Intervista a Pierfrancesco Favino e agli attori del gruppo Denny Rose

Intervista a Pierfrancesco Favino e agli attori del gruppo Denny Rose

Sabato 18 gennaio al Teatro Duse in occasione dello spettacolo “Servo per due”, edizione italiana del pluripremiato One Man, Two Guvnors del commediografo inglese Richard Bean e liberissima rilettura del goldoniano “Il servitore di due padroni”, i registi Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli e tutti gli attori del gruppo Denny Rose hanno incontrato il pubblico al bar del Teatro prima della rappresentazione. Questi incontri sono fortemente voluti dalla direzione del Duse perché nel periodo storico nel quale stiamo vivendo e con la crisi e le difficoltà che incontra il teatro italiano, è giusto far qualcosa per riaccendere la passione e la curiosità in un pubblico ormai abituato a stimoli sempre più spettacolari ma desideroso anche di tornare a quella relazione con gli attori che è all’origine di questa forma di intrattenimento.

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Durante l’incontro sono state rivolte varie domande di carattere generale a tutti gli attori della compagnia e al termine MyWhere ha avuto il piacere di fare una breve intervista a Pierfrancesco Favino.

Favino_MyWhere_2In questo spettacolo c’è platealmente un richiamo a Fellini, un voluto parallelismo tra cinema e teatro. E c’è anche un continuo trasformarsi dello spettacolo in vari generi teatrali tra loro concatenati. Ci spiegate questa scelta?

Favino: Abbiamo scelto di fare questo spettacolo che è una rivisitazione del testo di Richard Bean ed è ambientato proprio a Londra negli anni ’60 perché il sogno di noi del gruppo Denny Rose era quello di rifare i classici del teatro ma in un’altra modalità. In questo caso abbiamo spostato l’ambientazione negli anni ’30. Oggi la commedia dell’arte si è declinata nella nostra comicità e i maggiori rappresentati possono essere Benigni, Albanese e Checco Zalone. Loro sono l’Arlecchino attuale. Noi volevamo fare uno spettacolo popolare nell’accezione più nobile e alta del termine. Siamo un gruppo che ha voluto sfidarsi, infatti il nostro lavoro è cominciato con vari seminari di canto, acrobatica e clownerie. Inoltre noi vediamo molta attualità sociale nel nostro spettacolo. Se ci pensate Goldoni è ancora  attuale, anche se non è certo un bene che il precariato di Arlecchino sia ancora così attuale!

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Da quanto tempo lavorate insieme?

Favino: Il nostro lavoro di preparazione è durato otto mesi. Prendiamo tutti la stessa paga, abbiamo tutti una carriera alle spalle e abbiamo fatto tutti un passo indietro almeno dal punto di vista del profitto economico. Noi siamo totalmente privati e l’idea di questo gruppo è nata dalle menti di Paolo Sassanelli e Luciano Scarpa. La nostra è una compagnia scalcagnata, infatti, il nome deriva dall’impresario scalcagnato di Woody Allen.

Secondo voi nelle rappresentazioni è giusto non fare sfoggio di cultura ma lasciare che le cose penetrino nella coscienza dello spettatore?

Favino: Sì ma non bisogna limitare la libertà dello spettatore con l’imposizione del mio punto di vista, della mia vanità intellettuale. Lo spettatore non deve andare via pensando che io sia più intelligente di lui. Noi puntiamo solo sull’idea di poter essere comunicativi al massimo delle nostre potenzialità.

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Il pubblico nota l’affiatamento tra voi.

Sassanelli e Favino: Non ci avete mai visto litigare! Vorremmo sottolineare il fatto che siamo una compagnia che fa lo spettacolo con il doppio cast. Creativamente questo ti può dare la possibilità di confrontarti con un collega sullo stesso personaggio, uno scardinare le sicurezze che nel tuo percorso professionale ti sei costruito. Il ruolo spesso lo consideri tuo, invece l’obbligo di condividerlo mette in primo piano lo spettacolo e non il virtuosismo individuale. Questo è uno stemperamento dell’ego attoriale. Capita raramente di vedere la felicità di un attore quando il collega fa bene. Gli attori solo a settembre hanno avuto il copione e il lavoro era cominciato a Marzo. Non volevamo far affezionare l’attore alla battuta. Noi abbiamo costruito questo gruppo a Roma tra “anziani”, siamo tra i 30 e i 60 anni, ognuno di noi potrebbe avere una paga migliore ma crediamo in questo progetto nonostante Roma sia il luogo distruttivo per eccellenza di ogni entusiasmo.

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Paolo Sassanelli, lei è il co-regista. Come nasce nella sua testa l’idea del gruppo Denny Rose?

Io sono sposato con un’attrice tedesca che è anche attrice di questo gruppo. Ad Amburgo guardavo sempre con ammirazione un teatro privato. Lì dentro ci sono bistrot, sale lettura, sale prove. Il mio sogno era avere una cosa simile in Italia. Noi vogliamo proporre la nostra idea di teatro e abbiamo creato questa compagnia. Non pensavo che questo spettacolo avrebbe avuto questo successo quindi la mia idea iniziale non era così barbina!

Un percorso destinato a incidere nel teatro italiano o almeno si spera.

Sassanelli: Sì lo speriamo. La cosa più bella per noi è il viaggio, la meta finale ancora non la vediamo. Noi siamo entusiasti comunque.

Avete ambientato tutto negli anni ’30 e tutti i personaggi sono contestualizzati mentre Arlecchino mantiene caratteristiche goldoniane. Qual è il motivo di questa scelta?

Favino: Se voi pensate a questa commedia, penserete sicuramente all’Arlecchino settecentesco in maschera. Quindi volutamente ho fatto delle citazioni nelle sue movenze e l’ho contestualizzato in quella che è la sua radice. Poi sono convinto che il pubblico voglia ancora riconoscere involontariamente da qualche parte il Goldoni originale.

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Che percorsi di studi avete fatto?

Favino: Tutti percorsi molto diversi ma sempre in accademie riconosciute. Io poi faccio doppiaggio ma perché faccio l’attore. Il contrario capita raramente.

Pierfrancesco quali difficoltà ci sono state nell’essere regista di te stesso?

Tante perché ho provato poco ma Paolo mi dava delle dritte. Io tendo a prefigurare troppo quello che faccio, invece questa cosa mi ha dato l’occasione di impuntarmi a fare una cosa con poca consapevolezza delle mie capacità se non nella risposta dello spettatore. Il personaggio è una funzione narrativa che sono gli altri a rispecchiare. Infatti siamo più impegnati a guardare l’altro in scena mentre gli comunichiamo qualcosa più che a controllare noi stessi.

Vi è mai capitato di confrontarvi con un personaggio che vi abbia spaventato?

Favino: Generalmente se c’è un problema del genere è o di scrittura o di regia o vuol dire che c’è poca affinità con la tua idea di quel personaggio. Nella mia esperienza magari prendevo solo il personaggio dalla porta sbagliata. Io spesso mi domando a quale animale assomiglia quel personaggio e poi lavoro su quello. L’abbiamo fatto tutti noi per questo spettacolo. Qual è la postura di questo animale? Qual è il ritmo del respiro? Che peso si porta dietro?

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In questo spettacolo Arlecchino ruba solo una volta e lo fa per una donna. Pierfrancesco qual è la più grande pazzia che hai fatto per amore?

Direi andare in giro in pigiama di notte con tanto di pioggia perché lei aveva millantato un incidente. Mi sono alzato, cappotto sopra il pigiama e dalla campagna l’ho raggiunta a Roma. In realtà lei aveva strisciato appena la macchina!

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I giovani non vanno molto a teatro. Come possiamo fare per far amare di più questa importantissima forma di cultura e intrattenimento?

Perché un giovane non deve venire a vedere il suo mondo rappresentato a teatro? Perchè deve interessarsi per forza a qualcosa che sembra non riguardarlo? Sta a noi capire cosa potrebbe interessare ai giovani oggi, il loro mondo è un bel mondo. Le trame di molti videogiochi sono prese dai classici ma nessuno glielo dice. Bisogna saper parlare il loro linguaggio altrimenti perché loro dovrebbero venire a ritualizzare una cosa che non li riguarda. La responsabilità è nostra, mica loro.

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Sara Di Paola

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