Quattro chiacchiere dall’abitacolo

Quattro chiacchiere dall’abitacolo

L’autore oltreché commediografo è anche un attore, secondo voi, questo vi è di aiuto per voi che lavorate dentro al testo?

G.G.: Diciamo che prima è autore e poi attore delle sue cose soltanto (in realtà Roy Cooney iniziò la sua carriera come attore nel 1946 che continuò fino agli anni ’60), prima ancora è produttore perché lui produsse quel testo su quel malato terminale “Whose life is it anyway?” (di Brian Clark, di cui nel 1981 avvenne la trasposizione cinematografica con Richard Dreyfuss).
Lo portò poi a Londra e lui lì vinse il Tony, lo portò sia a Londra che a Broadway. Di questa commedia qui, lui fece soltanto le preview che servivano per mettere a posto il copione. Poi arrivati a Londra, c’erano due star che facevano i due protagonisti.

Ho avuto la percezione che questo “problem solving” iniziale basato sulla menzogna, sulla dualità, sul doppio, fosse un escamotage sviluppato come una sorta di esercitazione attoriale: si parte da una frase che l’altro dovrà ribaltare, il primo rilancia e via andare… la mia percezione è stata così.

G.G.: Tutto può essere, però io non lo conosco! Lui stava in scena, controllava, faceva il taxista, poi però arrivati al West end o a Broadway…

G.I.: Si è fatto sostituire.

Dal punto di visto del testo, tradotto in varie lingue, con un grande successo è stato ininterrottamente in scena 8 o 9 anni, secondo voi qual è la ragione?

G.I.: Perché si ride: è una farsa, un orologio, non c’è nulla di lasciato al caso e te lo dico da fan di questo spettacolo, prima di essere attore, perché io ho visto tutte le edizioni che ha fatto Gianluca, compresa quella in dvd che ha fatto Johnny… è forse lo spettacolo dove ho riso di più, ma con le lacrime! E la stessa cosa io la provo in scena, da quest’altra parte. Quindi il pubblico ride perché è talmente un orologio, talmente un susseguirsi di: “no, non è possibile!”; “No! Ancora!?”; “…e adesso?” che la gente impazzisce secondo me. E’ quello che sento da spettatore e da attore, poi Gianluca l’ha diretto, oltre averlo fatto.

G.G.: C’è una cosa, nel suo genere, credo sia la farsa meglio scritta in assoluto, di quelle che io conosco o che ho letto, o diretto; ma la genialità di questo spettacolo qui, è che intanto l’autore ti agevola a sapere esattamente i sincronismi, perché te li scrive sul copione, però la genialità sta nel fatto che questo divano qui e queste porte sono interagibili per tutti e due gli appartamenti. Perché se tu provi a dividere e a fare due appartamenti, la genialità è finita! La genialità sta in questo che sono veramente 4 fianchi: poi tu li puoi fare belli o brutti…puoi anche non farli. La mia idea è di farne una versione nel 2025… tipo “Dogville”, Lars von Trier: le porte, le finestre e basta!

G.I.: Neanche gli attori: dei cartonati!

G.G.: Nessuno, nessuno! Una versione del genere potrebbe essere una specie di concept, con l’interazione delle due azioni in contemporanea delle due case. Perché se poi andiamo al testo: è un bigamo che poi alla fine si finge anche omosessuale; però è tale la capacità dell’autore di scrivere; l’apertura delle porte, le chiusure, la precisione! Io esco e dico ci sono 4 minuti di taxi, quando io imbocco la prima volta la porta gialla, per rientrare dalla porta azzurra, passano 4 minuti e ½ io arrivo di qua dopo 4 minuti e ½ di taxi. Ci vuole uno, anche psicopatico…

Allegato di posta elettronicaL’altra cosa che vi volevo dire è che ci siamo trovati di fronte a una compagnia che è davvero “compagnia” (cum panis proprio, quelli che condividono tutto stando insieme). È quello che ho subito pensato, ma che anche il pubblico credo abbia colto.

G.G.: Intanto con Giampiero ci conosciamo da 29 anni e questo vuol dire tanto, quando due attori protagonisti sono già amici tutto questo si espande. Silvia Delfino che è nostra amica da una vita, Bianca la stessa cosa, Renato Cortesi che io conosco da una vita, Piero di Blasio è una new entry di un anno fa, che già conoscevamo. Antonio io l’ho diretto in 2 spettacoli, prima di averlo qui, insomma c’è questa familiarità, all’interno dello spettacolo, dovuta a questa frequentazione assidua.

G.I..: Giochiamo in casa, secondo me se c’è un grande affiatamento il pubblico se ne accorge, come te ne sei accorta tu!

Per voi che siete entrambi figli d’arte, quanto vi è costato svincolarvi dalla figura del genitore per ricavare un vostro spazio?

G.G.: Siamo quasi vicino alla pensione, tutti e due! In realtà il figlio d’arte non è vero che soffre, non soffre una mazza e infatti però io mi ricordo che quando mi presentai a San Remo, non è che ero famoso ma ero già conosciuto conto terzi mica è poco! C’è gente che ci mette una vita, ovviamente come in tutte le cose, la vita rimette in pari e siccome hai già quello, l’altro ti manca, devi lavorarci su. Questo fa parte della vita: ci mancherebbe altro che non fosse così!

Daniela Ferro

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