Michele Placido, Sergio Rubini e Marco Bellocchio al Duse

Michele Placido, Sergio Rubini e Marco Bellocchio al Duse

Al Teatro Duse di Bologna, sabato 9 Novembre in occasione dello spettacolo Zio Vanja di Cechov con la regia di Marco Bellocchio, Sergio Rubini, Michele Placido e la compagnia hanno incontrato il pubblico al bar del Teatro prima della rappresentazione.

Questi incontri sono fortemente voluti dalla direzione del Duse perché. nel periodo storico nel quale stiamo vivendo e con la crisi e le difficoltà che incontra il teatro italiano, è giusto far qualcosa per riaccendere la passione e la curiosità in un pubblico ormai abituato a stimoli sempre più spettacolari ma desideroso anche di tornare a quella relazione con gli attori che è all’origine di questa forma di intrattenimento.

Durante l’incontro sono state rivolte varie domande di carattere generale a tutti gli attori della compagnia e al termine MyWhere ha avuto il piacere di fare una breve interviste a Michele Placido.

Michele Placido e Sara di Paola
Michele Placido e Sara di Paola

Mi rivolgo all’intero cast, preferite recitare in teatri piccoli o di dimensioni più vaste?

Placido: gli attori quando recitano in un piccolo teatro possono addirittura sentire il respiro del pubblico. I teatri all’italiana sono costruiti per la lirica e l’attore di prosa è costretto a spingere con la voce e a deformare così una verità. Per questo personalmente preferisco recitare in teatri di dimensioni più ridotte.

Marco Bellocchio è conosciuto come regista anticonformista che spesso abbraccia temi caldi della nostra società. Quale chance offre questo spettacolo per poter parlare della nostra società attuale?

Rubini: io interpreto Vanja che è un personaggio molto complesso e dal quale si può imparare molto. Da lui puoi capire che la vita non è un raggiungimento di un obiettivo ma un percorso che devi fare. Se guardi alla vita in questo modo capisci che il dramma di Vanja può anche riguardarti e che le sue sofferenze possono anche metterti in guardia dal non cadere nei suoi errori. Ed ecco che un testo scritto più di 100 anni fa diventa attuale.

Abbiamo letto che potrebbe esserci una trasposizione cinematografica di questo spettacolo, ambientata in Puglia e recitato in dialetto.

Placido: no, in dialetto no, anche se non dobbiamo mai dimenticare dove siamo nati. I grandi attori italiani hanno parlato sempre con un accento, dalla Magnani a Totò. I giovani attori durante il primo anno di Accademia dovrebbero recitare con la loro cadenza, questo ovviamente è un mio personale pensiero.

Rubini: noi quando siamo entrati in Accademia siamo stati resettati, ma questo toglie all’artista la sua unicità, fatevi resettare, ma tornate alle origini dopo aver intrapreso il vostro percorso.

Mi rivolgo ad Anna della Rosa, attrice di teatro pluripremiata. Com’è stato incontrare di nuovo lo stesso personaggio – cioè quello di Sonia in zio Vanja – a distanza di 6 anni?

Molto bello, ero attirata dalla possibilità di ritrovarmi nello stesso personaggio, ma con la mia storia personale nel mezzo. Nella vita non si può rivivere quello che hai passato, a teatro sì, è un viaggio nel tempo con l’aggiunta della tua esperienza, scopri aspetti del personaggio diversi, hai un nuovo regista. Come tornare in una meravigliosa città, ma con un nuovo amore.

Signor Placido può raccontare ai lettori di MyWhere cosa ne pensa del pubblico bolognese?

È un pubblico molto colto, Bologna è infatti chiamata la Dotta mica per niente! Solo il fatto che questo teatro sia tornato alla luce fa capire che qua c’è una grande cultura teatrale che in altre città magari è meno forte. Tra l’altro vorrei ringraziare il Duse perché molti direttori di teatro non si preoccupano del dialogo tra attori e spettatori.

Ha già precedenti cechoviani nella sua carriera?

Quelli di Cechov sono personaggi che abbiamo studiato in Accademia, noi che facciamo questo mestiere i personaggi li teniamo sempre sul comodino. Cechov lo rileggiamo negli anni e spesso accade che si metta in scena uno spettacolo che già conosci. A me piace molto questo autore perché descrive personaggi che nella loro tragicità sono spesso ridicoli,siamo nella comicità inconsapevole e questo è l’aspetto più straordinario di Cechov.

Per chi fa teatro forse più che la tecnicità ci vuole il cuore. Cosa ne pensa?

Ci vuole il talento che è la base per affrontare il palcoscenico o il grande schermo, la tecnica conta poco, certo con un buon regista si possono anche superare queste difficoltà. Si arriva solo dopo,con il tempo a migliorarsi e ad acquisire naturalezza. E poi certo, ci vuole il cuore.

Lei una volta ha detto che siamo circondati da troppi suoni e non riusciamo più a cogliere quelli di cui avremmo bisogno.

Il silenzio non esiste più, è distrutto dal rumore della civiltà contemporanea per cui il nostro orecchio arranca e fa fatica a recepire la naturalezza della voce.

Michele Placido

Sara Di Paola

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