L’orrore della vita quotidiana

L’orrore della vita quotidiana

BOLOGNA – Prendendo spunto da due perle della storia del cinema – Taxi Driver di Scorsese e Hanno rubato un tram di Fabrizi, ecco un paio di testimonianze personali su come se la passa il sistema dei trasporti e dei servizi in Italia. E’ un argomento delicato e solo un genere cinematografico potrebbe raccontarlo nella maniera più calzante possibile. Quale? L’Horror naturalmente.

Di recente ho avuto occasione di vedere un vecchio film italiano, girato a Bologna (la città dove risiedo), interpretato e diretto da Aldo Fabrizi: “Hanno rubato un tram” (1954).

Contemporaneamente ho rivisto in tv un altro vecchio film di  Martin Scorsese, conosciutissimo in tutto il mondo per la magistrale interpretazione di Robert De Niro: “Taxi driver” (1976).

Voi direte: che strano accoppiamento… Certo, la presenza sia del tram sia del taxi mi ha fatto riflettere sull’utilizzo dei mezzi pubblici nel nostro Paese e…

I lettori potrebbero pensare che i film dell’orrore o trukuli esistano solo al cinema o siano comunque uno specifico legato all’arte del cinematografo. Purtroppo non è così.

Per capire com’è complessa la vita quotidiana oggi e anche per certi aspetti veramente orrenda, vi farò due esempi sul sistema dei trasporti e dei servizi pubblici in due regioni profondamente diverse: l’Umbria e l’Emilia-Romagna.

UMBRIA

Il 6 settembre di quest’anno sono partito da Bologna per raggiungere Città di Castello, nobile città umbra che ha dato i natali a due persone conosciute nel mondo per motivi assolutamente diversi: Alberto Burri, artista di fama internazionale, e Monica Bellucci.

Ho deciso, per mia disgrazia, di andare in treno, dovevo assolutamente arrivare per sera per vedere uno spettacolo di danza. Il viaggio comprendeva il tratto Bologna-Firenze su un rapido Eurostar, il viaggio Firenze-Terontola su in interregionale, il viaggio Terontola-Perugia su un altro interregionale e il viaggio Perugia-Città di Castello su un treno che era come la vecchia littorina degli anni Sessanta.

A parte la lunghezza del viaggio, quando sono arrivato a Città di Castello, la cui stazione non contiene biglietterie aperte o ufficio informazioni, sono uscito nel piazzale cercando un taxi, cosa che di solito faccio in tutte le città italiane. Non solo i taxi non erano presenti ma non vi era nemmeno un cartello ove fosse indicato il numero al quale rivolgersi. Allora mi sono incamminato nella prima strada che ho trovato, sono arrivato a un bar e ho chiesto cosa dovevo fare per trovare un taxi. Mi hanno indicato una piazza dove, secondo loro, potevano esserci dei taxi. Piazza che si raggiungeva in 5-10 minuti. Dopo mezz’ora di cammino sotto un sole bestiale, finalmente sono arrivato alla piazza dove non c’era il taxi, però c’era un cartello col numero a cui rivolgersi, cosa che ho fatto subito ma il numero non era disponibile. Allora ho chiesto all’edicolante, dato che dovevo recarmi in albergo, situato alla periferia della città e non in centro. L’edicolante mi ha detto “Vada nell’altra piazza perché il taxista di questa piazza qui oggi non c’è”. Mi sono quindi diretto nell’altra piazza, dove ho trovato un altro numero a cui rivolgermi. Ho telefonato e mi ha risposto una signora, che ha detto che non era disponibile perché era fuori città e che prima di due ore non sarebbe rientrata. Ho cominciato quindi ad imprecare contro un’Italia che, in una delle città dove esiste uno dei musei più importanti, non garantisce nemmeno un servizio taxi decente. Un signore che ha ascoltato le mie lamentele si è avvicinato e, in modo molto gentile, mi ha detto: capisco il suo disappunto, la porto io dove deve andare. E mi ha condotto all’hotel, dandomi peraltro un nominativo di un ncc (noleggio con conducente) che il mattino dopo mi ha portato dall’hotel alla stazione. Alla stazione di Città di Castello è iniziato il viaggio di ritorno. Chiaramente la prima fermata era Perugia Ponte San Giovanni. Sono sceso dal treno e mi sono diretto verso la toilette della stazione. Ho trovato un cartello in cui si informavano gli utenti che era impossibile utilizzare la toilette, sia per gli uomini, sia per le donne, sia per gli handicappati. Ho quindi cercato all’interno della stazione un’altra toilette, che chiaramente non esisteva, nemmeno nel bar di cui la stazione non è assolutamente provvista. Fuori viali a destra e sinistra dove non c’erano segnali di vita rispetto alle mie esigenze. Ho chiesto allora ad un ferroviere di poter salire su un vecchio trenino fermo lì in stazione e di poter utilizzare la toilette del treno. Il ferroviere chiaramente mi ha negato l’accesso, impedendomi di salire. Ho dovuto quindi aspettare altro tempo perché arrivasse il mio treno, che mi doveva portare a Firenze. Non vi sto a sottolineare, per pudore e buon gusto, le mie condizioni psicologiche in quelle ore.

Piccola nota di folclore: la stazione di Ponte San Giovanni è tutta nuova ma hanno fatto un sottopassaggio che arriva solo al binario 4 e 5 ma non al binario 2 e 3. Per arrivare ai binari 2 e 3 bisogna attraversare i binari con la “sovrintendenza” di un ferroviere. Faccio notare che questo comportamento è vietato in tutta Italia.

EMILIA ROMAGNA: CITTA’ DI BOLOGNA

Da anni ho l’abbonamento dell’autobus e quindi è un mezzo che frequento molte volte quotidianamente. La Tper, che è un’azienda non solo bolognese ma a utenza regionale, collegata alle Ferrovie dello Stato, si fregia di essere una delle aziende migliori che esistono in Italia nel trasporto pubblico.

Ora sottopongo alla vostra attenzione alcuni fatti che accadono regolarmente a Bologna sulle linee della Tper:

È vietato, giustamente, usare il cellulare vicino alla cabina dell’autista ma gli autisti regolarmente guidano parlando al telefono con l’auricolare. Questo comporta che molte volte non sentano lo squillo del campanello che prenota la fermata e quindi si comportino di conseguenza, non fermandosi;

Quando l’autista si trova in situazioni di grande disagio e deve giustamente reagire in modo pronto, tenendo conto anche della salvaguardia dei passeggeri (frenate brusche, pedoni che attraversano la strada senza guardare, ciclisti impavidi) umanamente ha la tendenza a sfogare questo suo stato d’animo che si traduce in una sonora, comprensibile e fragorosa bestemmia (uno è libero quanto vuole, a casa sua, ma non credo mentre svolge un servizio pubblico).

Molti autisti non conoscono il tragitto a cui sono stati assegnati e alcune volte commettono errori veramente macroscopici svoltando a destra o a sinistra ma sbagliando percorso.

Non parliamo poi della guida, purtroppo molto frequente, a “stop and go” che mette in pericolo la stabilità dell’utente sull’autobus, utente che, se non si aggrappa con due mani, rotola all’interno dell’autobus con le conseguenze che tutti voi potete immaginare.

Tutte le fermate degli autobus a Bologna sono piene di cartelli informativi sugli orari delle linee. Gli orari vengono rispettati solo parzialmente, in determinati periodi della giornata e solo su alcune linee. Se l’azienda togliesse tutti i cartelli informativi sarebbe più corretta nei confronti degli utenti, che così non si creano inutili aspettative. Alla domenica poi non ne parliamo perché si può aspettare un autobus anche 30 minuti quando ne dovrebbero passare almeno 2 o 3 in quel lasso di tempo.

Tralasciamo poi quando gli autobus passano nel giro di 5 minuti, in due o tre alla volta… ma della stessa linea.

Vi ho fatto questi due esempi, cari lettori, per invitare videomaker e registi ambiziosi a creare e a realizzare soggetti cinematografici che abbiano rispondenza con la realtà, in questo caso sul sistema dei trasporti e dei servizi in Italia, ma ad avere anche la consapevolezza che qualsiasi film potranno girare sarà sicuramente un vero film dell’orrore, come si evince dalla mia testimonianza.

Federico Grilli

3 Responses to "L’orrore della vita quotidiana"

  1. Lamberto Cantoni
    Lamberto   16 Ottobre 2019 at 08:38

    Spero che i diretti interessati (pseudo manager e/o burocrati Tper & Ferrovie) ti leggano. Non credo che cambi molto, ma almeno potrebbero sperimentare una delle emozioni fondamentali per la civilizzazione cioè la vergogna.

    Rispondi
  2. Livio   16 Ottobre 2019 at 17:13

    Per quanto riguarda questa tragica mobilità condivido pienamente il tuo pensiero! sono perennemente pendolare (abito in un paese a 100km da Roma dove vado tutti i giorni per lavoro) e per lavoro spesso anch’io sono in spostamento per varie località ma i trasporti da, e per, il mio paese sono pressoché inesistenti quindi o macchina e passaggi di colleghi o niente! E non ti dico quando mi deve venire a trovare qualcuno !

    Rispondi
  3. Antonio Bramclet
    Antonio   20 Ottobre 2019 at 18:25

    Caro Federico su quello che scrivi non ho nulla da eccepire. Ma tieni conto che comunque la vediamo l’Emilia Romagna è uno dei territori meglio serviti dai servizi pubblici. Devo aggiungere che però negli ultimi anni la crisi economica ha colpito anche questa regione. In effetti la qualità dei trasporti secondo me è peggiorata. E poi c’è un’altro Problema: i trasporti pubblici tipo treni regionali e autobus di periferia sono presi d’assalto da extracomunitari che oltre a non pagare il biglietto hanno comportamenti d’uso un po’ diversi dai nostri. Per esempio in autobus sono spessissimo al cellulare e parlano con un tono di voce direttamente proporzionale alla distanza che li separa dai loro Paesi…Irritanti. E poi sono spesso in gruppo e parlano cioè gridano, come fossero nei loro accampamenti. Lo so che da persona civile dovrei evitare questo tipo di commenti, ma in certe fasce orarie e su certi tragitti è innegabile che io mi senta a disagio. Ecco perché inconsapevolmente uso il mezzo pubblico il meno possibile. Quanto contano queste percezioni negative sul giudizio dei trasporti? Possiamo denegarle all’infinito? È legittimo deprimersi nel considerare che stiamo pagando di tasca nostra per far spostare da un posto all’altro persone che, sbagliando, lo so benissimo, vivo come fossero dei rompicoglioni? È chiaro che sono io ad essere nel torto. Non si può cerco chiedere alle tribù di sfortunati visitors di non essere quello che sono cioè dei disadattati al nostro stile di vita. Forse prendersela con i mezzi pubblici è allora una forma di compensazione psicologica al malessere che provo nel non essere all’altezza del sacro principio “ama il prossimo tuo come te stesso”, e al tempo stesso di sentirmi in balia di emozioni basse strettamente personali delle quali mi vergogno.

    Rispondi

Leave a Reply

Your email address will not be published.