Don Giovanni

Don Giovanni

Eccesso. È questa la parola chiave che emerge continuamente nel leggere i commenti e le critiche di chi ha visto l’ultimo spettacolo di Filippo Timi, quel Don Giovanni emblematicamente sottotitolato “Vivere è un abuso, mai un diritto”, programmato al Teatro Duse di Bologna lo scorso week-end. Ma il tema dell’eccesso, pur presente nello spettacolo, è in realtà funzionale a portare avanti un discorso narrativo molto puntuale e preciso, una riflessione sul senso del mito e sulla natura del male.

Rifacendosi dichiaratamente alla versione più classica del mito di Don Giovanni, quella di Lorenzo Da Ponte, Timi imbastisce uno spettacolo pop, sfarzoso e barocco che di classico ha ben poco e che porta alla ribalta i personaggi normalmente considerati secondari rendendoli i veri protagonisti della vicenda. Donna Elvira, Donna Anna e Zerlina, i rispettivi consorti e persino il servo Leporello smettono così di essere figure di sfondo, utili a evidenziare l’arte seduttiva di Don Giovanni, e diventano personaggi a tutto tondo, quasi archetipici quanto Don Giovanni stesso, dotati di un solido background narrativo e in costante equilibrio tra dramma e commedia. Un equilibrio però sempre destinato a sfociare nel grottesco e nell’inquietante, mai nella risata travolgente e fine a se stessa.

Don Giovanni

Intendiamoci: lo spettacolo fa anche ridere e tanto, ma spesso, soprattutto con l’evolvere della trama, si tratta di una risata a doppio taglio: ti apre il cuore quel tanto che basta per trafiggerlo ancora più dolorosamente pochi secondi dopo. È molto significativo, da questo punto di vista, il confronto finale tra Donna Elvira e un Don Giovanni ormai fatalmente prossimo alla morte. È una delle scene più intense e drammatiche che si possano immaginare, tutta giocata sull’ostinazione di Don Giovanni a rimanere se stesso, a mantenere l’apparenza, scherzare, sfottere crudelmente il prossimo nonostante tutto stia per giungere al suo drammatico epilogo. La scena produce, inesorabilmente, la risata di chi la sta osservando in maniera superficiale, ed è studiata esattamente per ottenere questo effetto. È allora donna Elvira stessa a rivolgersi al pubblico e riprenderlo: “Voi ridete! Ma l’uomo che amo sta per morire”.

C’è un equilibrio molto delicato e consapevole, nella struttura di questo Don Giovanni. A ben vedere, dunque, parlare di eccesso è fuorviante, si dovrebbe parlare piuttosto di densità: densità di contenuti, di temi e, soprattutto, di stimoli. Filippo Timi è uno di quegli autori che non dimentica mai che il teatro, prima ancora che spettacolo, è esperienza, e fa sì che il suo pubblico non si limiti a osservare le vicende messe in scena, ma le viva.

Timi fa di noi quello che vuole: ci diverte, ci fa ridere e ci ammutolisce. Ci mostra le nostre debolezze e ci rimprovera bonariamente, poi quasi ci fa piangere e in questo modo ci lascia spaesati. In poche parole: Timi ci seduce. Anche per questo, è un ottimo Don Giovanni.

Alessandro Diele
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