Recensione La Grande Bellezza, ovvero il braccio armato di Sacro Gra

Recensione La Grande Bellezza, ovvero il braccio armato di Sacro Gra

La Grande Bellezza, ovvero il braccio armato di Sacro Gra

Ho visto La grande bellezza (Paolo Sorrentino) diversi mesi fa (in concomitanza con la sua uscita nelle sale) e ne sono rimasto incantato.

E’ un film diverso da tanti altri e sicuramente più in linea con la narrativa del lavoro hollywoodiano del suo regista (This must be the place) piuttosto che con la cinematografia italiana di quest’ultimo da “L’uomo in più” in poi. E’ un film di concetto nel quale ho la sensazione che Sorrentino abbia sentito la necessità di misurarsi con le sue dita più che con la macchina del Cinema. Il piatto forte, paradossalmente, è la trama: oltre due ore che raccontano il nulla, la vuotezza di una vita vissuta a pieno che ormai non riserva più sorprese ma che continua a strisciare a pancia piena, appropriandosene, lungo una Roma aristocratica e radical chic che fa le fusa (e ne è degna) a quella felliniana de “La dolce vita”.


Toni Servillo (che nel film interpreta il protagonista Jep Gambardella) è il fulcro narrativo, il narratore onnisciente che alla maniera di Mastroianni tesse le fila di un racconto volontariamente stucchevole come le storie che lo compongono e che rendono tale anche la Roma in cui si muovono.

Jack e la nostra Capitale sembrano dunque scrollarsi dalle spalle la società e rinchiudersi con la puzza sotto il naso in una campana di vetro; per questo la sceneggiatura li frusta, ma lo fa con il delicato pennello di un mirabile pittore. Mr Gambardella è pienamente cosciente di ciò e ne condivide le implicite puntualizzazioni: lo fa macinando discorsi sul nulla, con il suo distacco emotivo, invidiando la vita normale della sua domestica o, più velatamente, stroncando l’insulsa performance di una sedicente artista. La presunta élite colta che lo circonda ha la presunzione d’essersi impadronita del carattere della città e rischia di trasformarla in una creatura simile al personaggio interpretato da Isabella Ferrari: inabile all’amore.

Mi sono sempre chiesto io stesso per quale motivo non sia riuscito, fino ad ora, a scribacchiare anche solo due parole su questo film. Forse, non riuscivo a metabolizzarlo. Avevo le stesse idee che ho appena riportato ma non riuscivo a stenderle. Ecco qual è stata la scintilla: ho visto – e recensito – Sacro Gra (Rosi, 2013).

Apparentemente sembrano due prodotti opposti, accomunati solamente dalla loro intelligenza e pregevole fattura, ma in realtà credo (e sottolineo ‘credo’) raggiungano il medesimo risultato: un inno alla semplicità e alla Roma popolare. Sacro Gra ci arriva raccontando storie di gente comune emarginata dalla città e quasi ghettizzata, mentre il compito de La grande bellezza è entrare nel territorio dei colpevoli, nel loro pittoresco centro storico e riappropriarsene usando l’arma della critica.

Marco Leoni
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