Il restauro a cantiere aperto della Pietà di Michelangelo

Il restauro a cantiere aperto della Pietà di Michelangelo

FIRENZE – La Pietà Bandini, capolavoro assoluto di Michelangelo nonché una delle sculture più ammirate al mondo, sarà interessata da un importante restauro aperto al pubblico che si concluderà nell’estate 2020.

Le opere del nuovo Museo (dell’Opera del Duomo ndr.) sono state oggetto di una vasta campagna di restauro realizzata in occasione dell’apertura al pubblico alla fine del 2015 mentre la Pietà di Michelangelo, capolavoro tra i più iconici della collezione, rimaneva ancora da restaurare. L’Opera ha deciso di avviare anche questo delicato intervento, con il supporto della Fondazione Friends of Florence, per migliorare la lettura del gruppo scultoreo e così permettere alle migliaia di visitatori, che ogni anno scelgono i nostri monumenti, di poter godere al meglio anche di questo straordinario capolavoro”. Così dichiara il Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Luca Bagnoli che ha presentato l’inizio del cantiere di restauro della Pietà di Michelangelo, in data 23 novembre, sita al  Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, conosciuta anche come Pietà Bandini.

Commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore e finanziato dalla Fondazione Friends of Florenceil restauro si concluderà nel luglio 2020, permettendo al pubblico di assistere alle varie fasi del lavoro. L’importante intervento è stato affidato a Paola Rosa e alla sua equipe, che, dopo la formazione all’Opificio delle Pietre Dure, contano una trentennale esperienza di lavoro su opere di grandi artisti, tra cui lo stesso Michelangelo.

Il restauro, che si svolgerà nel rispetto della visione “ambrata” dell’opera e del naturale processo d’invecchiamento, prevede un’ampia campagna diagnostica iniziale e avrà anche lo scopo di migliorare la lettura, ora mortificata dalla presenza di depositi e sostanze estranee alle superfici marmoree del gruppo scultoreo.

PIETA’ DI MICHELANGELO: STORIA DI UN’OPERA TRAVAGLIATA

Pietà Bandini; Opera di Santa Maria del Fiore, Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Photo by Alena Fialová.

La storia di questa meravigliosa espressione d’arte è lunga e travagliata. Si tratta del lavoro senile di Michelangelo e iniziò ad essere scolpita probabilmente nel 1547, in un periodo di grande sconforto dell’artista. Per questa rappresentazione Michelangelo utilizzò un blocco di marmo di Carrara che avanzava dalla tomba del papa Giulio II e che, come ci narra il Vasari, era pieno di impurità e molto duro, fino a far produrre scintille al tocco dello scalpello.

Questo soggetto scultoreo vede il corpo del Cristo sorretto da Maria, da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui si pensa Michelangelo abbia dato il proprio volto. Sia Vasari che Ascanio Condivi, suoi biografi, confermarono inoltre che l’opera era destinata al luogo di sepoltura dello scultore rinascimentale, che non solo decise di non terminarla ma tentò anche di distruggerla, come si può notare ancora oggi in vari punti del gruppo scultoreo.

A salvare l’opera fu il suo collaboratore Antonio da Casteldurante che la fa restaurare da Tiberio Calcagni per poi venderla al banchiere romano Francesco Bandini (da qui il nome Pietà Bandini) per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo.

La Pietà arriva a Firenze nel 1674 grazie al Granduca di Toscana Cosimo III che l’aveva acquistata tre anni prima dalla famiglia Capponi, e viene posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo, dove erano sepolti i Medici, fino al 1722, quando viene collocata a Santa Maria del Fiore.

Dopo una serie di spostamenti, l’opera finisce nel 1981 al Museo dell’Opera del Duomo dove, dal 2015, poggia su un basamento che rievoca l’altare su cui doveva poggiare.

IL RESTAURO

Pietà di Michelangelo
FIRENZE – presentazione dell’inizio del restauro della Pietà di Michelangelo
foto Opera di Santa Maria del Fiore / Claudio Giovannini

Durante la lunga esistenza della Pietà e i suoi numerosi passaggi di proprietà, nonostante sia l’unico documentato, è improbabile che l’intervento di restauro vero e proprio eseguito dal citato Calcagni, nel 1556, non sia stato seguito da altre attività conservative. Solo la descrizione di “alcuni pezzetti staccati” accennata nel contratto di acquisto di Cosimo III nel 1671 potrebbe far pensare ad attività di restauro.

Documentato è invece la realizzazione di un calco in gesso eseguito nel 1882 al quale con tutta probabilità si deve il cambiamento cromatico del gruppo, causato dalle sostanze utilizzate.

Negli anni ‘90 vennero poi realizzate delle indagini diagnostiche (Opificio delle Pietre Dure) e gammagrafiche (ENEA), che individuarono diversi tipi di stucco e tre diversi tipi di collegamento dei perni tra le parti integrate e ricomposte che avvalorerebbero l’esistenza di interventi eseguiti con modalità e tempistiche differenti.

Paola Rosa afferma che l’approccio sarà quello di un intervento minimo, che non stravolgerà la visione “ambrata” del gruppo, sottilmente modulato e “colorato” dal colore della “pelle” della materia e dalle tracce di lavorazione. Si vuole inoltre recuperare la maestosa tridimensionalità dell’opera, andata persa a causa delle orribili patine scure sovrammesse, causate anche da particellato atmosferico e umidità.

I restauratori lavoreranno dunque in un cantiere “aperto” per restituire a tutti noi una maestosa opera michelangiolesca, definita “infinita” più che “non finita” dal direttore del Museo Timothy Verdon, e rendere l’attività lavorativa parte integrante della visita.

 

TESTO di Francesco Frosini

Autore MyWhere

2 Responses to "Il restauro a cantiere aperto della Pietà di Michelangelo"

  1. Francesco Frosini   4 Dicembre 2019 at 14:24

    Un’opera di rara bellezza la cui visita è resa ancor più particolare ed esaltante dalla possibilità. per i visitatori, di “partecipare” ai lavori di restauro portati avanti da Paola Rosa e dalla sua equipe.

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  2. teresa paladin   6 Dicembre 2019 at 13:16

    Grazie per l’articolo e la bella notizia del cantiere aperto: sarà emozionante assistere dal vivo ai lavori.
    Teresa

    Rispondi

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