L’immaginazione al potere! La rivoluzione di Duchamp, Magritte, Dalí

L’immaginazione al potere! La rivoluzione di Duchamp, Magritte, Dalí

BOLOGNA – Duchamp, Magritte, Dalí. I rivoluzionari del ‘900. Capolavori dall’Israel Museum di Gerusalemme è il titolo dell’esposizione, da poco inaugurata in anteprima internazionale a Bologna, che resterà aperta al pubblico a Palazzo Albergati fino all’11 febbraio 2018. In mostra 180 opere dei più grandi esponenti dei movimenti d’Avanguardia che nel XX secolo trasformarono radicalmente i linguaggi artistici: il Dadaismo e il Surrealismo.

«L’immaginazione al potere!», recitava un famoso slogan surrealista, ed è proprio l’immaginazione ad essere la protagonista assoluta del percorso che, attraverso tele, assemblaggi, sculture, ready made, collage e fotomontaggi, accompagna il visitatore nei numerosi e variegati universi degli artisti che sovvertirono il senso comune. «Dada è un microbo vergine, che si insinua con l’insistenza dell’aria in tutti gli spazi che la ragione non è riuscita a colmare di parole e di convenzioni» scriveva Tzara, dada è un cavalluccio a dondolo, dada è il linguaggio infantile, dada è un ritorno alle origini.

I pezzi qui esposti, provenienti dall’Israel Museum di Gerusalemme, sono il frutto della raccolta di importanti donazioni, come quella molto cospicua ricevuta nel 1972 dal milanese Arturo Schwarz. Nel ben congegnato allestimento bolognese, sono i colori delle pareti a introdurre il visitatore nelle cinque macroaree così denominate: Accostamenti sorprendenti Il desiderio, la musa, la violenzaAutomatismi e subconscioBiomorfismo e metamorfosiIl paesaggio onirico.

Magritte, Duchamp, Dalì a Palazzo Albergati

La celebre ruota di bicicletta e lo scola bottiglie di Marcel Duchamp inaugurano la prima sezione avvolta da pannelli giallo senape. Il paesaggio costruito con un metro, dei fiammiferi e dei tocchi di pennello da Francis Picabia ne “I centimetri “ si sposa perfettamente a due accostamenti sorprendenti realizzati da Man Ray: quello di un tavolino con una tavolozza d’artista e l’assemblaggio di una bolla di vetro con una pipa cinese chiamato “Ce que nous manque à tous”, apparente curioso precursore della tela magrittiana “La trahison des images” che recita “Ceci n’est pas une pipe”. Francobolli, nomi di alberghi europei, granelli di sabbia e conchiglie ricostruiscono, con l’“Apollinaris” dell’americano Joseph Cornel, un possibile itinerario di Grand Tour europeo di fine ‘800, e le porte enigmatiche di “Rêve-objet”, dietro le quali André Breton inserisce degli indecifrabili oggetti, spingono l’osservatore al gioco del cache-cache con l’opera d’arte. Nella sezione Il desiderio, la musa, la violenza è il colore rosso a farsi carico della messa in scena della libido come atto rivoluzionario contro la censura dei regimi totalitari europei. Uno degli indiscussi capisaldi di quest’area è il corpo della donna: idealizzato, devastato, sezionato o violato. Man Ray con “Vierge non apprivoisée” incatena una donna-manichino in una scatola; Marcel Duchamp aggiunge alla celebre “Gioconda” un paio di baffi irriverenti nel ready made “L.H.O.O.Q.” (ovvero, “Elle a chaud au cul”); Hans Bellmer assembla legno, metallo e gesso nell’inquietante “Mezza bambola”, portavoce della forte critica nei confronti del concetto di “normalità” sessuale sposato dal nazismo; Philippe Halsman con dei corpi nudi di donne crea delle composizioni come il “Teschio di Dalì”. L’automatismo e il subconscio, nell’iter della mostra associati al colore blu dei supporti espositivi, erano, per i surrealisti, i mezzi per la riconquista della libertà dell’immaginazione, raggiungibile solo durante l’infanzia, nell’esperienza onirica e nella follia. Influenzati dagli studi freudiani, scrittori e artisti surrealisti misero in campo delle tecniche “automatiche” per accedere al subconscio ricco di sorprese. Spiccano qui i lavori semi automatici di Joan Miró, come “Femme et oiseaux”.

Particolarmente affollata la fetta di lavori riconducibili al Biomorfismo e alla metamorfosi raccolta nella parte colorata di verde di Duchamp, Magritte, Dalí. I rivoluzionari del ‘900. Capolavori dall’Israel Museum di Gerusalemme. Nei dipinti di Yves Tanguy emergono silenziosi mondi paralleli popolati da figure nate dalla fusione di elementi vegetali, minerali, umani e animali; nelle sculture di Jean Arp, forme morbide nascondono misteri; nel dipinto “Goethe e la metamorfosi delle piante” André Masson racconta con olio su tela il profondo e invisibile legame che unisce uno scrittore alla sua opera; nella “Foresta” di Max Ernst, a palesarsi davanti all’uomo uno spazio fitto e impenetrabile, quanto mistico e attraente, una “foresta di simboli” che l’osservatore non troverà affatto familiare. “Le pietre sono viscere […], sono tronchi d’aria […], rami d’acqua […], nuvole […], hanno orecchie […]” scrive Jean Arp nella sinestetica poesia in mostra “Là dove risiede l’aria”. Un grigio opaco annuncia Il paesaggio onirico, ultima tappa del percorso affrontato, dove il potere dell’immaginazione diventa sovrano attraverso la mescolanza fantasiosa di oggetti nella realtà non legati gli uni agli altri. E così che gli scheletri umani raffigurati da Paul Delvaux in “Aspettando la liberazione” occupano come fossero vivi una biblioteca, o un ufficio, che con l’ordine dei suoi oggetti si scontra violentemente al caos della guerra imperante fuori dalla finestra. “Il lato superiore del cielo” di Kay Sage, “Il sognatore poetico” del metafisico Giorgio De Chirico e “Il saggio surrealista” di Salvador Dalì   arricchiscono il concludersi della mostra che saluta i suoi visitatori con un coup de théâtre, “Le château des Pyrénées” di René Magritte. Nel dipinto il mare, uno dei leitmotiv delle tele dell’artista belga, si unisce al cielo carico di nuvole, per assistere al miracoloso evento che vede una gigantesca roccia sospesa nell’etere, con sulla sua sommità un castello di pietra, forse emblema dell’irraggiungibilità di un desiderio.

A completare la mostra alcune installazioni, tra queste la riproduzione dell’opera simbolo del Surrealismo, “Viso di Mae West come appartamento” di Dalí, che, conservata nel Museo Dalí di Figuere, viene riproposta eccezionalmente a Bologna dall’architetto Oscar Tusquets Blanca.

La mostra Duchamp, Magritte, Dalí. I rivoluzionari del ‘900. Capolavori dall’Israel Museum di Gerusalemme è curata da Adina Kamien-Kazhdan e prodotta e organizzata da Gruppo Arthemisia, in collaborazione con The Israel Museum, Jerusalem.

Per maggiori info, è possibile consultare il sito della mostra.

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Elisabetta Severino

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