Il Science Fiction Festival giorno per giorno

Il Science Fiction Festival giorno per giorno: visioni, eventi e mostre a Trieste, capitale europea del cinema fantastico dal 3 all’8 novembre – Prima Parte

Sono stati molteplici i fil rouge che hanno attraversato l’enorme, impetuosa ondata “fantascientifica” della più importante kermesse italiana dedicata al cinema fantastico, dai numerosi filoni horror alla sci-fi più tradizionale, passando per scenari distopici e rivisitazioni di miti classici. L’onda d’urto che si è abbattuta su Trieste dal 3 all’8 novembre ha infatti trasformato la città nella patria galattica invasa da alieni, mostri e apocalissi post-atomiche in cui ogni fan desidererebbe vivere.

Science Fiction Festival: 3 novembre – Mostri e apocalissi

A partire dal giorno di apertura dedicato alle quattro anteprime italiane – Dark Star – L’universo di HR Giger, [REC] 4:Apocalypse, Frankenstein e Wyrmwood –  si è da subito entrati in sintonia con l’ormai ipercelebrato slogan “raggi fotonici” che ha unito i tanti appassionati giunti per l’evento. La pre-apertura del festival è stata l’occasione per omaggiare, attraverso l’intimo e poetico documentario della cineasta Belinda Sallin, l’universo immaginifico e diabolico di un artista maudit ma gentile, lo svizzero Hans Ruedi Giger, a cui si deve l’emersione dal subconscio collettivo delle paure più recondite dell’animo umano. Il maestro svizzero, Premio Oscar per Alien nel 1980, ha plasmato, sulla materia grezza di quelle che sarebbero poi divenute statue e totem di demoni e dei pagani, le paure ancestrali e  i terrori primordiali dell’uomo, concependo gli incubi più ottenebranti di un “bestiario” maledetto. La macchina da presa in Dark Star – L’universo di HR Giger non invade mai lo spazio personale di Giger, anzi, ci conduce nel suo sancta sanctorum domestico con la stessa delicatezza dell’ “uomo dei mostri”, una persona affabile e gentile, con la passione per il mistero e l’ignoto. Potremmo prendere a prestito la massima di H.P. Lovecraft per sintetizzare la sua poetica oscura: “La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto”, ma forse, basterebbe la visione di questo affresco intimista che racconta la sua vita con devozione e senza scadere nella solita agiografia pilotata. La pellicola celebra le sue creazioni e la sua arte “biomeccanica” fatta di freak e divinità biotecnologiche, invenzioni surreali e oggetti minacciosi, rappresentazioni di un universo cupo che agisce come una nigredo alchemica, la fase del nero che tutto permea e tutto contagia. E di contaminazioni uomo/macchina vive la sua arte che parla di morte e rinascita, di dannazione terrena e vita oltre le barriere del conosciuto. A seguire, la proiezione di [REC] 4 – Apocalypse, quarto capitolo della saga horror creata da Jaime Balagueró  e Paco Plaza nel 2007. La vicenda riprende il filo delle tre precedenti avventure della reporter Angela Vidal, in questo apocalittico finale portatrice insana del virus che aveva scatenato l’epidemia mortale nel vecchio edificio di Barcellona. Gli spettatori del Trieste Science + Fiction hanno potuto così conoscere la verità sul mistero del virus che rende le persone preda di una furia incontenibile. L’apertura ufficiale della kermesse è avvenuta in prima serata, alle ore 20 e 30, quando, nella cornice della sala Tripcovich, dopo le presentazioni di rito è stato proiettato Frankenstein di Bernard Rose, quarta anteprima italiana della prima giornata. Revisione post-moderna del mito creato dalla penna di Mary Shelley duecento anni fa, il film racconta la storia dalla sola prospettiva del mostro, creatura sfuggita al dominio dei propri creatori e dispersa in un mondo a lui sconosciuto che gli concede solo una violenta emarginazione. Ambientato nella Los Angeles contemporanea, Frankenstein riaggiorna il mito del “moderno Prometeo” con un cast d’eccezione: Xavier Samuel nella parte della creatura rediviva e Carrie-Anne Moss e John Huston in quelli della coppia degli incauti “genitori”. Il regista Bernard Rose, dopo Il Violinista del diavolo, attinge ancora una volta a stereotipi e cliché della cinematografia di genere e spera forse di realizzare un’opera di culto come fu il suo Candyman – Terrore dietro lo specchio. Il film, tra eccessi gore ben centellinati e siparietti kitsch, è un horror grandguignolesco a tinte forti che riprende le parole e i pensieri di Mary Shelley utilizzandoli come voce off, perché il mostro è muto e il suo dolore nei confronti di un mondo che lo respinge non può esprimersi a viva voce ma solo con urla e gemiti. Nonostante si fatichi a capire se si tratti di una rilettura parodistica involontaria, in virtù dei toni esasperati e della fin troppo eccessiva morbosità del “figliol prodigo” nei confronti di una madre indegna, il film è ricco di riflessioni interessanti sulla coscienza , sulla vita e sulla morte. Ha chiuso la giornata lo zombie-movie post-apocalittico Wyrmwood di Kiah Roache-Turner, horror australiano che strizza l’occhio alla mitologia dei famelici morti viventi e alle distopie alla Mad Max. Lo strano ibrido ad alto tasso epidemico è una vera e propria sorpresa che piacerà a nostalgici e a neofiti, per via dell’irresistibile estetica fatta di corazze e armi post-medievali e per il riuscito mix di azione, splatter e umorismo.

Science Fiction Festival 4 novembre – Tra misticismo beffardo ed epifanie etiopi

 Nella seconda giornata del festival si è distinto Crumbs, il primo film di fantascienza etiope proiettato in anteprima italiana e in concorso al festival di Rotterdam del 2015. Avventuratosi tra le macerie di un mondo ormai in rovina, Candy è diretto verso una nave spaziale orbitante da tempo immemorabile nell’atmosfera terrestre. Districandosi tra violenti sicari dall’ideologia nazifascista e le vestigia – oggetti, monili, totem, utensili – di un’era ormai dimenticata, dovrà porsi al cospetto di Babbo Natale, una misteriosa divinità pronta ad elargire ricchi doni e a dispensare consigli utili alla sopravvivenza dei pochi esseri umani rimasti. Candy troverà ad attenderlo una realtà ben diversa da quella in cui sperava dopo aver lasciato l’amata moglie a difesa della fatiscente abitazione. Davvero sorprendente l’esordio di Miguel Llansó nel lungometraggio di genere. Miscelando sapientemente cinema sperimentale e dramma da camera, cuce in un mosaico visivo surreale un racconto di formazione ipnotico e affascinante intervallato da intermezzi satirici. Il secondo appuntamento del Trieste Science + Fiction si è aperto all’insegna del primo dei cinque Incontri di futurologia previsti dal programma, quest’anno incentrati sull’odissea marziana, la rivoluzione futuristica portata avanti dai droni e dai robot e i misteri racchiusi nei wormhole spaziali. Dopo il saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Trieste Maurizio Fermeglia, sono seguiti gli interventi di Carlo Fonda (ICTP, SciFabLab), Stefano Liberati (SISSA) e Alberto Marini. La prima pellicola della giornata è stata all’insegna del mockumentary satirico No Men beyond this point, film canadese diretto da Mark Sawers incentrato su una realtà in cui le donne sono asessuate e i maschi in via d’estinzione. A seguire, la proiezione del survival movie spagnolo Another frontier di André Cruz Shiraiwa, in competizione per il Méliès d’or. Il film racconta le tormentate vicende di Hannah e suo figlio Leon in fuga da un paese lacerato dalla guerra. I due finiscono in un campo profughi mentre cercano di oltrepassare il confine e in questo limbo di perdizione dovranno sopravvivere mentre Claus, un loro vecchio amico, è depositario di un misterioso segreto che potrebbe condurli ad una morte certa. Ma non di soli film si è nutrita la ricca kermesse triestina che ha proposto anche la mostra Play it again, inaugurata con un opening party. L’esposizione è stata un tuffo nel passato tecnologico della cultura videoludica, dagli anni ’70 del mitico Atari 2600 fino all’ultimo modello odierno di Palystation. E’ stata proposta anche una selezione accurata di illustrazioni dalla mostra Images from outer space, create da artisti italiani influenzati dall’immaginario fantascientifico. In prima serata è stato presentato dal co-sceneggiatore Thomas Gunzig il divertentissimo Dio esiste e vive e a Bruxelles (The Brand new testament) di Jaco van Dormael, una spassosa satira che irride le Sacre Scritture e che si prende gioco, con piacevoli inserti poetici, della “pietà evangelica”. Sì, perché il cineasta belga non risparmia niente e nessuno. Inventa un nuovo Dio, lo fa nascere e prosperare nella sua malvagità a Bruxelles e lo immagina padre-padrone di una figlioletta ribelle pronta a vendicarsi dei suoi soprusi. Dio si serve di un computer per creare l’umanità e inondarla di sofferenze indicibili, mentre la moglie è affaccendata nei suoi lavori domestici. Un giorno la piccola Ea raggiunge la postazione segreta del padre e invia un sms a tutti gli uomini comunicando loro la data della loro morte. Sarà il caos e l’inizio di una nuova Apocalisse. A distanza di sei anni da Mr.Nobody Jaco Van Dormael realizza una esilarante commedia ricca di spunti interessanti e dalla elegante messa in scena. Pullulante di gag e sketch demenziali, il film alterna momenti lirici di alto pathos e risate a tutto spiano mantenendosi in bilico sul sottile equilibrio tra farsa e dramma edulcorato. Di tutt’altro si parla in Men & Chicken di Anders Thomas Jensen, scrittore versatile dei film di Susanne Bier e Kristian Levring e qui in veste di regista allucinato tra psicodramma e demenzialità surreale. Il film è la storia di due fratelli, Gabriel ed Elias, i quali, dopo il lutto paterno, scoprono di essere stati adottati e vanno in cerca del loro padre biologico. Tra le altre proiezioni: Liza, the fox-fairy e l’horror sanguinolento di Alberto Marini Summer Camp.

Science Fiction Festival 5 novembre – Fantascienza vintage e solitudini cosmiche

La terza giornata della Science Fiction Festival, aperta dal secondo Incontro di futurologia, si è contraddistinta per una vera e propria riscoperta del passato. Prima Jackrabbit di Carleton Ranney e poi Turbo Kid della triade indie Anouk Whissell, François Simard e Yoann-Karl Whissell hanno scrutato il “vintage” di una tecnologia dimenticata e di un genere filmico in voga negli anni Ottanta. Se il primo racconta di un’epoca in cui il Reset ha sostituito i macchinari più moderni con tecnologie obsolete, il secondo rende omaggio agli iconici film d’azione eighties con inventiva e creatività. Entrambi ricreano il suggestivo immaginario di un’intera generazione. Prima della proiezione di Turbo Kid, ancora un omaggio alla cultura anni Ottanta con la consegna del Premio Urania d’Argento al prolifico scrittore americano Bruce Sterling, ideologo, cultore e innovatore del cyberpunk e della fantascienza “mediale”. Tra i film più interessanti di questo terzo appuntamento merita una menzione speciale The Whispering star, il nuovo film di Sion Sono già presentato alla Festa del cinema di Roma, ottimo esempio di sci-fi intimista che parla di un mondo in cui l’uomo è in via d’estinzione e androidi viaggiatori solcano i cieli consegnando pacchi agli ultimi superstiti umani. Altro film sorprendente è l’austriaco Goodnight mommy di Veronika Franz e Severin Fiala, psico-thriller a tinte fosche che confonde, in un incubo allucinato, realtà e finzione. In una solitaria campagna due gemelli vivono un rapporto conflittuale con la madre, appena tornata a casa dopo un intervento di chirurgia plastica. Dietro le bende che le coprono il viso c’è ancora la donna che li ha generati o si nasconde qualcos’altro? Chiudono il programma Index Zero, Stung, Nina Forever e It Follows.

Vincenzo Palermo

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