Perché Scritti Gitani, libertà, schietti e leali

Perché Scritti Gitani, libertà, schietti e leali

Cercare il titolo per una rubrica che non mi ingabbiasse in un argomento specifico, ma, al contrario, potesse essere spazio sovrano della parola, è stato arduo. Mentre rileggevo, lo confesso, per l’ennesima volta, Poesie in forma di rosa di Pier Paolo Pasolini, ho pensato ai suoi Scritti corsari. Non voglio peccare di presunzione, né di arroganza, semplicemente ho attinto, in parte, all’opera di un autore che amo in ogni sua espressione artistica, dalla narrativa alla poesia, al cinema. Scritti corsari è il penultimo libro pubblicato da Pasolini (fu pubblicato postumo dopo la sua morte – 1975; le bozze già state revisionate da Pasolini presso la Garzanti). Il volume Scritti corsari è una raccolta di articoli (1973-1975), permeati di impegno civile e furore ideale, è il pensiero scontroso, autorevole, contemporaneo del più grande intellettuale del ‘900. Il gitano è lo zingaro di Spagna, importante elemento della cultura iberica; simbolo della ingenua libertà popolare. Scritti gitani, ovvero scritti in libertà, schietti e leali.

Il pensiero, la sua libertà non può prescindere dalla conoscenza.
La conoscenza è consapevolezza acquisita nel tempo e nello spazio che ci dà la facoltà e i mezzi per opporci, misurarci, confrontarci con il passato, il presente ed il futuro non lasciandoci in balia dell’incomunicabilità.

Saremo narratori e narrazione.

Chiediamoci perché un insieme di parole, di colori, di suoni abbia fatto venire i brividi a generazioni intere e un altro no.

Regaliamoci il tempo per leggere un libro, guardare un film, andare a teatro, ascoltare la musica, ma non aggrappiamoci disperatamente al tempo, farlo è come cercare di saltare oltre la propria ombra. Nell’istante in cui crediamo di averlo preso, il tempo ci sfugge dalle mani.

Il tempo, come scrive Orazio, è:

Mentre parliamo, il tempo vola invidioso.
Godi il giorno che passa,
confidando meno che puoi nel domani.

Se vorrete, cari lettori, potrete scrivere con me, in libertà, perché la scrittura è consolante.
Scrivere vuol dire smantellare il cervello e cercare di ricostruirlo su un foglio, vuol dire guardare un po’ avanti conoscendo già il seguito.
L’obiettivo è riuscire a prendere le parole consumate e restituirle al loro vero concetto; vorrei evitare paralogismi, luoghi comuni, sostituire ad una parola usata arbitrariamente una parola “vera”.
Viviamo un eterno presente, ma il racconto del passato rappresenta noi stessi, come siamo.

Anna Serini
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8 Responses to "Perché Scritti Gitani, libertà, schietti e leali"

  1. Stefano   25 Ottobre 2012 at 16:49

    Anche io utilizzo la scrittura come consolazione. Scrivo ancora su un foglio di carta, utilizzando solo penne ad inchiostro blu, i miei pensieri più profondi, trasformandoli in poesie. Non vedo l’ora di continuare a leggerti, a leggerci. Perchè, correggimi se sbaglio, questa rubrica è dedicata anche a noi, giusto? Grazie Anna!

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    • Anna   27 Ottobre 2012 at 18:58

      Ciao Stefano
      E’ bello scrivere su un foglio di carta bianco,anche se, a volte, riempirlo richiede un grande sforzo.
      Dicono che la poesia sia la consolazione della vita, non ne sono così convinta, questa definizione la paragonerei a – la religione è l’oppio dei popoli-; la poesia, a parer mio, è la sintesi di un racconto, perchè, in poche parole, ci racconta un mondo.
      Questa rubrica è condivisione di pensieri e parole, quindi, soprattutto vostra.Sono davvero curiosa di leggerti, sai, il blu è il mio colore preferito.
      Anna

      Rispondi
  2. Sara   25 Ottobre 2012 at 16:59

    Complimenti per il titolo! Anche io adoro Pasolini e confesso di averlo letto più volte.. Oltre a “Il Vangelo secondo Matteo”, il mio preferito è “Una vita violenta”, con la vita di Tommaso Puzzilli (e da romana ho apprezzato la descrizione che dà della borgata romana. Lo conosci?

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    • Anna   27 Ottobre 2012 at 19:13

      Ciao Sara
      credo d’aver letto quasi tutto ciò che ci ha regalato Pasolini. Il vangelo secondo Matteo è straordinario e irraggiungibile. Una Vita violenta, hai ragione, descrive così bene le borgate romane che io, pur non essendoci mai vissuta, riesco a “vederle” . Questo è il romanzo più verista e didascalico dei romanzi di Pasolini.
      La maturazione di Tommaso nello scorrere del romanzo ci insegna che nulla può ostacolarci se vogliamo raggiungere un traguardo.

      Mi piacerebbe leggere una tua descrizione della borgata romana di oggi che, suppongo, sia diversa da quella degli anni ’50.
      Anna

      Rispondi
  3. Stefano   28 Ottobre 2012 at 23:45

    Cara Anna,
    concordo con te quando scrivi che “riempire un foglio bianco richiede un grande sforzo”. Ciononostante, quando la mia mente decide di prendere il sopravvento, la mano non può far altro che seguire l’impulso e impugnare l’amata penna.
    Ecco una parte del mio racconto che, non so se mai terminerò. In realtà non vorrei mai terminarlo. E’ uno dei miei momenti-perversi d’evasione. E se dovessi concluderlo per iniziarne uno nuovo mi sentirei come un traditore.

    “[…] A mente annebbiata, con un bicchiere di vino rosso tra le mani, ripenso al momento del primo incontro con lei. Uno sguardo freddo, duro, pungente, malizioso e intrigante allo stesso tempo. Un sorriso appena accennato. Un profumo intenso, che mi inebria fino a farmi rabbrividire di nuovo. Alla finestra il ticchettio della pioggia si mescola al battito accelerato del mio cuore. Non riesco a pensare ad altro che a lei […]”

    non vado oltre per non essere troppo autocelebrativo, ma volevo, con queste parole, far capire quanto senta mio il tuo commento, poche righe possono realmente raccontare un mondo.
    Buona serata, Stefano

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  4. Anna   30 Ottobre 2012 at 00:23

    Ciao Stefano,
    perchè non terminare un racconto, tu che ami le parole, sai che nessuna parola chiude un discorso, al contrario ne apre altri mille e,così, il tuo prossimo racconto potrà essere il proseguo del precedente.
    Hai mai letto le Poesie di Alda Merini?
    Te ne riporto due, leggile con attenzione e dimmi se il racconto del suo dolore si interrompe. Le due poesie sono state scritte in periodi diversi, in momenti diversi e, ne sono certa, in condizione di vita diversa.

    Ieri ho sofferto il dolore

    Ieri ho sofferto il dolore,
    non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
    le labbra di metallo dure,
    una mancanza netta d’orizzonti.
    Il dolore è senza domani,
    è un muso di cavallo che blocca
    i garretti possenti,
    ma ieri sono caduta in basso,
    le mie labbra si sono chiuse
    e lo spavento è entrato nel mio petto
    con un sibilo fondo
    e le fontane hanno cessato di fiorire,
    la loro tenera acqua
    era soltanto un mare di dolore
    in cui naufragavo dormendo,
    ma anche allora avevo paura
    degli angeli eterni.
    Ma se sono così dolci e costanti,
    perchè l’immobilità mi fa terrore?

    Veleggio come un’ombra

    Veleggio come un’ombra
    nel sonno del giorno
    e senza sapere
    mi riconosco come tanti
    schierata su un altare
    per essere mangiata da chissà chi.
    Io penso che l’inferno
    sia illuminato di queste stesse
    strane lampadine.
    Vogliono cibarsi della mia pena
    perché la loro forse
    non s’addormenta mai.

    Se le leggi senza interruzione sono un racconto.
    Sono curiosa, perchè non mi scrivi il tuo racconto sino all’ultimo punto lasciato dalla tua penna blu, lo leggeremo senza celebrarti, promesso.
    Ricorda, il narrare è “dare vita”.
    Buona serata, Anna

    Rispondi
  5. Stefano   4 Novembre 2012 at 16:28

    Cara Sara,
    concordo con te che narrare sia “dare vita”. Indubbio è che Alda Merini sappia, con le sue parole, rendere vivo il racconto legando le sue poesie come un continuum di emozioni e sensazioni. Io non credo di essere in gradi di fare ciò.
    E poi il mio romanzo vorrebbe raccontare la mia vita. Per questo motivo la mia paura è concludere il romanzo: la paura di finire questa mia “relazione con la vita”, di “morire”. In una suddivisione per capitoli, con tre grandi sezioni (fino ai 30 anni, fino ai 60 e “dopo”), vorrei lasciare un piccolo segno nell’editoria. Un sogno? Forse. Certo è un desiderio. Perciò, avendo io 46 anni, non ho concluso la seconda parte del romanzo. E quando lo farò è perchè anche io, con il punto finale, morirò.
    Ti ringrazio per le poesie che mi hai scritto. Non ho mai letto molta poesia, più romanzi. Ma potrei andare alla Feltrinelli e acquistare un testo della Merini. Suggerimenti?
    Grazie per il tempo che mi stai dedicando. Stefano.

    Rispondi
  6. Anna   20 Novembre 2012 at 22:22

    Pensavi mi fossi scordata di risponderti, ma non è così.
    Ho dovuto fare una riflessione su questa parte del tuo discorso :”Per questo motivo la mia paura è concludere il romanzo: la paura di finire questa mia “relazione con la vita”, di “morire”. In una suddivisione per capitoli, con tre grandi sezioni (fino ai 30 anni, fino ai 60 e “dopo”), vorrei lasciare un piccolo segno nell’editoria. Un sogno? Forse. Certo è un desiderio. Perciò, avendo io 46 anni, non ho concluso la seconda parte del romanzo. E quando lo farò è perché anche io, con il punto finale, morirò.”.
    D’impeto avrei detto: morirai comunque, che tu metta un punto o un punto e virgola al tuo scritto, ma poi ho ricordato J.D.Salinger, autore de Il giovane Holden, suo unico romanzo pubblicato.
    Mi sono anche ricordata del film – Scoprendo Forrester -, un film del 2000 diretto da Gus Van Sant. Se la tua ambizione è questa, non mi resta che augurarti di conseguirla.
    Mettere un punto non significa andare a capo, ricominciare? Vivere non è rinnovarsi per non sopravvivere?
    Se non hai letto nulla di Alda Merini, qualsiasi libro va bene perché,Alda, regalava spesso sue poesie scritte di getto, è quindi difficile trovarle tutte pubblicate sui libri editi dalle case editrici più conosciute.
    Se vuoi leggere splendide poesie ti consiglio anche Andrea Zanzotto, fantastico Poeta scomparso il 18 ottobre 2011-
    E’ un piacere dedicarti del tempo.
    Buona serata, Anna

    Rispondi

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