Un meritato e grande successo, poiché come viene detto in inizio non vi si arriva senza “Esercizio, allenamento, precisione, fatica, fatica, fatica” tutto questo è emerso per davvero!
Molto più che un revival! Seconda serata con The Sisters e il loro musical “La via del successo”, anche questa sera, il pubblico ha risposto molto bene alla chiamata degli straordinari protagonisti, dello spettacolo; d’altra parte il programma ne è ben meritorio, grazie allo show tutto all’insegna della musica anni ‘60/’70, ma non solo di quella.
The Sisters si richiama per più punti allo epocale trio femminile “The Supremes”, del quale fece parte nientemeno che Diana Ross. La trama non si rifà in assoluto allo storico gruppo, lo prende però a pretesto, inserendo poi dati chiaramente associati ad esso (poi vedremo quali). Una cornice, piuttosto semplice, circoscrive e si raccorda al programma in questione con tre cantanti dal talento poderoso sia nel plot che nella realtà del cast: Francesca H. Tourè, Sherrita Duran e Lucy Campeti, le tre esemplari Sisters.
L’avvio si ha, in una scuola di arte e musica di Detroit, muri in pietra a vista, l’atmosfera che ricorda un po’ “Fame”, con alcuni ballerini che si allenano mentre la voce piena di Mery/Lucy Campeti e la sua “Listen” ci dà subito la chiara misura di ciò che ci attende, poi.
Tre ragazze di talento ma di colore – siamo fra gli anni 60’ e ’70, questo fa ancora la differenza, con la sola ambizione e velleità di sfondare anche perché “la musica” per fortuna, “non ha colore”. L’incontro decisivo avviene nella Grande Mela, dove giungono per incontrare Martin Thomas (un esaltante Will Weldon Roberson, qui anche come cantante e ballerino) un grande manager che riconosce in loro, innegabili qualità che le porteranno al successo; le tre ragazze lo convincono – con poca fatica – interpretando mirabilmente, a cappella “His Eye is on the Sparrow”. Avviene quindi, nel contempo, un’intelligente ed economica trasposizione di “teatro nel teatro”: ottenuto il loro primo ingaggio le tre “Sisters” partono in tour e noi, in quanto pubblico, siamo chiamati a fare la nostra parte, le interpreti, che in seguito si rivolgono a noi pubblico a più riprese, rendono il tutto ancora più autentico.
THE SISTERS
Da spettacolo a spettacolo, c’è un crescendo del repertorio che infiamma – prevedibilmente – sempre di più la sala, come anche da copione, ma qui accade sul serio! Ballerini bravissimi, ben preparati riguardo il profilo atletico, sotto la guida attenta di un spettacolare Jean Michel Danquin impegnato non solo sul palco, ma anche autore delle bellissime coreografie presentate. Si procede di successo in successo fino a che the Sisters ottenengono i primi posti per 12 settimane nelle classifiche radiofoniche, facendo il verso a “The Supremes”, di cui i giornali di allora parlavano come delle “rivali” dei Beatles. Nel momento in cui la storia le dirotta al “Palladium” di Londra, nel 1968, come non ricordare che di fronte alla famiglia reale e ad una folla immensa, tra i quali numerosi vip, Paul McCartney, Cat Stevens e altri, la stessa Diana Ross prese la parola per dire: “Io, come vedete, sono nera, mentre voi siete bianchi. Io canto e voi mi ascoltate, poi quando tutto è finito ce ne andiamo insieme dalla sala. Ci sono posti nel mondo, compreso alcuni stati del mio paese, gli Usa, dove neri e bianchi non hanno gli stessi diritti, non possono neanche uscire dalla stessa porta. Vorrei che ci pensaste quando tornerete nelle vostre case”. Il passaggio è stato qui inserito, Mary ad un certo punto lascerà il gruppo, proprio come già fece Diana Ross, ma a differenza di Diana che con “The Supremes” si ritroverà solo per brevi momenti, avendo lei iniziato una sua carriera di solista; Mary invece si ricongiungerà al gruppo, dopotutto lei e le sue amiche (più che colleghe) sono davvero “sisters”.
Scenografici e studiatissimi i giochi di luce a cura di Massimo Tomasino, molto belli i costumi di scena molto d’antan, sfavillanti le scene, ma soprattutto ottimi gli energici ballerini che accompagnano le “Sisters” nelle loro esibizioni. Una scaletta di brani notissimi (Joyful, I can’t hurry love, Respect, Stop! In the name of love, Think, Rescue me, I feel good tanti altri) ma soprattutto egregiamente interpretati, le voci delle protagoniste la cui timbrica risulta perfetta per questo repertorio, dimostra comunque uno studio solido della musica in oggetto, viste la potenza, modularità espressiva ma anche il bel colore; voci graffianti, piene dalla grande presenza e potenza interpretativa malgrado gli arrangiamenti forse un po’patinati – a giudizio arbitrario, di chi scrive, rispetto le musiche originali – ma in grado di far rivivere un periodo che è rimasto nella mente e nel cuore di tanti. Ottima la parte strumentale a cura di una brillante orchestra, ben diretta da Marco Tiso che ha curato anche gli arrangiamenti delle partiture.
Un meritato e grande successo, poiché come viene detto in inizio non vi si arriva senza “Esercizio, allenamento, precisione, fatica, fatica, fatica” tutto questo è emerso per davvero!
Applauditissimi? Certamente!
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Listen, lo canta Sherrita Duran che e’ Karen..infatti la sua “Listen” ci dà subito la chiara misura di ciò che ci attende, poi.