Una notte in Tunisia

Una notte in Tunisia

di Daniela Ferro

Un testo emblematico come questo, così complesso e così vicino al pubblico per argomento e collocazione storica così recente, meriterebbe ben più di una sola partecipazione a teatro – sebbene la rappresentazione di ieri, sia stata di buonissimo livello – e di certo anche una lettura privata, per valutarne ed apprezzarne appieno l’interesse intrinseco.
Haber ovvero il Signor X che altri sarebbe se non Bettino Craxi nel momento del suo declino sia fisico oltre che morale, dà corpo ma soprattutto voce a colui che dalla propria ‘caduta’ rovinosa – grazie a Tangentopoli – fino alla ‘latitanza’, o esilio volontario, in una Tunisia che si sgretola e dove tutto è ‘rovina’. Luogo quindi, questo, deputato per eccellenza a riflettere il suo status; qui la decadenza del paese è specchio pure della decadenza stessa dell’uomo X. Il Signor X non è solo, con lui poche figure: la moglie (Maria Ariis), il fratello (Roberto Trifirò) venuto a trovarlo ma soprattutto l’ex portiere d’albergo Cecchin (Pietro Micci) divenuto una sorta di segretario, confidente, servitore tuttofare, unica figura di fantasia all’interno di un entourage di persone reali.
UnanotteinTunisia@TommasoLePera (2)_700x466In apertura di sipario, la scena tagliata diagonalmente da una tela di garza che lascia intravedere un lungo tavolo e qualche sedia, nella parte volta verso il retropalco; mostra invece, nella parte più vicina al pubblico un tavolino alto e i primi personaggi che appaiono: la Signora X e suo fratello all’aeroporto, al rientro dall’estero mentre parlano sia della malattia di X, minato da un cancro che è ‘malattia incurabile come la famiglia’, e della sua situazione di ex uomo politico, lo spettatore viene così informato dell’antefatto.
La scena, estremamente minimale, ha il duplice scopo di evocare da un lato la ‘sobrietà’ cui il personaggio è costretto: nella villa di Hammamet riportavano i visitatori, non c’erano certo rubinetti d’oro al contrario!, era piuttosto modesta, come rimarcherà X: “me ne sto qui dove manca tutto”; dall’altro lato quello di non distrarre lo spettatore poiché quanto verrà detto riveste maggiore importanza di ciò che verrà visto. La parola è sovrana indiscussa a scapito dell’azione che non trova molta ragion d’essere trattandosi della fine ormai prossima, di un uomo dal destino segnato. Un antieroe per antonomasia o un “villain” secondo la tradizione shakespeariana. Il lento e lungo soliloquio è intervallato solo da qualche richiesta dalla risposta quasi scontata da parte dell’onnipresente Cecchin: dov’è la moglie? Dove le sigarette?, che lui stesso chiese di nascondere, e così via.
Cecchin ha la peculiarità di parlare in terza persona parlando di sé, è metodico e didascalico nel descrivere le proprie azioni – quasi un’eco del protagonista e al contempo una reminiscenza degna del Teatro dell’Assurdo.
La farandola vorticosa dei pensieri di X trascina al suo interno una denuncia aperta di quello che è stato il sistema che lui prima dominava e che gli si è poi rivoltato contro. Nel suo delirio accusatorio niente e nessuno è risparmiato, lui là, solo ad espiare e in Patria altri non migliori certo di lui che continuano la solita esistenza, la Storia probabilmente gli sta dando ragione sebbene non assolvimento alcuno. La riabilitazione di Craxi/X uomo è qui palese, meno quella del politico.
Opera sicuramente da rivedere, ricca nella sua complessità ma che è arrivata a segno: il pubblico ha reagito molto bene salutando con calore i bravi interpreti.

INTERVISTA AD ALESSADRO HABER

D.F.: Signor Haber, qual è stata la ragione che l’ha spinta a interpretare questo ruolo?
A.H.: Perché è un bellissimo ruolo, scritto molto bene… Ci sono dei personaggi magari fantastici però scritti male; ci sono delle idee però scritte male; ci sono delle sceneggiature bellissime poi filmate ma raccontate male oppure, viceversa, sceneggiature non fantastiche però con un regista meraviglioso che riesce a scavare … sempre, dipende da come si fanno le cose. In questo caso sicuramente quel testo quell’argomento, e come dicevo prima (durante l’incontro con il pubblico ndr), è un personaggio demandato alla storia, è un personaggio shakespeariano, becketiano, potrebbe essere un Re Lear, un Riccardo III…

D.F.: Più un ‘villain’ quindi, o un antieroe?
A.H.: Un antieroe. È un personaggio contraddittorio che ha una sua drammaticità anche, per la fase che sta vivendo che è la fase dell’abbandono della vita, che sta morendo, è solo, abbandonato da tutti gli amici, vede l’Italia come un miraggio. C’è un’angoisse, un dolore profondo, c’è la malattia, il non poter più lavorare…c’è un personaggio tormentato e che mi piace fare.

D.F.: Il nostro è un Paese che fa una fatica tremenda a fare in conti con la Storia contemporanea soprattutto con quella molto recente. In questo caso si tratta di ‘adesso’ e quindi sono ancora vive quasi tutte le figure che hanno ruotato attorno al nostro protagonista. Secondo Lei, quale sarà l’appeal che avrà l’opera sul pubblico, ci sarà una sorta di riabilitazione?
A.H.: E’ una riabilitazione umana questa – il testo – non è politica … ma sai, siccome la storia va avanti peggio, di quello che è successo prima, allora c’è questo confronto: un male cancella l’altro male, eppoi viene rivisitato con più distacco, più tenerezza con più ironia, perché se c’è qualcosa di più forte che schiaccia una cosa che è stata travagliata, allora quella cosa travagliata che è successa prima ha meno corpo, ha meno forza, nel ricordo viene un po’ diluita, edulcorata, no?, non ha più quel sangue vivo è come un whisky con molto ghiaccio, perde la sua forza col tempo (…) non si può riabilitare la Shoah, quello che ha fatto Hitler, quella è una cosa che non va… non solo quello ma altri fatti che non potranno mai essere cancellati o perdonati. Però questa fa parte del gioco della politica si è sempre visto ovunque (…) una delle poche persone ‘sane’ al di sopra delle parti era forse Berlinguer o Papa Francesco ma sono rare, anche fra i papi…tanta connessione con interessi, con soldi… il Verbo che viene usato per ricavare chissà quali interessi, per cui la politica è questo: siamo dei burattini nelle mani di chi ci gestisce, non abbiamo nessun tipo di controllo, non abbiamo niente. Questo è.

UnanotteinTunisia@TommasoLePera_700x466D.F.: Che cos’è, quindi, che ci potrà ‘salvare’?
A.H.: Credo che l’unica cosa che ci può salvare è cercare di avere una dignità, che ce la diano insomma , e il rispetto per il prossimo, l’amore per il prossimo, l’amicizia, aiutare, essere attenti eticamente ai colori della pelle cioè a non avere discriminazioni verso nessuno, insomma, cercare di essere onesti, (…) questo credo che sia la cosa più importante, l’uomo per l’uomo, più che la collettività. La globalizzazione da un lato è stata utile dall’altro perdiamo forza come entità, come territorio, cerchiamo di conservare il nostro territorio, la nostra cultura, per poi emanarla. Ognuno deve preservare la propria identità anche logistica di paese, è importante per poi invece, aprire le porte a chiunque.

D.F.: Un’ultima chiosa, la frase tratta dal testo: “Gli italiani non amano la libertà, salgono istintivamente sul carro dei vincitori. Amano di più l’uguaglianza. O meglio l’uniformità”, Lei la condivide?
A.H.: Bah, non è detto che sono tutti così, c’è una parte…probabilmente quando c’è stato il Fascismo probabilmente molti sono stati presi alla sprovvista, molti salivano perché altri salivano perché: quello che fa uno fanno tutti. Però ci sono tanti che sono riusciti a scavare quelle problematiche, o quel periodo storico o quegli atti o quel modo di concepire la vita o di imporre la vita in un certo modo, e si sono ribellati; per cui c’è stato l’Antifascismo, c’è sempre qualcuno che è contrario che sta nel giusto. Certe volte magari non sai, quelli che alzavano il braccino e si mettevano… alcuni erano stati costretti, altri che non capivano e andavano sull’onda, se ne sono resi conto; altri che sono rimasti fedeli per un fatto anche di sentimento di nostalgia, per un’epoca che era l’epoca in cui erano giovani. Non credo che poi dentro – nelle persone – ci sia una logica di costruzione politica di pensiero molte volte sono prese, così… dalla comunità che le trascina come un fiume in piena che quando arriva, ti trascina…altri sono riusciti a salvarsi perché hanno idee diverse e meno male! A me i contrasti piacciono sempre, no? Di gente che si oppone a qualcosa, se non ci fossero i confronti tutto diventerebbe tutto piatto, omologato.

Redazione

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