FIRENZE – Oggi vogliamo consigliarvi una lettura profonda e attuale. La Goccia che scava (Nicomp Laboratorio Editoriale) racconta la storia del figlio (personaggio d’invenzione) di un ‘garibaldino’ morto nello scontro tra italiani durante la battaglia di Guadalajara nel 1937.
Barcellona e Firenze fanno da scenario alla vicenda di Felice Centori, il protagonista de “La goccia che scava” di Francesco Luti.
Due città che però non sono soltanto scenari dell’azione ma in qualche modo contribuiscono alla narrazione perché sono entrambe luoghi di risposta alla sete di vita e libertà del protagonista, due città dove si gioca l’unica partita che conti: quella dell’esistenza condotta non in solitaria ma con ottimi compagni di squadra. Firenze e’ la citta’ che riverbera di cultura e splendore, una città amata fisicamente per i suoi fiumi e i ponti, che “sono le giarrettiere della citta’…….passandovi sopra avvertiva sempre un senso di raccordo, di unione delle parti”. Barcellona si rivela città dinamica: tra balconi fioriti, giovani artisti di strada e il Paseo de Gracia conquista Felice a tal punto che “vista cosi’, come poteva essere Barcellona la citta’ di una Spagna dittatoriale?”.
La storia inizia nel 1958 con l’incontro con Mario Girasoli, volontario come il padre Giacomo nelle Brigate Internazionali della guerra di Spagna: il professore è l’unico legame rimastogli con la memoria del padre, perso a 9 anni per amore della libertà, nella XII Brigata Internazionale che a Guadaljara combatté proprio contro gli italiani inviati da Mussolini. Emerge uno spaccato significativo di umanità fraterna e consapevole, quando il professor Girasoli narra dei fascisti delle truppe volontarie: “Catturati i prigionieri, li interrogavamo dopo averli nutriti, e non ci voleva molto a comprendere la confusione regnante in quelle teste. La convinzione che la retorica fascista col suo fumo gli aveva fatto respirare scompariva di fronte alla realtà della guerra, alla morte toccata con mano, alle ferite, alla fame e alla sete”. Qui troviamo una caratteristica decisiva del testo: ci sono avversari sul piano delle idee e dei valori, ma non ci sono nemici da abbattere nel romanzo, solo scelte di campo.
Tornato a Firenze, i ricordi del passato affollano la mente di Felice e si intrecciano alla narrazione. La trama dei ricordi è una caratteristica essenziale che perdura per tutto il romanzo: l’aspetto privato dell’esistenza si intreccia con i ricordi “di tutti”, Infatti i ricordi personali sono sempre collocati in un quadro più ampio storicamente e culturalmente.: la vita personale e familiare e la Firenze della cultura e dell’antifascismo, la storia contemporanea procedono insieme narrativamente . Troviamo così, solo per citare alcuni elementi, la madre che ospita in casa sfollati ed ebrei e il ricordo del cardinale Elia dalla Costa che sbarrò le finestre dell’arcivescovado mentre la città osannava Hitler, e a seguire la collaborazione di Felice, studente universitario, a “Il nuovo corriere”, dove scrivevano Calamandre e La Pira e le conversazioni con Bilenchi sui fatti del ’56 di Poznan e Budapest.
Col saluto di Bilenchi, “Ah, Felice ,ricordati di stare sempre dalla parte della verità, come fece tuo padre” inizia l’avventura spagnola, per l’incarico vinto per insegnare in un istituto di cultura italiana. Qui Felice conoscerà un numeroso gruppo di poeti ed editori, scoprendo, in epoca di dittatura, forme alternative di creazione del futuro da parte di questi intellettuali. Emerge in questo contesto un tema centrale che attraversa tutto il romanzo : la letteratura non è confinata a produzione privata o confronto letterario ma è ritenuta capace di restituire spessore ai valori democratici compromessi da un potere soffocante e dittatoriale.
La “poetica ” del protagonista e dei suoi amici è molto chiara: lo scrittore deve impegnarsi nel rapporto con la realtà. Rifuggendo dall’isolamento “la letteratura deve aiutare gli uomini a capire la vita, a trasmettere verità morale, a scavare nella sofferenza umana”. Si respira così in queste pagine la responsabilità della letteratura e una complessiva urgenza di rinascita culturale e civile.
Nell’estate del ’63 , Felice si reca alla piana di Guadalajara dove nel 1937 era morto il padre. E’ ’ interessante in questo senso l’arrivo al cimitero di Fuencarral. Questo luogo diventa il simbolo di come, in terra di dittatura, la memoria storica debba necessariamente essere distrutta: sulle lapidi di Fuencarral Felice non troverà nessuna traccia di nomi italiani. Un inserviente disponibile gli svelerà l’arcano: per volere di Franco prima era sparita la lapide dedicata alle Brigate Internazionali , dopo due anni si ordinò di gettare i resti inumati in una fosse comune, dopo altro tempo vennero mandate le guardie civili con le ruspe a scavare il terreno: senza nessun rispetto per i nemici di una guerra già vinta e finita, i corpi vennero ammassati, cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Le ceneri disperse in un boschetto. Uno stratagemma tipico delle ideologie dittatoriali: senza memoria storica si occulta la realta’ , si cancellano le tracce del passato e il presente viene raccontato attraverso la manipolazione del linguaggio.
Si arriva così alla terza fase del romanzo col matrimonio tra felice e Ana e il viaggio di nozze a Firenze. Gli avvenimenti della notte tra il 3 e il 4 novembre 1966 concludono gli eventi con la solidarietà operativa dei fiorentini e una nuova tragedia che si assomma al disastro collettivo, quando Remo, l’amico fedele di una vita, viene trascinato via dall’ondata della piena nel tentativo di salvare un anziano. Il piccolo Giacomino, figlio di Remo, sta purtroppo a 3 anni replicando la stessa sorte del protagonista, rimanendo orfano in tenera età.I nuovi eventi ripresentano nella loro totale drammaticità un tema già evidenziato nel corso del romanzo, quello dell’Amore. Quell’amor che move il sole e le stelle “chissà perché lo paragonò alla goccia che scava”.
Questo è un Amore che non è un sentimento gridato o esibito, calato sul filo della passione, è un amore radicato, legato all’anima, alle persone e ai luoghi che contano, a determinati valori, un amore riservato ma costante. E’ un bene che si collega al cuore e alla ragione, alla capacità di comprendere il senso delle cose, di riflettere sul proprio personale destino umano.
Lo stile di Luti è peculiare, il linguaggio è volutamente ricercato, con la presenza di vocaboli non usuali e di ambito letterario. Un equilibrio misurato e razionale determina in ogni caso la scelta delle parole, con l’originalità di uno stile nuovo per la frammistione di vocaboli spagnoli e brevi frasi riportate direttamente in lingua originale, in una mescolanza linguistica nuova che cattura l’attenzione. L’uso della sinestesia a livello prosaico sottolinea uno stile personale intrigante ma ricco contemporaneamente di profondità, che induce alla riflessione mentre aggiunge vivacità alle azioni narrate. Le pagine sono avvincenti, non si registrano cadute di stile o di ritmo, nonostante i piani della narrazione siano multipli risultano ben articolati nel plot narrativo.
Attraverso i tre grandi temi di questo romanzo di Francesco Luti, l’attaccamento alla memoria storica, l’amore come collante umano che permette la capacità di scelta e orientamento nel cammino da intraprendere, la letteratura come passione, l’autore ci presenta l’impegno dello scrittore come dovere e necessità verso la nostra società di oggi, nella certezza che la letteratura non ha effetti immediati ma, nel tempo, ciò che semina raccoglie. Come pensa Felice: “la cultura non ha senso se non aiuta a capire gli altri e a evitare il male”.
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Deve trattarsi di un libro intenso, multiforme, un’immersione a piene mani non soltanto nella storia e nelle sue vicissitudini, ma anche e soprattutto in quelle dinamiche umane, bellissime o terribili, che le tragedie e i dolori innescano.
Sì, Antonia, hai colto l’essenza del testo.