Recensione di Un giorno devi andare di Giorgio Diritti

Un giorno devi andare e devi spingerti lontano, laddove alcun pensiero riesca ad arrivare con la forza necessaria a bucarti il fianco. Devono arrivare solo ricordi, immagini e suoni inconsistenti che non rubino fisicità al tuo corpo nella terra nuova che calpesti. Il viaggio e la solitudine penseranno alla cura delle ferite e a scavare la buca dentro la quale iniziare a costruire le fondamenta della nuova esistenza mentre le nuove conoscenze, le nuove reti sociali saranno i mattoni che ti daranno una forma nuova. Tanto meglio se questo nuovo tessuto sociale – che non conosce il tuo passato – ha bisogno di te. Non per l’egoistica meccanica secondo la quale vedere qualcuno stare peggio annichilisce la propria negativa storia di vita ma per nutrire l’autostima quel tanto che basta per dare massa, consistenza e sicurezza al tuo incedere, in modo che il mondo possa di nuovo accorgersi della tua impronta su di esso.
Questa è la densa sensazione che Un giorno devi andare, la nuova fatica del fenomenale regista bolognese Giorgio Diritti e del suo fedelissimo produttore Simone Bachini (premiata ditta grazie alla quale hanno visto la luce coraggiosi e importanti lavori come Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà) mi ha lasciato sulle palpebre e nello stomaco. Un film potente, riflessivo, coraggioso, molto più complesso dei precedenti per quanto riguarda la costruzione narrativa.
La trama si svolge tra l’Italia e il Brasile, luogo in cui cerca di ‘rifugiarsi’ Augusta (Jasmine Trinca) in cerca di sé stessa in seguito alla perdita della figlia e all’abbandono del marito. Il black-out emozionale porta la giovane donna a navigare tra i popoli delle foreste brasiliane insieme ad una solitaria suora intenta ad evangelizzare le popolazioni. untitledfPresto, Augusta capisce che non è la religione la risposta giusta alle sue domande. Perciò, decide di fermarsi nella baraccopoli alle porte di Manaus per aiutare la popolazione di quel luogo dimenticato dall’umanità a non perdere la propria dignità e la propria unità. La scomparsa di un bimbo, però (in realtà venduto in cambio di denaro dal suo stesso padre), rievoca gli stessi demoni che in Italia le hanno strappato la felicità. La protagonista, deciderà quindi di rifugiarsi, sola, sulle rive del fiume cercando il solo dialogo con la Natura e con sé stessa, rifuggendo il contatto umano.
E’ la Natura che popola la terra e ne determina gli eventi. Il gioco umano prima consisteva nel cercare di dialogare con essa nel tentativo di far fruttare i raccolti (ponendosi quindi in una condizione di reverenza) salvo poi – una volta isolato il concetto di Dio e appioppato ad una singola figura slegata dall’ancestrale idea di reverenza e timore nei confronti degli elementi (acqua, terra, terra e fuoco) – assumere un tono di sfida e controllo. Ed è proprio a questa Natura al di sopra delle parti, sorda ai sentimenti ma aderente alle sue rigide leggi, che Augusta si abbandona. imagesrForse, mi viene da pensare guardando Un giorno devi andare di Diritti, ciò di cui la protagonista ha bisogno – e noi con lei – non è una risposta alle dinamiche con cui la vita ci costringe a fare i conti ma la completa e umile accettazione di esse. La morte fa parte della vita, esattamente come l’incapacità di crearla (Augusta è – o diviene – sterile). Ciò che da esseri portatori di raziocinio possiamo fare è interiorizzare – vivendolo – il dolore, così come tutte le altre esperienze.

Marco Leoni
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