La SEDIA: oggetto e soggetto delle grandi opere d’arte

La SEDIA: oggetto e soggetto delle grandi opere d’arte

Non aveva torto Albert Einstein, il genio che per tutta la sua esistenza ha desiderato – e in parte avuto – una vita vissuta nell’intensità e semplicità; non aveva torto se è sua la frase attribuitagli: “Un tavolo, una sedia, un cesto di frutta e un violino; di cos’altro necessita un uomo per essere felice?”. La sedia è dunque un posto cercato e adatto a chi desideri riposarsi, stare comodo per leggere, lavorare, pensare, per sedersi al desco del re tanto quanto attorno alla tavola in famiglia…

Ma chi inventò la sedia? E quando? Sono incerti la sua origine e il suo autore; prima che si ideasse la panca – la rudimentale madre di tutte le sedie – l’uomo si accomodava per terra, su massi, tronchi e gradini; nell’Egitto antico la sedia era una sorta di trono; il Rinascimento produrrà manufatti provvisti di gambe e spalliera: in Toscana si chiamavano Panche a dossale, in Francia Banc;  solo i sacerdoti, i principi e gli aristocratici ne avevano a disposizione una tutta per loro, dato che solitamente i primi esemplari prevedevano una seduta collettiva: come una panchina, insomma…I prototipi furono la Sella di Plicatilis longobarda e romana, simile a uno sgabello pieghevole, e il faldistorio, del 1100. Da una fruizione condivisa la sedia passa, dunque, ad un uso più egoistico legato al concetto di potere. La comodità, insomma, non era per tutti…

Nel tempo, le cose cambiano e la sedia diventa oggetto comune e d’interesse per designer, architetti,  fotografi e artisti; nel Teatro, nella Danza (Café Muller di Pina Baush,  1978; Rosasdanstrosas di Anne Teresa De Keersmaeker, 1983) e nel Cinema: da L’angelo azzurro, 1930, di Josef von Sternberg, con la famosa scena di Marlene Dietrich, a Helmut Berger che la imita  nel 1970 ne La Caduta degli dei di Luchino Visconti; dal film con Liza Minelli diretto e prodotto nel 1972 da Bob Fosse, Cabaret, riadattamento su pellicola dell’omonimo musical di Broadway del 1966 a Flashdance,1983, di Adrian Lynecon la sequenza ‎in cui Jennifer Beals (o meglio: una delle sue quattro controfigure tra cui anche un maschietto, il ballerino Richard Colòn, in arte Crazy Legs) danza sulle note di He’s a dream mimando una scena sensuale su una sedia che verrà inondata d’acqua…

Insomma, la sedia si arricchisce di ammiccamenti e significati anche per la sua forma allusiva del corpo umano – come ben sa Fabio Novembre che ha assecondato tale morfologia nelle sue Him&Herchairs– da cui mutua anche i nomi delle sue componenti: braccia / braccioli, schiena / schienale, e poi gambe e piedi… Anche per questo, la sedia si carica di simbologie che non sfuggirono alle arti visive. Da soggetto raffigurato passerà addirittura a esseremateria e oggetto delle opere di grandi autori.

Allusiva di vita e di morte, solitudine e tempo che passa (Angelo MorbelliS’avanza, 1894, Verona, Galleria d’arte moderna, Palazzo Forti; La sedia vuota, 1903, Milano, collezione privata),di quotidianità delle piccole cose (Paul Gauguin in Sala in casa dell’artista, 1881), o della personalità di chi la occupa, come dipingerà l’olandese Vincent Van Gogh, che realizza due sedie-ritratto di semplice legno con seduta in paglia: una è dedicata all’amico Gauguin (La sedia di Gauguin, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam), più elegante, con braccioli, mentre la sua (La sedia di Vincent, autunno 1888, oggi nella National Gallery di Londra) è più semplice, senza poggiamani

Dieci dopo, l’ebreo russo naturalizzato francese, Marc Chagall rappresenta un colorato Salottino (collezione privata) dove guizzanti sedie immerse in un’atmosfera spirituale e fiabesca sembrano mute osservatrici di un mondo che si avviava verso la catastrofe e ben due tragedie belliche. Le raffinate sedie Thonet torneranno in altre sue pitture più introspettive, del 1917 e 1918 (Finestra con vista sul giardino e Interno con fiori)

Amedeo Modigliani, da Livorno alla cosmopolita capitale francese, dove si lega a sodali in una cosiddetta Scuola di Parigi, realizza una serie di ritratti dell’amata Jeanne Hébuterneche è accomodata – sempre dignitosamente – su semplici sedie (qui Jeanne Hébuternecon maglione giallo, 1918, Solomon R. Guggenheim Museum). Entrambe – sedie e Jeanne – diventano espediente per giungere alla sintesi, a forme archetipiche, e tutto è tanto misurato che non fa presagire la drammatica fine della storia (Modì morirà a soli 36 anni, giovane come altri portatori di genio e sregolatezza, e la donna, incinta di un secondo figlio in arrivo, si suiciderà per il dolore).

Se Modigliani cercava l’equilibrio arcaico, Filippo de Pisis tratteggia sedie e altri soggetti con un segno frantumato, serpeggiante e con una pittura che Eugenio Montale definì “a zampa di mosca”: nella china acquerellata Ragazzo seduto si intuisce una sedia confortevolissima, dato che il giovanotto ci sta sprofondato e decisamente a suo agio; più elegante è la composizione che rientra negli Still Life che resero celebre l’artista di Ferrara: un Interno con vaso di fiori poggiato quasi a caso su sedia che nel 1945 funge da tavolino.

Cerca, invece una rivoluzione Pablo Picasso che inserì la sua sedia in una sua famosissima Natura morta con sedia impagliata (1912) cubista, che primeggiò nella storia per avere accolto nel quadro il collage. L’elemento extrapittorico era un frammento di impagliatura di sedia. Lo spagnolo rese, così, palese il motto futurista dell’Arte portata nella vita reale, delle persone, e viceversa.

Il Futurismo, che apprezzava il dinamismo e immaginiamo non amasse oziare su comode sedute, con Umberto Boccioni immortalò una Persona seduta (1915) in forma di Sintesi plastica. Ipotizzò poi arredi originali e vigorosi nel 1916,grazie al napoletano Francesco Cangiullo che diede il primo manifesto (pubblicato su “Roma futurista” nel 1920) dedicato a mobili a sorpresa, parlanti e paroliberi, con una sedia Zang!tricolore (perduta) descritta perfettamente; Cangiullo giudicava i mobili del suo tempo “tristi, funebri, glaciali, cafoneschi e sempre chiusi in un mutismo di sarcofago” e propose arredi “parlanti, allegri e che non romperanno le scatole…, oltre ad essere pratici, comodi, utili, eleganti, iridescenti, economici e soprattutto igienici”. Fortunato Deperova ben oltre l’auspicata “allegria” e realizza un tripudio di gioia, coloratissima, con una Festa della Sedia (asimmetrica), tarsia in panno del 1926-27, dopo aver progetto nel 1922 mobili e sedie per il famoso Cabaret del Diavolo da poco aperto nell’Hotel Elite a Roma.

Felice Casorati arresta questo carosello di colori, forme, opere e sedie per una figurazione che guarda alla classicità italiana e congela spazio e tempo in un’atmosfera irreale, silente e attonita della realtà: anche seggiole, poltrone e divani si adegueranno a questa intellettualissima realtà accogliendo nudi, bambine e personaggi (Nudo di donna seduta, 1928, collez. privata; Susanna, 1929, conservata alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale; Fanciulla Seduta, 1933, collez. privata; Fanciulla seduta, Santina, 1939, esposta alla 3a Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma) immersi in un Realismo magico tutto italiano.

La seduta si trasforma in protagonista anche per l’allieva di Casorati, Jessie Boswell, inglese innamorata dell’Italia e qui trasferitasi dal 1906 e per sempre e unica donna facente parte del Gruppo dei Sei pittori di Torino, con il suo stile personale – che Edoardo Persico giudica semplice, lirico e “infantile”, sottovalutando il legame della sua visione con l’immagine fotografica –, realizza un quadro strepitoso: un realismo privo di aneddotismo è in Le tre finestre-La pianura della torre, 1924 (è alla Gam di Torino) dove queste sedute sembrano il perfetto emblema della malinconia del quotidiano.Quotidiano che è perfettamente reso nella scultura in bronzo di Giacomo Manzù, Bambina sulla sedia(1955, Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale) ed è, invece, sovvertito dall’ironico Bruno Munari, che in qualche rara occasione si svela poco socievole se ha pensato a una Sedia per visite brevi (1945): è inevitabile che lo siano, dato che la seduta è pericolosamente inclinata e suggerisce peripezie per riuscire a starvi accomodati senza cadere. Eppure, in caso di necessità, la sedia diventa non solo comoda, ma pratica e risolutiva: unita ad altre, in fila a creare una passerella di fortuna, salva dall’inondazione della Senna del 1924 nella foto di Henri Manuel scattata all’Ippodromo de Maisons-Laffitte…

In pieni anni Trenta, dall’altra parte dell’emisfero, si distingue un nuovo realismo: di Edward Hopper.  Egli scruta in bar – Automat ( 1927 ) –, in interni – Room in Brooklyn (1932) – e in contesti al sole – People in the Sun (1963) – restituendo panoramiche della solitudine americana in cui sedie e poltrone accolgono umanità desolata, a sottolineare l’inadeguatezza e l’indifferenza delle classi sociali del benessere per pochi e, per la verità, già attaccato da profondo malessere.

La sedia in quanto tale rivela che “l’Arte è un’idea, è un’idea…” ed è un linguaggio tra i linguaggi con propria sintassi: è Joseph Kosuth nel 1969 ad ostentarlo e scriverlo; anche grazie a basiche seggiole l’arte evolve: si fa concetto. Spesso incompreso, come accadde per Seconda soluzione d’Immortalità, (L’Universo è Immobile) di Gino De Dominicis che fece accomodare su una sedia il giovane Paolo Rosa, con sindrome di Down, mentre fissava un cubo invisibile. Era la Biennale di Venezia 1972, i visitatori non capirono che era l’Arte a guardare loro, il pubblico, per una volta, e che non si intendeva schernire il diverso ma si celebrava l’immobilità del corpo. Pensando alla spartana sedia in cui si accascia Anna Longhi negli stanchi e perplessi panni della verace Augusta in visita forzata alla Biennale con Alberto Sordi nella pellicola Dove vai in vacanza, 1978, nell’episodio Le vacanze intelligenti, e al suo essere scambiata per un capolavoro, è fatale pensare a queste opere. E non si può non riflettere di come l’arte contemporanea fosse (è?) percepita come qualcosa di sconosciuto e separata dalla realtà delle cosiddette persone normali… Una sedia può forse aiutare ad entrarci in sintonia…?

Altra scelta fa la Pop Art che riassume la collettività americana anche attraverso mobilio  della nostra disanima: spudorato, quasi insultante se si dimentica l’ironia di cui Allen Jones lo carica, sessualizzandole – tra sadomasochismi e bondage: Woman As An Armchair, 1969 – o impietosamente realistico, seppure in photocollage, dell’anglosassone trasferito in California David Hockney (Chair, 1985). Quel che è appare, e viceversa, con oggetti, merci, arredi come muti, talvolta catatonici attori di un reportage della nuova Società dello Spettacolo…In anni recenti, Gioacchino Pontrelli, con la sua pittura colata, riporta un po’ di calda umanità in quelle case, con sedie di design che ci fanno sperare passione e volontà selettiva dietro un gusto estetico e raffinatezze culturali di chi abita quelle realtà, e ci si siede su…

Tante le sedie a-funzionali, impraticabili, spesso di sfuggente significato: dalle alte sedute di Cloti Ricciardi,che quasi esibiscono la manchevolezza non tanto dell’essere umano ma del proprio tempo, alle altrettanto stranianti sedie dalle gambe lunghe di Giuseppe Gallo (Tableau Drapeau, intallazione, 2007) a quelle sottratte alla vista perché impacchettate di Christo (tra le tante, Wrappedchairs Museo WürthRioja, 1961); dalla sedia con grasso (StuhlmitFett, 1963) dell’artista-sciamano Joseph Beuys, alle sedie dipinte spressionisticamente da Lucian Freud, da cui trapela l’inquietudine profonda di chi vi siede sopra;dalle più recenti accumulazioni-trappole di Doris Salcedo, alle fantasmagoriche installazioni di Marc Andre Robinson…Poi ecco altre sedie: di Juan Munoz, Marisa Albanese, Luana Perilli; meno gravi, come quelle enormi, fuori scala, funamboliche apparizioni, quasi da Alice nel paese delle meraviglie di Giancarlo Neri; e quelle fiammeggianti di Giovanni Albanese, in cui le linee che le costruiscono sono riconsegnate essenziali e letteralmente si accendono:d’immenso, come nella poesia Mattina, di Giuseppe Ungaretti, metafora della sensazione della vastità del cosmo e ossimoro inconciliabile tra umano e l’infinito. Tutto in una semplice sedia… Vuota, e per ciò potentemente evocativa ed eversiva, come in Anything to say (Niente da dire), 2015, gruppo scultoreo di Davide Dormino che, con il giornalista Charles Glass, ha dato corpo e anima a questo progetto https://www.youtube.com/watch?v=AbM9xjuJGRY  il cui elemento centrale è rappresentato da quattro sedie su tre delle quali sono posti bronzi a figura intera che rappresentino Julian Assange, Chelsea Manning e Edward Snowden; la quarta sedia lasciata libera accoglierà chiunque voglia partecipare all’opera e, così, dare un segno di solidarietà con tali coraggiose personalità, per non lasciarli simbolicamente sole denunciando la corruttibilità e fallibilità dei sistemi di potere.

Barbara Martusciello

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