Il cliente ha (quasi) sempre ragione

Il cliente ha (quasi) sempre ragione

Il detto “il cliente ha sempre ragione” è diventato una specie di “maschera” che di tanto in tanto il cliente si sente in dovere di indossare, ritenendo corretto trattare senza alcun riguardo chi lavora per lui. Oggi questa filosofia sta prendendo altre forme, altre sembianze, avvicinandosi maggiormente ad una negazione, e discostandosi, quindi, dall’affermazione secondo la quale è nata, agli inizi del 900. Secondo alcune statistiche, questo modo di pensare rende il rapporto fra lavoratore e cliente molto spinoso.

Gordon Bethune, amministratore della Continental Airlanes fino al 2004, disse chiaramente che in una disputa fra un cliente e un suo impiegato lui avrebbe appoggiato l’impiegato. “Quando ci imbattiamo in clienti che non sono disposti al dialogo, il nostro supporto va all’impiegato. Un lavoratore deve aver a che fare con mille scocciature ogni giorno e il solo fatto che tu abbia acquistato un biglietto non ti da il diritto di abusare dei nostri lavoratori. Trasportiamo oltre 3 milioni di persone ogni mese e una o due fra queste perde la pazienza o pretende servizi non concepibili. Quando ci si trova di fronte alla scelta fra appoggiare un lavoratore, che è con te ogni giorno e ti aiuta a rendere vincente il tuo prodotto, o appoggiare un cliente iroso che pretende un biglietto gratuito per Parigi perche’ non gli hai servito le arachidi in volo, ma solo i crostini, da quale parte dovremmo stare?”

Io personalmente, oltre a ricoprire ogni giorno la figura di cliente, ho anche vissuto l’esperienza d’acquisto da un altro punto di vista, in quanto ho lavorato come commessa più volte. Ho avuto a che fare con clienti di ogni genere, che provenivano da ogni parte del mondo, e posso affermare che esistono persone tanto disponibili e gentili quanto arroganti e pretenziose. Capisco, quindi che quando ti trovi di fronte a persone che sfoggiano la loro arroganza in maniera così sottile e spontanea, sia difficile mantenere la calma senza rispondere a tono, ma d’altronde è il lavoro della commessa! Avendo lavorato in un piccolo negozio di abbigliamento, il rapporto che si instaura, o che si dovrebbe di norma instaurare con il cliente è amichevole e cordiale, si instaura una sorta di relazione, che appunto inizia con un semplice “ciao”, “buongiorno”, “salve”. Molte volte mi è capitato di salutare senza aver ricevuto in cambio, nemmeno un accenno, o un sollevamento del volto, per scambiarsi anche solo uno sguardo. Io la chiamo semplicemente maleducazione. Oppure ricordo quei clienti che dopo essersi provati un capo, per dirti che non lo acquistano, non utilizzano le parole, ma trovano giusto lanciarti il pantalone o la maglia sul bancone, andandosene come fosse niente, o meglio come se tu, commessa, non fossi niente di più che una semplice ed anonima “schiava”.

E allora quand’è che il cliente ha sempre ragione? Può darsi che la scortesia del cliente derivi in primo luogo dalla scortesia dell’impiegato? Voglio riflettere su alcune esperienze vissute in prima persona ed altre raccontate.

Uno dei temi che prende in considerazione non solo, come precedentemente detto, alcuni clienti, ma anche gran parte dei commessi all’interno dei vari store, riguarda proprio il famoso atto comunicativo che mette in contatto due individui, ossia il saluto. Sembra che in alcuni negozi, infatti le commesse non vengono assunte se fra le righe del loro curriculum non c’è la voce: eccellenza nella negazione del saluto. Una parola così semplice da dire, ma spesso considerata superflua per entrambe le categorie. A chi non è mai capitato di entrare in un negozio, salutare e sentire un gran silenzio, accompagnato da nota indifferenza? Oppure quelle commesse che… se compri ti saluto e ti sorrido anche, ma se ti sei permessa di provarti due capi, senza acquistarli, solo perché magari non ti tornano bene indosso, e non perché ti diverti a giocare alla spogliarellista, pensano sia giusto negarti di nuovo il saluto. Care commesse, ma veramente credete che nei negozi si possa entrare solo per comprare? Non è quindi possibile entrarci per vedere, ascoltare e valutare senza essere obbligati all’acquisto immediato?

Rispetto all’affronto fatto ad una mia amica, però, la negazione del “ciao, arrivederci” può essere considerata la meno pungente. Quel giorno eravamo in cerca di un vestitino, così abbiamo deciso di fare un giro per le vie del centro, quando ci imbattiamo in un piccolo negozietto che si è rivelato un vero e proprio “luogo del massacro”! Avete presente quando iniziate a provarvi un abito dopo l’altro, con la speranza di guardarvi allo specchio e dire “Questo è perfetto, mi fa sembrare quasi più magra”? Ecco il suo obiettivo era proprio questo. Peccato che la gentilissima e discreta commessa abbia avuto l’accortezza di sputare un’affermazione ai limiti della credibilità. Dopo averla squadrata da cima a fondo con un’espressione stampata in faccia, come se di colpo si fosse trovata di fronte una strana specie aliena, rafforzò il tutto dicendo: “Torna quando sei dimagrita!”. No non era ironica, no non stava scherzando. Era un consiglio forse? Era una tattica per essere carina e quindi sincera con la cliente? No, non credo. Purtroppo di esperienze del genere ne capitano moltissime all’interno del nostro tanto amato, mondo dello shopping.

Assurda e offensiva è la tag che possiamo conferire all’avventura di un’altra ragazza, un’avventura altrettanto poco piacevole. Quest’ultima entra in un negozio e prima di iniziare a dare un’occhiata ai vari indumenti esposti, si avvicina la commessa dicendole in modo diretto che per lei non c’era niente di adatto, così la ragazza le risponde specificando che voleva solo guardare. Il colmo si manifesta quando in una seconda battuta rafforza l’aspetto poco professionale che la caratterizza, ribadendo “Forse non hai capito, ti ho detto che della tua taglia non abbiamo assolutamente niente… arriviamo massimo alla L!”. Frasi del genere ovviamente, e fortunatamente non si sentono tutti i giorni, eppure esistono anche questi tipi di commesse, che a parer mio dovrebbero svolgere tutto tranne il lavoro di addetta alle vendite. Provando a mettermi nei panni di questa ragazza, questa offesa non solo porta la cliente a diffondere un passaparola negativo e a non tornare più in quel negozio, ma soprattutto si ripercuote sul piano morale e psicologico, il che è molto più incisivo e grave per un individuo. Non si tratta più quindi, di una scelta, se tornare o meno, ma si stratta di un affronto che porta ad un abbasso dell’autostima in modo rilevante ed incisivo. È vero, che ci sono acquirenti che ti chiedono in negozio una taglia 42 quando in realtà, la loro taglia reale è una 44, ma in questo caso, io, personalmente, non mi sono mai permessa di deridere quest’ultimi in qualche modo, bensì trovavo giusto mettere in atto un consiglio, in base alla mia esperienza e alla conoscenza dei prodotti che vendo, che conseguentemente, i clienti avrebbero scelto di prendere in considerazione o meno.

In questi casi, meglio essere sinceri o ipocriti? Forse a volte basterebbe trovare un giusto compromesso, una giusta equazione che abbia come risultato la trasparenza da parte della commessa, in base a ciò che sono le sue conoscenze sul piano lavorativo, trasmettendole allo stesso tempo in maniera cortese, affabile, ma soprattutto professionale.

È opportuno, comunque, che l’addetto alle vendite capisca chi si trova davanti, che tipo di acquirente è, così da saper accontentare ogni tipo di esigenze. Troviamo quindi il cliente timido che ignora completamente il venditore, il cliente esigente che richiede la massima attenzione, il cliente che sa tutto, il cliente che tratta il venditore come un servo, il cliente che prova fastidio ad essere inseguito tra una prova e l’altra e così via. Ad ogni categoria il giusto trattamento, alimentato sempre e comunque da cordialità e gentilezza.

Quindi, care commesse, pensateci bene prima di deridere un cliente, prima di negargli il saluto, prima di rispondere in modo offensivo, vorrei ricordavi che siamo nel periodo della famigerata crisi, dove avere dei clienti è un onore e sarebbe opportuno tenerseli stretti!

E voi da che parte state?

Di Margot Ferri

Margot Ferri
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