Da Sansepolcro a Forlì e ritorno: sulle tracce di Piero della Francesca

Un percorso ipotetico seppure fattibile che in occasione della mostra forlivese visibile fino al 26 giugno nei Musei di San Domenico, riconsidera anche i luoghi di Piero e gli affreschi posti in situ, lungo la Valtiberina: Arezzo, Sansepolcro, Montichiari.

Da Sansepolcro a Forlì e ritorno: sulle tracce di Piero della Francesca

Forlì – La mostra di Piero della Francesca, indagine su un mito presso i Musei di San Domenico  ripercorrono un ipotetico itinerario, intrapreso dal Maestro del Rinascimento durante la sua lunga carriera, lungo la Valtiberina: Arezzo, Sansepolcro e Montichiari.

Piero della Francesca è stato anche un matematico, non solo il grande artista al di fuori dai canoni che conosciamo. Durante la sua lunga carriera Piero della Francesca riuscì a conciliare quello che talvolta poteva apparire inconciliabile: matematica e arte, fede e ragione, non sono state le sole polarità entro le quali l’artista toscano si è dibattuto.  Come scrive Carlo Bertelli era tanto in grado di dipingere un capolavoro  e nello stesso tempo di scrivere un trattato di contabilità quale Il Trattato dell’Abaco, per poi ottenere stima e rispetto ovunque. Lo stesso Vasari ribadiva che in  alcuni suoi scritti di cose di geometria e di prospettive Piero della Francesca non fu inferiore a niuno de’ tempi suoi.
Piero  influiva suo malgrado anche sulla moda di allora data la propensione dell’artista ad attualizzare le vicende bibliche fino al suo tempo, contestualizzandole alla sua  contemporaneità.
A tal proposito raccontano che  molte dame incuriosite mentre dipingeva le Vicende della Croce in Arezzo si recassero malgrado il divieto dei frati, a osservare come Piero rivestisse le sue figure femminili e prendere così ispirazione per quegli abiti che si sarebbero fatte confezionare poi.
D’altro canto Oscar Wilde non la pensava forse allo stesso modo quando affermava che one should either be a work of art, or wear a work of art,  intendendo che bisognerebbe essere un’opera d’arte o indossarne una?

La mostra di Forlì Piero della Francesca, indagine su un mito presso i Musei di San Domenico  prende l’avvio dall’opera di Piero, autore paradossalmente caduto nell’oblio dopo la sua morte ma che come ricorda Antonio Paolucci, ideatore della  mostra, venne riabilitato tra Ottocento e Novecento raggiungendo poi lo zenit della notorietà nel 1927 grazie alla fondamentale monografia di Roberto Longhi, e ai contemporanei studi di Bernard Berenson, grazie alle quali giunse a condizionare le forme artistiche della modernità. Ecco quindi Piero della Francesca rivestire un’innegabile influenza su numerosi artisti, da de Chirico a Cagli, da Casorati, a Morandi, da Ferrazzi, a Felice Carena, fino ad arrivare all’americano Edward Hopper di cui sono in mostra le tele Approaching the city (1946) e Manhattan Bridge Loop (1928). Tutti questi nomi sono legati da un comune fil rouge con il Maestro burgense, lungo una verticale artistica che dal Rinascimento in poi conduce il visitatore sino al Novecento.  Una mitografia che racchiude un esaltante numero di opere per qualità e contributi, provenienti sia da collezioni private pertanto non sempre visibili, accanto ad altre prestate per l’occasione dal Victoria and Albert Museum di Londra. Un ricchissimo ventaglio di autori all’interno di una  mostra  che vuole essere un grande tributo.

Malgrado l’esposizione sia egregia e logicamente costruita secondo un’ottica  coerente, non ci soffermeremo a parlare al riguardo, essendo già stata – la mostra forlivese – declinata e approfondita da parecchi testimoni in un ragguardevole numero di articoli. Nello specifico cogliamo il pretesto dopo aver visitato l’esposizione summenzionata per spingerci oltre, nei luoghi dove Piero ha lasciato le sue opere più grandiose, quegli affreschi ai quali lavorò e che fortunosamente si sono tramandati ma che non potendo essere rimossi, sono visibili solo in situ.  
Partiamo con ordine  procedendo dalla Romagna alla Toscana, da Forlì a Sansepolcro, distante circa un’ora e venti minuti, per una percorrenza di 110,1 km passando per la SS3bis. Ovviamente il percorso può essere frammentario, continuo o a tappe diversificate a seconda del tempo di cui si dispone. Sono state riunite idealmente alcune località dove l’impronta di Piero è stata più marcata, le sue opere sono così più contestualizzate calate in panorami o situazioni quasi atemporali e le destinazioni per di più  incantevoli.

Sansepolcro è una deliziosa cittadina in provincia di Arezzo, dove Piero  era nato  nel 1415 (data presunta). Come riferisce  Vasari: Piero chiamossi dal nome della madre, Della Francesca, per essere ella restata gravida di lui quando il padre e suo marito morì – all’epoca in cui l’artista nacque, il natio Borgo era sotto il dominio dei Malatesta.  Sansepolcro tuttora racchiude all’interno delle sue mura un cospicuo patrimonio artistico, moltissimi infatti sono i palazzi nobiliari sia medievali con annesse le torri e altri ancora di stampo più rinascimentale, non ultima la stessa casa di Piero della Francesca che è tutt’ora fruibile essendo divenuta nel frattempo la sede della Fondazione omonima e di un centro studi a lui dedicato. Oltre a costruzioni degne di nota fra chiese e musei come quello dell’Aboca, dedicato alla storia della farmacopea, Sansepolcro,  Porta della Toscana e prima località ai piedi dell’Appennino Tosco-Emiliano, resta una meta affascinante che andrebbe presa in considerazione anche solo per la sua suggestiva cornice e la ricca proposta artistica che la contraddistingue. Piero del Borgo, così si firmava il Nostro, era cresciuto proprio lì e ancora ora la località ha mantenuto l’impronta che le era stata data all’epoca, avendo il centro storico ben preservato l’originale struttura malgrado i terremoti e le vessazioni del tempo. Piero della Francesca ha lasciato molteplici opere nelle quali proponeva ciò che vedeva con lo sguardo attento e la mano guidata da una ragione sempre all’erta.
Sansepolcro non era solo idealizzata,  come accadeva per le città di cui si dibatteva allora se pensiamo ad  autori coevi di Piero quali il Laurana, il Sangallo a sua volta attivo nella stessa città, o allo stesso Leon Battista Alberti solo per citare i più noti, ma anche da lui ritratta. Di Piero della Francesca sono lì  tuttora presenti opere importanti quali La Resurrezione (1450-1463) – the most beautiful painting in the world secondo le parole del romanziere Aldous Huxley – che preservarono così la cittadina dai bombardamenti dell’ultima Guerra. Conservata al Museo Civico della città, l’opera consiste in un grande affresco (225×200 cm) posto al centro della sala dell’Udienza del Palazzo dei Conservatori, dove vi è Cristo al fulcro della scena. La Resurrezione rappresenta il trionfo sul buio e sulla morte che nel sepolcro trova il suo simulacro. Il tutto viene inserito in un paesaggio metaforico che vede alternarsi il tempo e  le stagioni della vita, con da una parte una  natura  rigogliosa e al suo opposto invece la stessa ma alquanto spoglia, declinando pertanto la resurrezione e la morte di Cristo. E’ così che Piero raffigura l’inizio di un’alba nuova assurta anche a simbolo dell’esistenza, lui che dal concittadino Luca Pacioli verrà definito il Monarca della pittura.

Al Museo Civico si trova solitamente un’altro capolavoro,  il Polittico della Misericordia, al momento in trasferta a Forlì da dove farà ritorno solo dopo il 26 giugno. Il polittico venne commissionato all’autore dalla Confraternita di San Francesco nel 1455. Nell’opera iconica  e maestosa l’immagine della Vergine  si staglia sul fondale dorato.  Maria, sopra l’abito rosso vivo, indossa  un manto blu sotto il quale si raccolgono a guisa di fedeli,  notabili e committenti fra i quali unito agli altri il  pittore medesimo, qui autoritrattosi.  E ancora si può vedere un frammentario San Giuliano (1454-1458), affresco staccato (130×80 cm), stessa sorte toccata a San Ludovico di Tolosa  dipinto nel 1460, anch’esso parte di un  opera maggiore eseguita a fresco di cui resta il frammento staccato (123×90 cm).

Lasciando Sansepolcro, ci dirigiamo alla volta di Monterchi dove Piero era stato attivo e dove tutt’ora  è conservata all’interno del museo omonimo La Madonna del parto (1455-1465), anche in questo caso un affresco staccato (260×203 cm). Se il tempo a disposizione lo permette sarebbe consigliata una sosta ad Anghiari, un incantevole paese non distante che si trova lungo il tragitto tra Sansepolcro e Monterchi, da cui si riparte in direzione di Arezzo.

Arezzo con le Storie della Vera Croce, segnala un’altra tappa lungo l’itinerario alla riscoperta del nostro. E’ infatti presso la Basilica di San Francesco che nella Cappella Bacci sono conservati forse i più noti affreschi di Piero, quelli cioè componenti il ciclo della Vera Croce, eseguiti dal 1452 al 1466, un arco di tempo relativamente breve per consegnare alla storia con tutta probabilità gli affreschi più moderni e prospetticamente controllati che mai siano stati concepiti e creati nel Quattrocento. Il tema del ciclo trae origine dalla Leggenda Aurea testo scritto nel XIII secolo da Jacopo da Varagine, un testo che potremmo definire oggi cult per i pittori e i disegnatori che dal Trecento in poi, ne attinsero  ispirazione a piene mani.
La vicenda ne racconta i dodici episodi principali che compongono il ciclo, partendo dalla Morte di Adamo,  fino all’Esaltazione della Vera Croce  e l’Annunciazione.
A tal proposito l’opera è talmente nota da divenire il set di una scena de Il Paziente Inglese (1996), pluri premiata  pellicola dello scomparso regista inglese Anthony Minghella
Nel Duomo della città ancora è visibile l’affresco di Maria Maddalena 1460-1466  (190×105 cm)   altra opera importante e per tanto da non perdere riguardo la quale un aneddoto divertente ci ragguaglia circa la modella ossia madonna Bonanna Bacci scelta da Piero  non tanto perché la donna fosse esemplare di un modello  che lui perseguiva, quanto perché il padre di lei, Luigi Giovanni Bacci gli doveva dei denari, per un’opera eseguita in San Francesco.

A questo punto dalla Toscana si ritorna verso la Romagna. L’itinerario comprende un percorso paesaggistico quale quello del Passo dei Mandrioli passando ancora per la SS3bis, con un tempo che può superare di poco le due ore.

Al Tempio Malatestiano di Rimini  è presente un’opera alla stregua delle altre  importantissima: Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo, affresco dipinto nel 1451, con dimensioni di 257×345 cm, è  probabilmente uno dei capolavori vanto della cittadina costiera.

L’itinerario avrebbe potuto estendersi a Firenze dove assieme al suo maestro Domenico Veneziano nella chiesa di Sant’Egidio,  Piero della Francesca aveva eseguito degli affreschi oggi purtroppo perduti; avremmo potuto raggiungere Ferrara, dove nel palazzo dipinse molte camere, che poi furono rovinate dal duca Ercole vecchio, per ridurre il palazzo alla moderna, racconta sempre Vasari. Il viaggio poi avrebbe potuto proseguire verso Roma dove  ancora Piero era stato attivo,  avendo  lavorato persino in Vaticano. Sfortunatamente i suoi affreschi furono rimossi a suo tempo e al loro posto a Raffaello venne commissionato di affrescare quelle stesse  Stanze che ora portano il suo nome.

INFO

Forlì:  Piero della Francesca, indagine su un mito

Basilica di San Francesco

Mostra aperta dal 13 febbraio al 26 giugno 2016

per informazioni clicca qui

 

Testo di Daniela Ferro

Autore MyWhere

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