William Klein, il mondo a modo suo

Grande fotografo, geniale regista di lungometraggi cult, e outsider della foto di moda è appena stato celebrato da una bella mostra a Milano, presso il Palazzo della Ragione (17 giugno-11 settembre 2016).

Le prime forme d’arte che appassionarono William Klein furono il disegno e la pittura. Tuttavia fin da giovane, nel corso della sua prima esperienza a Parigi, entrò quasi subito in rotta di collisione con i personaggi e i galleristi che avrebbero potuto offrirgli la possibilità di  ottenere successo. Da quel momento la sua carriera, fino a quando non divenne famoso, si configurò procedendo su due binari: da un lato si piegò a svolgere routine di lavoro professionali dal risvolto commerciale; dall’altro le risorse incassate venivano immediatamente investite in progetti creativi nei quali l’autore riversava il suo talento libero da qualsiasi costrizione.

Intorno al 1954 a New York, Alexander Lieberman, celebre art director di Vogue, vide alcune foto di William Klein. Erano immagini molto lontane dagli standard della foto di moda del periodo. Ma il direttore creativo della più importante rivista di moda del pianeta, amava l’arte che si faceva tentare dai territori dell’immaginario estremo definiti avanguardia. Intuì subito le potenzialità del giovane talentuoso fotografo/artista e nonostante il carattere ribelle di quest’ultimo, gli propose un contratto particolare, dando così prova di una sensibilità non comune tra chi operava nell’editoria di moda. William Klein doveva collaborare con Vogue fornendo “contributi diversi” alla testata. In cambio avrebbe avuto un buono stipendio e inoltre Vogue avrebbe sponsorizzato un suo progetto creativo senza alcuna interferenza.

Molti anni dopo, ricordando quei giorni probabilmente molto più decisivi di quanto amasse riconoscere, William Klein scrisse che la sua vita creativa nella fotografia era cominciata con uno sdoppiamento. C’erano giorni in cui girava come un flâneur per le strade di New York alla ricerca del suo fotografabile, che al tempo stesso si trasformava nella sperimentazione di modi del fotografare utili per definire un suo stile. Altri giorni li passava lavorando in uno studio fotografico super attrezzato, nel quale faceva “nature morte” di scarpe, rossetti e abiti. Per le foto di strada aveva scelto un piccola Leica di seconda mano, due obiettivi e una strategia che sarebbe piaciuta molto al Baudelaire de “Il pittore della vita moderna”: passeggiate solitarie, punteggiate da centinaia di scatti minimi che definiva fotografia povera (scatti fatti senza fare calcoli o avere attenzioni estetiche particolari, suppongo).

In studio invece, le sue foto dovevano essere sottoposte a un controllo estenuante. Le sorgenti luminose dovevano risultare perfette per definire con efficacia i contorni o la consistenza degli oggetti moda da promuovere. La ripresa di abiti indossati implicava un certo modo di relazionarsi empatico con la modella. Il contesto dell’immagine non sempre poteva ridursi all’essenzialità che indubbiamente, soprattutto in quella fase, amava. Come evitare ciò che ai suoi occhi appariva tutto sommato banale e un po’ ridicolo? Forzando la sua natura, poco incline a prendere sul serio il teatrino della moda, grazie a una raggelante ironia, resa penetrante da eccellenti idee grafiche e una risoluzione tecnica impeccabile, William Klein fece finta di adeguarsi agli standard imposti da Vogue. Si piegò all’obbligo di riprendere abiti valorizzandone forme e dettagli, riservandosi però una grande libertà di decidere pose, situazioni, contenuti. Le redattrici arrivavano in studio dopo essersi eccitate alle sfilate degli stilisti, implorandogli di fotografare quell’abito piuttosto che un’altro. William Klein non poneva problemi e prontamente le accontentava, anche se la significazione dell’immagine gli appariva aberrante o ridicola. Come molti intellettuali e artisti progressisti della sua generazione, nutriva un sincero disprezzo nei confronti degli eccessi passionali tipici dell’ambiente professionale della moda, ma possiamo immaginare risolvesse le irritazioni che derivavano dal suo coinvolgimento con essa, dicendo a se stesso che in definitiva Vogue gli offriva la possibilità di guadagnare facilmente molto denaro da investire nelle sue attività artistiche e sperimentali. Tuttavia, analizzando il suo lavoro da fotografo di moda, durato all’incirca 8 anni (dal ’54 al ’64), si può osservare come in realtà Klein non abbia mai aderito completamente agli standard della foto di moda. Quindi non è del tutto vera l’ipotesi corrisponda che il suo stile precipuo fosse da ricercare solo nelle immagini di stright photography e che di conseguenza le sue foto di moda seguissero le codifiche del momento.

Naturalmente le sue foto di moda, seppur originali, erano ben lontane dall’effetto speed, instabile e mosso delle foto di New York, una vasta ricerca culminata nel suo primo libro intitolato Life is Good and Good for You in New York: Trance Witness Revels. L’idea creativa del testo si basava sulla sperimentazione dello sguardo fotografico inteso come qualcosa di completamente autonomo dalla coscienza del fotografo. Sostanzialmente, William Klein immaginava che aumentando la velocità di risoluzione del gioco integrato puntamento/scatto, le cose davanti all’obiettivo si imprimessero sul negativo in modo molto diverso dalle nostre aspettative. La libertà (dai codici visivi riconosciuti) avrebbe permesso alla fotografia di evitare stereotipi e di marcare la differenza di un atto fotografico capace di cogliere le tracce di un reale altrimenti impossibile, e al tempo stesso di evocare la scintilla inconscia che aveva portato il soggetto a fermarsi di fronte a una “domanda” mai pervenuta alla coscienza.

Chiaramente, la messa in scena necessaria alla moda escludeva a priori il piccolo vangelo fotografico maturato da William Klein. Ma se osservo con attenzione gli scatti memorabili che malgrado la rigidità del contesto riuscì a farsi pubblicare, non posso evitare di cogliere nella forza e nella durezza dei contrasti, nella crudezza con cui l’obiettivo riprende modelle, abiti, situazioni, nel gioco delle inquadrature, nelle geometrie delle forme, nell’eccezionale pregnanza grafica di molte delle foto di moda di William Klein, una somiglianza di famiglia con i giochi visivi delle sue famose foto dedicate alle città (New York, Mosca, Tokio).

Quindi se è vero che il suoi libri dedicati alle città citate fecero scalpore e lo consacreranno come un maestro per le generazioni successive di fotografi; io penso che anche il suo lavoro nella moda provocò una piccola rivoluzione, dando coraggio e audacia a tanti giovani fotografi che, dopo di lui, in modo eterogeneo si appellarono alle sue invenzioni per rendere più creativo e libero un genere fotografico sempre a rischio di stereotipia malgrado i continui riferimenti al “nuovo”.

William Klein oltre ad avere uno spirito d’artista ed essere un eccezionale fotografo amava il cinema d’autore e fin da giovanissimo si sentiva proiettato verso questa forma d’espressione. Quando ne ebbe la possibilità si dedicò alla realizzazione di lungometraggi che riflettevano le sue convinzioni artistiche. Maturò uno stile di ripresa “diretto”, marcato dai forti contrasti in bianco e nero, dalla sintassi originale e caratterizzati da una non comune inventiva. Anche in questo caso mise a disposizione di aziende il suo talento, per potersi finanziare film e scegliere come realizzarli senza nessuna pressione esterna. Alcuni dei suoi spot commerciali, nella sua carriera ne girò oltre 250, godono ancora di una grande reputazione tra gli addetti ai lavori. Per quanto riguarda i suoi lungometraggi c’è da aggiungere che furono subito considerati dei geniali capolavori. È altresì vero che quando furono messi in circolazione trovarono consensi adeguati solo tra i cultori dell’avanguardia creativa. Detta come vuol detta, William Klein è uno dei rari grandi autori di film che non ha mai ricevuto la qualità (e la quantità) di attenzioni critiche che avrebbe meritato.

Per esempio, Qui éte-vous Molly Magoo? (1965/66) è un film-docu-metraggio geniale che mi ha indotto a cambiare la mia visione sulla moda. Quando lo vidi per la prima volta a Parigi, dopo la fine della proiezione rimasi qualche secondo seduto, attonito e impressionato, mentre il pubblico scivolava via silenzioso dalla sala. Dopo una piccola eternità mi alzai e mentre uscivo feci uno, due, tre inchini verso lo schermo per onorare il geniale regista. Quando si urta contro creativi del calibro di William Klein il primo effetto sconcertante è il senso di vertigine causato dalla perdita delle distinzioni tra generi: è una fiction o un documentario? È una parodia della moda o sto guardando qualcosa che è più reale di ciò che pensavo fosse la realtà?  Ripensandoci oggi, considero la ricostruzione grottesca delle situazioni moda e della famiglia borghese contenute nel film citato, una narrazione quant’altre mai salutare per il settore moda, deplorevolmente incline a prendersi troppo sul serio. Purtroppo non la pensava allo stesso modo Diana Vreeland quando assunse la direzione di Vogue intorno al ’64. Vedere il suo mondo ridicolizzato dalla visione surreal/dadaista del regista, andava oltre la proverbiale ironia della direttrice. I rapporti con William Klein si fecero molto tesi e il fotografo lasciò la redazione.

Il fotografo/regista tornò ad interrogarsi sulla moda nel 1981 con Mode in France, e nel 1993 con In & Out of Fashion. Lungometraggi notevoli per l’originale montaggio (soprattutto il secondo) e per la fattura delle inquadrature. Ma se devo esprimere una mia opinione, ad entrambi mancava la meravigliosa e tagliente inventiva di Molly Magoo.

Lamberto Cantoni
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10 Responses to "William Klein, il mondo a modo suo"

  1. Romano   9 Settembre 2016 at 14:46

    Art interessante. Mancano immagini esplicative.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   14 Settembre 2016 at 10:06

      Hai ragione Romano. Cercheremo di provvedere. Comunque nel web puoi trovare tutte le immagini che vuoi.

      Rispondi
  2. Gabriele Panichi   4 Gennaio 2024 at 16:51

    Il commento riflette sulla carriera di William Klein, sottolineando la sua duplice natura tra fotografo di moda e artista ribelle. Si evidenziano i momenti cruciali della sua carriera, come l’incontro con Alexander Lieberman di Vogue, che gli offrì una collaborazione unica. Il testo riconosce la diversità delle immagini di moda di Klein rispetto agli standard dell’epoca, ma sottolinea anche come il fotografo non abbia mai aderito completamente a tali norme. La critica esprime apprezzamento per la rivoluzione portata da Klein nella fotografia di moda, che ha ispirato giovani fotografi a rendere il genere più creativo e libero. Infine, si menziona la transizione di Klein verso il cinema d’autore, con una menzione speciale al film “Qui êtes-vous, Polly Magoo?” e il suo impatto sulla percezione della moda, anche se tale visione non era condivisa da tutti nell’industria.
    William Klein, come fotografo e regista, ha dimostrato un forte parallelismo nella sua carriera, utilizzando approcci simili e innovativi sia nella fotografia che nel cinema.
    Approccio Provocatorio: Klein è noto per il suo approccio provocatorio sia nella fotografia che nel cinema. Nelle sue fotografie di strada, ha spesso catturato momenti crudi e reali, sfidando le convenzioni estetiche dell’epoca. Questa stessa audacia si riflette nei suoi film, come ad esempio in “Who Are You, Polly Maggoo?”.
    Utilizzo di Strutture Urbane: Un altro parallelo è l’attenzione di Klein alle strutture urbane. Le sue fotografie spesso presentano un forte impatto visivo, con linee, geometrie e dettagli urbani che emergono in modo prominente. Questo tema è presente anche nei suoi film, dove l’ambientazione urbana svolge un ruolo significativo nella narrazione.
    Innovazione Tecnica: Klein è stato pioniere nell’uso di tecniche innovative, come l’uso estensivo del grandangolo e delle distorsioni ottiche nelle sue fotografie. Nella sua attività cinematografica, ha sperimentato con montaggi rapidi, effetti visivi audaci e stili narrativi non convenzionali.
    Documentazione della Società: Un altro parallelo è la sua inclinazione a documentare la società contemporanea. Sia attraverso la street photography che attraverso i suoi film, Klein ha catturato l’essenza della vita urbana, spesso mettendo in luce aspetti sociali e culturali.
    Impegno Politico ed Estetica Anticonformista: Klein ha anche mostrato un impegno politico evidente nelle sue opere, siano esse fotografie o film. La sua estetica anticonformista si traduce sia nella scelta dei soggetti che nelle tecniche utilizzate.
    In sintesi, i parallelismi nella carriera di William Klein emergono attraverso il suo spirito innovativo, il suo sguardo provocatorio e la sua continua ricerca di espressione artistica, che si riflettono sia nella sua fotografia che nei suoi film.

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    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   10 Gennaio 2024 at 10:10

      giuste le considerazioni che proponi sull’utilizzo delle strutture urbane. Rivestono un ruolo configurativo importante per le significazioni percettive alle quali Klein era particolarmente sensibile.

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  3. Davide Zanatta LABA   7 Gennaio 2024 at 13:00

    Secondo me ciò che ha reso i lavori fotografici di William Klein così coinvolgenti è la vivacità che egli riusciva a rappresentare tramite il legame di particolari tecniche stilistiche con i corpi dei soggetti. La maggior parte delle sue fotografie vanno a immergere l’osservatore in momenti di routine e svago grazie anche a un buon utilizzo del bianco e nero, elemento che rende più vividi i movimenti fisici dei soggetti. Una particolarità che coinvolge molto è il fatto che Klein riesca a inserire una nota di vivacità anche in occasioni dove il soggetto principale è un’arma di distruzione. Difatti in alcune delle sue opere di strada, si nota come il primo piano sia occupato da una pistola, impugnata da un bambino che alcune volte risulta sereno, altre felice, e altre ancora intenzionato a sparare. Questo fa percepire all’osservatore che la violenza si aggira anche in contesti meno credibili, e che un semplice momento felice o di routine può essere rovinato da un atto brutale.
    Ritengo quindi William Klein un personaggio molto interessante, che nella sua semplicità è riuscito a realizzare opere fotografiche e non degne di essere ammirate.

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  4. Lamberto Cantoni
    lamberto cantoni   10 Gennaio 2024 at 10:12

    Non mi risulta chiara la tua ultima frase. Penso manchi una virgola

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    • Davide Zanatta LABA   15 Gennaio 2024 at 18:40

      Ha ragione lei, mi è sfuggita una virgola. Riformulo l’ultima frase:
      “Ritengo quindi William Klein un personaggio molto interessante, che nella sua semplicità è riuscito a realizzare opere fotografiche e non, degne di essere ammirate.

      Rispondi
  5. Francesco Zambelli LABA   10 Gennaio 2024 at 22:27

    Secondo me i’articolo evidenzia la duplice identità di Klein, di fotografo di moda e artista ribelle, con momenti cruciali come la collaborazione con Alexander Lieberman di Vogue. Si riconosce la diversità delle sue immagini di moda e la resistenza alle norme dell’epoca. L’apprezzamento per la rivoluzione da lui portata nella fotografia di moda e la transizione al cinema d’autore, specialmente con “Qui êtes-vous, Polly Magoo?”, sono menzionati, con accenni a opinioni contrastanti nell’industria.

    Il secondo paragrafo mette in luce i paralleli tra la fotografia e il cinema di Klein. Si sottolinea il suo approccio provocatorio, l’attenzione alle strutture urbane, l’innovazione tecnica e l’impegno politico, evidenziando la coerenza del suo spirito innovativo attraverso entrambe le discipline.

    In sintesi, il commento enfatizza l’innovazione costante di Klein, la sua visione provocatoria e la ricerca continua di espressione artistica, influenzando la moda e il cinema con un impatto significativo.

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  6. Chan Vannak Vinella (LABA Cinema 1)   14 Gennaio 2024 at 21:01

    “Per me, fare una fotografia era fare un anti-fotografia.”

    cit. William Klein

    Possiamo scomporre questo aforisma in questa versione: è il risultato di una rappresentazione del suo essere votato verso una estrema incompatibilità con la società di massa e il conformismo dettato da regole ben prestabilite. Ecco, mi sento di chiarire come William Klein attraverso l’arte della fotografia e del cinema possa scandire la sua grande attenzione verso l’inusuale, ciò che non segue dei canoni ben prestabiliti. Intravediamo secondo un parere puramente personale una sua vicinanza verso il pensiero del dadaismo o Dada nato a Zurigo in Svizzera da un gruppo di artisti che si erano rifugiati dall’inizio della Prima Guerra Mondiale (1916). “Distruggere l’arte con l’arte”: diversi artisti tra cui Marcel Duchamp o Man Ray hanno catturato non solo l’inutilità della guerra ma hanno rimodellato alcune icone della storia dell’arte come il dipinto della Gioconda in chiave ironica e provocatoria. Tutto questo cosa potrebbe centrare con il nostro commento? William Klein, invece di dipingere, preferisce scattare un momento di uno spaccato di vita caratterizzato da moti turbolenti e spesso vivaci che non seguono un vero e proprio schema. E’ evidente in molte delle sue fotografie, ove i bambini vengono sfocati per rendere la scena più verosimile e dinamica. Per questo lui stesso affermerà la sua disapprovazione verso una fotografia studiata a priori di Henry Cartier Bresson all’interno di una composizione. Anzi, William Klein risulterà decisamente crudo, spoglio per togliere qualsiasi ‘filtro’ all’interno della sua immagine fotografica. Oltre alla street photography, cominciò ad affrontare il mondo della fashion photography. E’ stato molto importante questo passaggio perché portò a nuove sperimentazioni dal punto di vista della tecnica della macchina fotografica e un nuovo modo di scattare come l’esposizione multipla o l’uso del flash adottando un obiettivo grandangolare. La sua bellezza secondo me è la sua grande capacità di coinvolgere l’osservatore di entrare in quell’universo caotico che nella società contemporanea è tuttora presente: un mondo fuori dal nostro controllo.
    Questo paragone che farò potrebbe sembrare discordante con la mia tesi, ma ho ritrovato una certa affinità con la fotografia di Elliot Erwitt uno dei fotografi iconici per la sua delicata ironia che ‘ritrae’ nelle sue foto. Pur seguendo lo stile sistematico di Henry Cartier Bresson e sulla ricerca dell’attimo decisivo andando così contro alla corrente di pensiero di William, non dimentichiamoci che entrambi hanno sentito il desiderio di fotografare un momento fuori dall’ordinario comune, anche se risulta insolito e bizzarro, ma che detengono secondo me entrambi una grande carica emotiva.
    William Klein non è stato solo un fotografo, ma anche uno scultore, un pittore e anche un regista. Infatti come già citato nell’articolo aveva realizzato importante lungometraggio come “Qui éte-vous Molly Magoo?” (1965/66). Purtroppo i critici non hanno reso onore ai suoi operati cinematografici, ma lo conosciamo principalmente per le sue fotografie vivaci e dinamiche tanto da farti vivere quel momento.

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  7. giacomo   28 Gennaio 2024 at 14:26

    William Klein, inizialmente affascinato dalle forme tradizionali d’arte come il disegno e la pittura, presto entrò in contrasto con il mondo artistico parigino durante la sua giovinezza.
    E da qui mi rendo conto come i migliori personaggi della storia gia fino ad giovani età avevano degli obbiettivi precisi ed anche se può non portare a niente comunque possono essere delle basi per il futuro.
    “Life is Good and Good for You in New York: Trance Witness Revels”. La concezione creativa del testo si basava sull’esperimento del punto di vista fotografico come entità autonoma dalla consapevolezza.
    Le fotografie di Klein le ritrovo abbastanza cupe e come se volesse nascondere una qualche tematica sociale attraverso ad ogni volto che riesce a racchiudere in uno scatto

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