’occasione per avvicinarsi a una moda meno schematica e più affine alla propria identità o al proprio stile di vita. Per altri ancora sarà un modo per distinguersi attraverso un’estetica contemporanea, fuori dagli schemi, coraggiosa e indipendente.
Purtroppo Sissy incarna perfettamente il pensiero e lo scetticismo della maggioranza della società, la quale ha un atteggiamento di totale chiusura verso questo nuovo cambiamento. D’altronde la moda deve contemplare un’assoluta libertà di espressione, perché ognuno ha il diritto di vestirsi e sentirsi se stesso senza costrizioni, vincoli o imposizioni. Invece per troppo tempo la moda, o più in generale la società, è stata ancorata a dei generi “pre-stabiliti” dalla tradizione e dalla società stessa.
Perciò ritengo che la moda ha il “dovere” di poter rappresentare tutti, senza avere dei precisi prototipi da seguire. In questo modo, il mondo del fashion non è un sistema fine a se stesso, fatto semplicemente da bei vestiti, come molti possono pensare, ma è il riflesso di mutamenti sociali.
A parere mio la libertà di esprimersi sia una cosa fondamentale, è principalmente è rispecchiata nel mondo della moda.Il contesto del no-gender consente di trascurare il fatto della discriminazione dei sessi, privando una superiorità di un sesso all’altro. Ho gradito fortemente il dialogo, interessante, piacevole e spiritoso. Il Metalogo è molto scurrile è permette al lettore di coinvolgersi dentro il discorso.
Il tema presente nell’articolo affronta un questione estremamente delicata e intima di una parte della popolazione.
Il fenomeno dei Transgender è assai complicato e interessante; sicuramente spesso mi è capitato di sentir dire che coloro che avessero questa particolarità non fossero “normali”, non fossero persone comuni.
Mi sono sempre chiesta se ci fosse un mondo dove la parola “normale” non fosse un pretesto di esclusione o di emarginazione. Mi sono sempre chiesta se esistesse un luogo, nel quale le persone potessero semplicemente “essere”.
Non si può criticare la moda che realizza idee “unisex” perché essa ha lo scopo di aiutare a sentire a proprio agio un target di persone.
La bellezza della moda è proprio questa: la non regolarità, il conformismo e l’anticonformismo, l’ unisex, la femminilità, la virilità, i colori, la freddezza e tantissimi altri attributi, uno opposto all’altro, che solo la moda sa valorizzare.
Non esiste un -tipo- di moda, non esiste l’essere “favorevoli” ad uno stile. Esiste -sentirsi- e
-riconoscersi- in qualcosa che solo attraverso il fashion (o sé stessi) riusciamo ad esternare.
L’articolo affronta , con un’ammirevole leggerezza di linguaggio , temi attuali e delicati , propri della società in cui viviamo , una società liquida dove i confini e i riferimenti sociali sono decaduti . La forma del metalogo proposta dall’autore , consente una lettura scorrevole e appassionante , in cui il lettore può decidere con chi dei giovani protagonisti schierarsi. Quello affrontato all’interno dell’articolo è un tema su cui diversi stilisti hanno espresso la propria opinione attraverso gli abiti , si pensi ad esempio a Jean Paul Gaultier . Molto interessanti le battute di Minnie che cercano di persuadere Sissy come anche eventuali lettori più conservatori a riflettere su alcuni aspetti che potrebbero sembrare scontati ma in realtà non lo sono affatto , al giorno d’oggi ogni individuo ha nel proprio guardaroba elementi , colori , che nel passato erano identificativi del sesso opposto.
“Che cos’è il no gender style?” . ”E’ giusto che la moda sia luogo di “battaglia” per i diritti sociali e civili? O bisognerebbe trattare di tematiche cosi delicate solo in luoghi appositi?”. Queste domande, che mi sono posta all’inizio dell’articolo, mi hanno fatto riflettere sul ruolo e sull’influenza che il mondo moda ha su di noi e sulla nostra società. La moda, con la sua continua evoluzione degli stili, è uno degli ambiti nei quali si trasmettono un numero maggiore di messaggi sociali, in modo diretto e immediato. La moda ha senso, quando “scombina le carte in tavola” , quando sorprende, quando è in grado di trasmettere valori etici e morali. Senza di ciò, perde gran parte del suo valore diventando una scatola senza contenuto. Il no gender style , quando ha debuttato per la prima volta sulle passerelle, è suscitato contrastanti reazioni da parte del pubblico. Se alcuni come, la protagonista dell’articolo Sissy, hanno criticato questa scelta nel “mascherare” la logica binaria, uomo-donna ,altri invece, hanno riconosciuto il valore sociale oltre che artistico di questo nuovo stile, nel quale molte persone tenute hai margini si sono ,finalmente, sentite pubblicamente rappresentate. L’abito riflette l’identità di chi li indossa, quindi è importante che possa interpretare tutte le sensibilità che compongono la società. Questo è il messaggio che, secondo me, la moda deve farsi portatrice. Il No gender style non è trasgressione fine a se stessa, ma una grande opportunità per tutti coloro che non si identificano nello stile tradizionale uomo-donna.
In primis, trovo molto interessante ed afficace l’articolo sotto forma di metalogo, che consente di riflettere sull’argomento da più punti di vista.
Come citato nel testo “da Minnie”, sostengo che l’essere umano sia influenzato quasi esclusivamente dalla cultura e non dalla natura, infatti cultura, scoietà, tradizioni , famiglia, religione sono i fattori che creano il pensiero dell’essere umano. Io sono nata e cresciuta in un contesto definito “occidentale” che ha delineato la mia visione e il mio pensiero sicuramente diverso da quello di una ragazza cresciuta in oriente oppure in un mondo arabo. Oggi diamo quasi per scontato l’abbigliamento “no gender” perchè fa parte della nostra quotidianeità, infatti in ogni guardaroba di ciascuno di noi c’è almeno un capo “unisex”.Vedere sfilate dove donne sfilano con gli uomini interscambiandosi vestiti, make up ed acconciature è quasi cosa abitudinaria, perchè è da un pò di anni che tutto questo fa parte della nostra cultura. Basti pensare a come nella prima metà del’ 900 veniva vista una donna che metteva una paio di pantaloni ( simbolo maschile) cosa per noi puramente normale, oppure in un passato più recente ad un uomo che potesse indossare una borsa o fare uso di make up. E’ anche vero che ad oggi il binarismo tra uomo e donna non è stato del tutto eliminato,specialmente nei contesti più formali, perchè nonostante viviamo nel 2017 non siamo completamente liberi dai pregiudizi. Però vedendo i passi avanti fatti nel “no gender” forse in futuro saremo completamente liberi di vestirci ed esprimerci come vogliamo.
Mentre la moda nel tempo sta riuscendo sempre di più ad unire i due mondi maschile e femminile, la scoietà mantiene ancora tali differenze. Ma credo che la società diminuirà sempre di più tale binarismo , visto che la moda è lo specchio del cambiamento di pensiero.
Questo articolo affronta un argomento molto attuale nel quale é presente una molteplicità di opinioni discordanti. Credo che Sissy rappresenti la maggioranza della popolazione, scettica verso qualcosa a lei lontano, legata ancora a valori ed insegnamenti del passato. Dunque appare quasi scontato che davanti ad una moda che elimina i due sessi naturali; perlopiù in Italia dove siamo molto attaccati alla religione cristiana che influenza i nostri pensieri.
La moda mi affascina per numerose cose ed uno tra questi è la voglia di rendere tutti liberi. Credo che nella vita una delle cose più importanti sia la libertà individuale, e attraverso la moda che ci permette di vestirci come noi vogliamo, senza limitazioni imposte dagli stereotipi di genere, ognuno di noi può esprimere i propri gusti e preferenze perché sono fermamente convinta che la bellezza di ognuno di noi stia proprio nelle diversità che ci identificano e quindi se c’è le togliessero saremmo tutti uguali, senza un’identità personale.
Vorrei inoltre citare la frase di un leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani che un giorno disse “la mia libertà finisce dove inizia la vostra” e vorrei soffermarmi a pensare se é veramente così perché se una persona è davvero libera non ha problemi a dichiarare di vestirsi in un certo modo.
Inoltre mi trovo completamente d’accordo con ciò che vuole esprimere Minnie, ovvero che la moda oggi sia un mezzo che può aiutare ad abbattere le barriere e i pregiudizi che ci sono nei confronti del cambiamento.
Scusami Greta, intervengo sul tuo commento ma in realtà rispondo anche a tante tue colleghe.
Io non direi mai che il discorso di Sissy rappresenta il passato o una tradizione polverosa da cui separarsi. Ci sono buone ragioni affinché le cose tra gli esseri umani siano andate in un modo piuttosto che un’altro. E’ tutto da dimostrare che le nuove configurazioni relazionali possano garantire per tutti pace, tranquillità, benessere.
È certamente vero che, se vogliamo rimanere coerenti con i valori di una società democratica e giusta, non dobbiamo escludere in modo subdolo le persone sulla base delle loro scelte sessuali. Questa legittima inclusione di chi sin qui è stato penalizzato, nel nome di diritti e doveri uguali per tutti, dobbiamo farla convivere con una molteplicità di forme del rapporto tra esseri umani tra i quali certamente il legame tradizionale (maschio/femmina, per intenderci) continuerà ad essere quello con la fitness evolutiva più efficace.
La moda ( come dispositivo che regola il gusto della gente) diventa bella e etica se, con i suoi linguaggi precipui, riesce a dare una chance a tutti di poter effettuare i giochi di esibizione del sè, senza battaglie ideologiche di nessun tipo. È chiaro che ogni Brand deve fare la sua scelta. Ma tra l’andare incontro a nuove esigenze di soggetti portatori di desideri diversi dal passato, e essere contro ogni tradizione, c’è molta differenza. In definitiva è la preservazione della varietà e della pluralità di proposte e scelte che può mantenere efficiente il motore della moda.
Sophia: “Il dress code per le identità mutanti di oggi, può essere solo qualcosa di provvisorio. Il codice binario dei sessi non rappresenta più il mondo interiore dei consumatori. A me pare positivo che la moda a suo modo dia delle risposte creative, coraggiose.”
Penso che questa frase sia una delle più significative di tutto l’articolo.
Il dialogo affronta un argomento molto discusso dove il mondo della moda ricrea degli abiti ‘unisex’ per permettere a ogni categoria di persona di sentirsi a loro agio.
Ho trovato questa lettura molto interessate e chiara con riscontri sulla realtà di oggi e il mondo attuale. Credo che sia molto studiato il modo di riproporre tramite un dialogo i diversi punti di vista che rappresentano le varie mentalità e i diversi punti di vista.
Una lettura molto istruttiva e in certi punti anche divertente e scherzosa.
Ho trovato questa conversazione assolutamente appassionante ed efficace.
I quattro ragazzi simbolizzano correnti di pensiero alle quali quotidianamente assistiamo, ognuno di loro esprime verità differenti, per questo è chiamato metalogo, perchè non termina con una certezza.
Ho apprezzato in particolar modo gli “ideali” di Sophia, anche a me piace sembrare diversa e la moda ci permette di recitare ruoli differenti e sono d’accordo quando dice che ‘senza questa disposizione alla recita, la moda diventerebbe solo la divisa di cio’ che dovremmo essere per gli altri’…
Sostengo Sophia inoltre quando dice che con l’elogio del no gender molti stilisti stanno contribuendo a diffondere messaggi di tolleranza e reciproca conprensione!
Purtroppo viviamo in una società in cui il cambiamento non è ben accetto e le persone spesso indossano una personalità che non li appartiene per sentirsi accettati.
Ma l’ambito della moda per fortuna permette di mostrarsi realmente come siamo senza veli.
Il no gender è stato in qualche modo una rivoluzion che permette di sentirsi ma sopratutto di essere quello che realmente noi percepiamo di noi stessi.
La moda e’ un mezzo molto efficace per abbattere i pregiudizi delle persone che la società di oggi purtroppo ci propone costantemente.
Ho letto con piacere questo dialogo.
Attraverso questo metalogo assistiamo a una conversazione fra quattro ragazzi, i quali parlano dei loro pensieri riguardo alla moda e affrontano anche temi attuali. Sissy fa notare i suoi dubbi e suoi pensieri per quanto riguarda la moda. Non capisce come oggi non ci sono più differenze fra i due sessi perché secondo lei l’uomo e la donna sono essere diversi sia esteticamente che psicologicamente. Personalmente penso che se una persona è libera non ha problemi a dichiarare di vestirsi come meglio crede. Infatti oggi attraverso i nostri abiti “costruiamo la nostra identità”, e l’identità fa si che ognuno di noi sia diverso dall’altro. Appunto se si togliesse la diversità saremo tutti dei burattini, ognuno uguale all’altro, senza un’identità definita.
A mio parere difronte a questo la moda finirebbe perché gli stilisti non sarebbero più in grado di creare nuove tendenze e nuovi stili.
Io penso che sia giusto che ognuno abbia la propria identità e quindi il proprio modo di esprimerla attraverso i vestiti e quindi la moda . Sono del parere che non sia giusto imporre diversità tra uomo e donna se questi si identificano nei costumi dell’altro perché ognuno si deve sentire libero di poter essere quello in cui si sente meglio
Trovo questo dialogo molto interessante mi ha fatto molto pensare a questo argomento.
Arrivando poi alla conclusione che la moda sta diventando sempre di più un modo per esprimere al meglio la nostra vera identità, anche se non sono pienamente d’accordo con questa eccessiva trasgressione dell’essere umano nel voler non più appartenere al proprio sesso.
Trovo aspetti positivi e negativi al riguardo sono allo stesso tempo d’accordo sul fatto che le persone debbano essere libere di vestirsi come più vogliono ma nello stesso modo trovo che cosi andando si perderà sempre di più la concezione di differenze tra i due sessi.
Tanto che la femminilità che un tempo regnava nelle donne e difficile oggi da trovare essendo tutto ormai cosi alla pari.
Non intendo entrare con questo sui principi e diritti che devono differenziare l’uomo e la donna anzi su ciò penso che sia assolutamente positivo che sta diventando tutto sempre più omogeneo ma se si parla di vestiario io mi ritrovo molto di più vicina alla concezione di femminilità del passato.
Per quanto mi riguarda ho trovato questa conversazione molto interessante e utile, ognuno dei 4 ragazzi esprime le proprie opinioni , facendo esempi e cercando di capire il pensiero l’uno dell’altro come Sissy fa con Minnie , alla fine ti lascia la possibilità di porti mille domande , perché non arriva a una vera e propria conclusione , condivido comunque il pensiero di Minnie , credo che ognuno possa esprimersi ciò che vuole essere attraverso il modo di vestirsi , senza paura di essere giudicato , con il passare degli anni la mentalità delle persone si è evoluta, ” aprendosi al diverso ” , penso inoltre che come le donne hanno acquisito valori paritari agli uomini nella società , sia umanamente giusto che ci debba essere anche nel mondo della moda.
la società di oggi non accetta il cambiamento e la gente si “identifica” in qualcosa che non è solo per essere accettata.
Il no gender ha creato una rivoluzione che permette di essere veramente noi stessi.
La moda ci permette di essere veramente quello che siamo senza sentirsi prede dei giudizi esterni. Questo metalogo mi è piaciuto.
Premetto che faccio molta fatica a scriverne un commento perché non ne riesco ad individuare il problema. Gli stilisti colgono il momento per raccontare una storia. Se John Galliano veste i suoi modelli come donne, che problema c’è? Mica invita tutto il genere maschile a farlo. I suoi modelli erano liberi di scegliere. Lui si è aperto ad altre possibilità esistenziali; a chi ispira il no-gender style è il suo momento.
Ps Credo che ogni personaggio sia necessario per venire a contatto con diversi punti di vista quindi non concordo con chi dice che “Sissy vada soppressa subito”.