Albert Camus. Si può sempre fare qualcosa

Albert Camus. Si può sempre fare qualcosa

Albert Camus: Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.

14 novembre – 24 novembre 2012, due manifestazioni dopo almeno un decennio di silenzio colpevole; due giornate molto diverse, la prima con manifestanti muniti di casco, la seconda muniti di scolapasta.

Finalmente i giovani tornano ad esistere attivamente, cercano le loro radici, smettono di cercare “l’uomo di superficie”, quello che ama la bellezza esteriore, la forma e scorda la sostanza.

Riusciremo ad andare oltre l’incertezza e la paura che impedisce di vivere, che mette una società in agonia?

La cultura non deve essere un riadattamento in base al potere; potere come verbo non necessita di cultura, è solo empirismo, mancanza di validità ed efficacia.

Sta forse rinascendo un  Sessantotto?

Il movimento del sessantotto nacque da nuove idee dentro la rivolta, non dalla rivolta in se.

Allen Ginsberg, poeta barbuto e ormai quasi vecchio dirà vivendo il 68 “Noi siamo tutti dei personaggi transitori. Noi teniamo troppo del passato per essere avvenire. Ora ci eclisseremo per far posto alle genti a cui appartengono veramente l’avvenire e la nuova società“.
Dopo il 68 il mondo non fu certamente più quello di prima, forse non era molto diverso, certamente non era più uguale. Non più uguale perché si andò oltre la contestazione studentesca che è sempre ricordata, di crepe dentro il sistema ce ne furono molte e alcune, forse tutte, entrano di diritto nella storia.
Quando e dove partì la scintilla nessuno lo sa e forse mai lo scopriremo.
Forse partì dalle università americane quando iniziarono a reclutare studenti per il Vietnam. Forse in Francia, a Roma, a Pechino, in Brasile, in Messico (l’esercito affrontò gli studenti con i bazooka provocando centinaia di morti in Piazza delle Tre Culture – luogo non poteva essere migliore -)

Accadde in ogni paese, fascista, comunista, democratico.
Il potere gerarchico politico e religioso si ritrovò – dopo questo 68 – i bubboni dentro il “sistema” e corse ai ripari con altrettanta improvvisazione e sconsideratezza reclutando uomini affidabili, creando una serie di poteri per l’emergenza, una rete paramilitare parallela che avrebbe assunto ogni potere in caso d’insurrezione (Gladio).
Già nel 48 lo fecero e Scelba lo ammise, seppur tra virgolette.
Ma in quel fine 68, dove la realtà era ben diversa dal 48, ci fu un anomalo traghettamento a sinistra della DC voluto da Moro; ci fu un forte dissenso cattolico dentro la Chiesa.
L’idea non è affatto quella di impadronirsi del potere, ma di costruire spazi di libera espressione e comunicazione, che consentono di diventare soggetti di decisione e azione. Spazi fisici: strade e piazze… ma anche altri luoghi in genere già pubblici, che vengono trasformati e adattati anche al privato: ma contemporaneamente spazi espressivi, nei mezzi di comunicazione di massa, attraverso parole e immagini; e naturalmente spazi politici all’interno dell’organizzazione e del sapere e subito dopo in punti nevralgici del sociale, come i rapporti tra le classi lavoratrici e gli strati intellettualizzati della società (Passerini). Ritorniamo sulla scena del “teatro” dove da una parte (nei palazzi) si stava 
(si sta) recitando politicamente l’ipocrita farsa sociale dei “Nuovi Tempi” mentre dall’altra si seguitava (si seguita) a vivere l’opulenza dei pochi, con i privilegi dati solo ad alcuni mentre l’emarginazione si stava (si sta) sempre più diffondendo.
Quasi dalla stessa parte della barricata, in un altro “teatro” (sui giornali) c’era (c’è) un’altra commedia intrisa di valori ipocriti, recitata da tutta l’informazione, quella in mano agli intellettuali (partiti e borghesi che possiedono le testate).
La vera amarezza si fonda nella coscienza che ora, come allora, c’è una totale denuncia del sistema d’istruzione (scuola di classe), dei metodi di produzione, di distribuzione e consumo dei beni.
Enzo Bettiza addirittura é premonitore “Una destra che si scontra con la sinistra non fa che confermare il loro matrimonio di sangue nella violenza; ma può venire il momento, che sembra già prossimo, in cui le distinzioni cadranno e avremo un’orda di cosacchi uniti dal mito della distruzione senza nome e senza colore. Del resto contatti e travasi fra “nuova destra” e “nuova sinistra” esistono già”.
Siamo nel ’68, ma ha già scritto un articolo del nuovo millennio.
Quello che forse non capiscono gli idealisti – di ogni ideologia -, é che tutti, anche i socialisti, i comunisti, i proletari, possono dar vita a regimi dittatoriali fascisti, e questi a regimi dittatoriali comunisti; tirannici, come i vecchi regimi, chiamati feudali, monarchici, imperialistici, cesaropapisti, papali, serenissimi, o come i nuovi…. chiamati liberisti (ma dittatura è, anche se economica)
Il terrore alla classe conservatrice sclerotizzata venne dalle “nuove idee” “dentro” la rivolta e non dalla rivolta fine a se stessa.
Un mondo migliore nasce sempre da un gruppo di scontenti (“Il progresso umano è opera di quanti sono scontenti” John Stuart Mill) – (“Ci vuole il caos prima che si formi una stella” Nietzsche)

Non fu dunque un vero terremoto sussultorio, ma ondulatorio sì, perché i “Palazzi” non crollarono, ma molte crepe si verificheranno nel sistema e molte cose cambiarono.
Molte realtà oggettive non furono più le stesse, anche perché quegli eventi (nel bene e nel male) si riflettono dentro quella classe politica che ritroviamo al potere (d’ogni colore) con addosso l’imprinting del ’68.
Con indignazione si respingeva il dogmatismo staliniano e ci si entusiasmava per le guardie rosse di Mao che innalzavano milioni di copie del libretto rosso; si parlava di rivoluzione sessuale poi si leggevano gli scritti di Don Milani; si parlava di rivoluzione leninista e di rivoluzione francese poi si discuteva se stare dentro o fuori in quella o in questa; s’invocava il “Che” e altri scomodano il sovversivo De Sade; si gridava che la ribellione, dare fuoco e sfasciare tutto era giusto, poi si seguivano le mode imposte dai detentori della produzione dei prodotti di consumo anche frivoli; lottavano (lottano) contro le multinazionali americane ma bevevano (e bevono) Coca-Cola che per molti voleva (vuole) dire esempio di civiltà e di libertà.
A comportarsi ambiguamente, ora come allora, sono tutti i partiti; tutti si misero a civettare (civettano); e ognuno credeva e crede di poter strumentalmente utilizzare a proprio vantaggio le forze di questa carica rivoluzionaria, senza però affrontare a fondo e col proprio impegno ideologico, un’analisi vera sul perchè erano nati e sono risorti questi movimenti contestatari. Tutti andavano (vanno) a caccia di voti e la demagogia si sprecò e si spreca.

Fu una rivoluzione di stupidi? Forse è lecito pensarlo per come poi finì.

Cosa c’entro io con il 68? Credo che tutti c’entriamo con il 68, con il 48 (e anche molto oltre prima) la storia ci ha portati qui, apparentemente senza sovvertimenti ma solo a prima vista. 
Il potere nelle mani dell’uomo (di qualsiasi ideologia, ammesso che ancora ce ne siano di là da quella del denaro) tenderà sempre alla restaurazione delle barricate.

Non esistono più sogni, ideali, abbiamo paura del silenzio e facciamo rumore per riempirlo.

Questa società che non dice ad un giovane se avrà un futuro, crea depressione, ansia; il dramma vero è la regressione che riduce il potere a denaro, mentre il vero potere è il pensiero perchè il pensiero fa paura.

La scuola è una palestra per allenarsi ai torti, la scuola insegna ad avere desideri, insegna l’importanza economica della cultura.

Se non si riparte dalla scuola il Paese è morto.

Questo nuovo submovimento sarà meno stupido?

Anna Serini
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