Venezia, il Carnevale e le sue maschere

Venezia, il Carnevale e le sue maschere

VENEZIA – Il Carnevale ha preso il via e fino al 25 Febbraio Venezia si veste con inimitabile eleganza della follia dei festeggiamenti. Unico ed inimitabile è il Carnevale della Serenissima che sa distinguersi oramai da diversi secoli a questa parte.

Tema di quest’anno è Il Gioco, l’Amore e la Folliachiunque sia stato a Venezia almeno una volta nella vita conosce bene la sua bellezza, il suo potere di stregare con la sua unicità e di infiltrarsi nei cuori dei visitatori che non possono poi voler fare altro che tornarci. Chi vi ha vissuto, anche solo per un giorno, conosce bene questa sensazione, questo tipo di amore leggero e spensierato, ma allo stesso tempo che nasce da subito in modo irrazionale, quasi folle se vogliamo. Questo è il fascino di Venezia, una città magica che ha stregato poeti, scrittori, artisti attraverso i lunghi secoli della sua storia: Turner, Hemingway, Mann, il Casanova, che da veneziano mai sopportò l’esilio lontano dalla sua amata Venezia, Eleonora Duse, Lord Byron,… Ognuna di queste è stata una storia d’amore, ma non nel senso più convenzionale del termine: riguarda il profondo innamoramento nei confronti della vita che in sé unisce il gioco, la follia e, appunto, l’amore. Spensierato nella sua leggerezza, folle nella sua irrazionalità e istantaneità, e totalizzante nella sua passione. Ma questa è Venezia, e la sua magia. E forse ogni visitatore che vi giunge per la prima volta porta con se una storia simile.

Dare questo tema al Carnevale, significa ben comprendere quanto il fascino della Serenissima sia tutt’ora non scalfito dalla polvere dei secoli, in particolare nel periodo dell’anno in cui la città brilla di più e ogni calle o campiello è il fondale naturale per le bellissime maschere che popolano la città.

Già le maschere…mistero, enigma, seduzione, una parte di Venezia che ne reincarna appieno l’essenza, ma di cui pochi sanno da dove nasce la travagliata storia, che segue di pari passo quella della Serenissima Repubblica.

La maschera (dall’arabo “mascharà”, scherno, satira) è sempre stata, fin dalla notte dei tempi, uno degli elementi caratteristici e indispensabili nel costume degli attori. Originariamente era costituita da una faccia cava dalle sembianze mostruose o grottesche, indossata per nascondere le umane fattezze e, nel corso di cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni. Con il Carnevale la maschera diventa simbolo della necessità di abbandonarsi al gioco, allo scherzo e all’illusione di indossare i panni di qualcun altro (vedi l’articolo dell’anno passato), esprimendo quindi diversi significati: la festa e la trasgressione, la libertà e l’immoralità.

Buongiorno Siora Maschera” ecco il saluto che si sentiva lungo le calli, per i canali e nei listoni. L’identità personale, il sesso, la classe sociale non esistevano più e si entrava a far parte della Grande Illusione del Carnevale in un posto, unico al mondo, dove tutto può accadere, dove ogni scorcio non cessa di incantare. Nella cultura veneziana con il termine “maschera” si indica l’attività di “mettersi barba e baffi finti” e “maschera” era anche il soprannome dato alle donne che si travestivano da uomini e agli uomini che si travestivano da donne. Ben presto la maschera divenne simbolo della libertà e della trasgressione a tutte le regole sociali imposte dalla Repubblica Serenissima a Venezia.

La storia della maschera veneziana inizia già nel 1268, anno a cui risale la più antica legge che limita l’uso improprio della maschera: in questo documento veniva proibito agli uomini in maschera, i cosiddetti mattaccini, il gioco delle “ova” che consisteva nel lanciare uova riempite di acqua di rose contro le dame che passeggiavano nelle calli.

Gli artigiani che fabbricavano maschere, i maschereri, possedevano un loro statuto datato aprile 1436, e  appartenevano alla frangia dei pittori, aiutati nella loro professione dai targheri che imprimevano sopra lo stucco volti dipinti, a volte di ridicola fisionomia, con dovizia di particolari. La produzione di maschere si era così intensificata che nel 1773 esistevano ufficialmente 12 botteghe di maschere a Venezia: poche se si considera l’uso che se ne faceva in quegli anni.
La richiesta di maschere ed il loro utilizzo era infatti tale per cui si cominciarono a fabbricare molte maschere “in nero”, dando lavoro a tante persone e riuscendo così a intensificare la produzione e la diffusione a livello europeo.

Da notare che la maschera non era utilizzata solo durante il periodo di Carnevale, ma anche in molte occasioni durante l’anno: era permessa il giorno di Santo Stefano (che sanciva la data di inizio del Carnevale veneziano) e fino alla mezzanotte del Martedì Grasso (che concludeva i festeggiamenti per il Carnevale); era permessa durante i quindici giorni dell’Ascensione e alcuni, con particolari deroghe, la utilizzavano fino a metà giugno. Inoltre, durante tutte le manifestazioni più importanti come banchetti ufficiali o feste della Repubblica era consentito l’uso di Bauta e Tabarro.

LE LEGGI DEL CARNEVALE DELLA SERENISSIMA

Durante il Carnevale i Veneziani si concedevano trasgressioni di ogni tipo e la Bauta o la Moretta erano utilizzate per mantenere l’anonimato e consentire qualsiasi gioco proibito, sia da parte di uomini che da parte di donne. Anche i preti e le monache approfittavano delle maschere per celarsi e trasgredire compiendo fughe amorose o “multas inhonestas”.

Allo scopo di limitare l’inarrestabile decadimento morale dei Veneziani, la Serenissima in varie riprese ha legiferato in materia di Carnevale e ha disciplinato l’uso delle maschere e dei travestimenti.
Sin dai primi del ‘300 cominciarono ad essere sempre più numerose le leggi che promulgavano decreti per fermare il libertinaggio degli abitanti di Venezia del tempo e per limitare l’uso esagerato delle maschere.

Era proibito indossare la maschera nei periodi che non fossero quelli di carnevale e nei luoghi di culto, così com’erano proibite le armi e gli schiamazzi di gruppo. L’uso della maschera veniva proibito alle prostitute e agli uomini che frequentavano i casini. Questo perché spesso la maschera era usata per celare la propria identità e per risolvere affari poco puliti o portare avanti relazioni curiose.

Per esempio il Tabarro era, spesso, utilizzato per nascondere armi e proprio per questo furono emanati molti decreti per impedire alle maschere di utilizzare il mantello per scopi non ortodossi e pericolosi. Coloro che erano colti in flagranza di reato andavano incontro a pene molto pesanti: per gli uomini la pena era di due anni di carcere, il servizio per 18 mesi nelle galere della Repubblica Serenissima, il pagamento di 500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci.
L’elenco dei decreti procede di pari passo a quello dello svolgersi, annuale, del Carnevale. Ad ogni Carnevale viene aggiunta una proibizione: vietato recarsi in maschera all’interno dei luoghi sacri, vietato mascherarsi in abiti religiosi, vietato ballare in pubblico al di fuori dei giorni stabiliti per la festa del carnevale. Vista l’usanza di molti nobili Veneziani che andavano a giocare d’azzardo mascherati per non essere riconosciuti dai creditori, nel 1703 sono proibite per tutto l’anno le maschere nei Ridotti, cioè le case da gioco veneziane.

Ma vediamo quali erano (e sono tutt’ora) le maschere più celebri della Serenissima.

LA BAUTA

La Bauta era utilizzata sia dagli uomini sia dalle donne in svariate occasioni: addirittura era un obbligo per le donne sposate che si recavano a teatro mentre era proibita alle ragazze in età da matrimonio. La Bauta è formata da un velo nero o Tabarro, un tricorno nero e una maschera bianca. La maschera bianca era detta “larva”, probabilmente dalla stessa voce latina il cui significato è appunto maschera o fantasma, e permetteva di bere e mangiare senza mai togliersela, mantenendo così l’anonimato. Oltre a tutto ciò, si indossava anche il Tabarro, un lungo mantello nero che copriva fino a metà la persona. Il Tabarro era composto da una mantellina che raddoppiava sopra le spalle, poteva essere di panno o di seta secondo le stagioni, bianco o turchino, scarlatto per un’occasione di gala, a volte decorato con fronzoli, frange e fiocco “alla militare”. Era molto usato anche dalle donne, scuro d’inverno e bianco d’estate.

Maschere Veneziane – Il ridotto di Palazzo Dandolo a San Moisè (particolare) – Francesco Guardi

LA MORETTA

Un’altra maschera molto usata a Venezia era la Moretta: una maschera ovale di velluto nero che veniva usata dalle donne. La sua invenzione ebbe origine in Francia, dove le dame erano solite usarla per andare in visita alle monache, ma si diffuse rapidamente nella Serenissima, poiché abbelliva particolarmente i lineamenti femminili. La maschera era completata da veli velette e cappellini a larghe falde. Tradizionalmente si indossava tenendola in bocca grazie ad un piccolo perno o bottone, ed era quindi una maschera muta, impedendo di fatto di mangiare, bere o parlare. Numerose sono le testimonianze anche nei dipinti di Pietro Longhi come “Il Rinoceronte”.

Pietro Longhi -Il Rinoceronte (dettaglio)

LA GNAGA

Altro grande classico tra le maschere veneziane è la Gnaga, usata anche dagli uomini per impersonare figure femminili. Il tradizionale costume della Gnaga prevede indumenti femminili e una maschera con le sembianze da gatta. Durante i festeggiamenti del Carnevale di Venezia, la maschera poteva essere completata da una cesta sotto braccio che solitamente conteneva un gattino.

Maschere Veneziane – La Gnaga

IL MEDICO DELLA PESTE

L’inquietante maschera del Medico della Peste e’ una rivisitazione di una tradizionale maschera del XIV secolo, utilizzata come deterrente al contagio dai medici stessi durante le pestilenze. La maschera stessa era una sorta di respiratore: aveva due aperture per gli occhi, coperte da lenti di vetro, due buchi per il naso e un grande becco ricurvo, all’interno del quale erano contenute diverse sostanze profumate (fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e, quasi sempre, spugne imbevute di aceto).

La maschera del medico della peste fu introdotta per la prima volta nel secolo XIV, ma fu Charles de Lorme nel 1619, il medico del Re Sole, che, prendendo come spunto le divise dei soldati, realizzò una divisa completa con tonaca, guanti, cappello, scarpe e una canna con cui tenere a debita distanza il malato. Perché anche un solo contagio faceva paura (vedi periodo attuale!) durante un’epidemia – tanto che a Venezia i malati erano condotti nel Lazzaretto Vecchio, mentre coloro che vi erano stati a contatto nel Lazzaretto Nuovo.

Maschere Veneziane – Il Medico della Peste

Per chiunque voglia approfondire l’affascinante e misterioso mondo delle maschere, proprio durante il Carnevale ha una possibilità unica: la Ca’ Macana, tra i laboratori di maschere più importanti e tradizionali della città lagunare, apre le sue porte a Dorsoduro, per mostrare la secolare tecnica di produzione artigianale veneziana al mondo, con un’interessante conferenza teorico-pratica sulla storia e sulla manifattura delle maschere. E’ un evento gratuito e disponibile anche in inglese e francese.

Per informazioni:  info@camacana.com.

All photos ©Marianne Bargiotti Photography 2020

MaschereVeneziane

Marianne Bargiotti

One Response to "Venezia, il Carnevale e le sue maschere"

  1. Giuliana D'Urso
    Giuliana D'Urso   17 Febbraio 2020 at 14:33

    Non sono mai stata al carnevale di Venezia ma questo bellissimo articolo ne fa respirare l’atmosfera! Molto interessanti anche che le informazioni, articolate ed esaurienti, sulla storia della maschera veneziana. Grazie Marianne

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