Il Giappone onora la carriera di Renzo Piano

ITALIA – Il governo giapponese ha reso pubbliche le onorificenze conferite a cittadini stranieri nella sessione della primavera 2018. Per l’Italia, l’onorificenza “Ordine del Sol Levante, Raggi in oro con nastro” è stata conferita al Sen. Arch. Renzo Piano. Celebriamo insieme questo importante riconoscimento, ripercorrendo la carriera di uno dei più grandi architetti del mondo.

La storia è piena di progettisti in grado, attraverso le loro idee, di arricchire il mondo e sotto un certo aspetto, di cambiarlo. Bisogna sempre ricordare che fare architettura significa costruire edifici per la gente, università, musei, sale per concerti. Luoghi per stare insieme, di cultura, di arte, di bellezza, che si contrappongono all’imbarbarimento costante, purtroppo sempre più attuale e problematico. Se si parla di architettura non si può non pensare a Renzo Piano, una delle dieci più importanti personalità del mondo nel settore, un’eccellenza della creatività rigorosamente italiana.

Da poche ore la notizia è ufficiale: l’architetto genovese classe 1937 è stato insignito di una delle più alte onorificenze del Giappone, Ordine del Sol Levante, Raggi in oro con nastro per i meriti acquisiti nell’ambito dello sviluppo dell’architettura in Giappone e della reciproca comprensione tra i due Paesi attraverso l’architettura.

Renzo Piano è balzato alla notorietà a livello globale con il progetto del Centro Pompidou di Parigi, ultimato nel 1977. In Giappone, attraverso opere quali il Terminal dell’Aeroporto Internazionale del Kansai (attuale edificio del Terminal 1), il ponte di Ushibuka nella Prefettura di Kumamoto, o la Maison Hermes nel quartiere di Ginza, a Tokyo, ha fornito molteplici ispirazioni per la coesistenza di qualità creativa e tecniche antisismiche e di isolamento sismico.

Inoltre, visitando il Giappone, ha soffermato la propria attenzione sulla cerimonia di ricostruzione periodica del Santuario di Ise, “shinkinen sengu”, rimanendo profondamente colpito dalle modalità di trasmissione delle tecniche artigianali alle giovani generazioni e istituendo, una volta tornato in Italia, la Fondazione Renzo Piano quale luogo di formazione dei nuovi talenti. Ha così profuso il suo impegno nell’istruzione dei giovani, accogliendo nuove leve dell’architettura da tutti il mondo, compreso il Giappone.

Renzo Piano, nel corso dei suoi primi ottanta anni di vita (è nato nel 1937) ha costruito moltissime cose ovunque, diventando una stella del firmamento dell’architettura internazionale. I suoi progetti, una volta realizzati, diventano tra i più visitati, fanno discutere, sorprendono e trasformano la nostra visione dello spazio abitato. Perché succede questo? L’effetto Renzo Piano è un mix di molte cose e prima di tutto può essere utile sentire direttamente da lui cosa pensa dell’architettura e le sue spiegazioni sul suo modo di lavorare.

Partiamo dal suo discorso tenuto durante la cerimonia del Premio Pritzker vinto nel 1998, che può essere considerato il Premio Nobel per l’architettura.

“L’architettura intanto è un servizio… nel senso che produce cose che servono”. In effetti, nel corso degli anni Renzo Piano ha messo pienamente in pratica questo punto di vista realizzato padiglioni fieristici, grattacieli, spazi museali, aeroporti, centri commerciali, uffici, riqualificazioni urbane, progetti di archeologia industriale, stabilimenti industriali, quartieri, auditorium, stazioni della metropolitana, restauri di monumenti, ristoranti, cinema, ponti, stadi.

“Ma è anche un’arte socialmente pericolosa, perché è un’arte imposta … il brutto condominio che abbiamo di fronte a casa lo vediamo per forza.” L’architettura, nella sua visione, richiede quindi una doppia responsabilità verso le generazioni presenti e future. Un libro puoi scegliere di non leggerlo, un ambiente costruito si impone nello spazio a tutti.

L’architettura è “un’arte che mescola le cose: la storia e la geografia, l’antropologia e l’ambiente, la scienza e la società … L’architettura è società, perché non esiste senza la gente, senza le sue speranze, le sue aspettative, le sue passioni.” Questa è certamente un’altra caratteristica dei progetti di Renzo Piano che mirano sempre a creare luoghi di aggregazione urbana. “Bisogna ascoltare la gente: c’è sempre la tentazione di imporre il proprio progetto, il proprio modo di pensare, o peggio, il proprio stile … interpretare la società e i suoi bisogni è la ricchezza dell’architettura. Firenze è bella perché è l’immagine dell’Italia del Rinascimento”.

Ma come si arriva materialmente a un progetto che rispecchi tutta questa complessità? “L’architettura è un’arte. Usa una tecnica per generare un’emozione, e lo fa con un linguaggio suo specifico, “fatto di spazio, di proporzioni, di luce, di materia” … “Io cerco di utilizzare in architettura elementi immateriali come la trasparenza, la leggerezza, la vibrazione della luce”.

Per comprendere altri aspetti del modo di lavorare di Renzo Piano può essere illuminante un altro suo commento dedicato proprio all’opera che lo ha reso celebre in tutto il mondo e che lo ha trasformato in un’archistar, il museo “Beaubourg” (1977), cioè il Centre Georges Pompidou, divenuto in pochi anni uno dei monumenti parigini più visitati. La sua architettura venne subito definita dagli esperti il manifesto dell’arte high-tech ma lui invece ne parla così: “non è arte high-tech ma una volontà di ribellione al confinamento della cultura in luoghi specialistici, e un tentativo di farne una fabbrica, un’officina.

L’Effetto Renzo Piano è anche certamente dovuto alla sua raffinata e curata strategia di comunicazione, alla sua capacità di “umanizzare” l’opera vantandone le performance ecologiche e l’utilità della sua funzione urbanistica. Ma come negare che l’auditorium di Roma abbia, nello stesso tempo, rimesso in valore un’area degradata (occupata da nomadi), dato a Roma uno spazio modulare finalmente adeguato per la musica, che ben presto sia diventato anche una meta turistica, un parco urbano, un luogo di aggregazione per i giovani e la sede di vari festival (del cinema, della letteratura, della fisica).

Il tema della sostenibilità è un altro punto di forza della progettazione di Renzo Piano “la sostenibilità consiste nel costruire pensando anche al futuro”. Il tetto verde con specie vegetali autoctone del California Academy of Sciences che diventa un isolante termico, la produzione d’energia consumata con microcristalli, l’uso sistematico di materiali di riuso, le strategie per il risparmio energetico e idrico, sono altrettanti esempi di innovazione applicata alla sostenibilità.

E infine il suo recente ragionamento sulle periferie dopo essere diventato senatore a vita. Renzo Piano ha già alle spalle almeno due esperienze al riguardo ad Harlem e nella banlieue di Parigi: “Bisogna completare le ex aree abbandonate dalle fabbriche, dalle ferrovie e dalle caserme, c’è un sacco di spazio a disposizione. Si deve costruire sul costruito, sanare le ferite aperte. Di certo non bisogna costruire nuove periferie oltre a quelle esistenti, non possiamo più permetterci altre periferie remote …Diventa insostenibile portare i trasporti e tutti gli altri servizi …si tratta di piccoli interventi di rammendo che possono innescare la rigenerazione. Per questo progetto ha creato il “Gruppo G124” che lavora specialmente con giovani architetti su diversi temi che riguardano le periferie: l’adeguamento energetico, il consolidamento e il restauro degli edifici pubblici, i luoghi d’aggregazione, la funzione del verde, il trasporto pubblico e i processi partecipativi per coinvolgere gli abitanti nella riqualificazione del quartiere dove vivono.

Il metodo del G124 è un modello della governance condivisa: si individuano aree deboli spesso a causa di opere incompiute e si elaborano progetti rigorosamente in sinergia con i residenti. “Sono loro a sapere cosa non va nel quartiere”. È ancora presto per valutare se l’Effetto Renzo Piano produrrà i risultati sperati anche sulle periferie romane, ma essendo abituati ad aspettarci molto da lui, continueremo certamente a seguirlo.

Paolo Riggio

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