Viaggio in Patagonia, parte prima.

Parque Pumalín, santuario della natura

In un parco naturale, di solito, natura ti sta davanti, o intorno. In un santuario della natura, come il Parque Pumalín, in Patagonia, alla natura ci entri letteralmente dentro…

L’ingresso al parco ha sicuramente contribuito a creare questa suggestione. Dopo una lunga giornata sui pedali, riesco a prendere l’ultimo traghetto del pomeriggio e mi svacco su una poltrona, strafatto di serotonina.

La traversata è lunga: dura 6 ore. Il giorno sta volgendo al termine e una grossa goccia di sole rosso indugia sull’orizzonte, poi cade e scompare.

Entro ed esco dal dormiveglia di continuo mentre leggo “Furore”, da cui ho preso quest’ultima descrizione. Mi accorgo che siamo arrivati soltanto quando i motori muggiscono in retromarcia per fare manovra e il traghetto attracca, abbassando la rampa sul molo con fragoroso sferragliare.

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A Caleta Gonzalo c’è soltanto il molo e un information point che segna l’inizio del parco Pumalín. Per 60 chilometri di strada sterrata non ci saranno paesi, case, negozi, niente — solo natura.

Le poche macchine a bordo del traghetto si defilano rapidamente. Io resto solo, al buio, cercando di capire dove dirigermi.

Tutto qui intorno è parco Pumalín. Per tremila chilometri quadrati. La Valle d’Aosta. Ed è buio. Con tutta questa natura rigogliosa e nessuna presenza umana mi sembra di essere atterrato sull’isola di Jurassic Park, né più né meno. Ci manca solo un Velociraptor che salta fuori dalle felci, che qui sono larghe quasi un metro.

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Poco più avanti trovo l’indicazione del primo campeggio: uno stretto sentiero si dirama dalla strada ed entra nella foresta. Dei lampioncini mostrano il percorso da seguire con le loro luci fatue. Vi sono alcune passerelle di legno, a cui non è stato applicato nessun trattamento chimico, e che quindi sono ricoperte di muschi e licheni.

Percorro un ponte tibetano traballante che attraversa il fiume arrivo allo spiazzo dove monto la tenda. Sopra di me, un cielo stellato indescrivibile, tridimensionale… così pieno di stelle che ho paura che mi cada addosso.

Tutto è curatissimo, ma perfettamente selvaggio. È un santuario della natura.

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Ero arrivato in Cile attraversando zone stupende, ma ancora ben collegate con il mondo civilizzato. Avevo pedalato su strade asfaltate. Avevo navigato sui laghi andini con gruppi di turisti che scatavano centinaia di foto. Come biasimarli: anche se il tempo non era sereno, stavamo costeggiando imponenti vulcani, come l’Osorno, un cono perfetto che ricorda il Fujiyama.

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Sono riuscito a contemplare la cima del vulcano libera dalle nubi solo quando ho raggiungo Puerto Varas, un delizioso paesino sulle rive del lago Llanquihue, che è stato nominato miglior posto in cui vivere in Cile. È il primo paese cileno che vedo in vita mia ma mi sento di sottoscrivere il sondaggio.

A Puerto Varas ho intervistato Hernan Mladinic, direttore esecutivo del Parque Pumalín, che visiterò qualche giorno più tardi. Hernan è una persona simpatica, gentile e profonda. Capisco immediatamente la stima che lo legava a Douglas Tompkins, con cui lavorava da più di sette anni. “La parte più importante del mio lavoro consiste nel preparare le proposte di creazione dei parchi e nelle public relations con le controparti politiche, soprattutto i ministeri”.

Lo scorso 6 dicembre Hernan si trovava nei pressi di Coyhaique, dove mi trovo ora mentre sto scrivendo e dove Douglas Tompkins era stato ricoverato per ipotermia. “Il suo kayak si è rovesciato”: inizialmente non sembrava niente di grave, soprattutto per un cercatore di avventure come lui. Ma sul lago General Carrera stava imprerversando una tempesta tremenda che spingeva al largo e creava onde di acqua ghiacciata grandi come montagne.

In tutto erano tre kayak: il suo compagno era stato portato in salvo da una canoa con due persone esperte a bordo, mentre Douglas era stato soccorso dalla terza barca, singola e guidata dal membro più giovane della compagnia. “È semplicemente restato troppo tempo in quelle acque gelide”, conclude Hernan. “Tutte le morti sono tragiche, ma lui era il nostro faro guida”.

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Sono interessato a capire come si svolge un progetto complesso come la creazione di un parco naturale e su questo appiglio Hernan prende subito il largo, facendomi entrare nel cuore della visione della loro fondazione

“All’inizio l’opinione pubblica pensava che volessimo creare dei parchi privati, ma non era questa la nostra missione”. Basta cercare su Internet e si possono trovare mille altre ipotesi della cosiddetta “opinione pubblica”, che spaziano dall’inquietante al ridicolo… per esempio, secondo alcuni “complottisti”, i Tompkins avrebbero acquisito terre in Patagonia per creare un nuovo stato ebraico. Peccato che siano anglicani… gli esempi sono numerosi, ma per quanto curiosi rischierei di divagare.

“Come diceva Doug, noi siamo dei catalizzatori che rendono possibile e accelerano la creazione di progetti di conservazione ambientale“.

Il primo progetto dei Tompkins è proprio il Parco Pumalín, iniziato nel 1991 con l’acquisizione di una “estancia” (fattoria) direttamente da Douglas, poi ampliata negli anni tramite la sua fondazione Conservation Land Trust fino alla sbalorditiva estensione di 3’000 chilometri quadrati. Il Pumalín non è propriamente un parco nazionale, ma è stato donato a una fondazione cilena e ha ottenuto lo stato di “santuario della natura” — il massimo grado di protezione ambientale possibile, che lo metterà al riparo da qualunque tentativo di sfruttamento futuro.

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Il parco Pumalín si trova lungo la strada che può essere considerata la strada più panoramica del mondo: la mitica “Carrettera Austral” nella remota Patagonia cilena. Si snoda per più di mille chilometri tra laghi e fiumi, costeggia montagne, attraversa valli e foreste, lambisce fiordi e ghiacciai e consente l’accesso a più di 20 parchi e riserve naturali.

Il nome ufficiale è “Ruta 7” ed è stata voluta da Pinochet per connettere la parte sud del Cile, il Paese più “lungo” del mondo: una stretta striscia di terra che si estende per più di quattromila chilometri, dal deserto di Atacama a nord fino all’arcipelago di Capo Horn, che si affaccia sull’Antardide. Un varietà di paesaggi straordinari e di meraviglie naturali con pochi rivali sul pianeta.

“La Patagonia cilena occupa un terzo della superficie del Paese”, mi spiega Hernan, venendo ai numeri. “Contiene l’85% delle aree protette, che sono più difficili da creare nel resto del territorio”. Al centro, infatti, ci sono Santiago e i principali centri urbani, mentre al nord si trovano i giacimenti minerari, soprattutto di rame, di cui il Cile è il primo produttore al mondo.

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L’obiettivo più importante che mi sono posto con questa intervista è capire se creare parchi naturali è un modo per generare ricchezza, non solo dal punto di vista ecologico ma anche economico, o se invece è più che altro un ostacolo allo sviluppo industriale. Pongo la domanda a Hernan in modo diretto.

“La nostra missione più profonda è creare una nuova strategia di sviluppo per il Paese, sostenibile e basata sul preservare l’ambiente. Una fonte economica che non è incentrata sull’estrazione di risorse, ma sulla loro conservazione”.

Prosegue con i numeri: “Ogni anno il Cile ospita circa 2 milioni e mezzo di turisti, di cui quasi 600 mila stranieri. Se ciascuno di questi spende giornalmente una media di 100 dollari, significa un’entrata di più di 60 milioni di dollari al giorno — tre volte il budget annuale del CONAF [l’ente cileno per la gestione dei parchi naturali]. Il tutto va moltiplicato per la durata media di permanenza, che è di 8 giorni, e non abbiamo contato il turismo interno! Il punto chiave è che il 78% dei turisti visita il Cile prima di tutto per i suoi parchi, e solo secondariamente per le città, i vini e tutto il resto”.

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Mi mostra un libro intitolato “Tourism & Conservation: a healthy and effective partnership”, pubblicato dalla loro fondazione. “Lo abbiamo presentato lo scorso ottobre all’Adventure Travel World Summit, frequentato da 700 operatori di tutti il mondo, che nel 2015 si è tenuto proprio qui a Puerto Varas. Abbiamo dimostrato come un buon progetto di conservazione ambientale alimenta il turismo”.

E ci vuole poco a capire che questo sua volta genera un indotto sulle comunità locali, visto che i turisti devono dormire, mangiare e spostarsi per visitare i parchi. “All’inizio dobbiamo rappresentare la nostra visione alle controparti, dipingere un mondo nuovo per i loro occhi. Poi ci danno ragione e ammettono che era la cosa migliore da fare”.

Mi fa un esempio: “Puerto Natales era una città che quarant’anni si sosteneva per una miniera di carbone assoggettata al fabbisogno dell’Argentina. Oggi è il punto di appoggio per visitare il parco nazionale Torres del Paine e vive di turismo. La miniera è solo un ricordo degli anziani”.

Proteste

Voglio approfondire la questione del progetto HydroAysén, partecipato al 51% da Endesa, che fa parte del gruppo ENEL. Cinque dighe e 7 miliardi di dollari di investimento per generare energia a servizio dell’industria mineraria al nord. “Il progetto consisteva nella parte di generazione dell’energia e di trasmissione”, precisa Hérnan. “Quest’ultima era in uno stadio molto embrionale e ovviamente invalidava la parte di generazione”.

So che i Tompkins hanno sostenuto il movimento “Patagonia sin represas” (senza dighe) ma voglio capire se l’altro grande parco che stanno creando più a sud, il “Patagonia National Park“, è stato decisivo per bloccare la costruzione della mega-centrale idroelettrica in quei territori.

“Solo una piccola parte del bacino di allagamento di una delle 5 dighe sarebbe entrato nei confini del Patagonia Park, ma questo poteva essere sistemato riducendo il livello quindi la superficie del bacino. In verità non abbiamo mai voluto che il parco fosse visto come un ostacolo perché avremmo ottenuto maggiori difficoltà nella sua realizzazione”.

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Il movimento “Patagonia sin represas” nasce proprio nella regione di Aysén, molto instabile per precedenti contrasti con il governo su temi ambientali e tocca il cuore dei Cileni fino  portarli in centomila a protestare nelle strade di Santiago nel 2011. I governi si passano la palla nel corso delle ultime tre legislazioni e dopo una preliminare approvazione, viene sospeso e infine bloccato.

Sto trattenendo Hernan per ormai due ore. Mi sento quasi in colpa. Ora stiamo parlando di come Douglas e Kristine siano riusciti a creare una dozzina di parchi naturali, alcuni dei quali ancora “in progress”, 8’000 chilometri quadrati in tutto, con “soltanto” 150 milioni di dollari, la cifra a cui Douglas ha liquidato le sue partecipazioni in Esprit. Entrambi invece non ricordiamo il numero di miliardi di dollari a cui è quotata quella puttanata di Facebook nei mercati finanziari…

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Continuando a parlare, troviamo un interessante rapporto tra il turismo e il raccontare storie. Hernan fa un paragone: “Un parco naturale può offrire dei bei panorami, come la scenografia e gli effetti speciali di un film, ma per fare una bella pellicola vuole anche una buona sceneggiatura”…

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Dopo qualche giorno, mi sveglio ben riposato dentro alla mia tenda con un coro di uccellini degno di Biancaneve. Sono già entusiasta dei giorni che passerò nel parco Pumalín.

E con questo bellissimo incontro ancora vivo nei miei ricordi, quando visito gli “alerce” di quasi tremila anni, capisco perché deve essere stato un onore per Douglas e Kristine Tompkins conservare il patrimonio vivente più antico del pianeta.

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E quando ho raggiunto la “cascata escondida” attraverso un bellissimo trek mi sono sentito un esploratore che scopriva questa meraviglia per la prima volta. E salendo alla cima del vulcano Chaitén, interamente contenuto all’interno del parco Pumalín, ho percepito l’entità del cataclisma che ha provocato la sua eruzione nel 2008, devastando il panorama circostante e facendo esondare il fiume limitrofo, che ha a sua volta allagato il paese Chaitén, rimasto disabitato per due anni.

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Normalmente in un parco naturale la natura la vedo davanti, o intorno. Al Pumalín, la sensazione che ho provato è di starci dentro, alla natura. Non so se è il parco naturale più bello del mondo, ma è stata l’esperienza di parco naturale più autentica che abbia mai provato.

Parque Pumalín

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Angelo Aldrovandi
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15 Responses to "Viaggio in Patagonia, parte prima."

  1. Antonio   5 Febbraio 2016 at 20:42

    Che animali vivono nel parco Pumalìn? Ha veramente la fauna più antica del pianeta? La iniziative di Mr.Tompkins assomigliano molto a quelle di Sebastiao Salgado in Brasile. Con la differenza che in Patagonia l’area protetta è molto piu grande della foresta salvata dal grande fotografo.

    Rispondi
    • Angelo Aldrovandi
      Angelo Aldrovandi   7 Febbraio 2016 at 22:03

      Concordo, entrambe le storie sono collegatenda un “fil rouge”, anzi “vert”:), che mi ha molto toccato. Non è un caso se in casa ho deciso di appendere la locandina de “Il sale della Terra” e se mi ritrovo qui a scrivere dei Tompkins…

      Rispondi
    • Angelo Aldrovandi
      Angelo Aldrovandi   7 Febbraio 2016 at 22:06

      La fauna è molto variegata ma come sempre teme la peggiore delle bestie, cioè l’uomo (almeno il sottoscritto) per cui è difficile avvistarla, per esempio i puma e gli huemules… il patrimonio vivente sono invece gli alerce, nome scientifico “fitzroya cupressoides”, gli alberi più alti del Sud America e tra i più longevi al mondo.

      Rispondi
      • Antonio Bramclet
        Antonio   9 Febbraio 2016 at 01:57

        Mi sembra di ricordare che Charles Darwin nel suo Viaggio con la Beagle scrivesse che aveva visto Alerce del diametro di 12 m. Occhio e croce dovevano essere alte una settantina di metri. Nei hai visto una simile?

        Rispondi
        • Angelo Aldrovandi
          Angelo Aldrovandi   9 Febbraio 2016 at 17:14

          Penso che Darwin si riferisse alla circonferenza. Quelli del Pumalín forse non sono proprio i più grandi del Sud America ma sono comunque in classifica!

          Rispondi
  2. samanta   7 Febbraio 2016 at 18:26

    Veramente entusiasmente!!!!!!!Non so se la carretera austral sia la strada più panoramica del mondo, ma sicuramente è la strada più panoramica che io abbia mai “vissuto”…….Complimenti per il modo in cui stai facendo questo viaggio….continuerò a seguirti!!!!(e ad aumentare la mia voglia di tornare…..)

    Rispondi
  3. Enrico   7 Febbraio 2016 at 23:47

    Il sogno di ogni bolognese….

    Rispondi
  4. Lamberto Cantoni
    Lamberto   8 Febbraio 2016 at 02:05

    Leggendo il tuo articolo mi chiedevo se esistono ancora nelle foreste o ai bordi degli insiediamenti di indigeni. Io credo siano stati sterminati da una occupazione forzata molto piu cruenta di quella del west americano. Ma non ne sono sicuro.

    Rispondi
    • Franck   9 Febbraio 2016 at 02:04

      Io penso che ci siano comunità che sperano di attivare una solida economia turistica. Sostenibile speriamo. Ma gli indigeni di un tempo secondo me non esistono più.

      Rispondi
      • Angelo Aldrovandi
        Angelo Aldrovandi   9 Febbraio 2016 at 17:27

        Confermo entrambe. Ci sono paesini microscopici che sono diventati veri e propri hub turistici!

        Rispondi
    • Angelo Aldrovandi
      Angelo Aldrovandi   9 Febbraio 2016 at 17:25

      Le tue informazioni coincidono con quelle in mio possesso. Cosa diversa è l’immensa foresta amazzonica, ma qua a sud gli argentini soprattutto hanno fatto piazza pulita. Vi sono alcune comunità nella parte settentrionale della Patagonia, intorno a Temuco, ma non ho visitato quelle zone quindi non so come sono organizzati, se in concessioni o riserve come nel West americano o diversamente. In generale la gente cilena mi sembra un bel misto di europei e indios, con tratti a volte molto affascinanti.

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  5. Guido   8 Febbraio 2016 at 21:01

    Grande Eingel, un gran bel giro! E’ un po’ di tempo che penso di andare in Cile. Mi raccomando non smettere di raccontare le tue avventure! Ciao.

    Rispondi
    • Angelo Aldrovandi
      Angelo Aldrovandi   9 Febbraio 2016 at 17:17

      Grande Poet! Confermo il Cile è stupendo e si può vedere benissimo anche in macchina 😉

      Rispondi
  6. Gabriele   10 Febbraio 2016 at 21:47

    Suggerirei all’autore di fornici materiale fotografico più generoso come qualità e ricchezza di informazioni.
    Forse sarà un problema del mio computer ma le foto del servizio risultano sfuocate.

    Rispondi
  7. Angelo Aldrovandi
    Angelo Aldrovandi   12 Febbraio 2016 at 18:12

    Sto “lavorando” con uno smartphone da connessioni wi-fi comprensibilmente precarie. La foto del fiorellino rosso è volutamente sfocata ma questo credo sia chiaro, le altre mi sembrano a fuoco, forse è un problema di risoluzione. Gli originali sono a ventiepassamegapixel e tralasciando i giudizi artistici sono tecnicamente a fuoco… sorry, I’m doing my best!

    Rispondi

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