Tre Graphic Designer molto speciali

Tre Graphic Designer molto speciali

MONDO – Il buon design, in tutte le sue forme, interessa un po’ tutti. Forse perché ci lascia percepire migliori, addirittura più felici di quanto potremmo essere senza. Tuttavia lascia perplessi il fatto che questi esiti estetici sono stati raggiunti mettendo in discussione ciò che un tempo veniva definito razionale e bello.

1. Premessa

La professione di Graphic Designer è orientata a configurare testi visivi sincretici (parole, immagini, colori…) immaginati essere utili per comunicare messaggi pregnanti, sfruttati da aziende  e soggetti istituzionali per creare contatti significativi con i propri pubblici.

Di solito, l’approccio pragmatico che lo caratterizza ha un punto di partenza privilegiato che coincide con un problema.

La scena primitiva che modellizza il rapporto tra cliente e Grapich Designer, inculcata fin dalla formazione, grosso modo è schematizzabile in questo modo:

P= problema

A/R= analisi di P e ricerca

Ts = tentativo di soluzione

ET = eliminazione dei T

Pc(SP) = progetto creativo come soluzione del problema

Ma che tipo di problemi deve affrontare e risolvere il GD? A tal riguardo possiamo facilmente prendere atto che quasi tutti gli addetti ai lavori rispondono alla domanda con frasi come: il GD risolve problemi di comunicazione del cliente.

Io preferisco osservare la questione da un punto di vista eccentrico rispetto all’uso convenzionale del concetto di comunicazione nel contesto in oggetto (ovvero l’elaborazione e la trasmissione di un messaggio da un emittente a un destinatario, il cui fine è la persuasione).

In altre parole, sostengo che il problema primario del GD è creare dispositivi visuali efficaci soprattutto a livello di contatto, utili per ripristinare effetti percettivi-comunicativi là dove si sono interrotti o addirittura mancavano.

Quali sono le conseguenze del mio punto di vista? Parlare di comunicazione in senso olistico significa calarsi in uno scenario dominato dall’idea che la trasmissione e l’efficacia del messaggio, dipenda essenzialmente dalle menti dei soggetti coinvolti nel processo. Se si segue questa impostazione si deve assumere come fondamento del processo l’interazione tra menti, costituite da unità significanti ancorate a concetti, parole, discorsi, assunti come qualcosa di dato dal momento che il pensiero linguistico si basa su codifiche più o meno stabili e può sempre trovare soluzioni che creino l’illusione di verità sostanziali. Di conseguenza il GD dovrebbe innanzitutto agire avendo cura di non disturbare troppo i contenuti, privilegiando la chiarezza, la linearità dell’orchestrazione lineare dei segni sincretici, la simmetria tra forme e figure etc.

Per contro, creare un contatto efficace, significa postulare per l’attività grafica un assetto molto diverso, ovvero, focalizzare lo scenario che vede protagonista il GD in fase creativa, sulla percezione del messaggio, sulle informazioni che appartengono alla configurazione grafica e non a speculazioni intorno a presunti processi di pensiero del destinatario. Nel primo caso cioè per chi crede che l’atto grafico debba essere controllato dai contenuti, buona parte del lavoro di interpretazione avviene a livello di mente. Nel secondo caso, si riconosce che il dispositivo grafico così come viene configurato è molto più ricco di informazioni rispetto l’ipotesi mentalista. In altre parole, si riconosce che la percezione ingaggiata dal dispositivo grafico è portatrice di significanza con effetto immediato, anche se spesso risulta difficile tradurla in parole. È chiaro che lavorando sul contatto percettivo, il rischio di planare su effetti non-lineari del processo comunicativo standard, aumenta e cambia le regole del gioco. Per semplificare, si fa per dire of course, potrei aggiungere che il design concepito ponendo in posizione dominante il contatto percettivo efficace, si pone il problema dell’ingaggio tra assetto grafico e corpo emozionale, prima che i contenuti, intesi come un’estensione del linguaggio ordinario o del pensiero ne stabilizzino il senso.

La conseguenza più imbarazzante del mio punto di vista penso sia questa: spesso succede che la percezione di pregnanza e/o la presa di attenzione immediata di un certo assetto grafico, definiamolo provvisoriamente non-lineare, risulta in realtà, in prima battuta, di non facile comprensione. Ma, visti gli sviluppi dell’attuale Design, sembra proprio che questo non infici affatto l’efficacia del messaggio. Di conseguenza possiamo con una certa prudenza, sostenere che, relativamente alle attese del fruitore, l’intervento grafico non-lineare, si presenta certo come un ostacolo a ciò che normalmente, in questo settore, si intende per comunicazione. Ma nonostante questa perdita di chiarezza, in molti casi risulti più performante. Infatti, se analizziamo il lavoro dei Graphic Designer più accreditati negli ultimi decenni, possiamo facilmente osservare quanto l’ostacolo alla linearità (dei contenuti), oppure se volete, l’andare in deroga alle regole standard, non solo sia fonte di efficacia percettiva ma apres coup venga vissuto alla stregua del vero design.

Come mai chi non rispetta le regole standard, cioè chiarezza, ordine, simmetria, posizione dominante dei contenuti, sembra avvicinarsi di più allo spirito del design? Cosa c’è in un messaggio di più importante del contenuto?

La risposta a queste domande per essere convincente richiede l’entrata in scena dei protagonisti del settore. La messa in osservazione dei loro lavori può essere molto più esplicativa di qualsiasi descrizione o analisi teorica. Aggiungo che non posso certo avere pretese esaustive. I Graphic Designer che posso presentare in questo script sono solo tre. Ma la loro influenza viene considerata importante e significativa da tutti o quasi gli addetti al settore. Quindi Signore e signori, per mettere alla prova le mie congetture, ho il piacere di presentarvi la prima ospite nel contesto delle mie elucubrazioni, ovvero la celebratissima Paola Scher (1948), autorevole designer statunitense, oggi celebre anche nel mondo dell’arte per via delle sue incredibili mappe.

2. Paola Scher e il post-moderno

Paola Scher viene considerata uno dei Graphic Designer di maggiore impatto e influenza della sua generazione. Quando apparve sulla scena attirò su di sé l’attenzione per l’uso non convenzionale dei caratteri tipografici e per il taglio innovativo imposto agli elementi visivi  orchestrati nelle forme testuali che configurava.

Proviamo per un attimo a calarci nel contesto grafico anni settanta/inizio ottanta del novecento. La maggioranza delle soluzioni proposte dai professionisti del settore privilegiavano oltremodo la chiarezza del messaggio, compreso l’uso di caratteri leggeri, poco ingombrati, quasi evanescenti aggiungerei, come, tanto per fare esempio, l’Hevetica. Il Vangelo grafico che un po’ tutti seguivano discendeva dal Modernismo. Il precipuo campo operativo veniva concepito come uno spazio da organizzare secondo principi geometrici votati alla simmetria, all’ordine, alla regolarità e al dominio della funzione: i contenuti ovvero il messaggio non dovevano essere disturbati da soluzioni eccentriche. Per dirla in poche parole, secondo la razionalità modernista, il miglior grafico era quello che non si lasciava percepire. L’idea centrale era più o meno questa: le parole riportate nello spazio grafico, possono evidenziare meglio i contenuti da promuovere, se e solo se, l’influenza del grafico è minima. Altrimenti il suo intervento potrebbe interferire con il messaggio fomentando così il disordine percettivo-cognitivo.

A tal riguardo, mi piace ricordare che il grande studioso della percezione, Richard Gregory, scrisse parole critiche che a me sembrano particolarmente illuminanti per cogliere i limiti del modernismo: “L’estremismo nel seguire la funzionalità ha condotto all’aridità funzionale della scuola del design della Bauhaus, che è per noi oggi forse troppo fredda”.

Bene, osservate ora i manifesti progettati da Paola Scher che vi presento in sequenza.

 

,

È chiaro che descrivere a parole gli effetti dell’atto grafico della protagonista non è affatto semplice. Possiamo però congetturare con ragionevole certezza che Paola Scher abbia reagito al carattere freddo della grafica ordinaria che dominava il mercato quando non era ancora famosa, optando per soluzioni più energiche. La sua ossessione per caratteri tipografici più espressivi è assolutamente evidente ( tra i suoi font privilegiati ci sono i “Sans Serif”, cioè senza grazie, molto leggibili e quasi sempre in stampatello).

La grandezza dei caratteri non è uniforme. La loro distribuzione sembra non allinearsi al gioco di simmetrie e/o gerarchie tra elementi di una impaginazione che in quei giorni si considerava uno standard. Non mi sorprenderei se in prima battuta, ancora oggi, qualcuno trovasse in questi manifesti un risibile disordine. E, a dire il vero, negli anni in cui Paola Scher non era ancora una celebrità, fu duramente attaccata da colleghi, proprio su questo terreno: depauperamento del contenuto centrale del messaggio e disordine percettivo.

Devo aggiungere che la critica o se volete, gli opinion leader che vedevano nella grafica un’arte applicata e non soltanto una tecnica di visualizzazione di messaggi, si schierò quasi subito in sua difesa elevandola a protagonista dell’ondata post-modernista nel Graphic design.

Indubbiamente se con questa etichetta volevano sottolineare la disposizione dell’autrice a trasfigurare il messaggio o problema, che, lo abbiamo visto sopra, dobbiamo immaginare all’inizio del processo creativo, in qualcosa di percettivamente pregnante a partire da complicate narrazioni personali (sostanzialmente sto suggerendo che Paola Scher amava presentare il suo lavoro come il precipitato della sua visione delle cose e del suo sentire), se l’etichetta di post-moderno dicevo, vuole focalizzare questo aspetto, allora si può dire che sintetizzi in una categoria un mutamento estetico con somiglianze di famiglia con ciò che stava avvenendo in quegl’anni in architettura, nel Design degli arredi, nell’arte, nella letteratura e tra i filosofi.

D’altronde l’autrice non ha mai nascosto la sua avversione al Modernismo e in molte interviste rilasciò affermazioni che si compenetravano perfettamente con alcune idee centrali del post-modernismo. Esempio: “Words have meaning and tipograpghy has feeling. When put together it’s spectacular combination”. Qui le parole chiave sono due: il riferimento alle emozioni e l’enfatizzazione dello spettacolo grafico. Sostanzialmente la Scher concepisce l’atto grafico come un gesto creativo di auto-espressione. Il Graphic Designer capace di configurare un proprio stile espressivo sarà efficace nel conferire ai caratteri tipografici o se volete alle parole contenute in una configurazione, quei supplementi di senso che ne deviano la significanza trasformandola in qualcosa di più divertente, emozionante e pazzo (fun). È chiaro che con la parola “espressività”, onnipresente in tutti i suoi interventi pubblici, la Scher in qualche modo intendeva stabilire l’anticipo dell’emozione sulla linearizzazione del contenuto del messaggio (linearizzazione che sarebbe poi emersa après coup grazie all’intervento del pensiero discorsivo del fruitore), anche a costo di andare contro le regole, nonostante che, apparentemente,  il messaggio, in primis, non risultasse impregnato di chiarezza.

Oltre all’auto-espressività, oltre all’appello emozionale anti=boredom…passione quest’ultima, che l’autrice considera di fondamentale importanza per l’atto creativo; in che senso? Nel senso che la creatività emerge dalla noia? Il perdere tempo, il fantasticare, lasciare libera l’immaginazione dal controllo utilitaristico della razionalità sono forse fasi che un creativo deve attraversare? O l’autrice vuole dire semplicemente che la grafica deve vincere la sonnolenza del pubblico annoiato dall’impero di segni standardizzati che arredano il mondo ordinario dei bipedi parlanti? Un po’ tutte queste cose, suppongo…Scusate la digressione. Ricomincio il ragionamento. Oltre all’espressività e all’emozione, dicevo,  c’è un ulteriore aspetto a mio avviso molto importante. Lo voglio circoscrivere dando la parola all’autrice: “I think it’s very important for young dedigners to do two things:one.Spend the first one to five years learning how to design and present design from samebody who is terrific at it. The second is This: develop the ability to explain, defend, and promote your work. Those are the two most important things”.

Cosa sta dicendo Paola Scher a un pubblico di giovani studenti? Certi aspetti del design si imparano meglio vivendoli a contatto con chi lo pratica ( niente di particolarmente nuovo: le botteghe artigiane e artistiche dal nostro Rinascimento e forse anche quelle più indietro nel Tempo, hanno sempre messo in pratica questo apprendimento a dominante percettiva: osservare come lavora il maestro artigiano, ascoltare quello che dice, come si muove, come si relaziona…per imitarlo prima, e poi superarlo). Comunque la vediate si tratta di un suggerimento prezioso. Tuttavia a me interessa la seconda questione, ovvero la consapevolezza dell’importanza dell’abilità di spiegare, difendere, promuovere le proprie idee, dal momento che immagino queste dichiarazioni strettamente correlate alla difesa di uno stile individuale e alle pratiche di auto-legittimazione necessarie per sostenerlo, che a questo punto ipotizzo essere anche un riferimento auto=biografico dell’autrice. L’idea che il Graphic Designer si legittimi da sé, e non appellandosi a codici, a regole vissute come Sacre Scritture è un aspetto molto interessante di ciò che mi piace definire il post-design. Tuttavia l’auto-legittimazione, l’appello a un’espressività conforme alle sfumature emotive ritenute necessarie per catturare l’attenzione di individui saturi di immagini ordinarie, ci permettono di comprendere l’efficacia dell’atto grafico di Paula Scher. Non ci chiariscono però del tutto perché ha funzionato così bene, dal momento che il bisogno di ordine, chiarezza, semplicità sono valori che non possiamo permetterci di trascurare.

Vi propongo quindi come complemento a quanto già detto sopra, alcune idee aggiuntive.

L’autrice rifiutando il paradigma modernista ha agito su un campo che non possiamo più concepire nei termini di “spazio grafico”, operando su di esso con razionalità geometrica ( cioè elaborando allineamenti, simmetrie, caratteri armoniosi, cornici più o meno robuste etc. etc.). Al posto del concetto di spazio lo parlerei di superficie grafica sulla quale agiscono figure, colori,parole come se fossero forze vitali.

Detta in questo modo può emergere un “tratto specifico” che considero più importante del riferimento all’espressività (concetto suggestivo che in realtà spiega ben poco) e al fin troppo abusato appello all’emotività. Questo “tratto specifico” dal mio punto di vista è il tipo di ingaggio percettivo che l’autrice configura. Agendo a livello di ambientazione grafica, il suo stile si è trovato subito interfacciato con il sistema percettivo in scala umana. Noi non viviamo in uno spazio astratto. Lo possiamo certo concepire e organizzare. I matematici, i fisici, gli astronomi possono trovarvi verità più profonde. Ma le nostre percezioni, così come si è evoluto il nostro ammasso cerebrale e il nostro corpo, funzionano fondamentalmente a livello di ambienti, hanno a che fare con superfici eterogenee, con mutamento e movimento a partire da invarianze.

E gli ambienti amano la complessità, le superfici sono piene di irregolarità. Il carattere “mosso” di di una nicchia situazionale nel mondo in scala umana è ciò che in prima battuta accende la percezione, generando immediatamente l’attenzione senza la quale il pensiero non avrebbe il suo target nella realtà.

Giunti a questo punto, la domanda è: andare a caccia di emozioni percettive fuori dall’ordinario non ci fa correre il rischio di abbandonarsi a un cieco disordine (grafico e cognitivo)? Il disordine non fomenta forse un piacere visivo fine a stesso? O addirittura induce un disagio tollerato solo da chi ha preferenze per l’espansione percettive da allucinogeni?

In alcuni casi evidentemente può succedere proprio questo. Non nella grafica di Paola Scher, nella quale è in gioco una riflessione più raffinata sugli scopi e fini del suo lavoro, evidentemente al servizio di un livello d’ordine percettivo fluttuante che come le percezioni naturali privilegia la simulazione del movimento, l’espressività dinamica, un registro emotivo coinvolgente.

In un mondo o per dirla con James Gibson, nell’ambiente vitale esperito in scala umana, caratterizzato da una costante tensione tra invarianti e mutamento, per noi soggetti saturi di informazioni visive, non mi sorprende affatto rilevare quanto influente sia divenuta la lezione di Paola Scher.

3. Neville Brody e il Graphic Design estremo

Sul fatto che il design euforico, emozionale sia divenuto il ricettacolo delle esperienze grafiche più celebrate degli ultimi decenni, non possono esserci dubbi di sorta. Certamente per quantità non è il più diffuso, ma quando si parla di qualità e di tendenza/avanguardia, è difficile negare il suo impatto in ogni dove.

Oltre al lavoro di Paola Scher sono propenso ad attribuire un ruolo particolare a Navill Brody. Se la prima possiamo annoverarla, con i dovuti distinguo, tra i post-modernisti, il secondo non ha mai nascosto la propria adesione alla cultura post-punk.

Se osservate la serie di copertine e un esempio di impaginato della rivista The Face per la quale Brody ha lavorato da sempre, non dovrebbe risultarvi azzardata l’ipotesi di un design estremo che fa discendere l’efficacia per il proprio pubblico da scarti dalle norme più marcati rispetto l’eleganza euforica, gioiosa della Sher.

.

 

I momenti e il flusso passionale che Brody intrappola nella superficie/copertina, si pone all’interno del registro trasgressivo, provocatorio, dissacratorio al quale ci ha abituato la visione Punk della vita. Nessuna delle figure o facce che appaiono recita gesti, espressioni come diocomanda. D’altronde oltraggiare l’attesa del bel gesto, bel corpo, bel volto, utilizzato fino alla nausea dalle cosiddette riviste patinate è uno dei primi comandamenti dello stile subculturale.

Guardate la marca della rivista, non vi sembra utilizzabile anche per scatolette di piselli, pomodori a basso costo! E i caratteri tipografici on i quali è raffigurata non vi sembrano oscillare tra il ricordo di insegne di officine meccaniche in disuso e l’avviso di vecchi cartelli con scritto sopra “Pericolo” o qualcosa del genere? Eppure, The Face, con Brody Art Director è stata una delle riviste che non mi stancavo di sfogliare e leggere. Anche se non sono mai riuscito a definire con precisione la strana bellezza della sua grafica, la percepivo come autorevole e sintomale aldilà dei contenuti che di mese in mese proponeva.

All’inizio pensavo che la sua impostazione astutamente sfruttasse il fascino del negativo. Ma poi rimbalzai contro affermazioni come questa: “Design is more that a few tricks to the eye. It’s a few tricks to the brain”. Naturalmente è Brody che parla, e mi fa piacere citarvene subito un’altra: “We’re very concerned with language and how language works. We’re tryning to engage people rather than dictate how they should be thinking”.

Cosa vuole dirci Brody là dove parla di trucchi per il cervello? Cosa significa il riferimento a come lavora il linguaggio? Per contro, risulta chiara l’affermazione sul coinvolgimento della gente, in netto contrasto con gli obiettivi della grafica commerciale, fatalmente orientata a manipolarla e a dettar legge su come e cosa pensare.

Probabilmente, Brody crea un attrito tra occhio e cervello per denunciare l’effetto incantatorio financo alienante delle immagini in una società dello spettacolo diffuso (sono quasi sicuro che abbia letto Guy Debord), a favore di una liberazione del cervello. Ma perché c’è bisogno di few tricks, alcuni trucchi? Perché non dire semplicemente, e vi chiedo perdono se mi esprimo alla punk, brutti stronzi datevi una bella spazzolata al cervello! Qui entra il gioco il language work citato dall’autore che congetturo sia diverso dal “linguaggio” dei linguisti o dei semiologi. Io credo che Brody lo concepisca come una pratica articolata dall’interazione tra gesto grafico-occhio-bocca che si interfaccia con il mondo a partire dalla percezione di emozioni, gesti, parole cariche di espressività (grazie agli effetti tipografici dei quali è maestro), tali per cui è il loro lavoro a  classificare il senso e non viceversa. Il gesto grafico implica un fare, presuppone una intelligenza non dominata da significati prestabiliti, ma da qualcosa che si iscrive (nelle reti neuronali) con il corpo e risuona come un grido o una musica un po’ grezza ma molto diretta. Di passaggio ricordo al lettore che Paola Sher, Neville Brody e il talento grafico di cui parlerò tra poco, Stefan Sangmaister, hanno lavorato con grande efficacia per l’industria musicale del loro tempo e quindi ipotizzare che quando parlano di emozioni, di linguaggio al lavoro, di espressività seguano le tracce di quell’esperienza, forse non è solo una congettura. Al posto dell’ordine geometrico hanno lavorato sulla “ritmica” grafica e grazie ad essa hanno dato una valenza musicale al senso del messaggio senza fargli perdere l’approdo alle significanze stabilite dalle convenzioni linguistiche.

4. Stefan Sagmeister e il post-design

 Come Scher e Brody, Stepan Sagmeister, nato a Vienna, viene considerato una star della grafica e del design contemporaneo. Condivide con il collega inglese una evidente e dichiarata propensione per la provocazione, per lo shock grafico, aggressivo, al servizio di messaggi diretti che emergono insieme a percezioni che scuotono l’emotività. Una delle frasi preferite del Graphic Designer austriaco che ricordo, dice sostanzialmente: la grafica che mi interessa sviluppare deve toccare il cuore di qualcuno.

Invece, personalmente vedo Sagmeister connesso Paola Scher non per il lavoro grafico bensì per la medesima disposizione a proiettarsi in una dimensione artistica. Ma mentre per la designer statunitense possiamo parlare di una terza fase della sua carriera sempre più orientata verso l’arte (le prime due fasi evidentemente sarebbero quelle del disegno, seguita dalla grafica pubblicitaria e ambientale), ho maturato l’idea che Sagmeister si sia da sempre arreso al suo demone estetico e quindi dei tre mi appare come un visionario capace di stravolgere le regole del buon design, con la determinazione e la violenza degli artisti d’avanguardia.

Osservate per esempio un paio di manifesti che configurò per l’AIGA (American Institute of Graphic Arts): il primo (1996) presenta due linguacce in erezione che si fronteggiano, evidenziando un Fresh Dialogh carico di ironia. Le informazioni normalmente diffuse in occasioni di congressi o convegni sono generosamente esposte scritte da una mano un po’ etilica. Evidentemente Sagmeister non ci nega la possibilità di informarci ma ci costringe a focalizzare l’attenzione sulla sua idea di Congresso, il senso di riunioni tra colleghi che personalmente interpreto all’insegna di polemiche, litigi, ostilità e quant’altro.

 

Anche il manifesto del Congresso AIGA del 1997 fece scalpore. Sagmeister disegnò due polli decapitati in movimento, anzi quello in primo piano è impegnato in una acefala affannosa corsa. Le informazioni sono tutte accumulate a destra e sembrano incalzare il movimento dei polli. I vari caratteri tipografici scritti a mano in stile “ritardato mentale” danno all’insieme una inspiegabile bellezza. Proviamo a dare un significato alla configurazione visiva. I polli stanno evidentemente al posto dei congressisti. Quindi abbiamo una narrazione in rilievo sulle altre possibili. La metterei giù così: Cari colleghi/polli dal momento che non avete cibo/idee venite, venite anzi affrettatevi a raggiungerci…

Con provocazioni geniali il grafico austriaco oltre ad essere indubbiamente efficace, tutti parlavano, commentavano, criticavano i suoi lavori, si trasformò in un personaggio influente che una moltitudine di persone consideravano alla stregua di un maitre à penser e forse altrettante poco più di un agente provocatore che con le sue follie intossicava le funzioni base del design.

Probabilmente il manifesto AIGA che fece più scalpore fu quello della conferenza di Detroit nel 1994, nel quale Segmeister si fotografò denudato con le scritte scarnificate sulla pelle, come facevano molti Punk storici nel tentativo di emulare Sid Vicius.

 

In questo manifesto-performance apparve per la prima volta una formula che lasciò un po’ tutti sbigottiti: Style= Fart; lo stile è una scoreggia. Che cosa voleva dire? In modi diversi Segmeister ha sempre sostenuto che lo stile personale non aveva un grande valore nel Graphic Design.

Come può un personaggio dai tratti assolutamente riconoscibili, dominati da un’estetica un po’ pazza ma anche contagiosa, sostenere che lo stile non ha valore?

Diciamo subito che fa parte del modus operandi del Punk è per estensione del post-Punk usare formule spiazzanti, paradossali e soprattutto detestare le spiegazioni troppo articolate.

Sagmeister concepiva lo stile interpretato come una Gestalt alla stregua di una prigione per la creatività. Oltraggiare una delle parole chiave della post-modernità significava liberarsi da qualsiasi narrazione precostituita che intralciasse il feeling tra designer e la situazione o problema che dovevano essere affrontati. Al posto dello stile il nostro designer poneva la captazione di una

Idea veramente creativa perchè nata in stretta correlazione con l’oggetto del design che non è un bel disegno da proiettare negli occhi della gente, ma che è piuttosto un evento, una sorta di performance capace di diffondere partecipazione, condivisione, contatto.

Denudarsi, seppur in un manifesto, di fronte al proprio pubblico significava mettere il corpo del designer a garanzia della sua integrità. Avere una buona idea creativa è più importante del padroneggiamento delle tecniche che secondo le nostre abitudini visive rendono attraente un lavoro grafico. Le idea creative arrivano se siamo liberi da ogni protocollo prestabilito. Sono sincere e efficaci se diamo ad esse una forma conforme al nostro sentire, senza mediazioni o calcoli. Mi sembra che si possa riassumere in questo modo il pensiero di Segmeister sul design. Mi permetto solo di aggiungere che portando alle estreme conseguenze questo pensiero il miglior design non è design ma qualcosa d’altro. Probabilmente è questo “altro” design che Sigmeister sta cercando spingendosi nell’arte e forse ancora più in là, in territori più rischiosi nei quali le percezioni cessano di essere ancorate all’ambiente naturale per immergersi nella sensibilità. Segmeister è convinto da sempre che questo stretto sentiero che dobbiamo percorrere lasciandoci dietro stile, bellezza, ordine, è il cammino che porta alla felicità. Non so voi, ma io la lampada del dubbio la mantengo accesa.

5. Penultime riflessioni (le ultime parole le lascio volentieri ai lettori)

 Qual è la struttura di senso che connette i 3 graphic designer che ho velocemente, troppo velocemente, lo so, analizzato?

La metterei giù così: il loro rifiuto di standard grafici precostituiti ha consentito ai fruitori degli oggetti grafici che via via configuravano, di ricavare il massimo di informazioni.

Secondo i protagonisti l’aumento di informazioni corrispondeva ad una sorta di liberazione del cervello.

Ma che tipo di informazioni è implicata nella loro visione? Le definirei informazioni emotive. A mio avviso sono stati estremamente abili nel mantenere gli appelli emozionali a contatto con gli scopi comunicazionali di messaggi utilitaristici. Questo ha permesso loro di interfacciarsi con successo con aziende, industrie, soggetti istitutuzionali, contribuendo alla loro crescita sia in termini di mercato e sia culturale. In altre parole congettura che i tre protagonisti del mio script abbiano saputo trovare n sostanziale bilanciamento tra efficienza e creatività.

Mi piace definire post-design il gioco di dissolvenze incrociate tra forme/funzioni e ingaggio percettivo, che ho creduto di intravvedere nei loro lavori. I concetti di gioco e dissolvenza significano che in realtà le questioni formali, gli aspetti funzionali (a qualcosa) sono rimasti sul tavolo da lavoro, ma il loro rilievo è di volta in volta classificato dal tipo di ingaggio percettivo necessario per attivare un livello di senso che ha come primo referente il corpo (il sistema mano-occhio=cervello). Il corpo per percepire con il massimo di efficacia deve muoversi, emozionarsi, prendersi dei rischi. La grafica attualmente efficace simula il movimento percettivo in assetto ambiente, attraverso la sregolazione dei ritmi compositivi del passato. In apparenza il gesto grafico sregolato si iscrive come una “rottura” degli standard, ma ad una più attenta analisi emerge la conversione dello sguardo da esso implicata, con l’ombra di nuove regole emergenti che potranno strutturarsi in un nuovo paradigma (ecco perché al termine della mia riflessione ho ipotizzato il post-design). La sensibilità “musicale” dei tre autori, a mio avviso, si è rivelata decisiva per riconfigurare un ordine semantico ai margini del caos, vissuto dai fruitori come un appello emozionale che orienta l’informazione visiva più che determinarla in modo lineare e dogmatico.

Lamberto Cantoni
Latest posts by Lamberto Cantoni (see all)

175 Responses to "Tre Graphic Designer molto speciali"

  1. Noemi Nevola   21 Dicembre 2020 at 16:04

    Buonasera, ho appena finito di leggere questo articolo molto interessante che tratta di questi importanti e storici Graphic Designer.

    Credo che il filo conduttore che li lega indissolubilmente sia, oltre a quello che ha sostenuto lei cioè il fatto che essi vanno contro ad ogni tipo di standard grafico proclamando “l’aumento di informazioni” come “liberazione del cervello”, il fatto di voler suscitare nello spettatore, cliente e fruitore qualcosa di diverso dalla consueta e chiara comprensione.

    Il loro obiettivo credo si ponga al di là di una vendita in ambito consumistico: sicuramente il loro obiettivo principale non è quello di vendere un CD o un poster, ma qualcosa che colpisca emotivamente chi guarda.

    Tendono ad andare oltre, per comunicare una sorta di messaggio… Probabilmente quello che hanno fatto tenta di uscire dal campo “Graphic Design”, sfiorando se non addirittura rientrando nel campo dell’arte che possiamo classificare come “contemporanea”.

    A questo punto l’obiettivo, che come già spiegato non è quello di comunicare in modo chiaro il messaggio commerciale di un prodotto, risulta essere più come una performance anzi un happening che vuole prendere in considerazione le reazioni del pubblico ed anzi quasi renderlo parte del lavoro.
    In cambio “dell’immagine” fornita vuole una condivisione, partecipazione e contatto da parte del pubblico.

    Ciò che è comprensibile e chiaro, a volte, non è ciò che permette questo tipo di reazioni o emozioni di chissà quale scalpore.

    Il Graphic Designer, comunque, dovrebbe poter diffondere ogni tipo di messaggio ed attenersi al tipo di lavoro conferitogli.
    Sicuramente dipende anche dalla clientela: alla fine come sappiamo il Graphic Designer è un lavoro quindi credo che non sempre ci si possa permettere di “uscire fuori dagli schemi” e quindi non attenersi a ciò che in realtà va di moda e quindi può vendere.

    Il tipo di lavoro che questi 3 Graphic Designer compiono è prevalentemente mentale: una sorta di persuasione che si basa sul sentire, percepire e non il guardare.

    Inoltre, potremmo considerare il loro operato come un azzardo, un voler provare qualcosa di nuovo, che ipoteticamente avrebbe anche potuto non funzionare e rivelarsi un vero flop.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   22 Dicembre 2020 at 08:42

      Hai ragione, non è facile uscire dagli schemi perché prima bisogna saperli riconoscere per quello che sono, i vantaggi che promettono e gli svantaggi. Poi bisogna essere preparati a presentare con intelligenza ed empatia le proprie idee a persone che spesso risultano abituate a seguire gli standard. Soprattutto quando si reputa necessario correre rischi “grafici” cioè quando si mette in discussione l’approccio percettivo e cognitivo del passato, cercando strade nuove.
      Hai ragione quando parli dell’azzardo dei 3. Ma noi sappiamo che ha funzionato e ne dobbiamo tenere conto.

      Rispondi
  2. annalisa   21 Dicembre 2020 at 16:31

    Ho letto con interesse l’articolo, però non sono convinta che i tre grafici citati siano meglio di un Milton Glaser. Tra le donne preferisco la Davidson, colei che ha creato il marchio Nike, alla Scher. La grafica è molto soggettiva quasi quanto l’arte.

    Rispondi
    • mauri   21 Dicembre 2020 at 16:47

      Non sono un esperto ma nel mio piccolo noto che la grafica oggi è molto diversa da quella dei tempi di un Glaser. L’articolo aiuta a capire perchè è successo e chi sono stati i protagonisti. Certo che se avessi un ristorante non metterei il depliant o il manifesto pubblicitario nelle mani di un Sigmeister.

      Rispondi
      • Lamberto Cantoni
        Lamberto Cantoni   21 Dicembre 2020 at 17:23

        Sulla questione del ristorante depliatizzato la vedo diversamente. Ti faccio un esempio. Davanti al mio studio c’è una baracchina che vende panini e piade in gran quantità. Il proprietario ha fatto scrivere su una lavagnetta appesa alla parete i tipi di panini che si possono scegliere. Praticamente tutto del maiale accoppato viene utilizzato (mancano solo gli zoccoletti). Bene, il testo è stato redatto probabilmente da un grafico. La grandezza dei caratteri varia in modo calcolato; alcune parole sono in corsivo; altre in stampatello; dei caratteri sono colorati; ci sono diciture di panini che si incurvano…La faccio breve, un piccolo spettacolo grafico. Non amo la carne di porco ma per rispetto a quel grafico una piada alla porchetta me la sono sparata.

        Rispondi
        • mauri   21 Dicembre 2020 at 17:44

          Sei sicuro che il grafico quando ha scritto il capolavoro che descrivi non fosse ubriaco? Non ci credo alla favola del rispetto. Avevi fame e hai scelto il posto più comodo e veloce. Anche a me piace la grafica creativa. Solo nel posto giusto. Andresti in un ristorante dove il menu si presenta come un quadro di Picasso?

          Rispondi
          • Lamberto Cantoni
            Lamberto Cantoni   21 Dicembre 2020 at 18:19

            Perché no! Non è mia abitudine mangiare il menu.

  3. Silvia Pedrelli   21 Dicembre 2020 at 17:12

    Stefan Sagmeister si serve di concetti di marketing per creare le sue opere.
    I suoi lavori infatti, li considero opere e lui, lo considero un artista.
    Il suo stile rivoluzionario è la sua principale caratteristica, tanto che, molte volte supera i concetti che vuole trasmettere, nonostante definisca lo stile una scoreggia.
    Non voglio fare un paragone, né aprire un altro tema di ampio dibattito, ma potrei azzardarmi a citare Damien Hirst, artista con evidenti riferimenti a marketing e comunicazione.
    La grafica di Paula Scher invece, è sicuramente anch’essa di grande impatto emotivo, come d’altronde quella di Sagmeister e, come lui, la porrei sempre più vicina all’arte.
    Al giorno d’oggi nessuno si sofferma più su tante informazioni e per catturare un’immediata attenzione il messaggio deve essere esposto molto chiaramente. Tanti elementi possono sì, creare un impatto emotivo, ma possono anche essere una distrazione dal messaggio. E’ quindi utile introdurre solo ciò che è necessario, per suscitare curiosità ed emozione, un pò come Neville Brody fa nelle sue copertine di grande impatto emotivo, ma con estrema essenzialità.
    Non a caso, Brody fu uno dei personaggi a introdurre lo spazio bianco nelle riviste.

    Rispondi
  4. Francesco Bertozzini   21 Dicembre 2020 at 18:30

    Il legame tra questi tre Graphic Designer è ovviamente la funzione del progetto.
    Mi spiego meglio:
    L’obbiettivo principale, non è quello di “vendere”, bensì scaturire un’emozione contorta nel fruitore che, in seguito, porterà a polemiche e discussioni, fino a far accrescere la visibilità della persona e creare un legame irrazionale tra fruitore e ideatore. Infine la simbiosi comunicativa porterà alla “vendita”.

    Questo genere di comunicazione aumenta sistematicamente la frequenza del pubblico.
    Produce un accrescimento dell’impatto e suscita delle intenzioni di acquisto.

    E’ però indubitabile che essa provocazione determina nello stesso tempo anche una reazione negativa alla percentuale di persone sensibili. Per questo, come detto dalla mia compagna possiamo definire questo tipo di comunicazione un “azzardo”.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   22 Dicembre 2020 at 08:57

      Hai ragione. Per essere creativi oggi bisogna lavorare sullo scarto da qualcosa che funziona come norma. L’ampiezza dello scarto efficace non possiamo conoscerla in anticipo. Questo comporta l’assunzione di rischi. Che fare? Analizzare con attenzione la situazione e il problema da affrontare…la misura del rischio va parametrata a questi due aspetti. Ma bisogna abituarsi a metterci sempre la faccia.

      Rispondi
  5. james   21 Dicembre 2020 at 18:47

    Mi trovo d’accordo con Annalisa. Milton Glaser è un grande. I 3 dell’articolo li trovo sopravvalutati. Nessuno di loro ha mai creato qualcosa come “I love New York” cuoricino compreso.
    Ho delle perplessità su quello che dice Silvia. Ad un talento come Sagmeister il marketing deve risultare alquanto indigesto.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   22 Dicembre 2020 at 09:51

      Io credo che Silvia Pedrelli non volesse dire che Sagmeister seguisse come un fesso le indicazioni di manager burocratizzati. Penso volesse dire che un grafico talentuoso prende in considerazione fattori strategici per condurli ad un punto di contatto efficace con il pubblico. Il dispositivo grafico che configura, contiene in potenza questo annodamento marketing oriented, anche se spesso appare ironizzato ,in veste comica,stravolto.
      La questione più difficile da far capire all’uomo marketing ottuso (troppo chiuso nelle sue categorie) è questa: il consumatore oggi detesta “leggere” nel messaggio la presenza di speculazioni marketing. Se vuoi vendere devi fare un passo indietro. Un bravo Graphic Design dissimula lo spike del Mk coinvolgendo il fruitore su questioni esotiche rispetto lo schema manipolazione-acquisto-vendita.

      Rispondi
  6. Federico basttistoni   21 Dicembre 2020 at 19:05

    Mi sono soffermate sulle grafiche precedentemente inserite, a mio parere Stefan Sagmeister da un tono di grafica piú artistica, quasi da non definirla grafica, mentre nei altri grafici precedentemente citati vedo uno studio basato su il font, sull’equilibrio delle linee, spessori e vuoti.

    Rispondi
  7. Beatrice Ricci   21 Dicembre 2020 at 20:50

    Il ruolo principale di un graphic designer è principalmente quello di riuscire a comunicare visivamente un messaggio per conto di un’altra persona, ovvero il cliente, pertanto è necessario tenere conto del contesto e sopratutto a chi è indirizzato un determinato messaggio.
    Un buon graphic designer, secondo il mio punto di vista, è colui/colei che è in grado di riuscire a trasmettere un messaggio in maniera immediata, chiara ed efficiente, attirando l’attenzione delle persone a cui si sta rivolgendo provocandone anche delle emozioni, sensazioni che facciano in modo da rimanere impresse nella mente di queste ultime.
    Per quanto riguarda i tre grafici trattati all’interno dell’articolo, personaggi i cui stili distintivi sono oramai fonte d’ispirazione per molti designer in tutto il mondo, penso che il loro modo di fare grafica sia stato influenzato, all’inizio della loro carriera, dal contesto storico in cui sono cresciuti; infatti questi tre graphic designer hanno vissuto la loro gioventù in un’epoca di rottura con il passato, grazie prima dalla controcultura degli anni ‘60 e poi successivamente con il movimento punk, e questo si può ben notare dal fatto che i lavori di questi artisti sono spesso provocatori, trasgressivi ma sopratutto auto-espressivi ed il mezzo che utilizzano per comunicare i loro messaggi e le loro emozioni è appunto la grafica, un mezzo ampliamente utilizzato tra gli anni ‘60 e ‘70 in ambito musicale e all’interno delle varie subculture giovanili come strumento d’espressione individuale il cui scopo era quello di tradurre visivamente ciò che uno pensava in quel preciso istante. Detto ciò penso che questi tre graphic designer siano riusciti a cogliere lo spirito dell’epoca a loro contemporanea realizzando lavori innovativi a cui le persone di allora non erano abituate, in quanto abituate a un tipo di grafica molto pulita, ordinata ed omogenea, riuscendo così a distinguersi dalla massa e facendo del loro stile grafico il loro “marchio di fabbrica” personale.
    Se inizialmente Scher, Brody e Sagmeister si sono avvicinati al mondo del graphic design per pura esigenza personale di voler “gridare” al mondo il loro messaggio, hanno poi iniziato ad utilizzare il loro stile grafico unico al servizio di altri; tuttavia penso che attualmente questi grafici siano divenuti una sorta di grande marca del graphic design a cui alcuni si rivolgono perché sono personaggi noti i cui lavori hanno un gran valore agli occhi delle persone grazie alla fama da loro raggiunta e che il loro approccio iniziale alla grafica sia andato perso.
    Infine vorrei aggiungere che, ad eccezione di graphic designer celebri, oggigiorno riuscire a creare della grafica che riesca a colpire le persone sia molto più difficile, dato che ci troviamo in un periodo storico in cui ormai le persone hanno visto di tutto e sono costantemente bombardate di immagini, pubblicità ecc… è fondamentale più che mai riuscire ad emergere e rendere il messaggio che si vuole trasmettere il più fruibile possibile alla gente a cui ci si rivolge nel minor tempo possibile.

    Rispondi
  8. Alice Colombari   21 Dicembre 2020 at 21:24

    Paola Scher, Sagmaister e Brody, come possiamo comprendere dall’articolo concepiscono l’atto del grafico come un gesto creativo, di auto espressione, con tratti specifici che valorizzano il loro ‘io’ e il loro modo di ‘provocare’ in un certo qual modo gli spettatori.
    Al graphic designer è di certo richiesta una grande capacità artistica, è un professionalità che ha bisogno di sviluppare una capacità fondamentale per svolgere il suo lavoro: l’abilità comunicativa.
    All’interno dell’articolo possiamo trovare diversi quesiti posti a noi lettori, ed ecco, la struttura che connette questi graphic designer qual’è?
    Secondo me è quella di riuscire a ricreare attraverso molteplici comunicazioni più o meno provocanti diverse reazioni nello spettatore facendolo uscire in un qualche modo dalla ‘normalità’ del tempo.

    Una delle più grandi evoluzioni di questa professione si è sviluppata, ancor di più, con l’avvento delle nuove tecnologie.
    I computer hanno cambiato le metodologie di lavoro portando ad un cambiamento sempre più evidente delle regole del marketing e dell’advertising. Lavorare nella pubblicità per il grafico, significa ampliare le sue competenze artistiche.
    Azzardare nel campo della pubblicità, trovare sempre qualcosa di nuovo, di diverso fa parte del lavoro dei veri grafici.

    Cosa ci riserverà quindi il futuro? Una miriade di cambiamenti, di azzardi e di innovazioni.

    Rispondi
  9. Aurora Fabbri   22 Dicembre 2020 at 10:15

    Questi tre personaggi, sono tre delle icone più importanti del Graphic Design. Estremamente diversi tra loro ed ognuno con una propria sfaccettatura che, però, li porta ad approdare ad un obbiettivo comune da raggiungere: emozionare attraverso la comunicazione.
    Essi comprendono la creazione grafica come una celebrazione della loro persona per arrivare a mettere in atto una sorta di provocazione sul pubblico.
    Loro, come quasi tutti i graphic designer, non si concentrano tanto sull’oggetto che vanno ad offrire, ma sull’emozione che possono scatenare nel loro pubblico, sulla loro reazione.
    Infatti, il ruolo principale del graphic designer (per definizione) è proprio riuscire ad esprimere e trasmettere un messaggio in modo immediato, scatenando nel suo fruitore un’emozione.
    Questo tipo di comunicazione aumenta sistematicamente il desiderio del pubblico, accrescendo l’intenzione di acquisto.
    Penso che questa sia la base dalla grafica: fare emozionare.
    Mi rendo conto, però, che oggi è estremate difficile riuscire a creare una grafica che sia impattante per ogni persona. Siamo costantemente bombardati da foto, illustrazioni e pubblicità estremamente funzionali che le aspettative riposte in questo ambito hanno alzato ancora più l’asticella.
    Sono sicura, però, che grazie alla grande innovazione della tecnologia e all’utilizzo di programmi sempre più innovativi, la grafica sia alla stesso tempo in continua innovazione, sempre rivolta al futuro. Penso che sia proprio questo l’aspetto che più mi piace di questo ambito.
    Non importa quanto muterà con il tempo, ma di una cosa posso essere certa, resterà sempre legata a tutte le epoche passate per il medesimo obbiettivo: EMOZIONARE.

    Rispondi
  10. Camilla Zanotti   22 Dicembre 2020 at 10:57

    Stiamo parlando di tre graphic designer che hanno rivoluzionato la grafica e che hanno contribuito a renderla ‘arte’.
    Sicuramente il loro intento non si è mai fermato ad una semplice ‘comunicazione efficace’.
    I loro manifesti, poster, contenuti sono pura rivoluzione, stiamo parlando di arte.
    Ai tempi creare questi tipi di contenuti era davvero tentare l’impossibile, uscire dagli schemi, il pubblico non era abituato ad una grafica disordinata, dispersiva e confusionaria ed è stata proprio questa la rivoluzione, andare oltre a ciò che ormai era ovvio, scontato.
    Sono dell’idea che pure oggi certe grafiche potrebbero funzionare, non tanto per il contenuto ma per il potere che ha l’immagine di catturare il pubblico, molte volte il disordine attira soprattutto in questo caso nel quale pure il disordine è stato pensato e progettato!
    Tre pionieri la cui immaginazione trascese gli strumenti esistenti e creò opportunità per l’innovazione.

    Rispondi
  11. Lucia Morigi   22 Dicembre 2020 at 12:51

    Partendo dal titolo, sono d’accordo che si tratti di 3 graphic designer molto importanti e anche, come descritti in questo caso, speciali. Tutti i designer infatti hanno contribuito allo sviluppo dei grafici avvenire, in poche parole hanno lasciato un’impronta indelebile nel mondo della grafica.
    Come ha sottolineato lei i tre grafici, non si sono voluti attenere alle regole convenzionali della grafica ma hanno voluto trasporre le proprie idea e anche pensieri nei propri elaborati. I tre grafici, infatti hanno portato alla luce produzioni sorprendenti ed audaci. I questi, infatti, possono essere descritti come un tipologia di soggetti creativi che applicano i loro talenti non nella pura arte con la soddisfazione estetica come arte primaria, ma comunicativa e propositiva.
    C’è però bisogno di fare una distinzione, il grafico non è un’artista, non è un creativo (relativo alla realizzazione artistica), ma utilizza la creatività come suo alleato per suggerire proposte che siano insieme inedite e persuasive, capaci di raggiungere con immediatezza i fini prefissati. Il loro compito quindi, metaforicamente parlando, è quello di fare da ponte tra l’arte e il design funzionale, infatti una buona grafica deve rendere un pensiero chiaro e visivamente efficace. Infatti oggi giorno si parla di grafiche sintetiche e concise, riprendendo una frase famosissima del noto architetto Ludwig Mies van de Rohe “less is more”. Frase coniata all’inizio del novecento, ma che ha un’importante valenza anche ora. Come sappiamo, i tempi di fruizioni oggi giorno sono diminuiti drasticamente, riducendosi a pochissimi secondi. Ricapitolando, ho voluto, in base alle mie conoscenze, una distinzione da ciò che si considera “arte” e “grafica”.

    Rispondi
  12. Sara Bocchini   22 Dicembre 2020 at 13:55

    Leggendo questo articolo ci siamo imbattuti di fronte a tre grandi figure di graphic designers, che ammiro molto.
    A mio parere il ruolo del GD, non è tanto finalizzato solo al mondo del marketing, ma molto di più a quello della comunicazione, ed è per questo che in tutti e tre icone troviamo come obiettivo quello di emozionare il fruitore. Quello che entrambe le icone son andate a produrre, si avvicina notevolmente al mondo dell’arte contemporanea, in quanto rifiutano le classiche regole grafiche per arrivare a un risultato totalmente impattante e visibilmente creativo.
    Il loro scopo all’immagine data è quella di ottenere una condivisione, partecipazione e contatto da parte del pubblico. Questo è alla base della mondo grafico odierno: riuscire a suscitare scalpore e emozioni.
    Nonostante nel ventunesimo secolo ci troviamo sommersi da immagini grafiche ritengo che ancor oggi sia importante che il GD trovi un proprio stile, una propria immagine che lo caratterizzi e distingua, e che come obiettivo si proietti sempre verso l’innovazione, che permetterà di catturare il pubblico.

    Rispondi
  13. Siria Vaselli   23 Dicembre 2020 at 10:09

    Credo che la comunicazione grafica debba sempre fare riferimento a quello che è l’ambiente sensoriale, emotivo e culturale del destinatario.
    Impostare la grafica su regole precise mi sembra un po’ riduttivo. Le regole ci sono e servono per aiutare ad organizzare contenuti consistenti in modo funzionale ma tali regole sono dettate da contesti culturali, da abitudini quotidiane e da stereotipi e preconcetti.

    Basti pensare al fatto che se vogliamo trasmettere movimento in avanti e dinamicità all’interno di una pubblicità di automobili la stessa auto verrà fotografata da sinistra verso destra e verrà lasciato spazio vuoto nel lato destro. Ciò dipende dal fatto che noi occidentali culturalmente scriviamo da sinistra verso destra e a livello inconscio un’immagine del genere crea una determinata sensazione e richiama un abitudine come la scrittura e la guida.

    Credo che le regole subiscano molte mutazioni e che aggiornarsi sia fondamentale ma non puntiamo tutto su questo. Puntiamo sull’efficacia del messaggio, sulla risoluzione di un problema basandoci su sensazioni ed emozioni principalmente.

    Se tutto diventasse standardizzato a livello di “regole” il tutto si omologherebbe e non si riuscirebbe più ad avere la stessa efficacia in termini di grafica e messaggio.

    Penso che i grafici citati abbiano dato una scossa nel momento giusto e abbiano aperto il pubblico a un nuovo modo di comunicare anche se a volte può sembrare esagerato o addirittura creare disagio, anche quel sentimento è indice che il lavoro è andato a segno. Di sicuro non passerebbe inosservato ed è proprio questo che fa la differenza.

    Quello che dice la Paola Scher riguardo alla capacità di vendita e protezione del proprio lavoro è fondamentale perché serve a far entrare, convincere i destinatari delle loro idee; serve a spiegare elementi innovativi che meritano un introduzione e un instradamento a quella che è una nuova modalità di comunicazione incentrata sulla pregnanza percettiva ed efficacia emotiva di trasmissione del messaggio.

    Rispondi
  14. Antonio Fagnocchi   26 Dicembre 2020 at 12:10

    I tre grafici citati in questo articolo sono senza dubbio di grandissima importanza per la storia del GD e che sono ricordati ancora oggi, che però come scritto nell’articolo sono usciti dalla grafica convenzionale si è sfociati nel campo dell’arte, i loro lavori sono opere in primis e elementi di comunicazione solo in secondo piano. Il grafico vero e proprio non è un artista bensì vende con il suo lavoro. Un buon lavoro di design deve essere “invisibile”: il fruitore non si accorge di essere davanti a un elemento di design e si comporta con naturalezza, grazie al lavoro efficace e a volte persuasivo del grafico. Detto ciò basti pensare anche solo a come la grafica sia molto cambiata in solo un decennio con i social, gli smartphone e soprattutto la nascita della User Experience che mette al centro del processo progettuale l’utilizzatore del prodotto, non si progetta ciò che piace al designer, ma quello che soddisfa l’utente; e lo si fa migliorando usabilità, accessibilità e piacere nell’utilizzo di un prodotto.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   29 Dicembre 2020 at 10:50

      Mah! Antonio, conosco troppi artisti che non trascurano affatto le vendite come tu suggerisci, per non avere dei dubbi. E poi che il buon designer debba essere “invisibile” è proprio ciò che i 3 hanno messo in discussione. Ma forse non ho capito quello che volevi dire. La user experience è certo importante ma non è tutto. Prendo come esempio proprio il tuo: come mai lo smartphone cambia così tanto in pochissimo tempo? Dal momento che ci sono tante forme sul mercato e che nel tempo seppur in modo appena percettibile, cambiano, dobbiamo forse pensare che i progettisti di appena qualche anno or sono erano degli incompetenti?

      Rispondi
  15. Sara Mascherucci   26 Dicembre 2020 at 18:47

    Tre graphic designer che, sicuramente, si differenziano dai loro colleghi.
    Le realizzazioni fuori dagli schemi abbandonano gli standard classici per soffermarsi sulla reazione emotiva dei fruitori.
    Un chiaro esempio di provocazione, che, mostra come il suscitare polemiche possa essere una tecnica di mercato efficace.
    I tre Graphic Design sono a conoscenza che i loro progetti, dopo la pubblicazione, saranno al centro di critiche e discussioni.
    Penso sia proprio questa la struttura di legame che accomuna i tre grafici… oltre a scaturire emozioni da parte del fruitore.
    Inoltre uscire dagli schemi, rompere le regole è un arma a doppio taglio, puoi fallire o creare una rivoluzione, ma senza queste persone che rompono gli schemi standard non avremmo mai un avanzamento rimarremo sempre al medesimo risultato.

    Rispondi
  16. federica forte   27 Dicembre 2020 at 17:32

    Indubbiamente stiamo parlando di tre grandissime icone che ci portiamo dietro dalla storia del Graphic Design.
    In tutte e tre i casi troviamo “sfogo” a un espressione creativa che in ogni modo e a loro modo arriva allo spettatore in maniera emozionale, suggestiva.

    Ciò che li accumuna è l’approccio che pongono nei confronti del pubblico, ossia nell’esatto momento in cui lo spettatore è dinanzi ai capolavori.
    La reazione opposta e contraria risulta quindi un atteggiamento provocatorio, rimane impresso in chi lo guarda e piuttosto scioccante per soggetti più sensibili. In altre parole informazioni che arrivano più o meno impattanti.

    Nei vari personaggi troviamo dunque una strategia di comunicazione, tale per cui un messaggio arrivi e provochi emozioni, ciò che appartiene al ruolo del Graphic Designer, ma non ritroviamo quella strategia comunicativa di vendita che può esserci dietro a un prodotto.

    Rispondi
  17. Silvia Savioli   28 Dicembre 2020 at 10:13

    Originariamente la figura del grafico era la persona, il tecnico, che si occupava prettamente della gestione delle macchine da stampa in tipografia e litografia.
    Il graphic designer oggi è colui che si occupa di gestire la progettazione grafica di una campagna pubblicitaria; di realizzare prodotti visivi per la stampa (ad esempio biglietti da visita e brochure) o per la diffusione digitale (siti web e canali social). Il grafico si occupa di realizzare il materiale grafico necessario a diffondere il brand (marchio) o un determinato messaggio pubblicitario in altre parole ha il compito di tradurre in immagini il messaggio che si vuole comunicare.
    Deve riuscire ad ottenere un elaborato gradevole da vedere, che catturi l’attenzione di chi guarda in modo semplice ed immediato, per arrivare ad avere un risultato finale veramente funzionale. Nell’articolo si parla di tre grafici che hanno rivoluzionato questo settore. Paola Scher è una delle graphic designer più influenti del mondo e si trova a cavallo tra la cultura pop e le belle arti. Le sue grafiche sono iconiche , intelligenti e accessibili. L’icona del design, Stefan Segmeister è uno dei più importanti grafici contemporanei. Conosciuto soprattutto per le sue copertine di dischi, i suoi manifesti e per le sue prese di posizione provocatorie. Infine Neville Brody, designer, direttore artistico e disegnatore di caratteri tipografici britannico.
    Per concludere, ciò che lega i tre graphic designer citati nell’articolo credo sia il loro modo non convenzionale di comunicare un determinato messaggio. L’obiettivo non è solo la vendita di un prodotto ma di creare una connessione con il fruitore attraverso un atteggiamento provocatorio. Questo permette al messaggio di rimanere impresso nella mente dello spettatore.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   29 Dicembre 2020 at 10:36

      Il riferimento alla memorizzazione è interessante. Nel mio script l’ho dato per scontato. Merita un approfondimento.

      Rispondi
  18. Greta Lodi   29 Dicembre 2020 at 11:08

    Suscitare emozioni.
    Questo è quello che ognuno di noi cerca di fare nella quasi totalità delle azioni che compie durante la sua vita.
    Questo è anche ciò che lega i 3 graphic designer citati che cercano di andare oltre alla comunicazione, al marketing, alla funzionalità, alla comprensibilità.
    Noi ricordiamo momenti che ci hanno fatti emozionare, nel bene o nel male, molto più che la bellissima pubblicità della Apple, per quanto sia ben fatta.
    Questi 3 artisti spiccano perché mirano all’emotività delle persone oltre che alla loro mente, ciò li rende indimenticabili come gli elaborati da loro creati.

    Rispondi
  19. Aurora Verdone   31 Dicembre 2020 at 13:07

    Se si vuole che un messaggio sia potente il megafono stesso che lo trasmette dovrebbe essere equalmente potente ed adeguato. Rendere la grafica attraente e d’impatto come un’opera d’arte non è solo svago creativo, ma crea appunto il percorso fisico che il lettore è spinto quasi per inerzia a seguire, come per forza di gravità. Una grafica noiosa è come una salita ripida. In cima c’è il messaggio, ma arrivare ad esso richede fatica e non tutti gli spettatori hanno voglia di scalare e semplicemente passano oltre. una grafica interessante, con le sue asimmetrie affascintanti, sono invece come uno scivolo in discesa per lo spettatore, che non solo è invogliato a scendere ma troverà arrivare al messaggio stimolante e quasi divertente.

    Personalmente apprezzo molto il lavoro della Scher perché la sua grafica sfora quasi all’illustrazione e io come grafica alle prime armi tendo a creare come se dovessi fare un’illustrazione, dove il mio sfondo è il paesaggio e le parole sono personaggi che interagiscono con esso e le altre persone attorno a loro, dove ognuna ha un’importanza diversa e tutta la composizione segue una certa dinamicità ed ha anche una certa profondità, prospettiva, 3dmensionalità (che è una cosa che spesso manca nelle grafiche preconfezionate alla portata di tutti sui social).

    Brody esegue un’operazione simile ma giocando sulle rotture e i contrasti fra linguaggio e messaggio, che sembrano non coincidere, andando di proposito a creare uno spaesamento e allo stesso tempo curiosità nello spettatore, in un atteggiamento molto punk.

    Sagmeister poi è ancora più estremo, arrivando perfino a mettere in dubbio il valore dello “stile”, creando una grafica provocatoria, ironica, e che prende forma esclusivamente in base al soggetto del messaggio e non in base a gabbie precostituite dallo stile, che possono essere controproducenti per la creatività del designer stesso. Su questo punto mi trovo abbastanza d’accordo, perché in tutte le forme d’arte come la fotografia o l’illustrazione, l’originalità emerge laddove lo stile cambia sempre, o comunque è in grado di adeguarsi.

    Il fotografo o l’illustratore o il graphic designer o altro, secondo me (senza necessariamente arrivare a soluzioni così estreme), DEVE saper cambiare il proprio stile o prima o poi, dopo 20, 50, 100 lavori tutti simili, si stancheranno inevitabilmente del proprio mestiere, si esauriranno in un “burn-out” creativo. E soprattutto, deve saper sfruttare più mezzi espressivi possibili per arricchire e variare il proprio lavoro, usando la fotografia, la performance, l’arte 3D, l’illustrazione 2D, per raggiungere il risultato più appropriato e nel minor tempo possibile.

    Rispondi
  20. Enya   2 Gennaio 2021 at 12:46

    Paola Scher, Sagmaister e Body…tre maestri prima che tre grafici.
    Da anni il mondo del graphic design è in continua evoluzione per merito di artisti come quelli sopra citati, probabilmente senza personalità come le loro la grafica sarebbe rimasta la stessa di molti anni fa.
    Perché in fondo il cambiamento è scatenato proprio da questo, un primo pioniere munito di coraggio che decide di far sentire la proprio voce all’interno di un monotono coro.
    Mi spiego meglio, ad oggi abbiamo a che fare con una grafica aperta al cambiamento, al progresso e alla continua ricerca di nuove soluzioni, ma tempo fa la visione che ci proponeva il graphic designer si discostava molto dall’attuale e il pubblico a cui ci si rivolgeva non era pronto a confrontarsi con un impatto grafico come quello della Scher o Sagmaister, così aggressivi e rivoluzionari.
    Ma il punto è che il cambiamento è avvenuto proprio perché il pubblico non era pronto e non aspettandosi una nuova interfaccia cosi radicale ne ha di seguito scaturito un immensa notorietà, stima e un nuovo modo di pensare lo spazio grafico.
    Senza persone cosi magari saremmo ancora ancorati a un tipo di grafica istituzionale e scolastica.

    Rispondi
  21. Giorgia Baldassari   2 Gennaio 2021 at 14:05

    A mio parere, i tre grafici trattati hanno davvero rivoluzionato il mondo della grafica, hanno davvero lasciato un segno indelebile nella storia
    Dei grafici. In particolare modo credo che il ruolo di noi grafici non sia solo vendere un prodotto
    ma far trasmettere un emozione, una funzionalità, in quello che creiamo, andando a creare un legame fra fruitore e prodotto, e fra fruitore e grafico. La capacità di un grafico a mio parere sta nel tramettere in modo efficace, in modo diretto un messaggio, attirando l’attenzione del pubblico così che questi ne restino affascinati. Al giorno d’oggi grazie al computer vi è stato un cambiamento sia a livello lavorativo quanto di marketing, mentre nei giorni d’oro della Scher, di Brody e Sagmeister certamente si aveva un modo diverso di lavorare e interagire con il pubblico. Credo che la grafica, così come il deisgn, la fotografia ecc. debba adattarsi ai giorni nei quali vengono esposti, e come sappiamo oggi i tempi di fruizione sono davvero brevi e avere troppi manifesti tutti uguali non funzionerebbe, quindi alternare con più stili forse sarebbe un bel modo per non portare a noia.

    Rispondi
  22. Sharon Miotti   2 Gennaio 2021 at 14:29

    Molto comunemente quando si parla di graphic design lo si ricollega immediatamente alla razionalità e al concetto di bello, invece, fa solo da tramite per la comunicazione di messaggi pregnanti da parte delle aziende verso il pubblico.
    Il problema primario dei grafici è creare dispositivi visuali efficaci a livello di contatto, ovvero che lavorino sulla percezione del messaggio.
    Questo per dire che la progettazione grafica e il corpo emozionale devono arrivare prima dei contenuti che diano un senso a ciò che vediamo.
    La conseguenza di tutto ciò è che il messaggio risulti non-lineare, poco definito, ma questo non sembra essere un’ostacolo, anzi, è più performante.
    Ma come mai chi non rispetta le regole di razionalità sembra avvicinarsi di più allo spirito del design? Cosa c’è in un messaggio di più importante del contenuto?
    Nel mondo contemporaneo il tempo è ridotto, velocizzato. Le persone non hanno tempo di perdere tempo.
    L’abilità del grafico dunque sta nel riuscire a catturare l’attenzione di chi guarda. Basta ordine e composizioni perfette. Un buon grafico è colui che esce dagli schemi e riesce a coinvolgerti emotivamente chi guarda, perché l’informazione emotiva arriva prima del messaggio.
    L’importante è sconvolgere l’ordinario per imprimere meglio il messaggio da comunicare. Un esempio sono i tre grafici citati sopra che hanno sconvolto le regole tradizionali del graphic design, preferendo l’informazione emotiva ad una composizione visivamente perfetta/ordinata.
    Un altro esempio molto conosciuto è il lavoro di Oliviero Toscani, il cui grande successo è legato ad alcune sue immagini shock che hanno fatto scalpore.
    Lui con il suo “shockvertising” è riuscito a diffondere in tutto il mondo un determinato tipo messaggio senza l’uso di parole, ma soltanto tramite immagini. Visivamente potenti, ma che ci spiegano effettivamente in che direzione il graphic design sta andando.

    Rispondi
  23. D.TAURO   3 Gennaio 2021 at 18:15

    Leggendo questo articolo sostengo e ritengo che il Grafico sia un lavoro a tutti gli effetti. Ma vorrei sottolineare che c’è differenza tra essere un grafico e realizzare la grafica. Perchè molti artisti hanno ‘’trasformato’’ un progetto grafico in un‘opera, o come meglio dire hanno trasformato l’atto grafico in un gesto e messaggio creativo.

    Un Graphic Designer invece lavora su altri concetti, comunica, e soddisfa delle richieste specifiche ricevute da un’ mittente . ( cliente, azienda ecc…) Per esempio come viene citato nell’articolo Stefan Sagmeister è considerato uno dei più importanti graphic designer contemporanei. Noto soprattutto per i suoi manifesti, per le sue copertine di dischi, e per le sue prese di posizione provocatorie. Sicuramente l’obiettivo principale dell’artista non è quello di vendere un prodotto ma qualcosa che colpisca emotivamente chi guarda. Uscendo così dalle vesti di grafico ma entrano in vesti di artista.

    Ribadisco che il mondo del Graphic Designer è molto ampio, ma la vera ‘’grafica’’ è orientata a configurare testi visivi con scopo finale di comunicare messaggi pregnanti, sfruttati da aziende e soggetti istituzionali per creare contatti significativi con i propri pubblici. Tutto Il resto dal mio punto di vista personale è solo un‘ opera d’arte. Anche l’arte come la Grafica è capace di comunicare visivamente un messaggio per conto di un’altra persona.

    Rispondi
  24. Rebecca Rizzo   4 Gennaio 2021 at 14:41

    Ci troviamo davanti a 3 personaggi iconici, che hanno segnato la storia della grafica e che hanno reso possibile dei cambiamenti che hanno stravolto completamente non solo il ruolo del grafico, ma anche di tutte quelle norme considerate ai tempi standard per la buona riuscita di un elaborato di questo genere. Hanno deciso di andare oltre le convenzioni e di mostrare al pubblico un altro modo di fare grafica, un modo innovativo che permettesse al proprio estro creativo di esprimersi e di slegarsi dal resto assumendo atteggiamenti provocatori verso il pubblico con lo scopo di suscitare in loro una reazione, non importa se positiva o meno perchè voleva comunque dire che i loro prodotti grafici erano rimasti impressi nelle loro menti.
    Ciò che accomuna Scher, Brody e Sagmeister, oltre alla loro bravura ovviamente, è stato il loro tentativo di svincolare la grafica dal ruolo poco gratificante che aveva all’epoca per mostrarci quanto altro poteva esserci dietro ad essa e di tutti i modi con i quali poteva essere impiegata al punto da realizzare anche lavori oggi considerati opere d’arte. Questi 3 personaggi hanno innalzato il ruolo della grafica, portandola ad esempio ai livelli dell’arte, facendo capire quanto in realtà fosse importante e fondamentale sia nel marketing che nella comunicazione in generale. Ci hanno mostrato quanto è importante suscitare una reazione, di conseguenza anche di come l’approccio mentale e l’esperienza dell’utente fossero necessarie per ottenere risultati incredibili. Hanno rimodellato la figura del grafico e dell’approccio da utilizzare nell’ambito comunicativo invitandoli a sperimentare ed ad osare perché anche la grafica è in continua evoluzione e non deve mai annoiare.

    Rispondi
  25. Jesica Mazzola   5 Gennaio 2021 at 16:53

    “If you want to communicate something, you’d better make sure that your design piece is well-dressed and that its teeth are fixed. At the same time, I still believe that if it is only stylistically great and it has nothing to say, it still is not going to make a lasting impression on anybody.” Fra le diverse citazioni che ha inserito lei, all’interno del suo articolo, vorrei aggiungere anche questa di Stefan Sagmeister che può raffigurare al meglio il collegamento che esiste fra i tre GD di cui lei ci ha parlato. Sicuramente, come sostiene lei stesso nelle sue riflessioni, ciò che accomuna Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister è il superamento, o meglio il rifiuto, di standard grafici precostituiti che consente ai fruitori di ricavare il massimo di informazioni.
    Trovo però che ciò che li accomuna ulteriormente possa essere identificato nella seconda parte della citazione da me riscritta: il GD deve comunicare, deve trasmettere un qualcosa, un progetto può essere bello, accattivante e interessante da un punto di vista estetico ma se non comunica nulla è semplicemente un flop, un qualcosa che esiste e muore poco dopo, che non dura nel tempo.
    Un vero grafico deve possedere le tre P: passione, perseveranza e professionalità. La passione è ciò che alimenta il guizzo creativo; La perseveranza è la costanza nel proseguire i propri propositi anche nelle difficoltà, con perseveranza si possono superare gli ostacoli; La professionalità è la qualità che distingue un professionista da un dilettante, è la conoscenza.

    Il GD è creatività e scienza, ricerca continua dello stile, del bello e del giusto. Bisogna conoscere tante informazioni, bisogna nutrire la mente ma soprattutto non smettere mai di usare l’immaginazione: guardare sempre oltre con la consapevolezza che si può sempre imparare e migliorare. Ecco perché la Scher, Brody e Sagmeister superano i confini di una grafica ordinaria. Solo chi conosce le regole può infrangerle per creare qualcosa di nuovo e dare il suo personale contributo alla crescita del proprio mestiere. Bisogna conoscere le basi e quando le si conosce tutte, le si possono superare. Chi non conosce, non innova.

    In sostanza ciò che vorrei sottolineare è che non si può decidere dal nulla di andare oltre alle regole e di rifiutarle ma che prima serve avere un’ottima conoscenza di tutte quelle regole che si vogliono superare e sono certa che i tre graphic designer hanno potuto rifiutare gli standard grafici precostituiti solamente conoscendoli. Impara, poi disobbedisci e supera. 

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   6 Gennaio 2021 at 08:28

      Of course Jessica. Ma quando l’informazione emotiva classifica quella lineare, chi decide riguardo l’effettiva valenza comunicazionale del messaggio? Il gioco grafico che cerca un contatto a livello di “relazione” più che di “contenuto” (per dirla con Watzlawick) non è facilmente a-priori diagnosticabile nei suoi effetti. Questo implica che il grafico visionario debba prendersi dei rischi. Nessuno, me compreso, sottovaluta l’ambito delle conoscenze. Se qualcosa è diventato uno standard, significa che in un certo qual modo ha funzionato e le sue regole sono condivise. Ma questo non esclude la possibilità di creare altri giochi con regole diverse. A me non interessa stabilire chi supera cosa in nome di una idea di “progresso tutta da verificare. A me interessa un mondo nel quale una pluralità di giochi (grafici) convivono e competono. Per questa visione pluralista, più che la conoscenza delle vecchie regole credo entri in gioco una attività basata sul “disimparare”.
      Prendo come esempio un nome importante. Picasso, il cui straordinario talento grafico è fuori discussione, amava ripetere che la sua vita poteva essere divisa in due parti: nella prima aveva imparato a dipingere in modo sublime; nella seconda aveva cercato in ogni modo di disimparare tutto quello che aveva studiato, inspirandosi all’arte primitiva e agli scarabocchi dei bambini. Inutile aggiungere che è il secondo aspetto che ancora oggi lo classifica come uno degli artisti più rappresentativi del novecento. Cosa voglio dire con questo apologo? Lo schema: imparo poi trasgredisco, è troppo semplice per risultare operativo. E suggerisce un messaggio sbagliato, ovvero che basta trasgredire per superare (confondere la capacità o l’abilità di attirare l’attenzione con la creatività che cambia il corso delle cose, è uno dei problemi del nostro tempo). Ma sono convinto che non volevi dire questo. Diciamo che mi hai stimolato a proseguire i tuoi ragionamenti che evidentemente ho trovato intelligenti e corretti.

      Rispondi
      • Jessica Mazzola   18 Aprile 2021 at 15:42

        Posso confermarle che mi trovo in totale accordo con ciò che ha scritto. Il mio concetto “imparo e trasgredisco” è un qualcosa di molto più strutturato, probabilmente è passato un messaggio sbagliato, non basta appunto trasgredire le regole per poterle superare e sicuramente non tutti coloro che conoscono le “regole” di cui ho parlato possono trasgredirle, anche perchè se così fosse sarebbe talmente semplice arrivare al livello dei 3 Graphic Designer di cui lei ha parlato o anche di Picasso.

        Con il mio commento quello che ho voluto sostenere è che sicuramente per arrivare ad un tale successo Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister avranno avuto un’ottima conoscenza di ciò che li circondava, che a parer mio è un discorso a parte dalla loro ineguagliabile dote. In sostanza penso che non avrebbero potuto fare tutto ciò senza la loro conoscenza ecco perchè ho voluto dare una maggiore importanza all’ambito delle conoscenze.

        Rispondi
  26. Daniela Panuta   5 Gennaio 2021 at 22:35

    La figura del grafico in origine era la persona, il tecnico, che si occupava della gestione delle macchine da stampa in tipografia e litografia. Con il tempo il termine “grafico”, invece, ha preso il significato della parola inglese “graphic designer”. Il graphic designer è colui che si occupa di gestire la progettazione grafica di una campagna pubblicitaria.Il grafico si occupa di realizzare il materiale grafico necessario a diffondere il brand (marchio) o un determinato messaggio pubblicitario. Beh ovvio, no?!Riassumendo si può dire che il grafico ha il compito di tradurre in immagini il messaggio che si vuole comunicare.
Deve riuscire ad ottenere un elaborato gradevole da vedere, che catturi l’attenzione di chi guarda in modo semplice ed immediato, per arrivare ad avere un risultato finale veramente funzionale.
    Nell’articolo in questione vengono citati tre grandi grafici, di importante rilevanza e nomea nell’ambito dotati di una grande e notevole capacità comunicativa, che però rompe gli schemi della comunicazione convenzionale del Graphic Designer.
    Il loro obiettivo é quello di puntare ad una comunicazione che entri in contatto con il fruitore, che susciti delle emozioni, e delle reazioni, che rimangano impressi nella mente, che vada nel profondo e che quindi si distacchi dalla classica figura del Graphic Designer, ovvero di colui che adotta un programma di comunicazione mirato alla solo vendita del prodotto.

    Rispondi
  27. Sofia Toccaceli   7 Gennaio 2021 at 11:15

    Irriverente ed ironica; impattante ed inaspettata. A grandi linee sono questi gli attributi che possono riunire questi tre designers. Penso che il loro punto di forza principale sia appunto l’irriverenza compositiva che lascia a primo impatto lo spettatore di fronte ad una rappresentazione visiva piena di elementi… ma che sia proprio questo il fatto che tiene lo spettatore incollato a ciò che sta guardando.
    Nella loro grafica il messaggio è arrivato ad una traduzione compositiva assoluta ed ovviamente timbrica. Nonostante ne stravolgano le regole principali, non c’è dubbio che ci siano delle leggeri influenze formali della precedente scuola Bauhaussiana nella grafica della Scher e Brody (i font a bastoni, le linee direzionali..), e nonostante a primo impatto ogni elemento ci sembri posizionato secondo alcun rigore… in realtà lo è.
    Meno possiamo dirlo per Sagmeister, il quale invece si affida completamente alla propria mano, ma soprattutto all’ironia iconica e metaforica che ha fatto si che il suo design si avvicinasse il più possibile al livello dello spettatore comune. Esso lo fa stravolgendo completamente i canoni e portando la grafica allo stadio estremo dell’artigianalità utilizzando appunto la propria grafia manuale, ossia l’elemento più impreciso e più umano che possiamo incontrare in un layout grafico (il quale si pensa automaticamente sempre come un insieme di segni e forme digitalizzate).
    Si può dire però che universalmente la progettazione visiva è comunque pensata per essere fruita all’occhio secondo regole di gerarchia percettiva, presenti in qualsiasi grafica che si rispetti.
    Infatti qualsiasi interfaccia grafica, qualunque essa sia, in primis deve essere progettata secondo un senso e dei parametri il meglio fruibili all’occhio ed alla mente degli spettatori: l’equilibrio c’è sempre, ed è sempre pensato in precedenza.
    Di sicuro c’è che Brody, Sagmeister e la Scher hanno capovolto i canoni di bellezza formale universali che hanno caratterizzato fino al loro tempo la grafica ed il mondo del design.

    Rispondi
  28. Emanuele Maraldi   7 Gennaio 2021 at 11:42

    Questi tre grandi nomi del graphic design sono riusciti sfidare e a superare le regole di quel tempo andando a costruire dei modelli di progettazione che sapessero coniugare esigenze pubblicitarie commerciali, libertà creativa ma anche arte. Sicuramente, in un periodo dove prevaleva la funzionalità estrema e la fredda tecnica di progettazione grafica, la Scher, Sagmeister e Brody hanno preferito seguire un’approccio e uno stile meno standardizzato e più personale che non si limitasse alla “semplice” comunicazione di un messaggio. Volevano che il contenuto assumesse un carattere più artistico che potesse colpire, come un pugno, la soggettività e l’emotività del fruitore destinatario anche favorendo una maggiore memorizzazione del messaggio stesso e permettendo inoltre di svelare, grazie alla valorizzazione della propria auto-espressione, la figura umana/emotiva e non semplicemente esecutiva che sta dietro a questi lavori autentici.

    Rispondi
  29. Claudia Varano   7 Gennaio 2021 at 19:39

    Penso che il fattore che accumuna questi tre graphic designer, oltre al superamento delle regole tradizionali della grafica e quindi delle convenzioni della comunicazione di quegli anni e il contesto storico nel quale sono cresciuti e hanno vissuto, che probabilmente ha influenzato il loro lavoro, sia il riuscire a suscitare un’emozione, a non far rimanere indifferenti chi ascolta quel messaggio. La Scher, Brody e Sagmaister (e non solo) con i loro lavori, hanno contribuito all’evoluzione del graphic design per come è inteso oggi.

    Rispondi
  30. Elisa Tito   8 Gennaio 2021 at 14:37

    In questo articolo sono stati citati 3 grandi icone della storia della grafica che oltre ad essere graphic design si avvicinano molto , a mio parere, ad essere artisti poiché appunto con le loro grafiche di grande impatto, soprattutto con Sagmeister , ci avviciniamo molto all’idea di arte.
    La cosa che accomuna questi 3 graphic design “speciali” ,come ci suggerisce il titolo, è che tutti con i loro lavori cercano di emozionare e coinvolgere quasi come una sorta di provocazione il pubblico e penso che far emozionare e creare un forte impatto sia la base di tutto , di una buona comunicazione.
    Certo il pubblico non era abituato a questo tipo di grafica che risulta disordinata e confusionaria ma è proprio questa la rivoluzione.
    Non è facile uscire dagli schemi quando si ha un pubblico “abituato” a cose estremamente diverse poichè ci sono sia aspetti positivi che negativi , svantaggi e vantaggi ma sicuramente io sarei piu’ attratta da un design che va oltre gli schemi piuttosto che cose statiche e noise.

    Rispondi
  31. Gessica Hima   10 Gennaio 2021 at 14:07

    Tre graphic designers che rappresentano perfettamente il significato della loro professione, ossia la grafica in sé e la sua progettazione.

    Come già detto nell’articolo, i progettisti trattati sembrano sfociare nell’ambito dell’arte, ma con grande attenzione alla comunicazione da trasmettere, che non è sottovalutata ma è da considerare come ultima tappa e quindi traguardo dell’osservatore. Così facendo stabiliscono un percorso mentale, una storia che definisce l’emozione, determinante per imprimere il messaggio.

    I designers trattati conoscono i confini e sanno quando è necessario spostarsi da un ambito all’altro. Valutano l’obiettivo e decidono l’ambito che permette loro di raggiungere il grado di awareness nell’osservatore. La persuasione è una tecnica e un modus operandi, sempre più utilizzato, che consiste nel cogliere l’attenzione: siamo sommersi da informazioni inutili alle quali il nostro occhio è abituato e che con il tempo ha imparato ad escludere (il nostro cervello lo fa automaticamente, ha bisogno di classificare gli input esterni e di accantonare tutto ciò che considera frivolo).

    Ecco perché i progettisti citati si servono di una comunicazione impattante; non è un capriccio per trasgredire ma la definirei più una strategia che, unita al loro stile, funziona; solo successivamente arriva la rivoluzione.

    Potremmo erroneamente dire che “sono lavori sostanzialmente vuoti”, bensì il disordine percepito è intenzionale e presenta una gerarchia visiva ben studiata, in grado di restare nella mente dell’osservatore grazie all’emozione provata. Per quanto riguarda le emozioni e le conseguenze che hanno sulla mente, dato che c’è la possibilità di deviare dall’analisi, mi limito ad aggiungere che, come detto nell’articolo, le emozioni giocano un ruolo importante, poiché di un evento passato spesso rammentiamo l’emozione provata e, in un secondo tempo, il contesto. Che bel ruolo ha l’amigdala, eh?

    I graphic designers citati – e tra questi, più di tutti, Sagmeister per la sua forte provocazione – ci permettono di classificare progetti di comunicazione come opere d’arte. Infatti, ci ritroviamo innanzitutto ad interpretare ciò che appare ai sensi, ma, ponendo maggiore attenzione, noteremmo che il messaggio ultimo del poster è chiaro e forse poco ha a che fare con l’arte.

    Effettivamente, l’interpretazione di questi progetti è prevista dal designer ed è voluta; in questi casi, non abbiamo altri margini di interpretazione.

    La provocazione è voluta da loro, l’arte è attribuita da noi. Nel caso di Fontana, invece, fondatore dello “spazialismo”, gli unici a vederne una provocazione erano i suoi stessi colleghi artisti, perché il pubblico aveva già capito, accettato ed utilizzato i suoi concetti spaziali in luoghi in cui creare una nuova dimensione era possibile e percepibile.

    “Il compito dell’arte nei valori sociali, morali e spirituali è nullo. L’artista interviene nella società a mantenere viva la ragione di essere uomo” -Fontana

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   10 Gennaio 2021 at 19:33

      Gessica, la persuasione non può essere spiegata solo con l’attenzione. Noi usiamo la parola persuasione differenziandola dalla convinzione, per significare un coinvolgimento emotivo aldilà dell’aspetto puramente logico.
      Infatti si può dire:” mi hai convinto, ma non solo persuaso”.

      Rispondi
  32. giorgia piastra   11 Gennaio 2021 at 17:39

    In seguito alla lettura del seguente articolo mi piacerebbe soffermarmi innanzitutto sul concetto di ordine e disordine nel graphic design. Io credo che bisogna distinguere diverse tipologie di fare grafica. La grafica è come un albero dal cui tronco di diramano infiniti rami e ritengo sia interessante esplorarli tutti. A volte è certamente più utile utilizzare il minimalismo, l’ordine, la chiarezza per trasmettere messaggi altrettanto chiari, ma esplorare nuove risorse e dare sfogo a nuove idee non significa necessariamente cadere nel disordine. Io ritengo che bisogna sperimentare, anche controcorrente. Come Paola Scher ebbe il coraggio di lanciare le sue idee sebbene non fossero state inizialmente comprese ma successivamete riconosciute fino a fare di lei una dei graphic design più noti. La grafica non è solo l’unione di parole, testi e immagini poste in maniera all’interno di una cornice, bensì si tratta di passione, emozioni, comunicazione con lo scopo anche di stupire persone annoiate da un design spesso privo di identità.

    Rispondi
  33. Veronica B   15 Gennaio 2021 at 15:44

    Leggendo l’articolo e le sue riflessioni ho subito pensato a chi in Italia ha avuto un approccio simile e mi sono voluta soffermare su Oliviero Toscani; famoso in tutto il mondo per la sua collaborazione con il marchio italiano Benetton in cui nelle campagne pubblicitarie di questi anni, ha dimostrato una poetica provocatoria ed esplicita dando vita a polemiche per i suoi manifesti sull’AIDS, la pena di morte o la guerra .
    Anche lui utilizza questo tipo di linguaggio per stimolare le menti e per far riflettere i fruitori. Quindi non parlo solo di consumatori.
    “La vita ha senso solo se si vive “contro”. Il conformismo uccide la creatività e finisce per annientare l’uomo.”
    utilizzo una sua citazione poiché penso rifletta anche il modus operandi dei GDesigner che lei ha citato.
    Andando controcorrente si va a stimolare un numero maggiore di fruitori, proprio perché il messaggio esplicito viene capito da molti, mentre un secondo ipotetico messaggio “nascosto” viene capito solo da chi si fa stimolare.
    Gli artisti citati lavorano tutti sul superamento, ma chi puo permettersi questo? Chi puo concedersi il lusso di rompere le regole? Ovviamente solo chi, quelle regole le conosce alla perfezione.
    Nel graphic Design deve coesistere l’aspetto estetico ma anche una serie di alti fattori, quindi non solo deve essere bello ma deve appunto anche comunicare.
    Questo discorso però può spaziare e trovare meno o più valore a seconda dell’artefatto grafico che abbiamo davanti.
    Ovviamente tutti i nomi citati fanno parte di un momento storico in cui la vita di ognuno di noi non era abituata al bombardamento di informazioni ed immagini a cui siamo sottoposti oggi.
    Penso che nel 2021 molte più persone rispetto ad un tempo riescono a captare le velature di alcune influenze pubblicitarie.
    Nell’ era dei social ad esempio, le informazioni grafiche che ci vengono sottoposte vanno a solleticare le nostre menti. Ad esempio visionando il profilo Instagram di Balenziaga ci troviamo di fronte a delle immagini che ad un primo impatto, ,agari viste da un fruitore comune non vengono capite.
    Qualche giorno fa per pubblicizzare una mascherina firmata dalla casa di moda é stata pubblicata una foto di un caspo di insalata che indossa quella mascherina.
    Solo una casa di moda del calibro di Balenciaga può permettersi di utilizzare come modello un caspo di insalata. Proprio perché le regole le conosce e le ha utilizzate in passato che ora può andare a distruggerle.

    Rispondi
  34. martina tinti   19 Gennaio 2021 at 14:51

    Il lavoro del Graphic Designer è, prima di tutto, di tipo cognitivo: deve indagare la società e la psicologia degli individui, più in particolare come essi rielaborano le informazioni che percepiscono e quindi come funzionano le strutture cognitive all’interno della loro mente. Questo credo sia uno degli aspetti più importanti e complessi con il quale un graphic designer deve avere a che fare. Il G.D. inoltre deve essere EMPATICO, si parla dunque di emozioni, altro fattore che sicuramente ha una grande rilevanza e le emozioni sono controllate dalla nostra mente, dal nostro cervello, ecco perché Brody parla di “tricks to the brain” . Il graphic design, dunque, si serve dell’estetica per fare leva su fattori che coinvolgono lo spettatore, come ad esempio l’attenzione, le emozioni, la capacità di percezione delle persone e di rielaborazione di un messaggio. In questo senso, quindi, il design diventa funzionale. Una grafica ben fatta crea quindi un’estetica funzionale. Non esiste “bello” o “brutto” ma “funziona” o “non funziona” ed è proprio questo che vuole intendere Paula Scher quando consiglia di sviluppare al massimo le proprie capacità di far valere un proprio progetto e quindi di convincere il cliente ad approvare la tua idea. Ognuno ha un proprio gusto estetico personale, cosi come ogni cliente ha il suo colore preferito, ma il Graphic Designer dovrà andare sopra al gusto del cliente ed essere in grado di superarlo. Come? Rendendo le sue scelte FUNZIONALI ed essendo estremamente convincente nell’esporle al proprio cliente, così che, a meeting concluso, anche se hai usato il colore che esteticamente al cliente “non piace”, sei comunque riuscito a venderglielo, perché “funziona”. Quando questa estetica funzionale ha a che fare con la creatività, quindi con un’elevata capacità di rielaborare concetti in maniera creativa passando da idee, pensieri astratti o concetti mentali, materializzandoli in un prodotto grafico, allora si ha il Graphic Design, che non è semplice grafica. Il Graphic Design è un’idea, una congettura, un pensiero “vincente” che è stato abilmente traslato in immagini e parole nel modo più oggettivo possibile. Il Graphic Design parla, attraverso i colori, i font, le immagini, le forme. Utilizza un linguaggio prettamente visivo, che è in grado di comunicare partendo dall’inconscio della nostra mente, per poi passare al conscio riuscendo così ad incanalarsi e stabilirsi nelle scatole della memoria a lungo termine della nostra mente.
    Nell’epoca contemporanea e digitalizzata in cui viviamo, fatto sempre più di immagini, in cui l’osservatore ha un livello di attenzione sempre più “usa e getta”, mi sembra evidente quanto questo linguaggio stia acquisendo e acquisirà sempre più rilevanza in diversi e molteplici settori.

    Rispondi
  35. Paolo Teodonno   31 Gennaio 2021 at 02:19

    Gli stili dei tre grafici e in particolare di Neville Brody e Stefan Sagmeister sono stati una reazione all’estremizzazione dei paradigmi del modernismo anestetico, dove la forma è esclusivamente al servizio della funzione e spesso l’apporto personale del grafico viene considerato un aspetto secondario, se non inesistente rispetto al contenuto.
    La corrente post-modernista, invece, mira generalmente ad incanalare la soggettività del designer e a creare considerazioni personali e suscitare un’emozione in colui che fruisce il media, che possa essere negativa o positiva, ma non un sentimento di indifferenza.
    Inoltre il rifiuto della simmetria, dell’equilibrio, chiarezza, e dell’uso di forme prettamente geometriche potrebbe rendere il dispositivo grafico più interessante, originale e attirare l’attenzione del fruitore. Tuttavia ciò può portare ad una confusione nel tentativo di comprenderlo che si potrebbe tradurre in un abbandono da parte del fruitore, soprattutto in occasioni dove i tempi di fruizione sono relativamente brevi; per esempio, mai penserei di progettare una cartellonista stradale rifacendomi a Stefan Sagmeister o Paola Scher per ovvi motivi. Detto ciò non esiste uno stile più “corretto” o “giusto”, tutto dipende dall’abilità del graphic designer di coordinare il proprio lavoro creativo al contesto e al pubblico di riferimento.

    Rispondi
  36. Fedor Beserra   13 Marzo 2021 at 18:00

    A parer mio la loro non è trasgressione come molti affermano, secondo me è un altro modo di comunicare, il loro personale modo di comunicare che li rende unici e riconoscibili anche senza la loro firma sotto!
    Purtroppo la maggior parte delle comunicazioni sono spalmate su uno stesso livello che si distaccano poco o nulla l’una dall’altra, questo è il problema principale che un grafico, un comunicatore deve combattere! E in che modo affronta questo problema? Solo ed esclusivamente trovando un linguaggio tutto suo ed Autentico!
    In questo modo diventa un bravo comunicatore che la storia ricorderà, non un trasgressore.

    Rispondi
  37. Pasqualini Cristiana   18 Marzo 2021 at 10:32

    Indubbiamente in questo articolo si è parlato di tre grandi icone che hanno cambiato e rivoluzionato il mondo della grafica. Tre grandi Graphic Designer diversi tra di loro ma che in qualche modo vengono accomunati dalla capacità di funzionamento dei loro progetti. Progetti che hanno reso come opere d’arte ma che soprattutto hanno in comune l’obiettivo principale del lavoro del Grafico, ovvero quello di scaturire emozioni nell’osservatore. Ciò che è stato più sorprendente nei lavori di questi grafici è appunto la loro volontà di andare oltre gli schemi imposti ai loro tempi sul loro lavoro, ma che nonostante questo hanno funzionato e che ancora oggi vengono ricordati.

    Rispondi
  38. Giorgia Verdini   5 Aprile 2021 at 14:33

    Leggendo l’articolo, quello che lega questi tre artisti sono le emozioni, far scaturire nel fruitore delle emozioni, distaccandosi dall’idea che il graphic design serva solo a vendere, andare oltre le “linee guida” del graphic design […]”privilegiando la chiarezza, la linearità dell’orchestrazione lineare dei segni sincretici, la simmetria tra forme e figure etc.”
    Questi tre graphic designer sono un po’ dei “fuori legge” che sono riusciti a scrivere una nuova pagina del graphic deisgn.

    Rispondi
  39. sebastiano baratta   16 Aprile 2021 at 13:31

    Leggendo questo articolo, possiamo capire che tutti e tre come obbiettivo avevano quello di far scaturire all’interno del fruitore una parte emozionale rispetto alle grafiche convenzionali del tempo, tutti e tre a modo loro hanno reinterpretato cosa sia per loro il graphic design.
    Ci sono riusciti perché da quel momento alcune regole sono state cambiate e accettate.
    Ovviamente le loro qualità sono dovute ad anni di apprendimento perché solo conoscendo le regole si possono infrangere. Dal punto di vista del marketing creare graphic design come faceva Sagmeister portava a tantissime discussioni e dibattiti, ma allo stesso tempo ne aumentava la visibilità. Tutti e tre hanno giocato d’azzardo, sono riusciti a vincere, una percentuale di rischio c’era ma è stata travolta e dimenticata dall’incredibile lavoro che hanno reaslizzato con il tempo.

    Rispondi
  40. Marco Caporrino   4 Maggio 2021 at 13:02

    Il compito del buon graphic designer è quello di riuscire a comunicare un messaggio e per farlo deve essere chiaro ed immediato. Ma come la storia ci insegna anche trasgredendo le “regole base” il messaggio arriva ma in modo differente e questo è il caso di questi tre grandi grafici. Ognuno di loro credo sia stato influenzato in qualche modo dall’ambiente circostante del loro tempo ed è normale poi che riversino ciò che li circonda nel proprio lavoro. Ognuno di loro ha voluto provocare rompendo gli schemi e in questo modo si sono distinti suscitando emozioni diverse per ogni individuo che fruiva i loro lavori.

    Rispondi
  41. Anzhelika Komarova   9 Maggio 2021 at 13:23

    Per il contesto storico in cui vivevano i tre designer (e non solo loro tre, ci sarebbero molti altri da citare) il fatto che hanno suscitato scalpore è una cosa ovvia, succede sempre se vai contro la corrente e le regole. Bisogna ringraziarli per il coraggio che hanno avuto: andare contro la corrente ed essere incompresi all’inizio, ma continuare per la loro strada. Come dice anche Paula Scher, definita anche la dea del graphic design, ‘deve essere l’amore nel fare le cose a guidarti’ – ritengo questa citazione giustissima. Ognuno dei tre grafici citati nel articolo sono divenuti simbolo della grafica, non solamente perché scombinano le regole grafiche, ma anche perché mettevano e mettono l’amore nei propri lavori. Ci deve essere passione nel tuo lavoro, sennò è solamente una scritta. Infatti nel caso di Paula Scher, per esempio, i suoi caratteri come se fosse hanno vita, come lei stessa afferma “le parole hanno un significato, e il carattere ha lo spirito”.

    Rispondi
  42. Michele Saracino   24 Agosto 2021 at 14:24

    Oggi la grafica, non è quasi più quella di 30/40 anni fa, come tutti i settori è in continua evoluzione, la cosa che rimane uguale però è la parola “trasgredire”, ovvero superare i limiti, limiti che possono essere imposti dalla società, dalla teoria e dalle convenzioni comuni.

    Ciò che accomuna questi tre nomi importanti: Scher, Brody e Sagmeister è proprio il superamento dei limiti, in questo caso i canoni estetici dell’epoca.
    Sono stati in grado di emergere in un periodo in cui la grafica era molto sviluppata, nascevanp grandi aziende, grandi nomi e l’advertising era ovunque.

    L’unica cosa in cui mi trovo in disaccordo è la teoria di Sagmeister, in cui sostenevao che lo stile personale non aveva un grande valore nel Graphic Design.

    Da un lato posso capirlo, perchè il bello di questo mestiere è interfacciarsi e lavorare con brand, artisti, istituzioni diversi tra loro e di consequenza ogni disciplina/settore ha le sue regole, e il designer per inziare a giocare (come diceva Duchamp) deve prima conoscere le regole, metafora per cui il designer prima di inizare un qualsiasi progetto deve analizzare e fare ricerca sul cliente che si trova di fronte.
    Però sono anche convinto che se un designer non mettesse un pò del suo stile, della sua estetica all’interno di un progetto, allora saremmo tutti vittime della tradizione e delle consuetudini.

    Per spiegarmi meglio provo a formulare una domanda.
    Cosa dovrebbe spingere un cliente a venire da te piuttosto che da qualcun’altro?
    Penso che l’estetica e la professionalità siano le prime due variabili, poi ce ne sono tante altre, come il settore principale in cui operi, il budget ecc..

    Rispondi
  43. Matteo Mazzotti   27 Settembre 2022 at 16:17

    L’obbiettivo di questi graphics designer sembra non essere solamente una “comunicazione efficace”.

    Sono d’impatto, un’estremizzazione, una discrepanza dal loro presente.

    Un cambiamento che, in questo ambito, puo’ essere un grosso azzardo, ma se lo si presenta con forza e decisione come questi tre designer hanno fatto, beh fa voce, negativa o positiva che sia fa “rumore”.

    Credo che uno dei motivi del valore di questi tre graphics designer sia anche nel aver giocato con le emozioni, come Gordon H. Bower analizzo negli anni 90~ le emozioni hanno un ruolo importante nella memoria, soprattutto se si creano discrepanze tra l’aspettativa e il risultato.

    In questo caso l’aspettativa del pubblico era molto diversa dal risultato, credo che questo sia stato un fattore molto importante nel loro successo.

    Rispondi
  44. Veronica Mantovani   15 Marzo 2023 at 14:57

    Il lavoro dei Graphic Designer, come degli artisti in generale, si è sempre diviso tra la corrente mainstream e la sottocultura. Quante opere nel momento in cui sono state concepite, non sono state capite e apprezzate? Come molte rivoluzioni che ci sono state in passato, la loro causa è passata da una nicchia di persone alla collettività, fino a raggiungere il mainstream e quindi, teoricamente, hanno cambiato le carte in tavola solo a posteriori.
    Questo per dire che io concepisco il lavoro dei tre citati Graphic Designer come un proseguimento delle prime avanguardie artistiche e in particolare della grafica psichedelica degli anni Sessanta. Notando che il confine tra arte e graphic design va sfumando, ci sono molte somiglianze ad esempio con i manifesti musicali di Victor Moscoso o di Rick Griffin: il testo è un elemento grafico alla pari delle immagini e dello spazio bianco, che diventa un’illustrazione, una composizione. Il tutto appare più fluido e organico rispetto alla grafica razionale dominante. La grafica in questo caso, ispirandosi al movimento dell’Art Nouveau, sposta la concezione della chiarezza, di una leggibilità immediata, a favore di un approccio meno immediato ma più impattante. Il fruitore era negli anni Sessanta appartenente a una cerchia ristretta di persone, ma al tempo stesso era obbligato a fermarsi e guardare, adottando uno sguardo critico.

    Partendo da ciò, classificabile come “contatto percettivo efficace”, i tre Graphic Designer dell’articolo, hanno adottato questo atteggiamento per costringere le persone a fermarsi un attimo e ad accendere il cervello, in questo mondo che gira ad una “cybervelocità”. Questo nuovo paradigma di post-design, ha lo scopo di far usare il cervello alle persone, senza fornire loro delle informazioni preconfezionate, a scopo persuasivo, ma agendo a un livello cerebrale.
    Seppure in alcuni casi, come per il bugiardino dei farmaci, sia necessario un approccio razionale e chiaro alla grafica, in altri casi, ad un livello comunicativo più generale, questo approccio percettivo potrebbe davvero risvegliare gli animi e le menti degli esseri umani.
    A loro volta la chiarezza e la bellezza del Modernismo avevano sovrastato un’altro tipo di grafica, e bisognerebbe anche considerare la soggettività nella percezione della bellezza e la sua dipendenza a una certa cultura e società. Nonostante i concetti grafici razionali possono aver conferito un certo ordine alle cose, non bisogna fermarsi e accontentarsi, né tanto meno assumerli come assoluti e imprescindibili.
    Siamo ormai lontani dalla nascita del graphic design e dalla razionalità svizzera, non è ora di cambiare paradigma? Se la bellezza cambia con il tempo e lo spazio, perché non possono farlo anche i concetti di base del graphic design, a favore di una comunicazione più stimolante per il fruitore? In questo modo si potrebbe anche ritagliare un posto più consistente in mezzo a questo ambiente ormai saturo di immagini che ci circonda.
    Inoltre anche a livello commerciale questa nuova grafica può avere uno scopo specifico, dato che il processo di acquisto dipende dal cervello antico: è irrazionale e decisivo nelle scelte, agisce a livello del subconscio, ed che è fortemente influenzato dalle emozioni.

    A mio avviso al giorno d’oggi si ha un ritorno alla centralità dell’esperienza percettiva, come era stato appunto nei movimenti controculturali degli anni Sessanta, perché è un’esigenza del genere umano. Come era in voga espandere, ed esplorare, la percezione con l’uso di sostanza stupefacenti, fin dai tempi più antichi, oggi è tornato a galla tale dilemma. Infatti il flusso sempre maggiore di informazioni che ci circonda e ci assale, rafforza la necessità di avere delle risposte su noi stessi, così come la digitalizzazione totale, che arriva fino al corpo. Abbiamo bisogno di percepire per poter vivere appieno. Fin da piccoli impariamo a stare al mondo tramite la percezione: sbagliamo, impariamo e cresciamo. Pensando al mondo sempre più digitalizzato, se il corpo è la parte fisica, ne subirà in modo diretto le conseguenze: se le vene diventassero cavi elettrici, come nei fumetti cyberpunk, cosa potrebbe diventare il cervello se non un disco rigido di memoria di massa? Scomparirebbe l’esperienza percettiva e con essa la percezione stessa e la nostra natura.

    L’esperienza in generale sta lasciando spazio allo spettacolo. Essa ha perso utilità ai fini sociali, siamo in un’epoca in cui si può praticamente imparare tutto da soli e crediamo di potere tutto, ma non va dimenticato che l’esperienza insieme all’istruzione permette di non essere controllati, così come usare il cervello consente lo sviluppo di un approccio critico, forse temuto ma necessario.
    Su internet ogni cosa è un contenuto, siamo circondati da contenuti. Credo sia giusto stimolare l’essere umano a riprendersi la sua percezione e le emozioni, comunicando ad un livello più intimo e a mio parere sincero, superando “la sonnolenza del pubblico annoiato”. Abbiamo tutto, ma vogliamo sempre di più. Stiamo affogando nei contenuti perdendo di vista la nostra essenza.

    Torna in gioco dunque la centralità del corpo, sacralizzato fin dall’Umanesimo, perché la scienza, con le sue tecnologie sempre più sofisticate, sta rilevando degli intoppi sugli studi della nostra mente e della nostra anima? Per la scienza siamo normali algoritmi, con qualcosa in più degli altri animali, ma oltre al nostro corpo e il nostro cervello non abbiamo altro. Mandare input più critici a livello cerebrale, può essere un ottimo modo per prendere coscienza della nostra limitatezza, e di conseguenza accettarla. Siamo parte di un caos generale, in costante mutamento e con esso dobbiamo cambiare anche noi: per non morire seppure ancora vivi.
    D’altra parte l’essere umano ha sempre cercato quello che gli manca, con tutti i pro e contro e con la sua ostinata razionalizzazione dell’irrazionale. Una spiegazione del successo dei citati Graphic Designer può essere che ci concedono quell’esperienza percettiva che sta svanendo e che inconsciamente sentiamo che è necessaria. L’esperienza si sta digitalizzando anch’essa, ma le tendenze grafiche odierne potrebbero suggerire l’avvicinamento di una rivoluzione generale oltre che estetica, e perché no, per una consapevolezza collettiva delle ingiustizie sociali.
    O più semplicemente il loro successo è dovuto al fatto che in fondo siamo tutti un po’ Punk, ma non lo esorcizziamo.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   15 Marzo 2023 at 18:56

      Devo dire che sono rimasto felicemente sorpreso da Veronica. Non mi aspettavo di essere stimolato a compiere ulteriori riflessioni su aspetti sui quali, evidentemente, non avevo riflettuto adeguatamente. Intervento autorevole e ben calibrato.

      Rispondi
    • annalisa   15 Marzo 2023 at 19:13

      Veramente un commento tosto. Devo dire che ho trovato le parole di Veronica molto giuste. Bello il finale.

      Rispondi
    • luc97   15 Marzo 2023 at 19:16

      Mi associo e aggiungo che mi è piaciuta la sincerità di Giulia. Anche a me è capitato di scontrarmi con eccessi scolastici di razionalità.

      Rispondi
  45. Giulia Marrapodi LABA   15 Marzo 2023 at 18:01

    Dall’articolo appena letto capiamo che il graphic designer è una figura professionale che si è evoluta nel corso degli anni. Ma chi è un GD? E’ colui che si occupa di realizzare disegni, bozzetti, lavori di animazione per utilizzarli in ambito artistico o della pubblicità.
    La sua progettazione parte da un problema da risolvere (problema di comunicazione), e utilizza diverse tipologie di linguaggio (parole, immagini, colori, etc..) volti a creare un messaggio ricco di significato.
    La sua creazione viene sfruttata da aziende per comunicare con il pubblico, ultimo recettore, con lo scopo di persuaderlo.
    L’abilita’ del GD sta proprio nel saper colpire la mente del suo destinatario, elaborando dispositivi visuali il più efficaci possibili volti a instaurare una efficace comunicazione a volte interrotta o mancante.
    La grafica è vista come un’arte dove viene privilegiata la chiarezza dei contenuti, la linearità e simmetria di forme.
    Queste regole, a mio parere, limitano la liberta’ del grafico, che viene costretto a operare entro certe limitazioni, non potendo dare libero sfogo alla sua creatività.
    Io stessa nel presentare i miei lavori ai professori, mi sono sentita dire che l’immagine era poco chiara e che andava semplificata/sintetizzata.
    Tra i designer se vogliamo, più innovativi, si cita Paola Scher, che ha operato ai fini anni settanta, inizio anni ottanta del novecento.
    Definita il GD post-modernismo di maggior impatto della sua generazione.
    Il suo talento colpì perché contrastava quello che era l’idea del grafico fino ad allora. Dopo il periodo del modernismo, schematico, lineare, con una chiarezza definita freddezza; arrivò lei con un’impronta più energica, irregolare si’, ma di certo più di impatto.
    Un’aspetto che la Scher comunica ai giovani e che io ritengo molto valido è: l’importanza dell’apprendimento per un grafico restando a stretto contatto con chi lo pratica.
    Trovo questo consiglio molto utile per chi si appresta a entrare in questo mondo. Certe dinamiche si capiscono meglio vivendo la realtà dove devono essere sfruttate e applicate.
    Sono pienamente d’accordo con la Scher nel concepire l’atto grafico come un gesto creativo di auto-espressione. Il paradosso è che la nostra autoespressione può essere frenata dalla consapevolezza di noi stessi perché per essere libera, l’autoespressione deve essere spontanea. La spontaneità non può essere appresa. Ma una persona può essere messa nelle condizioni di diventare più spontanea aiutandola a rimuovere le barriere e quei famosi standard da seguire che ci portano ad avere blocchi emotivi che limitano l’autoespressione. E’ importante pero saperla controllare se no rischia di diventare caos e disordine.
    Concordo con la star della grafica e del design contemporaneo, Stepan Sagmeister: “la grafica deve toccare il cuore di qualcuno”. Non c’è cosa più bella che vedere le diverse emozioni che possono suscitare un semplice manifesto.
    Il suo stile grafico, può non piacere a tutti , a mio parere, riuscire a provocare un pubblico con uno slogan, penso sia geniale. I suoi manifesti venivano ricordati, forse criticati, ma intanto era sulla bocca di tutti. E, come ci ricorda il grande Oscar Wilde: “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli.”

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   15 Marzo 2023 at 19:00

      Ottimo intervento Giulia. Hai colto tutti gli aspetti fondamentali esprimendoli con ammirevole chiarezza,

      Rispondi
  46. Federico Francia   15 Marzo 2023 at 19:41

    Leggendo la parte iniziale di questo articolo, mi ritorna alla mente il perché ho scelto di studiare graphic design. Mi interessava il ruolo che la grafica riveste nella nostra vita quotidiana. Una delle primissime informazioni scolastiche che mi hanno insegnato, è che il graphic designer è una figura calata e impegnata nella società. Si deve prima di tutto interessare di ciò che avviene quotidianamente per arricchire il suo sapere con la curiosità negli occhi per tutto ciò che lo circonda. Altre persone mi hanno spiegato che il graphic designer è colui che da soluzioni razionali a problemi di comunicazione. A questo punto mi sorge spontaneo domandare: la grafica è razionalità? Mi sono sentito dire più volte non bisogna dire grafico, bensì progettista grafico, una figura paradossalmente più vicina ad un architetto, rispetto ad un artista. Razionale vuol dire seguire delle regole ben delineate e direi anche di comune conoscenza. Secondo la mia esperienza, queste due affermazioni che ho riportato stridono insieme. Penso sempre più, come enunciato da Lei nell’articolo, che il grafico con le sue opere agisca a livello emotivo e cognitivo. Il termine razionale si oppone a creativo. Creativo nella mia (breve) esperienza con la disciplina, significa uscire dagli “schemi”, creare qualcosa di entusiasmante, inusuale e funzionale a livello comunicativo. L’operato degli artisti qui trattati, avvalora molto questa mia affermazione. L’artista per me non è un “ignorante delle regole”, ma è una persona che le oltrepassa con coscienza e personalità.

    La spiegazione citata di Paola Scher in merito al suo approccio grafico esprime dettagliatamente le sue opere. Con una visione modernista della grafica sarebbero alquanto caotiche e fuori da ogni schema, ma osservandole con occhio critico si percepisce a pieno il suo modo di enfatizzare la parola con la grafica, come gesto auto espressivo. Con lei la comunicazione grafica, va oltre il verbale; attraverso la disposizione e la forma dei testi passa a esprimere aspetti non verbali della comunicazione e quindi anche emotivi. Ammirando i suoi elaborati è inevitabile incontrare le sue emozioni, perché sono parte dell’opera stessa.
    È una definizione molto vicina a quella che dà Neville Brody dei suoi lavori, ovvero che la grafica non deve agire solo negli occhi, ma anche nella mente. La grafica non deve diventare un semplice modo di comunicare fine a sé stesso, deve avere un riscontro, un ricordo nella mente del destinatario. Stefan Segmeister è sicuramente un graphic designer molto orientato all’uscita dagli schemi, va oltre il binario della normalità. Ha una visione inconsueta e con lo scalpore delle sue opere entra nelle menti. Questo suo modo di comunicare mi ricordano certe opere molto discusse del fotografo Oliviero Toscani, volte a destare scalpore toccando tematiche alquanto sacre e radicate nella visione comune. Inutile nascondere che un artefatto che fa discutere, rimane nelle menti delle persone.

    Quanti graphic designer che assecondano gli standard grafici del ‘900 mi rimangono in mente, a prima vista, per le loro opere? Onestamente, per le mie conoscenze attuali, nessuno e dopo una attenta osservazione delle varie opere veramente pochi. Tra le opere che ritengo degne di nota ci sono la cartina della metropolitana di New York di Massimo Vignelli e il marchio elaborato da Albe Steiner per Coop.

    Federico Francia – Graphic Design 1 LABA

    Rispondi
  47. Giulia Gallo LABA   15 Marzo 2023 at 20:44

    La statunitense Paola Scher, il britannico Neville Brody e l’austriaco Stefan Sagmeister, importanti graphic designer di fama mondiale, hanno rivestito un fondamentale ruolo di innovazione nel complesso e mutevole mondo del graphic design. Vivendo all’interno di una realtà profondamente contraddittoria che vede da una parte la razionalità modernista e dall’altra la controcultura che invade sempre di più ogni sfera della vita quotidiana, queste figure si rendono protagoniste di un cambiamento necessario.
    Il rifiuto della logica che va a subordinare l’intervento unico e personale a vantaggio di chiarezza e razionalità, è quindi il filo conduttore che lega i tre graphic designer in questione. Ognuno a suo modo pone inesorabilmente il pubblico davanti a qualcosa di nuovo, lontano da tutto ciò che veniva percepito come ordinario per l’epoca e che quindi evidenzia la profonda divisione tra il graphic design inteso in senso classico, modernista, e un graphic design di rottura degli schemi, provocazione e assoluta libertà espressiva. È proprio nella rottura degli schemi che il graphic designer si inserisce prepotentemente mostrandosi al pubblico ed entrando in contatto con la sfera emotiva di coloro che ricevono il suo messaggio. Nonostante l’assenza di elementi che garantiscano un’immediata e semplice comprensione, il messaggio risulta addirittura più efficace rispetto al classico approccio modernista; l’evidente unicità della soluzione visiva adottata, che risiede non solo in ciò che viene percepito dal pubblico, ma anche nel processo creativo che ne accompagna la realizzazione, ha la capacità di suscitare qualcosa nella persona, che la percezione sia positiva o negativa poco importa, la soluzione visiva adottata tenderà comunque a spiccare e a permanere nella memoria di chi, anche involontariamente, la osserva. L’intervento evidente e unico del graphic designer risulta inoltre fondamentale nel distinguere i suoi lavori da tutti gli altri. Nel mondo di oggi senza uno stile proprio che ti renda facilmente riconoscibile è difficile attirare l’attenzione non solo del pubblico, ma anche e soprattutto di tutti i potenziali clienti che devono compiere la scelta di affidare la realizzazione di un progetto grafico.
    Non bisogna però dimenticare che l’esistenza e l’adozione di certe regole sia necessaria per svolgere la professione al meglio. Queste non devono essere necessariamente percepite come limiti da superare, ma come linee guida all’interno delle quali orientarsi, e utilizzare le proprie capacità per creare un messaggio che arrivi al destinatario, anche e soprattutto nel rispetto della richiesta fatta dal cliente. Tali linee guida non devono essere percepite come limitanti, ma al contrario devono rappresentare uno stimolo, un punto di partenza dal quale elaborare l’idea in libertà.
    Tema chiave messo in luce dall’articolo è quindi secondo me quello dell’evoluzione, dell’inesorabile bisogno di cambiamento presente anche nella società odierna. L’evoluzione, nella grafica così come in numerosissimi altri settori lavorativi e non solo, nasce da scelte, anche azzardate, che si contrappongono al consueto modo di fare e ad un metodo consolidato che può risultare però inefficiente. Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister costituiscono ottimi esempi di scelte coraggiose che si sono rivelate fondamentali per dare vita ad un cambiamento che, come evidenziato precedentemente, era necessario.

    Rispondi
  48. Nicolò Andreani   16 Marzo 2023 at 00:28

    Commento

    Secondo il mio punto di vista, nella società dell’immagine, quella della prima impressione, il Graphic Designer ha un ruolo estremamente importante, ovvero, quello di creare ed adoperarsi nello sviluppo di un progetto comunicativo il più possibile attinente al suo pubblico. Credo che, creare connessioni, laddove il mondo ne ha davvero bisogno, in modo personale, in modo inedito, collegando dei puntini sensibili della società e di ciò che questa sta vivendo e che potrebbe vivere in un futuro. Doveroso ovviamente è anche dire che c’è sempre uno stretto collegamento culturale di appartenenza, che può influenzare i progetti che il GD effettua, creando a volte limiti e barriere, altre volte invece veri e propri spunti dalla quale quest’ultimo può attingere per le sue creazioni.
    Per me ogni GD è vittima del suo tempo, come ogni artista prima o poi si sente di essere, come ogni professionista in fondo, arrivato ad un certo punto della sua carriera, sa di non essere stato in grado di seguire il tempo ed esserne caduto al di fuori.
    A questo punto, potrei specificare che il Graphic designer ha anche l’opportunità di adoperarsi, nella realtà moderna, in settori che hanno standard più o meno rigidi, potendo quindi sfoggiare la sua libertà nella maniera più forte ed attinente possibile nei confronti del progetto propostogli; in altri settori, invece, questo è complicato: risulta alle volte impossibile ed i tre Graphic Designer citati nell’articolo hanno tentato in tutti i modi di eludere quei stessi standard, chi con approcci metodologici, chi invece tramite l’utilizzo del proprio sentire e percepire determinate questioni.
    La Graphic Designer Paula Scher ha utilizzato il carattere e lo spazio per eludere il più possibile le irremovibili attitudini del settore dai suoi lavori, la sua espressività fa breccia tutt’ora alla nostra vista ed è espressivamente molto diretta, da una dinamicità sia alle sue composizioni che ai suoi testi, un agglomerato di lingua visiva che rende attuale (seppur con i dovuti riguardi) ogni sua singola creazione.
    Ora come Graphic Designer è collettivamente riconosciuta per l’eccelso utilizzo della tipografia, di come lei renda lo studio del carattere e della superficie parte integrante del suo vissuto professionale, forte e di impatto unico sul settore.
    Lei è la vera amante della tipografia, sembra quasi che si sia costruita attorno un labirinto di parole solide, pronte a mostrarle la via corretta per risolvere i problemi che le si presentano.

    La seconda figura di rilevante importanza che l’articolo ci propone è Neville Brody, un soggetto frizzante che, a mio parere, come la precedente designer, dalla cultura underground Americana, prende davvero molto della propria identità.
    Il non preoccuparsi del bel viso o gesto, il disordine armonico della componente tipografica e di immagine è veramente entusiasmante, sprizza di forte energia ed è evidente come la sua composizione sia anche frutto di uno studio di design molto approfondito. Apprezzo come nel passato caso (Paula), l’utilizzo piacevole di una certa componente analogica, la lingua che parla raramente porta lo spettatore a non essere disorientato, mentre, nel settore industriale è sempre riuscito (con risultati più o meno piacevoli) a far trapelare concetti ed esperienze percettive nuove, con una ritmica davvero eccelsa. È l’unico designer che non conoscevo di questo articolo e devo ammettere che crea interessanti spunti di riflessione rumorosi.
    Stefan Sagmeister è l’ultimo autore, sicuramente non per importanza.

    Sagmeister è un provocatore, sinceramente il suo gusto estetico non mi ha lasciato mai a bocca aperta, ma le sue idee… sono state tutto un altro discorso: lui è l’esempio eclatante del detto “nel bene o nel male, basta che se ne parli”.
    Sicuramente, con il suo grido proiettato all’ambiente dei designer, è riuscito a crearsi un’immagine, una trappola che lo ha bloccato nella sua geniale gabbia estetica, probabilmente bloccato anche dalle aspettative verso se stesso, quelle sincronizzate nello stupire a tutti costi il cliente, il visualizzatore e, nonostante tutto, creare un contenuto testuale.
    Lo apprezzo, ma non ho mai condiviso il suo modo costantemente sopra le righe e, forse questo, è solo un limite mio.

    Rispondi
  49. Nicolò Giorgetti LABA   16 Marzo 2023 at 01:05

    Il design grafico post-moderno è caratterizzato da un’enfasi sulla sperimentazione, sulla rottura delle regole e sulla messa in discussione dei canoni estetici tradizionali. In questo contesto, artisti come Paola Scher e Neville Brody hanno rivoluzionato il mondo del graphic design con approcci innovativi e all’avanguardia.

    D’altra parte, la grafica attuale sembra tendere verso un’estetica più pulita, minimalista e funzionale, che privilegia la chiarezza e la leggibilità delle informazioni comunicate. Queste grafiche spesso ispirate al design scandinavo hanno certamente i loro vantaggi, soprattutto per i progetti commerciali dove la chiarezza e l’immediatezza del messaggio sono fondamentali per catturare l’attenzione del pubblico. La nostra capacità di attenzione è davvero bassa e poche persone sono così concentrate su qualcosa di questi tempi. Inoltre, sono più facili da realizzare perché si basano su forme e colori di base e non richiedono competenze tecniche elevate per essere create. Sicuramente, questo approccio può portare alla perdita di creatività e originalità. Infatti, l’attenzione alla leggibilità e alla chiarezza delle informazioni ha portato alla standardizzazione di forme e colori, che a sua volta ha soffocato l’espressività del GD.

    Nonostante questa tendenza, la creatività non deve essere soffocata. Infatti, come notato nell’articolo, molti designer contemporanei riescono a creare opere d’arte che combinano efficacemente la chiarezza del messaggio con un’estetica più artistica e innovativa. Anche infrangere le regole grafiche tradizionali può essere utilizzato commercialmente se fatto in modo intelligente e corretto. Perché la novità, la provocazione, l’insolito, infrange standard alzati centinaia di volte, suscita curiosità e attenzione. Insomma, è un modo per le aziende di differenziarsi dalla concorrenza. Tuttavia, non credo che questo approccio debba essere sempre utilizzato in tutte le situazioni. Dipende sempre dal contesto, dal messaggio, dagli obiettivi, il target, e anche dal periodo storico, dalla cultura.

    L’obiettivo del design grafico post-moderno è sottolineare l’importanza della cultura e delle conoscenze specifiche nella comprensione del linguaggio visivo. Contrariamente alla modernità, che tende a ridurre la complessità della comunicazione visiva per renderla più accessibile, questa concezione cerca di creare un nuovo linguaggio visivo più espressivo e innovativo, suscitando emozioni forti, quasi istintive, anche se richiede una cultura avanzata e conoscenze specifiche per comprendere a fondo il significato.

    La grafica post-moderna non contraddice necessariamente le tendenze attuali verso un’estetica più pulita e funzionale. Non è detto che una sia meglio dell’altra, ma nemmeno credo sia questo l’oggetto della discussione. Entrambi gli approcci hanno i loro meriti e possono essere utilizzati in modo efficace a seconda del contesto e degli obiettivi di comunicazione. Ciò che è fondamentale, è un messaggio chiaro, diretto ed efficace, sia che esso venga trasmesso attraverso un design più tradizionale o più innovativo. Infatti, il graphic design può essere considerato una forma d’arte fino a un certo punto, è un mezzo comunicativo e commerciale prima, se fallisce, il massaggio non è colto e perde la sua ragion d’essere. In gioco non c’è l’integrità espressiva del GD, ma la riuscita di un’ipotetica campagna pubblicitaria. La creatività deve essere subordinata in funzione di un progetto commerciale.
    Chi definisce l’arte tale, non è l’artista, ma il pubblico che la osserva, così come la riuscita comunicativa di un oggetto grafico, lo detta il numero delle vendite.

    Rispondi
  50. Laura Malpezzi   16 Marzo 2023 at 09:29

    Come già detto, ciò che distingue questi autori è il rifiuto di standard grafici precostruiti e la volontà di suscitare emozioni. Ma perchè farlo in questo modo? La verità è che da sempre il rifiuto e la trasgressione sono metodi non convenzionali di avere un riscontro dalla società. Ciò significa che per stupire e avere una qualunque reazione dai destinatari del messaggio è necessario usare metodi poco convenzionali e spesso bisogna uscire dagli schemi.
    Tutte le grafiche che seguivano regole e linee precise e esponevano messaggi chiari e comprensibili, diventarono talmente di “routine” che all’occhio dello spettatore risultavano noiose e poco accattivanti. Nel corso della storia si è sentito più volte e in più ambiti questo bisogno di rottura con il passato, questo perché le generazioni cambiano, la storia cambia, e noi siamo fortemente influenzati da tutto quello che ci circonda.
    Il debutto di questi artisti come dice l’articolo, non è stato immediato come ci si immagina, spesso il cambiamento richiede tempo e tanto sforzo.
    Il cambiamento può avvenire solo se ci sono artisti come: Paola Sher, Neville Brody e Stefan Sagmeister, che riescono a vedere il mondo in modo diverso e riescono ad abbattere questi principi, che evidentemente non facevano per loro.

    Rispondi
  51. Esme Erbacci LABA   16 Marzo 2023 at 16:52

    Personalmente sostengo che il lavoro del grafico sia un lavoro particolare. Più di una volta mi è capitato di sentire “non ci vuole molto per creare un poster del genere” oppure “a fare questo sono in grado tutti”. Certamente dipende da progetto a progetto, ma sicuramente la figura del designer viene sottovalutata. Infatti, il grafico non solo deve essere in grado di interpretare ciò che il committente desidera, ma deve anche soddisfare in modo meticoloso tutte le richieste che gli vengono effettuate. Richieste che talvolta sono contraddittorie.
    Uno dei requisiti che tutti richiedono è la “bellezza”. Essendo essa soggettiva è un criterio impossibile da tenere in considerazione. Per cui, ad oggi le regole standard del design sono la chiarezza, la funzionalità e l’ordine. Ma come citato nell’articolo in questione, sono state molteplici le dimostrazioni che la trasgressione di tali standard ha avuto effetti positivi.
    Tra i lavori della Scher, di Brody e di Sagmeister, sebbene molto distanti graficamente parlando, riesco a trovare un filo conduttore: l’esclusività. Ognuno dei loro lavori ha avuto un grande impatto e successo e a parer mio questo è dovuto al fatto che fossero “diversi”, fuori dal comune. Lavori che non si conformano con ciò che la gente si aspetta di vedere, che non rispettano gli standard del design. L’elemento che attira l’attenzione delle persone è proprio la diversità. Banalmente, se ci ritroviamo davanti ad un insieme di case del medesimo colore tranne una, sarà proprio quella differente a colpire i nostri occhi. Ovviamente attirare l’attenzione potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Stare sotto gli occhi di tutti può portare complimenti, ma anche molte critiche. La diversità solitamente o affascina o intimorisce, ma è chiaro che nel momento in cui un poster pubblicitario richiama l’attenzione e comunica un contenuto ha completato il suo scopo, per non parlare del fatto che solo dopo avere gli occhi puntati addosso può suscitare emozioni. Senza un coinvolgimento emotivo, di qualunque natura esso sia, ciò che intendiamo comunicare arriva solo per metà.
    A questo punto quindi sorge spontaneo domandarsi se sia meglio conformarsi agli standard e lavorare cercando di soddisfare le richieste del committente o provare ad esprimere il nostro lavoro in modo diverso per far si che riceva più attenzioni e scaturisca una reazione. È possibile conciliare queste due alternative? Si, ed è proprio quello che hanno fatto i grandi designer della storia, ma per questo è importante ricordare che forse in alcuni casi osare è meglio, perché imitare gli altri è facile e noioso.

    Rispondi
  52. Conigli Aurora LABA   16 Marzo 2023 at 19:44

    Leggendo l’articolo ho trovato punti di notevole interesse, argomenti tali da poter essere discussi ore e ore. Vero, il buon design ci fa percepire migliori, completi e soddisfatti; ma come fa una cosa non ordinaria a farci apparire più ordinaria? Voglio dire, come fa il graphic design a essere percepito come soluzione a un problema quando in realtà ci sta mandando una vera e propria persuasione con la sua trasmissione e efficacia. Nell’articolo viene detto che il Graphic Designer ha come obiettivo finale un’interazione con la mente del mittente, il quale decodifica i concetti, le parole e i discorsi. Trovo che la percezione di un messaggio venga innanzitutto con un’adeguata sistemazione grafica degli elementi poiché essere colpiti da tale porta a chi lo guarda e lo legge una curiosità e una voglia di capire immensa.
    Nell’articolo viene menzionata anche la legge della pregnanza, ovvero il fattore della percezione, che tende a farci percepire forme ambigue, incomplete o asimmetriche come definite, complete e simmetriche. Vedo questo fenomeno come qualcosa di surreale; il nostro cervello è in grado di captare cose incomplete come complete, forse siamo così abituati ad avere ordine che anche qualcosa che non lo ha ci porta a vederlo. Allora se siamo in grado di fare ciò, siamo in grado di andare contro le “regole perfette”; i tre designer menzionati ne sono difatti l’esempio speculare. Le persone amano vedere, leggere, curiosare, pensare e trovare, e penso che non ci sia modo migliore che nel disordine. I tre designer fanno della grafica il loro mondo, buttano lo spettatore dentro alle loro emozioni e dentro ai loro pensieri; penso che il successo di essi sia dato non solo dalla grande capacità grafica di inserire i contenuti nei progetti ma dalle provocazioni e dai messaggi diretti che tramandano.
    Nei lavori di Neville Brody si possono notare delle immagini che toccano in modo efficace la realtà, ed è proprio questo che il mittente vuole vedere; la realtà, in mille modi, il mondo in cui vive, così com’è. In Italia, dagli anni Novanta, fu di grande successo di Oliviero Toscani, il quale presenta la testimonianza degli avvenimenti, delle tendenze e dei gusti sotto una nuova forma, fa cogliere l’attualità attraverso le campagne di sensibilizzazione, ed è ciò che piace, far capire che i problemi ci sono, partendo da concept basati su un metodo coinvolgente, efficace e unico. Andare contro alle regole a volte risolve il problema più che una semplice soluzione, Paola Scher andando contro l’ordinario ci rende curiosi, ci fa proiettare al futuro, ed è questo che le persone amano vedere. Penso che l’uomo ami l’ordine, le geometrie e la perfezione; ma non seguire le regole standard molte volte è funzionale, poiché rende tutto questo ordine meno visto, spostando di livello ciò che siamo abituati a vedere e facendoci capire che anche il disordine non è poi così male.

    Rispondi
  53. Serena Gaspari LABA   16 Marzo 2023 at 20:32

    I tre Graphic Designer presentati nell’articolo sono senza dubbio dei personaggi iconici del mondo del Graphic Design, unici e differenti nelle loro caratteristiche individuali e nel proprio stile (che, come visto nella lezione di Paola Scher, è un elemento fondamentale da saper difendere e promuovere anche nel campo della grafica). Ciò che li accomuna però è la funzione specifica dei loro progetti dai quali emerge, seppur con un approccio diverso, un obiettivo comune: quello di usare la funzione comunicativa della grafica per suscitare delle risposte emotive nel fruitore.
    Questi Graphic Designer si sono distaccati dagli standard e dalle impaginazioni geometriche, che privilegiavano la simmetria, la chiarezza del messaggio e una disposizione ordinata degli elementi sullo spazio di lavoro, esprimendo invece il loro stile personale nell’atto grafico, per trasformarlo in qualcosa di memorabile per il fruitore, senza andare ad intaccare l’efficienza con cui il messaggio viene trasmesso.
    Possiamo notare infatti che loro non si concentrano sulla vendita di un oggetto, ma puntano ad attirare l’attenzione del pubblico con un approccio grafico energico, in movimento, appariscente, a volte anche violento e scandaloso: tutto per far sì che i contenuti rimangano impressi nella mente delle persone ancora prima di fargli comprendere il messaggio.
    Questa tattica comunicativa porta quindi il pubblico a prestare molta più attenzione all’elemento grafico e a ciò che vuole trasmettere, perché altrimenti il contenuto sarebbe semplicemente uno come tanti altri. Se la grafica può generare emozioni talmente forti che portano il pubblico a reagire, non solo a leggere passivamente delle righe di testo perfettamente ordinate e comprensibili, allora è più probabile che il pubblico si senta partecipe e in connessione con il messaggio. Questo è un bene, perché in un contesto commerciale più una persona si sente coinvolta, più potrebbe essere motivata a comprare. Senza una relazione comunicativa tra creatore e cliente, invece, la vendita ha meno possibilità di avvenire.
    Secondo me è stata la scelta di andare controcorrente che ha contribuito a rendere questi importanti personaggi delle icone del Graphic Design. A mio avviso, infatti, il Graphic Designer ideale dovrebbe riuscire in primo luogo ad emozionare il pubblico, a catturare la sua attenzione, mantenerla stretta in modo poi da trasmettere il messaggio in modo immediato (tanto più coinvolto ed emozionato si sente il cliente, più afferrerà il messaggio emesso dal contenuto). E per questo che questo lavoro sta diventando sempre più difficile, ogni giorno vediamo così tanti contenuti e pubblicità che siamo quasi diventati immuni a questi richiami, a meno che lo stile originale ed attraente di un Graphic Designer particolarmente abile non riaccenda la scintilla nei nostri cervelli. Riassumendo, l’originalità, la diversità per cui hanno optato la Scher, Brody e Sagmeister, molto coraggiosamente devo aggiungere, hanno fatto sì che il Graphic Design si basasse prima di tutto sull’empatia e solo dopo su tutto il resto.

    Rispondi
  54. Riccardo Bianchi   17 Marzo 2023 at 13:06

    Il nucleo tematico di questo articolo verte sull’importanza della flessibilità e della creatività nel design grafico. I tre esperti di grafica analizzati hanno scelto di sfidare i modelli tradizionali e optare per un tipo di design in grado di trasmettere il massimo di informazioni, soprattutto a livello emozionale. Un design ben realizzato può suscitare emozioni e percezioni nel pubblico, andando oltre la semplice trasmissione di un messaggio. Per questo motivo, è essenziale considerare l’impatto emotivo degli elementi visivi creati, al fine di instaurare un rapporto autentico e duraturo con gli utenti. La creatività nel design grafico può trasmettere pensieri ed emozioni attraverso l’uso originale della tipografia e della disposizione degli elementi visivi. Essa costituisce un elemento imprescindibile per il successo del design in futuro. Infatti, un buon design deve coniugare la funzionalità con l’estetica, coinvolgendo il pubblico e migliorando la sua esperienza di utilizzo. Inoltre, la provocazione e la trasgressione delle norme possono rappresentare una caratteristica distintiva di questa forma d’arte, poiché permettono di trasmettere messaggi più incisivi e significativi. Il pensiero di considerare il post-design come un gioco di dissolvenze incrociate e di riorientamento dello sguardo sembra molto attraente e potrebbe indicare una nuova prospettiva per il graphic design che verrà.

    Rispondi
  55. Claudia Mura LABA   18 Marzo 2023 at 13:58

    Artisti o casinisti? Il Graphic Designer è il progettista della comunicazione visiva, è orientato a configurare testi visivi per comunicare messaggi e creare contatti.
    Dall’ articolo vediamo che lo schema tipico che porta ad un progetto grafico parte da un problema. Ma quando il “problema” è troppo grande da combattere? Quando il problema sono i limiti e i canoni imposti dalla società che ci vuole tutti allo stesso modo?
    Da qui partono i tre grafici citati nell’articolo (ma credo quasi tutti gli artisti), vogliono rompere gli schemi e creare una bellezza diversa, personale ma che allo stesso tempo arriva a tutti perché speciale, unica e non convenzionale e penso che ognuno di noi vorrebbe sentirsi così: libero di essere.
    E quando il problema è così grande, allora ci si allontana il più possibile creando “altro”. Così è stato per Paola Scher che ha rifiutato il paradigma modernista e ha seguito la sua visione difendendo la sua idea di grafica, sfidando l’epoca modernista devota all’ordine e alla simmetria, prediligendo la grafica al contenuto.
    O per Neville Brody che rompe ancora di più le norme con la sua grafica provocatoria per denunciare l’effetto alienante della società, attraverso l’attrito tra occhio e cervello, a favore della liberazione di quest’ultimo.
    E così credeva anche Stefan Sagmeister per cui le idee creative arrivano se siamo liberi da ogni protocollo prestabilito. Per lui lo stile personale del GD non ha valore perché altrimenti si ricadrebbe sempre in degli schemi, invece ogni idea è nuova perché nata in stretta correlazione con l’oggetto del design che deve essere capace di diffondere partecipazione e contatto.
    Per concludere, cercare di diversificarsi e far uscire il proprio sé con le proprie emozioni porta a costruire nuove idee e modi di pensare che, per chi ha il paraocchi e non cerca di comprendere cosa ha davanti, può essere visto come semplice disordine e trasgressione, ma, per chi prova a guardare oltre, può essere magia, turbamento, motivo di riflessioni, o detta più semplicemente arte.

    Rispondi
  56. Simona   20 Marzo 2023 at 09:51

    L’articolo affronta il tema del ruolo del graphic designer nella creazione di design accattivanti e memorabili, attraverso il racconto di tre casi di studio di designer che hanno saputo distinguersi per la loro creatività e originalità.
    Come sottolineato nell’articolo, il graphic design non è solamente una questione di estetica, ma implica una conoscenza approfondita delle regole e dei principi del design, nonché della percezione visiva umana. La progettazione grafica richiede la capacità di comunicare efficacemente un messaggio attraverso l’utilizzo di forme, colori, tipografie e altri elementi visivi.
    Tuttavia, il lavoro del graphic designer non consiste solamente nell’assecondare i desideri del cliente, ma anche nel suggerire soluzioni creative e innovative per raggiungere un design accattivante e unico, ma soprattutto di essere audaci nella sperimentazione. Questa sfida può richiedere l’infrangere delle regole e degli schemi predefiniti, spingendosi oltre i confini delle convenzioni estetiche per creare qualcosa di nuovo e sorprendente.
    I tre designer citati nell’articolo – Paula Scher, Stefan Sagmeister e Massimo Vignelli – sono esempi di designer che hanno saputo innovare, sperimentare e creare design originali e memorabili, utilizzando anche tecniche e soluzioni fuori dagli schemi. Ognuno di loro ha sviluppato un proprio stile e approccio al design, ma tutti hanno dimostrato una grande capacità di utilizzare i principi e le regole della grafica per comunicare in modo efficace attraverso il loro lavoro. Inoltre, se guardiamo alla storia della grafica e dell’arte, vediamo che le regole e le convenzioni estetiche sono spesso state messe in discussione e infrante dai grandi artisti e designer. Tuttavia, questi individui erano in grado di farlo solo dopo aver acquisito una comprensione approfondita delle regole e dei principi della disciplina. Solo allora erano in grado di innovare in modo significativo e creare opere che avrebbero resistito alla prova del tempo. Detto questo, credo che l’innovazione e la sperimentazione siano importanti nella grafica e in qualsiasi campo creativo. Ma devono essere bilanciati dalla
    comprensione dei principi fondamentali della materia. Solo allora la creatività può davvero emergere e avere un impatto significativo. In conclusione, il lavoro dei graphic designer presentati nell’articolo è indubbiamente sorprendente, ma dobbiamo sempre ricordare l’importanza di acquisire una conoscenza solida delle regole della grafica e dell’arte prima di provare a infrangerle.

    Rispondi
  57. Debora Maddalena   20 Marzo 2023 at 17:05

    Leggendo l’articolo penso che questi artisti siano “usciti” dal loro classico ruolo di Graphic Designer, una figura che al loro tempo era vista semplicemente come colui che possiede lo scopo di rendere il messaggio più chiaro e lineare possibile, affinché riesca a convincere/persuadere e vendere al fruitore qualunque cosa. “Uscendo” da questa visione di Graphic Designer, Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister crearono una nuova concezione di questo mestiere, inteso come promotore di messaggi, colui in grado di scaturire emozioni alle persone, insomma, la figura che conosciamo oggi. Queste grandi tre figure di certo non potevano “infrangere” le regole del tempo senza conoscerle, infatti nonostante le critiche nate dai loro stessi “colleghi” rivolte proprio alla loro indifferenza nei confronti delle regole da seguire, si dimostrarono ben presto infondate, in quanto tutti e 3 gli artisti citati in precedenza riuscirono a lanciare al mondo il proprio messaggio in una maniera del tutto diversa, emozionale; facendo così nascere un modo tutto nuovo di comprendere e creare Graphic Design; in sostanza “mettendoci la faccia” e rischiando il tutto per tutto hanno sfondato le linee e impostato nuovi parametri. In tutto ciò non mi trovo molto in accordo con l’affermazione “lo stile non ha valore” di Sagmeister. Personalmente penso che proprio lo stile faccia l’artista: mi spiego meglio. Se una persona volesse imitare l’opera Fontana di Duchamp, capovolgendo semplicemente un orinatoio, sarebbe anche lui un artista pari al livello del grande Marcel Duchamp? Se una persona sapesse ricopiare alla perfezione un dipinto di Van Gogh, sarebbe anche lui un grande artista, o semplicemente un abilissimo imitatore? Personalmente penso che lo stile sia tutto; basti pensare a quanto sia difficile trovarne propriamente uno senza che sia un plagio, e ancor più difficile che sia facilmente distinguibile da tutti gli altri, che il proprio tratto diventi inconfondibile da chiunque e lo rimanga nel corso degli anni.

    Rispondi
  58. Alessia Tresente   21 Marzo 2023 at 15:19

    Per evitare la standardizzazione delle menti e fuggire così dalle regole implicate secondo modelli precostituiti sulla visione semplificata e troppo immediata di ciò che osserviamo, l’omologazione di pensiero, dal mio punto di vista, non è una scelta disponibile in questo caso ed è quindi di conseguenza necessario pensare “fuori dagli schemi” per non essere banalmente ordinari; un chiaro esempio è dato proprio questi tre straordinari graphic designer che hanno in parte rivoluzionato la storia della grafica.
    A partire da Paola Scher grazie alla quale, con il suo particolare disordine percettivo grazie a cui aumenta il grado di attenzione dello spettatore, si evince un primo distacco dalle regole della classicità, a mio giudizio come un gesto di grande coraggio e creatività. Particolare è inoltre l’idea di concepire l’atto grafico come un fantasioso gesto di auto espressione, nonché l’interessante proposta di considerare la superficie grafica come una forza vitale.
    Non è da meno a mio personale parere, l’estremista Neville Brody che, attraverso la sua trasgressione positiva (da me particolarmente apprezzata), descrive l’arte come un linguaggio che non tutti possono comprendere ed è necessario quindi coinvolgere le persone per poterle liberare da ogni tipo di stereotipo o pregiudizio; di conseguenza poter avere un commento razionale su qualcosa di davvero irrazionale come l’espressione artistica in sé. È altrettanto avvincente il collegamento tra espressività, emotività e arte, essendo di fatto proprio quest’ultima una delle poche realtà a non essere dominata dei canoni estetici di perfezione (fin troppo sopravvalutata), in quanto, secondo l’ulteriore visione di Stefan Sagmeister lo stile rappresenta una vera e propria prigione per la creatività e per di più egli afferma che la provocazione da lui stesso usata (a mio avviso leggermente eccessiva), non è altro che uno strumento a dir poco essenziale per far ragionare le masse.
    Non avrei altro da aggiungere se non che in prima persona ho trovato molto interessante la lettura in quanto colma di informazioni personalmente sconosciute e ha inoltre scaturito i me grande ammirazione per questi tre singolari, ma al tempo stesso magnifici artisti moderni.

    Rispondi
  59. Benedetta Bonifazi   21 Marzo 2023 at 17:17

    Il design grafico è un campo creativo che offre molta libertà e flessibilità quando si tratta di esprimere la propria creatività. In qualità di grafico, hai la possibilità di sperimentare diversi colori, caratteri, immagini e layout per creare design unici e visivamente accattivanti.
    I designer hanno e devono avere il potere di spingere i confini e sfidare le norme di design convenzionali. Hanno e ripeto, devono avere il potere di esprimere liberamente le proprie idee, pensieri ed emozioni senza alcun vincolo. Esplorare diversi stili, colori ed elementi di design per creare un design unico e innovativo che comunichi il loro messaggio in maniera efficace e per creare progetti visivamente accattivanti, stimolanti e di grande impatto.
    Esprimere le proprie idee e comunicare messaggi attraverso elementi visivi. Ciò significa avere la libertà di giocare con diversi elementi di design per creare qualcosa che risuoni con il proprio pubblico di destinazione.
    Tuttavia, con la libertà arriva la responsabilità. I grafici devono essere consapevoli del messaggio che stanno trasmettendo attraverso i loro progetti e assicurarsi che sia in linea con i valori del marchio, il pubblico di destinazione e lo scopo del progetto. Dovrebbero anche essere consapevoli delle considerazioni etiche ed evitare qualsiasi progetto che perpetui stereotipi, discrimini individui o gruppi o promuova l’incitamento all’odio.
    In conclusione, la libertà nella creatività del design grafico consente ai designer di liberare tutto il loro potenziale e creare design autentici, significativi e visivamente sbalorditivi.
    Ne sono d’esempio, come citato nell’articolo, Paula Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister. Grafici molto influenti che hanno dato un contributo significativo nel campo del graphic design.
    Tre Graphic Designer con uno stile di design distintivo che li fa spiccare tra la massa.
    Sher è nota per il suo uso audace della tipografia e del colore, Brody per il suo approccio sperimentale e innovativo al design e Sagmeister per il suo uso di elementi artigianali e tecniche di design non convenzionali. Vorrei soffermarmi proprio su queste ultime parole; “tecniche di design non convenzionali”, è proprio questo che collega questi tre grandi Graphic Designer, ognuno di loro ha sviluppato il proprio stile distintivo e non convenzionale arrivando a creare un lavoro che è sia visivamente sorprendente, che altamente efficace nel comunicare idee e concetti complessi.
    Possiamo dire che tutti e tre sono stati influenti nel plasmare il campo del design grafico e hanno ispirato e influenzato molti designer che hanno seguito le loro orme.

    Rispondi
  60. Camilla Frongia   22 Marzo 2023 at 16:49

    Leggendo questo interessante articolo, riguardante tre iconici personaggi nella storia del graphic design, ho maturato un pensiero.
    In università ci vengono insegnati i principi fondamentali, importanti per la creazione di design efficaci, come l’uso appropriato del colore, della tipografia, della composizione, della gerarchia visiva, eccetera. Tuttavia, questi principi sono solo una base di partenza, e i designer possono poi applicarli in molti modi diversi per creare opere uniche e personali. E qui arrivo al punto: quante persone ci saranno in giro per il mondo, capaci di utilizzare software come Photoshop o Illustrator? Tanti. Ma quanti di loro sono capaci di sfruttare quelle determinate funzioni per creare qualcosa di innovativo, efficace e capace di toccare le corde emozionali di chi guarda? Sono certa che la percentuale scenderà drasticamente. Da questo articolo, che descrive bene il modus operandi dei graphic designer Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister, possiamo intuire quanto un’idea, abbinata a un utilizzo (o non utilizzo) delle regole, possa essere efficace. Paola Scher, ad esempio, ha costruito una reputazione su progetti che combinano il design grafico con la cartografia. Scher si concentra sulla creazione di visualizzazioni di dati efficaci e interessanti, e spesso utilizza la tipografia in modo creativo per creare mappe che siano al tempo stesso informative e accattivanti dal punto di vista visivo. Il suo approccio è quindi molto orientato alla risoluzione di problemi e alla comunicazione efficace. Neville Brody, d’altra parte, è noto per la sua attenzione al dettaglio e alla sperimentazione con la tipografia. Il suo lavoro è spesso caratterizzato da un forte senso di dinamicità e di movimento, ed è noto per l’uso di font insoliti e per le composizioni audaci. Brody è quindi un esempio di designer che ha fatto della sperimentazione e della ricerca estetica il fulcro della sua pratica. Stefan Sagmeister è il più punk dei tre, tanto da spingersi ai limiti dell’etica morale, per scuotere l’animo di chi guarda le sue opere e spingerle l’utente a interrogarsi sulla realtà che lo circonda. Tutti e tre, con modalità differenti, hanno infranto le “linee guida” per mettere in discussione i pensieri comuni della società, raggiungendo a pieno il loro scopo.
    Secondo il mio punto di vista, ciò che fa davvero la differenza è avere idee e sperimentare. È stato appurato che molte aziende (di graphic design e non) preferiscono assumere chi sa dargli un’idea innovativa piuttosto che qualcuno più preparato nel senso pratico ma senza alcuna creatività. Sembrerà un controsenso, siccome chi si addentra nel mondo del design si suppone abbia un’ampia gamma di idee. Ma la società di oggi è la prima nemica del pensiero creativo, ci fornisce idee, grazie a generatori casuali, progetti già pronti creati da intelligenze artificiali, quindi mi viene da dire che al giorno d’oggi, trovare qualcuno con una buona fantasia, è davvero difficile, anche fra gli aspiranti graphic designer.

    Rispondi
  61. Tommaso De Guglielmo   22 Marzo 2023 at 22:02

    La comunicazione può essere soggettiva nei graphic designers perché la percezione dell’efficacia del design può variare da persona a persona. Ogni individuo ha la propria esperienza, background culturale, gusto estetico e preferenze personali che influenzano la sua valutazione di un design. Inoltre, la comunicazione visiva, che è la forma di comunicazione utilizzata dai graphic designers, è spesso aperta all’interpretazione. Ciò significa che le persone possono trarre conclusioni diverse sulla base di ciò che vedono, a seconda del loro punto di vista. Ciò può portare a opinioni contrastanti sulla qualità del design e sulla sua capacità di trasmettere un messaggio efficace.

    Paola Scher è una designer grafica italiana naturalizzata americana, nota per il suo lavoro nel branding e nel design editoriale. Ha lavorato con clienti di alto profilo come Citibank, Microsoft, Coca-Cola e il New York Times, creando loghi, packaging e pubblicazioni che si distinguono per la loro chiarezza e impatto visivo. Il suo stile si basa sull’utilizzo audace di tipografia e colore, spesso combinati con grafica vettoriale e illustrazioni. Scher è anche famosa per le sue mappe di New York, in cui utilizza la tipografia per rappresentare i quartieri della città. Da questo si può ben notare una vena geometrica, quasi industrialista ed incentrata sull’oggettistica. Essa però viene contraddetta dall’utilizzo di colori alquanto vivaci e da come tutto abbia più o meno una forma, nonostante gli effettivi soggetti siano solamente delle parole o lettere singole.

    Neville Brody è un designer grafico britannico, noto per il suo lavoro nella tipografia e nell’editoria. Il suo stile si caratterizza per l’uso sperimentale dei caratteri tipografici, con font spesso irregolari e asimmetrici. Brody ha lavorato con clienti come Adidas, Coca-Cola e Sony, creando loghi, grafiche pubblicitarie e copertine di album che hanno influenzato il design grafico degli anni ’80 e ’90. Inoltre, Brody ha anche fondato la rivista “The Face”, che ha contribuito a rivoluzionare il design delle riviste di moda e lifestyle. A differenza di Scher, Brody tende quindi ad incentrarsi su un motivo punk, quasi ribelle. Ciò si può intuire dal fatto che le copertine della rivista citata sopra sembrino un vero e proprio collage realizzato da un ragazzo per divertimento, e non per un magazine famoso

    Stefan Sagmeister è un designer grafico austriaco, noto per il suo lavoro nel branding e nel design editoriale. Il suo stile si basa sull’utilizzo di una combinazione di tecniche tradizionali e sperimentali, come la fotografia, l’illustrazione, il taglio al laser e il fumo. Sagmeister è famoso per il suo approccio innovativo al design di album musicali, in cui utilizza materiali insoliti come frutta e verdura per creare lettering e grafiche uniche. Sagmeister è anche conosciuto per il suo lavoro nel campo dell’arte e della cultura, creando progetti che hanno come obiettivo la promozione del pensiero critico e della creatività. Egli può essere definito come una “pecora nera” rispetto ai suoi colleghi, poiché ha voluto rivoluzionare completamente il suo lavoro, dai mezzi fino alla tela.

    Tutti i graphic designers menzionati, sebbene non abbiano un filo conduttore comune per le opere, cercano comunque di rompere gli schemi e di esprimere i loro pensieri. Ma siamo sicuri che questa “rottura” ormai risulti ancora di impatto e che comunichi messaggi? Certo, al giorno d’oggi si crea scalpore per qualsiasi opera realizzata “diversamente” rispetto agli standard e con grande successo riesce a creare comunicazione. Il mio timore è che prima o poi questi metodi risultino, con il passare del tempo, conosciuti se non addirittura virali sul Web e che le persone non si fermino effettivamente sul topic (e sul conseguente dibattito) che l’artista vuole creare. Di conseguenza tutto ciò mi fa salire un dubbio: la figura del graphic designer continuerà a sviluppare nuove idee (e quindi a differenziarsi dalla massa) o arriverà ad un continuo riciclo delle sue idee, non creando più opere che possano effettivamente causare scalpore?

    Rispondi
  62. Emanuela Petrillo   22 Marzo 2023 at 22:34

    Il graphic designer rappresenta una figura lavorativa importante, che, come altre professioni, non è riuscita a sfuggire al progresso incessante della società odierna.

    Generalmente il graphic designer è definibile come colui che si interpone fra un contenuto e il destinatario, col compito di rendere questo passaggio il più semplice possibile.
    Esso, quindi, ha effettivamente il dovere di ripristinare un contatto ove quest’ultimo viene a mancare, per motivi di tempo e spazio.
    La conseguenza principale di questa visione sta nel fatto che la trasmissione e il contenuto di un messaggio dipendano non solo dalla grafica realizzata dal graphic designer, ma anche dal soggetto esercente di coscienza che riceve il contenuto/messaggio.
    La nostra mente, la nostra coscienza, è formata da una serie di conoscenze precostituite attraverso le quali siamo in grado di comprendere ciò che ci circonda.
    Tali conoscenze precostituite vengono create sulla base delle influenze ambientali che ci circondano.
    Questa visione prende il nome di circolo ermeneutico.
    Quest’ultimo, teorizzato dal filosofo Gadamer, sostiene che l’interpretante può accedere all’interpretato solo attraverso una serie di pre comprensioni o pregiudizi. Ne consegue inevitabilmente che la mente è costituita da una serie di linee orientative provvisorie, attraverso le quali indirizziamo i concetti ad una comprensione.
    Questa condizione circolare, attestante che ciò che apprendiamo lo è già in parte, ci
    blocca creando delle verità illusorie a cui ci aggrappiamo credendo di aver attuato un’analisi profonda.
    L’impossibilità dell’essere umano di distaccarsi dalla prima percezione fa credere che la chiarezza espositiva del contenuto, la linearità, la semplicità attraverso la quale è esposto, sia molto più importante del contenuto stesso.

    Sembra apparentemente inspiegabile ma oggigiorno gli assetti grafici più complessi, che sfuggono ad una prima analisi, e che soprattutto non si aggrappano alle nostre conoscenze precostituite / schemi a priori della nostra mente, vedono un largo utilizzo.
    Questo non sembra essere un problema in quanto, nonostante il contenuto in sé perda chiarezza, la grafica diventa sempre più performante nell’espressività del messaggio.
    Ne consegue che la grafica diviene meno lineare e chiara, ma l’impatto del messaggio è amplificato.

    Osservando i designer contemporanei, questo fenomeno, a prima vista enigmatico, sembra trovare un senso.

    La designer Paula Scher si è fortemente distaccata dal design del 900, in cui il grafico era visto come colui che, per dare rilevanza al contenuto, non deve farsi percepire ma solo accompagnare il messaggio (e quindi rivestire la figura di tramite di cui parlavamo prima.)
    Essa iniziò ad utilizzare in questo contesto caratteri tipografici senza grazie, spesso in stampatello, non solo come elementi tipografici ma anche come componenti grafiche e visive.
    Ma ciò che la differenzia rispetto alla massa non è solo l’elemento grafico, ma un mutamento nella mentalità. Infatti lei sostiene che il designer non debba rivestire la figura di tramite silenzioso, ma debba esprimersi. Ne consegue che è solo attraverso l’espressività che si costruisce un messaggio non solo chiaro, ma impattante, che suscita emozioni e si impregna di senso che va oltre la percezione visiva, e ci colpisce negli aspetti più profondi.

    Tutto questo ha funzionato perché, nonostante la perdita del ruolo principale del contenuto, la Scher, operando attraverso razionalità geometrica, e quindi richiamando alcuni schemi di senso preesistenti, ha creato nuovi ambienti percettivi all’interno della nostra mente.
    Quindi ha fatto appello a delle percezioni precostituite, per crearne di nuove.
    Sarebbe insulso sostenere che ,nonostante il progressivo andamento della società, il cervello non debba più svilupparsi. Il cervello, la mente, deve adattarsi a nuovi stimoli; abbandonarci a questi ultimi non creerà un senso di disordine, bensì creerà nuovi concetti a priori nella nostra mente sui quali si ergeranno nuove basi.

    Questa tendenza è rintracciabile anche in altri designer, uno fra questi è Neville Brody, un designer dal registro trasgressivo.
    Lui, appellandosi proprio alla mente e alle sue forme a priori, parla proprio dell’importanza di creare alcuni “tricks”, ossia trucchi, per suscitare un cambiamento.
    Lo scopo di questi tricks è sempre il medesimo, ma con uno svolgimento differente; sciogliere la mente da vincoli inesistenti, disalienarla da ciò che crede sia giusto, più corretto o lineare, più semplice da capire. Questi non sono altro che concetti inesistenti, infatti la nostra mente è una tabula rasa, quei concetti a priori che ci fanno credere che un impostazione grafica sia più chiara e lineare di un’altra sono solo pregiudizi basati su schemi della nostra mente artificiosi.

    Il designer Stefan Sagmeister riesce perfino ad arrivare oltre sostenendo,attraverso le sue opere,che non solo la nostra mente è alienata rispetto alle molteplici possibilità di design,m a che il processo stesso che porta a queste ultime sia sbagliato.
    Sì, lo stile secondo Sagmeister è una scorreggia. Infatti secondo Sagmeister lo stile non è altro che uno schema precostituito limitante ai corretti processi della creatività, che la indirizza in un’unica direzione precludendo le infinite possibilità.

    Da questo consegue inesorabilmente che le idee migliori arrivano solo se siamo liberi da questi schemi a priori, e che quindi l’impossibilità di percepire la moltitudine di possibilità non caratterizzi solo il ricevente ma anche colui che lo crea, ossia il designer.
    è quindi necessario per lo sviluppo del cervello umano, disalienarsi rispetto delle barriere fittizie e guardare oltre, al progresso.

    Purtroppo anche in questo modo non si farà altro che dare vita a concetti precostituiti, ma probabilmente la mente umana è fatta così, non possiamo vivere realmente senza questi ultimi, ma possiamo liberarci dalle convenzioni sociali imposte per evolverci.

    Rispondi
  63. Giorgia Poletti   22 Marzo 2023 at 23:26

    Per definizione il grafico è un professionista che è in grado di individuare e creare una soluzione per risolvere un problema nel campo nella comunicazione, perciò per rendere un messaggio chiaro. Tale affermazione è però in contrasto con i tre illustri graphic designer trattati dall’articolo. Essi non hanno voluto soltanto adeguarsi a degli schemi e delle strutture standard, loro hanno portato novità e cambiamento. Si potrebbe dire che hanno cercato il pathos, un elemento che, purtroppo, con l’adattamento delle gerarchie grafiche si è andato a perdere. Il fattore che trovo a dir poco interessante delle loro proposte è l’unicità e l’originalità che, sorprendentemente, racchiude un elemento ai tre comune: il non voler sottostare agli standard strutturali. Per metterlo in atto essi hanno sperimentato nuove forme di emozioni, ricercando sensazioni uniche e inconsuete, forse addirittura scomode. Riporto la frase di Stefen Sagmeister, citata nell’articolo “To touch somebody’s heart with design” delle parole, dal mio punto di vista, significative per far comprendere la sua indagine riguardante la sfera emotiva in modo tale da far suscitare agli spettatori un sentimento nuovo.
    “Andare a caccia di emozioni percettive fuori dall’ordinario non ci fa correre il rischio di abbandonarsi a un cieco disordine?” la mia risposta è: non necessariamente. Questa estensione verso nuove trepidazioni non deve essere percepita in maniera negativa, ciò non comporta ad una perdita del senso cognitivo e grafico ma anzi, può solo aiutare ad espanderli, dando la possibilità studiare l’altra faccia della medaglia. Sono consapevole che l’innovazione non viene sempre vista di buon grado, come è successo per Paola Scher, giudicata aspramente dai suoi colleghi, ma ciò non toglie che il suo talento è stato riconosciuto dall’opinione pubblica, la quale ha preso le sue difese elogiandola per il suo lavoro. Forse, ciò che in molti non riescono a cogliere è lo studio dietro al carattere per renderlo più accattivante: con diverse grandezze, differenti stili, dallo stampatello a al corsivo e via discorrendo.
    Credo che oggigiorno il concetto di “creatività” sia un fattore in parte dato per scontato, è essenziale distinguersi, mostrando una particolarità che possa rappresentarci e renderci unici rispetto agli altri. La peculiarità che lo rende lo rende complesso è l’impedimento da parte dei clienti del graphic designer, il quale deve sottostare al volere della clientela senza potersi esprimere a pieno, semplificando un messaggio per renderlo comprensibile. In sostanza, deve essere creativo senza esserlo. Per concludere vorrei parlare del concetto ideale di “bellezza”. Sostengo che nell’epoca in cui viviamo non possiamo più porci domande su quanto possa risultare bella una grafica, in quanto è un fattore superato e controproducente; in questo modo si rimane ancorati ad uno schema regolare per compiacere i consumatori senza compiere passi avanti. Per questo penso sia essenziale lasciarsi guidare dall’irrazionalità delle emozioni, proprio come Stefan Sagmeister, Neville Brody e Paola Scher hanno fatto.

    Rispondi
  64. Martina Sipione LABA   27 Marzo 2023 at 11:18

    Al giorno d’oggi il graphic designer è diventata una figura importante, se non fondamentale, all’interno di ogni tipo di lavoro. La domanda che mi pongo è: il GD deve solo risolvere i problemi di comunicazione?
    Nonostante ci siano ovunque elementi grafici, che sia per strada o dentro un negozio, essi sono creati appositamente per trasmettere una soluzione a dei problemi, ma la grafica non è solo questo. Per questo la mia risposta alla domanda è no, o meglio non solo, essendo un mondo vasto ci sono diversi scopi, ma sicuramente quello che accomuna tutti è emozionare. Ed è quello che, se pur diversi tra loro, cercano di fare i tre grandi grafici citati.
    Loro hanno rivoluzionato la grafica, levando di dosso gli standard e rendendola libera. Essi non si sono preoccupati sulla chiarezza del messaggio da comunicare, tanto sull’emozione che vanno a scatenare al pubblico. Sembra quasi che cerchino di provocare il pubblico, aumentando cosi il loro interesse. Sono sicura che con il passare degli anni è il mutare delle tecnologie questo mondo cambierà radicalmente, ma spero che il fine di emozionare non si perdi perché è la cosa più bella.

    Rispondi
  65. Marianna Pati   29 Marzo 2023 at 19:23

    Senza dubbio il cambiamento nasce dal bisogno di stravolgere le regole, o a volte, dall’esigenza di esprimere la propria opinione. È un po’ il caso di questi 3 designer che si sono voluti discostare da quella che era la “normalità” nel campo grafico del 1900. Cercare di emozionare il pubblico (come vuol fare la designer Paola Scher), oppure usare l’ironia o un atteggiamento Punk e noncurante (tipico rispettivamente dei designer Stefan Sagmeister e Neville Brody) certamente, oltre a far aprir gli occhi, può anche attirare verso di sé diverse critiche.
    Tuttavia a mio avviso, creare scandalo spesso non giova alle grandi industrie e multinazionali poiché, oltre a ledere la propria immagine, si potrebbe andare incontro al rischio che il messaggio di partenza, lanciato dal brand in questione, venga frainteso.
    Poiché design è anche comunicazione visiva, bisogna evitare equivoci che potrebbero compromettere l’immagine del brand, e di conseguenza le ipotetiche vendite.
    A favore della mia tesi riporto qui il fatto di cronaca che ha interessato la celebre casa di moda Dolce&Gabbana. La sua campagna propagandistica infatti, pubblicata il 21 Novembre 2018 e promotrice della grande sfilata di Shanghai, riprende una modella cinese intenta ad assaggiare per la prima volta piatti tipici italiani (in particolare pizza, cannoli e spaghetti) usando solo delle bacchette. Oltre all’evidente difficoltà riscontrata dalla ragazza, si aggiungono all’interno dello spot anche diversi stereotipi con cui il mondo occidentale guarda alla Cina, come musiche tradizionali e decorazioni. Nel video con il cannolo, inoltre, una voce fuori campo le chiede se le dimensioni del dolce fossero troppo grandi per i suoi gusti.
    In solo 24 ore il web ha espresso tutta la sua indignazione, accusando la casa di moda di razzismo e sessismo. Ciò ha costretto Dolce&Gabbana ad annullare l’evento pubblicizzato e a scusarsi sentitamente per il messaggio carpito da quel video promozionale.
    Benché gli stilisti abbiano specificato che il tutto voleva essere un tributo alla cultura cinese, la perdita dell’azienda ammonta a circa 25 milioni di dollari (inizialmente stanziati per la realizzazione dello spettacolo).
    Molto spesso si pensa che basta avere un nome per uscire indenne da uno scalpore, ma non è affatto così. Le crisi nate online non vanno sottovalutate, specialmente se possono in qualche modo intaccare gli affari delle imprese.

    Rispondi
  66. Letizia Mazzetti   31 Marzo 2023 at 11:13

    Nell’articolo si affrontano tre graphic designer differenti, ognuno con il loro stile.
    Si parla di Paola Scher, Neville Brody e di Stefan Sagmeister.
    Personalmente non sono d’accordo con il fatto che la figura del graphic designer serva solo ed esclusivamente per risolvere i problemi di comunicazione del cliente. Al contrario io credo che questa figura debba arricchire il progetto del cliente. Il graphic designer deve aggiungere valore al prodotto finale, personalizzarlo e renderlo maggiormente interessante, inoltre, deve attirare l’attenzione del pubblico e persuaderlo.
    Spesso, però, capita che le grafiche siano difficili da capire in un primo momento, perché l’artista non si attiene alle regole standard, ovvero alla chiarezza, all’ordine e alla simmetria e quindi richiedono una maggiore attenzione da parte del pubblico per essere comprese al meglio.
    Gli artisti trattati hanno stili diversi e sono tutti accomunati dal rifiuto delle regole classiche.
    Partendo da Paola Scher, appartenente al post-modernismo, che si preoccupa delle emozioni e dell’enfatizzazione dello spettacolo grafico, percepito come gesto creativo di auto-espressione. Continuando con Neville Brody, appartenente alla cultura post-punk e finendo con Stefan Sagmeister, artista nato a Vienna, che viene considerato più contemporaneo.
    Trovo i lavori della Scher molto interessanti perché non usa in modo convenzionale i caratteri tipografici, perché attribuisce al testo delle figure e perché con i suoi lavori si interessa delle emozioni che trasmetterà al pubblico.
    Per quanto riguarda Brody, invece, mi piace che si occupi di un design estremo, rispecchiando i canoni punk. Ha un lato trasgressivo, provocatorio e molto espressivo.
    Stefan Sagmeister mi è piaciuto di più perché crea shock nello spettatore, mostrando grafiche che muovono l’emotività del lettore. Non è interessato alle regole classiche del design e si diverte e a stravolgerle con molta determinazione.
    Infine mi piace che quest’ultimo interpreti l’idea del design come un evento, una performance capace di diffondere partecipazione e condivisione.

    Rispondi
  67. Letizia Mazzetti   31 Marzo 2023 at 11:15

    Nell’articolo si affrontano tre graphic designer differenti, ognuno con il loro stile.
    Si parla di Paola Scher, Neville Brody e di Stefan Sagmeister.
    Personalmente non sono d’accordo con il fatto che la figura del graphic designer serva solo ed esclusivamente per risolvere i problemi di comunicazione del cliente. Al contrario io credo che questa figura debba arricchire il progetto del cliente. Il graphic designer deve aggiungere valore al prodotto finale, personalizzarlo e renderlo maggiormente interessante, inoltre, deve attirare l’attenzione del pubblico e persuaderlo.
    Spesso, però, capita che le grafiche siano difficili da capirei in un primo momento, perché l’artista non si attiene alle regole standard, ovvero alla chiarezza, all’ordine e alla simmetria e quindi richiedono una maggiore attenzione da parte del pubblico per essere comprese al meglio.
    Gli artisti trattati hanno stili diversi e sono tutti accomunati dal rifiuto delle regole classiche.
    Partendo da Paola Scher, appartenente al post-modernismo, che si preoccupa delle emozioni e dell’enfatizzazione dello spettacolo grafico, percepito come gesto creativo di auto-espressione. Continuando con Neville Brody, appartenente alla cultura post-punk e finendo con Stefan Sagmeister, artista nato a Vienna, che viene considerato più contemporaneo.
    Trovo i lavori della Scher molto interessanti perché non usa in modo convenzionale i caratteri tipografici, perché attribuisce al testo delle figure e perché con i suoi lavori si interessa delle emozioni che trasmetterà al pubblico.
    Per quanto riguarda Brody, invece, mi piace che si occupi di un design estremo, rispecchiando i canoni punk. Ha un lato trasgressivo, provocatorio e molto espressivo.
    Stefan Sagmeister mi è piaciuto di più perché crea shock nello spettatore, mostrando grafiche che muovono l’emotività del lettore. Non è interessato alle regole classiche del design e si diverte e a stravolgerle con molta determinazione.
    Infine mi piace che quest’ultimo interpreti l’idea del design come un evento, una performance capace di diffondere partecipazione e condivisione.

    Rispondi
  68. Letizia Mazzetti   31 Marzo 2023 at 11:24

    Nell’articolo si affrontano tre graphic designer differenti, ognuno con il loro stile.
    Si parla di Paola Scher, Neville Brody e di Stefan Sagmeister.
    Personalmente non sono d’accordo con il fatto che la figura del graphic designer serva solo ed esclusivamente per risolvere i problemi di comunicazione del cliente. Al contrario io credo che questa figura debba arricchire il progetto del cliente. Il graphic designer deve aggiungere valore al prodotto finale, personalizzarlo e renderlo maggiormente interessante, inoltre, deve attirare l’attenzione del pubblico e persuaderlo.
    Spesso, però, capita che le grafiche siano difficili da capirei in un primo momento, perché l’artista non si attiene alle regole standard, ovvero alla chiarezza, all’ordine e alla simmetria e quindi richiedono una maggiore attenzione da parte del pubblico per essere comprese al meglio.
    Gli artisti trattati hanno stili diversi e sono tutti accomunati dal rifiuto delle regole classiche.
    Partendo da Paola Scher, appartenente al post-modernismo, che si preoccupa delle emozioni e dell’enfatizzazione dello spettacolo grafico, percepito come gesto creativo di auto-espressione. Continuando con Neville Brody, appartenente alla cultura post-punk e finendo con Stefan Sagmeister, artista nato a Vienna, che viene considerato più contemporaneo.
    Trovo i lavori della Scher molto interessanti perché non usa in modo convenzionale i caratteri tipografici, perché attribuisce al testo delle figure e perché con i suoi lavori si interessa delle emozioni che trasmetterà al pubblico.
    Per quanto riguarda Brody, invece, mi piace che si occupi di un design estremo, rispecchiando i canoni punk. Ha un lato trasgressivo, provocatorio e molto espressivo.
    Stefan Sagmeister mi è piaciuto di più perché crea shock nello spettatore, mostrando grafiche che muovono l’emotività del lettore. Non è interessato alle regole classiche del design e si diverte e a stravolgerle con molta determinazione.
    Infine mi piace che quest’ultimo interpreti l’idea del design come un evento, una performance capace di diffondere partecipazione e condivisione.
    Concludo dicendo che sicuramente questi tre grandi artisti hanno influenzato i graphic designer nati dopo di loro.

    Rispondi
  69. Elia Mazzavillani   4 Aprile 2023 at 22:14

    Il lavoro del Grafic Designer è un lavoro di concetto, deve saper comunicare e deve saperlo fare bene. Non si può limitare alla solo esecuzione del classico compitino assegnato dal cliente, se no, quasi tutti sarebbero in grado di creare un volantino semplice e banale, non crede?
    Con il passare degli anni il mondo dei GD è cambiato tanto e si è evoluto. È diventato più personale e con meno vincoli, ma l’obbiettivo rimane sempre e solo uno, comunicare un messaggio, ma siamo davvero sicuri che il GD si limiti solo a questo? Ovunque andiamo, che sia passeggiando per il centro o entrare in una farmacia siamo bombardati da elementi grafici che comunicano qualcosa, ma si troverà a fatica un manifesto uguale all’altro, perché ogni GD trova il suo stile e cerca di incastrarlo al meglio con le esigenze del cliente, provando a trasmetterci non solo il messaggio desiderato, ma anche qualcosa di suo.
    Quindi la mia risposta alla domanda che mi sono posto prima è no. Questo lavoro non è solo comunicare qualcosa, ma saper “lasciare” qualcosa in più di una semplice informazione.
    I tre grafici da lei citati sopra nel commento, hanno creato un loro stile completamente differente da quello che erano gli standard di allora, e hanno fatto del loro meglio per cambiare quella che era una visione limitata al solo concetto di esprimere un messaggio, in qualcosa di artistico e di emozionale.

    Rispondi
  70. Emma Bonvicini   27 Aprile 2023 at 16:24

    Sostengo che la figura del Graphic Designer sia molto importante per la comunicazione, difatti il ruolo principale è quello di esprimere un messaggio o un concetto attraverso dispositivi visuali, unendo diversi aspetti, come immagini, colori, testi ed elementi grafici, ma non si limita solo a questo, in quanto credo sia importante anche lasciare qualcosa di personale al cliente o al pubblico;
    credo sia corretto che vengano stabilite delle regole alla base del Graphic design, ma non necessariamente devono essere seguite da tutti, la diversità è l’elemento che rende unici, ogni designer ha un proprio stile, delle proprie idee, un modo personale di esprimersi, ed è giusto che questi elementi vengano messi in pratica nella realizzazione di elementi grafici.
    Nell’articolo vengono nominati tre graphic designer molto importanti, Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister, seppur questi hanno stili differenti tra loro, una cosa che di certo hanno in comune è voler andare fuori dagli schemi, non conformarsi alle regole del design quali linearità e chiarezza dei contenuti, pertanto a mio parere il filo che li lega è l’unicità.
    Personalmente ritengo siano molto più coinvolgenti ed interessanti le opere che vanno oltre gli schemi predefiniti della grafica; trovandosi di fronte ad esse infatti, si devono osservare attentamente in modo da riuscire a capire il messaggio, questo significa che i designer non ti pongono chiaramente davanti agli occhi il concetto finale per cui sono state realizzate, ma cercano uno sforzo da parte del pubblico per far si che vengano capite; non sempre questo accade ma credo sia anche interessante capire le diverse percezioni dei lettori, cosa provano davanti ad opere del genere, cosa comprendono, qual è il messaggio che percepiscono, in quanto ognuno ha reazioni e percezioni differenti.
    Ritengo che questo aspetto di non voler seguire la massa e le regole standard, si applichi ad ogni campo artistico, e non solo al graphic design, si pensi banalmente alle avanguardie artistiche, nelle quali il rifiuto degli standard e l’elemento di provocazione erano sempre presenti.

    Rispondi
  71. Andrea Casadei LABA   11 Maggio 2023 at 10:22

    L’importanza della creatività e della flessibilità nel design grafico è il tema centrale di questo testo. I tre graphic designer analizzati hanno scelto di rifiutare gli standard precostituiti e di utilizzare una forma di design che permette ai fruitori di ricavare il massimo di informazioni, soprattutto emotive. Il buon design può avere un impatto emotivo e percettivo sul pubblico, andando al di là della mera trasmissione di un messaggio; è quindi fondamentale considerare l’effetto emotivo dei dispositivi visuali che si creano, per creare un contatto significativo e duraturo con il pubblico. Il design grafico può esprimere emozioni e pensieri attraverso l’uso creativo di tipografia e distribuzione degli elementi visivi, e la creatività è necessaria per il successo del design nel futuro. Il design deve essere una combinazione equilibrata tra funzionalità ed estetica, capace di coinvolgere le persone e migliorare la loro esperienza di utilizzo; inoltre, la provocazione e la violazione delle regole possono risultare una caratteristica importante di questa arte, perché attraverso di esse si possono raggiungere messaggi più forti e significativi. L’idea del post-design come gioco di dissolvenze incrociate e conversione dello sguardo sembra molto interessante e potrebbe rappresentare una nuova direzione per il design grafico nel futuro.

    Rispondi
  72. Leonardo Colonna LABA   1 Giugno 2023 at 01:29

    Leggendo l’articolo siamo in grado di percepire il percorso di evoluzione del graphic designer come figura professionale.
    Graphic designer è colui che si occupa della creazione di design visivi efficaci e accattivanti per una vasta gamma di scopi, inclusi la comunicazione, l’identità del marchio, la pubblicità e il marketing. Il loro ruolo richiede una combinazione di creatività, competenze tecniche, capacità di comunicazione e una comprensione delle esigenze del pubblico di riferimento.
    L’intento non è vendere ma creare un impatto emotivo sulla persona che osserva il tuo lavoro, con lo scopo di instaurare un’efficace comunicazione, suscitare emozioni, stimolare la curiosità, generare una connessione emotiva e creare un’esperienza significativa per il pubblico. Questo può essere raggiunto attraverso l’uso di colori, forme, immagini, tipografia e layout che evocano sensazioni, creano un’atmosfera o trasmettono un messaggio profondo.
    Il graphic designer che possiamo definire più innovativo è sicuramente Paola Scher, integrando diverse discipline nel suo lavoro, combinando elementi di design grafico, tipografia, arte e architettura. Questa multidisciplinarietà le consente di creare progetti unici e originali che sfidano le convenzioni del design tradizionale. Sottolineando l’importanza dell’apprendimento per un grafico attraverso il contatto diretto con coloro che praticano il design. Questo concetto si basa sull’idea che l’apprendimento nel campo del design non sia solo un processo accademico, ma richieda anche un’esperienza pratica e un’immersione nella realtà del settore, incoraggiando quindi i giovani designer a non limitarsi all’apprendimento teorico, ma a immergersi nella realtà del design, lavorando a stretto contatto con coloro che già praticano la professione. Questo approccio favorisce un apprendimento completo e consente di acquisire competenze pratiche e una visione più approfondita del settore.
    Sono d’accordo con PS nel concepire l’atto grafico come un gesto creativo di auto-espressione, il design grafico offre una piattaforma per esprimere la propria creatività e comunicare idee, emozioni e concetti attraverso l’uso di elementi visivi. In conclusione, l’atto grafico come gesto creativo di auto-espressione è un aspetto cruciale del design grafico. Essere in grado di comunicare se stessi attraverso il proprio lavoro permette di creare un’impronta unica e di connettersi in modo più significativo con il pubblico.
    Mi trovo anche d’accordo con la citazione di Stepan Sagmeister, secondo cui la grafica dovrebbe toccare il cuore di qualcuno, essendo in grado di lasciare un’impronta duratura nella mente e nel cuore delle persone. Quando il design grafico è in grado di trasmettere un messaggio in modo potente ed empatico, può generare una risposta emotiva nel pubblico, che può variare da gioia, sorpresa, tristezza, rabbia o ispirazione. Queste emozioni possono influenzare il modo in cui il pubblico percepisce e si connette con il messaggio, rendendo il design più memorabile ed efficace.

    Rispondi
  73. Sofia Pilli LABA   12 Giugno 2023 at 14:56

    Il testo mette in luce l’importanza di concentrarsi sulla percezione del messaggio, piuttosto che solo sui contenuti, nel campo del design grafico. Viene presentato il lavoro di tre graphic designer influenti: Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister.
    Paola Scher ha introdotto tipografie energiche e maiuscole, sfidando le convenzioni tradizionali e creando design emotivamente coinvolgenti. Neville Brody, noto per il suo stile provocatorio, cerca di creare attrito tra occhio e cervello attraverso la sua grafica per evidenziare l’alienazione delle immagini nella società moderna.
    Stefan Sagmeister, con la sua propensione alla provocazione, supera i confini del design tradizionale e sostiene che la creatività e l’idea di design siano più importanti dello stile personale. Si suggerisce che Sagmeister stia esplorando territori più rischiosi nell’arte, convinto che questo sia il percorso verso la felicità.
    Nel complesso, il testo analizza l’impatto e l’approccio di questi designer nel creare messaggi visivi significativi, sottolineando la sfida alle convenzioni e l’importanza del coinvolgimento emotivo e del linguaggio nel processo creativo.

    Rispondi
  74. Rita Ghidoni   17 Giugno 2023 at 18:07

    Come sappiamo il buon design, in tutte le sue forme, interessa un po’ tutti. Forse perché ci fa sentire migliori, addirittura più felici di quanto potremmo essere senza. Tuttavia, lascia perplessi il fatto che questi esiti estetici siano stati raggiunti mettendo in discussione ciò che un tempo veniva definito razionale e bello.

    La professione di Graphic Designer si orienta verso la configurazione di testi visivi sincretici, che comprendono parole, immagini, colori e altri elementi, per essere utili nella comunicazione di messaggi pregnanti. Le aziende ed i soggetti istituzionali si avvalgono dei Graphic Designer per creare contatti significativi con il proprio pubblico.

    Di solito, l’approccio pragmatico che caratterizza il Graphic Designer ha un punto di partenza privilegiato, che coincide con un problema da risolvere.
    Ma che tipo di problemi deve affrontare e risolvere il Graphic Designer? A tal riguardo, possiamo facilmente prendere atto di che quasi tutti gli addetti ai lavori rispondono alla domanda con frasi come: “Il Graphic Designer risolve problemi di comunicazione del cliente”.

    Preferisco guardare la questione da un’altra prospettiva. Sostengo che il problema primario del Graphic Designer sia creare dispositivi che siano efficaci nel comunicare e nel creare un contatto con le persone, specialmente quando c’è stata una mancanza nell’effetto comunicativo.
    Di conseguenza, il Graphic Designer dovrebbe innanzitutto agire avendo cura di non disturbare troppo i contenuti, a livello comunicativo, privilegiando la chiarezza, l’organizzazione lineare dei segni visivi, la simmetria tra le forme e le figure, e così via.

    Ma ciò nonostante creare un contatto efficace richiede un approccio molto diverso nell’attività grafica, dovendosi concentrare sulla percezione del messaggio e sulle informazioni che appartengono alla configurazione grafica stessa, piuttosto che sulle speculazioni persuasive del messaggio.

    A tale scopo, Paola Scher può essere citata come esempio di Graphic Designer che ha sfidato le convenzioni del design grafico modernista. La sua strada verso l’attività creativa ha posto l’accento sul potere dell’espressione e dell’emozione, utilizzando caratteri tipografici non convenzionali e soluzioni visive non lineari. Le sue creazioni, pur mancando dell’apparente chiarezza razionale, sono state considerate efficaci e innovative, contribuendo al movimento post-modernista nel campo del design grafico.

    In conclusione, l’articolo su i “migliori” Graphic Designer solleva un dibattito stimolante sul ruolo dell’estetica e dell’emozione nella comunicazione visiva, sfidando le norme convenzionali e suggerendo che l’innovazione e l’efficacia possano derivare dall’adozione di approcci non usuali. Questo invita i Graphic Designer a esplorare nuove possibilità creative e a considerare l’impatto emotivo delle loro creazioni, oltre alla mera trasmissione di informazioni.

    Rispondi
  75. Marica Giustini LABA   19 Giugno 2023 at 17:35

    Il testo esplora il concetto del design e la sua evoluzione nel corso del tempo, concentrandosi sul ruolo del graphic designer nell’elaborazione di dispositivi visivi efficaci. L’idea che viene illustrata è che il buon design, nonostante metta in discussione gli ideali di razionalità e bellezza tradizionalmente associati, ha il potere di creare contatti significativi e ripristinare effetti percettivi e comunicativi. Viene messo in discussione l’approccio convenzionale alla comunicazione, affermando che il problema principale del graphic designer non è solo risolvere i problemi di comunicazione del cliente, ma anche creare dispositivi visivi che abbiano un impatto immediato e stimolino la percezione del messaggio.
    Il testo parla, in particolare, di tre graphic designer che hanno rivoluzionato il mondo della grafica: Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmaister.
    La prima, si distingueva per il suo uso non convenzionale dei caratteri tipografici, secondo lei dovevano avere un significato aggiuntivo che li rendesse interessanti ed emozionanti. Tendeva a rompere le regole dell’ordine e della simmetria e anche se, inizialmente, i suoi lavori sono stati criticati per la presunta mancanza di chiarezza e disordine percettivo, sono stati apprezzati dalla critica che li ha etichettati come esempi di design post-moderno.
    Successivamente, si parla di Brody, descritto come un’artista post-punk che porta avanti un approccio grafico provocatorio e a tratti estremo che cercava di coinvolgere le persone, anziché imporre loro un modo di pensare prestabilito o influenzato.
    Infine, viene citato Sagmaister, noto per la sua propensione alla provocazione e al messaggio diretto, infatti le sue opere sono spesso cariche di ironia e shock visivo, finalizzate a suscitare emozioni e stimolare una risposta emotiva nel pubblico.
    I tre, anche se tramite stili differenti, hanno in comune il fatto che hanno sfidato le convenzioni cercando di suscitare e scuotere l’emotività del pubblico, considerando l’atto grafico come un gesto creativo di auto-espressione e libertà. Erano tre visionari che, tramite l’innovazione e assumendosi anche dei rischi dovuti alla possibilità di non farcela, sono riusciti a portare il graphic design ad un altro livello e modo di vedere le cose. Ancora oggi, un buon grafico, deve non solo riuscire a fare una comunicazione mirata tramite immagini, parole e marketing, ma deve distinguersi dalla massa, farsi notare, trovare un proprio stile che lo caratterizzi, senza tralasciare mai il cercare di suscitare emozioni nei destinatari e il protrarsi sempre verso l’innovazione, visto che è un lavoro in continuo cambiamento ed aggiornamento.

    Rispondi
  76. Matilde Tagliavini LABA   21 Giugno 2023 at 01:42

    Il ruolo del graphic designer è ancora molto confuso nella mia visione. Nelle mie riflessioni, la domanda “cosa fa il graphic designer?” non ha ancora una risposta netta. Il primo pensiero è: venderti un contenuto comunicativo. Ma è così semplice creare questo contenuto? Per molti a quanto pare si. Tra parenti e amici che pensano che quello che stai facendo sia solo disegnare e divertirsi senza fare qualcosa di reale, materiale, concreto. Quando non sanno che il mondo della grafica li circonda a 360°. Molte delle loro scelte nella vita quotidiana sono dettate da messaggi che il GD vuole trasmettere. Si può quasi associare, per azzardare, il ruolo del GD a quello di un mentalista. Alla fine attraverso giochi di parole, disegni e colori può dare tutto ciò che ti occorre, come se ti leggesse nella mente. Lo vedo come un artista, attraverso le sue opere vuole mandare un messaggio e quando riesce a farlo mettendoci se stesso, può raggiungere il grado massimo del suo lavoro. Rompere le regole che vengono inculcate fin dai primi studi, la chiarezza, l’ordine, la funzionalità, per quanto corrette, in un certo senso, possono risultare monotone quando proposte in continuazione. Qui deve entrare l’originalità del GD, secondo me, che anche volendo in un qualche modo rispettare le regole prestabilite, aggiunge una parte personalissima ai suoi lavori. Alla fine il GD vero, oltre a venderti un contenuto, ti vende anche una parte di se stesso. È questo il caso dei tre GD citati nell’articolo. Tra i lavori della Scher, Brody e Sagmeister, anche se si sono allontanati dalle regole tradizionali della grafica, hanno un filo che li unisce: la loro creatività nell’essere unici ed esclusivi nei loro lavori, ed aver osato. Ognuno di loro ha avuto un grande impatto, perché diversi, erano lavori che nessuno si aspettava di vedere. Come sappiamo l’effetto a sorpresa è un’arma a doppio taglio, può andare positivo ma anche molto negativo. È la paura di quest’ultimo che trattiene molte menti creative ad esporsi, al non osare, al non riuscire ad esprimersi e rimanere nella tranquillità, di quello si sa essere sicuro. Da qui sorge una domanda: è meglio essere burattini o burattinai dei nostri lavori? Lasciare in mano alle nostre creazioni la nostra identità di artisti oppure, come hanno fatto i designer citati e altri, oppure definirla da soli?

    Rispondi
  77. Rigoni Matilda   21 Giugno 2023 at 14:55

    Rigoni Matilda LABA Graphic Design 1

    Tre Graphic Designer molto speciali
    In questo articolo sono stati citati tre grandi icone della storia della grafica che, oltre ad essere graphic designer, si avvicinano molto ad essere artisti; poiché con le loro grafiche di grande impatto, soprattutto con Sagmeister, ci avvicinano molto all’idea di arte.
    Gli stili dei tre grafici e in particolare di Neville Brody e Stefan Sagmeister sono stati una reazione a l’estremizzazione dei paradigmi del modernismo anestetico, dove la forma è esclusivamente al servizio della funzione e spesso l’apporto personale del grafico viene considerato un aspetto secondario, se non inesistente rispetto al contenuto.

    Credo che il legame tra questi tre Grandi Graphic designer sia, oltre al fatto che essi vanno contro ad ogni tipo di standard grafico proclamando “l’aumento di informazioni” come “liberazione del cervello”, il fatto di voler suscitare nello spettatore qualcosa di diverso dalla consueta e chiara comprensione.
    L’obbiettivo principale è quello di scaturire un’emozione nel fruitore che lo porterà a polemiche e discussioni, fino a far accrescere la visibilità e creare un legame tra fruitore e ideatore, che porterà alla vendita.

    Ciò che li accomuna, inoltre, oltre al loro talento ovviamente, è stato il loro tentativo di svincolare la grafica dal ruolo poco gratificante che aveva all’epoca per mostrarci quanto altro poteva esserci dietro ad essa.
    È anche doveroso sottolineare che ai tempi creare questi tipi di contenuti era davvero tentare l’impossibile, uscire dagli schemi ed è stata proprio questa la rivoluzione, andare oltre a ciò che ormai era ovvio, scontato. Sono dell’idea che anche al giorno d’oggi certe grafiche potrebbero funzionare, non tanto per il contenuto ma per la capacità dell’immagine di attirare, catturare il pubblico.

    Senza ombra di dubbio il loro talento è dovuto ad anni di apprendimento, studio e pratica, perché solo se si conoscono le regole si possono infrangere. Dal punto di vista della strategia di marketing creare grafica come faceva Sagmeister portava a tantissime discussioni e dibattiti, di conseguenza allo stesso tempo ne aumenta la visibilità.
    Hanno giocato tutti e tre d’azzardo e hanno vinto, in questo caso l’aspettativa del pubblico era molto diversa dal risultato, questo è stato un fattore molto importante per il loro successo.

    Rispondi
  78. Giacomo Venntrucci LABA Graphic Design   26 Giugno 2023 at 13:06

    Nell’affascinante mondo del Graphic Design, vi sono tre figure che, a mio parere, rappresentano l’iconicità stessa. Sono designer unici e distinti, ognuno con le proprie caratteristiche e uno stile inconfondibile. Tuttavia, ciò che li accomuna è l’obiettivo comune di utilizzare la potenza della grafica per comunicare ed evocare emozioni nel pubblico.
    Questi straordinari creativi si sono distanziati dagli schemi convenzionali e dalle impostazioni geometriche, che spesso privilegiano la simmetria, la chiarezza del messaggio e l’organizzazione ordinata degli elementi sulla pagina. Al contrario, hanno fatto emergere il loro stile personale attraverso il loro tratto grafico, trasformando ogni progetto in un’esperienza indimenticabile per chi lo osserva, senza però sacrificare l’efficacia nella trasmissione del messaggio.
    È interessante notare come il loro intento non sia semplicemente quello di vendere un prodotto, ma di catturare l’attenzione del pubblico con un approccio grafico energico, dinamico e talvolta anche provocatorio. Questa scelta audace mira a creare un’impressione duratura nella mente delle persone, ancor prima che il messaggio venga completamente compreso. Questa tattica comunicativa spinge il pubblico a porre una maggiore attenzione agli elementi grafici e al messaggio stesso, altrimenti rischieremmo di perderci tra tante altre informazioni superficiali. Quando la grafica riesce a suscitare emozioni così forti da spingere il pubblico a reagire attivamente, anziché limitarsi a leggere passivamente righe di testo impeccabilmente organizzate, si crea un legame profondo tra l’opera e l’osservatore. Questo è di grande valore, specialmente in ambito commerciale, in quanto maggiore è il coinvolgimento delle persone, maggiori sono le probabilità che si sentano motivate ad acquistare. D’altro canto, senza una connessione comunicativa autentica tra creatore e cliente, le possibilità di vendita si riducono notevolmente.
    Dal mio punto di vista, ciò che davvero fa la differenza è la capacità di generare idee originali e l’intraprendenza nel sperimentare. Ho notato come molte aziende, sia nel campo del graphic design che in altri settori, preferiscano assumere persone che possiedano un pensiero innovativo piuttosto che individui altamente preparati ma privi di creatività. Questo può sembrare paradossale, considerando che il mondo del design dovrebbe essere intriso di idee e soluzioni creative. Tuttavia, la società moderna si trova ad affrontare un nemico insidioso: l’omologazione del pensiero. Ci sono generatori casuali che ci suggeriscono idee, progetti preconfezionati creati dalle intelligenze artificiali e ciò rende sempre più raro trovare persone dotate di un’autentica fantasia, anche tra coloro che aspirano a diventare graphic designer. In un’epoca così sfrenatamente connessa e dominata dalla tecnologia, scoprire individui che abbiano fantasia e idee originali, diventa ancora maggiormente difficile.

    Rispondi
  79. Gaia Laba   20 Novembre 2023 at 17:21

    Dal mio punto di vista, in un’epoca che valorizza l’estetica visiva e la prima impressione, il ruolo del Graphic Designer è di straordinaria importanza. Si tratta di concepire e sviluppare progetti comunicativi estremamente pertinenti per il pubblico di destinazione. La competenza del graphic designer risiede nella capacità di catturare l’attenzione del destinatario, creando dispositivi visivi altamente efficaci per instaurare una comunicazione impattante. Tuttavia, la grafica è spesso vincolata da regole che privilegiano chiarezza, linearità e simmetria, limitando la libertà creativa del designer. Paola Scher, figura innovativa degli anni ’70 e ’80, è citata come un’icona post-modernista di notevole impatto. Il suo stile si contrappone all’idea tradizionale del grafico, introducendo un’estetica più incisiva e irregolare. Scher sottolinea l’importanza dell’apprendimento pratico nel mondo reale per i giovani designer, mettendo in rilievo la comprensione delle dinamiche del settore. La sua concezione dell’atto grafico come gesto creativo di auto-espressione trova riscontro nell’idea che l’autoespressione spontanea è fondamentale, ma può essere limitata dalla consapevolezza di sé. La capacità di gestire questa spontaneità è essenziale per evitare il caos e il disordine. Stefan Sagmeister, figura contemporanea di spicco nel design, sostiene che la grafica debba toccare il cuore delle persone. Il suo stile provocatorio, sebbene non possa incontrare i gusti di tutti, ha la genialità di suscitare emozioni e rimanere memorabile. Dopo approfondite ricerche, ho individuato affinità con altri designer influenti come David Carson e April Greiman, dai quali emergono ulteriori sfumature nel panorama del design grafico contemporaneo. Carson è un designer noto per il suo approccio anti-design e ribelle, riflesso nel suo stile caratterizzato da tipografie scomposte e layout non convenzionali, sfidando le norme del design tradizionale. Egli è un esempio di come la violazione delle regole possa portare a risultati sorprendenti, evidenziato nella celebre copertina illeggibile di “Ray Gun”. April Greiman, invece, è stata una pioniera nel design digitale, con l’opera “Does It Make Sense?” che rappresenta un esempio chiave del suo approccio innovativo. Ha sperimentato l’uso del computer nel design grafico, integrando elementi digitali e tipografie in un modo che ha ridefinito il concetto stesso di design. In conclusione, questi designer non solo contribuiscono a una comprensione più approfondita della diversità e della ricchezza del design grafico contemporaneo, ma evidenziano anche come la rottura delle regole e l’innovazione siano fondamentali per spingere i confini creativi.

    Rispondi
  80. Elisa Mattia LABA   20 Novembre 2023 at 18:58

    Il Graphic Designer, nel corso degli anni, ha evoluto il suo ruolo, creando disegni ed animazioni per l’ambito artistico o pubblicitario. La progettazione risolve problemi di comunicazione con vari linguaggi, ma le regole della chiarezza possono limitare la libertà creativa.
    Nell’articolo troviamo tre grandi grafici che hanno avuto un’impatto significativo sul design grafico e hanno abbandonano lo stile convenzionale, parliamo di:
    Brody, riconosciuto per i suoi design estremi e provocatori ispirati dalla cultura post-punk;
    Scher, figura innovativa nel post-modernismo che sfida le convenzioni geometriche enfatizzando percezione ed emozione;
    Sagmeister, noto per il suo approccio innovativo al design grafico e la sua enfasi sulla creatività provocatoria.
    Un’opera memorabile di Sagmeister è il manifesto “Design and Happiness”. Personalmente, trovo che la sua combinazione di audacia visiva e messaggio provocatorio rifletta un approccio unico al design, stimolando la riflessione sulla connessione tra design e felicità.
    Un’altro artista che non viene citato ma che secondo me ha avuto un impatto significativo sul design grafico è Banksy. Noto per il suo approccio provocatorio e innovativo nel mondo dell’arte urbana, sfida i limiti della comunicazione visiva analogamente a Sagmeister, Brody e Scher nel design grafico.
    Questi artisti, ciascuno nel proprio campo, hanno contribuito a ridefinire il panorama creativo, trasgredendo le convenzioni e suscitando riflessioni attraverso il loro lavoro innovativo e provocatorio.

    Rispondi
  81. Jessica Caliendo - LABA   21 Novembre 2023 at 13:40

    Esplorare i lavori di Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister nel mondo affascinante del Graphic Design è come navigare in un mare di creatività e innovazione. Paola Scher, maestra nell’arte di trasformare dati complessi in opere visive coinvolgenti, mi ha aperto gli occhi sulla potenza della semplicità, dimostrando che forma e contenuto possono danzare in armonia.
    Neville Brody, con il suo stile provocatorio e ribelle, è come un pioniere visivo che sfida le regole convenzionali, invitando gli spettatori a vedere oltre i confini della normalità. Le sue opere evocano una sensazione di audace ribellione, spingendo i confini della comunicazione visiva e invitando alla riflessione critica.
    Stefan Sagmeister, con la sua filosofia anti-stile e la ricerca incessante dell’unicità, mi ha ispirato a considerare il design come un’esperienza emotiva. La sua opera è come un invito a esplorare le connessioni tra forma e significato, aprendo la porta a una comprensione più profonda del potere delle emozioni nel design.
    Insieme, questi designer non solo ridefiniscono il ruolo del Graphic Designer, ma creano un caleidoscopio di prospettive che sfidano il convenzionale. Se dovessi paragonarli ad un altro graphic designer direi Shepard Fairey, li vedrei come compagni di viaggio nell’esplorazione dell’arte visiva e della sua capacità di veicolare messaggi profondi. Come loro, Fairey ha una presenza distintiva nel mondo del graphic design, ha contribuito a definire il visual language contemporaneo e ha affrontato temi sociali attraverso il suo lavoro, noto soprattutto per l’iconica immagine “Hope” di Barack Obama.
    Tra i lavori più importanti di Paola Scher ci sono le sue straordinarie mappe, che uniscono l’arte alla grafica. Un esempio significativo è la “Maps” del 2006, una rappresentazione visiva non convenzionale e creativa del mondo. Le mappe di Scher sono caratterizzate da un uso audace dei caratteri tipografici e da un’estetica che sfida le convenzioni cartografiche tradizionali.

    Rispondi
  82. Blue LABA   21 Novembre 2023 at 16:45

    Il ruolo di un graphic designer è sostanzialmente quello di comunicare un messaggio per conto di un cliente. Quindi è vitale tener conto del contesto e del target a cui è indirizzato il messaggio. Un bravo graphic designer riesce a trasmettere un messaggio in maniera chiara ed efficiente a tal punto da creare delle sensazioni nella mente del cliente. Un esempio di graphic designer potrebbe essere Gabriele D’annunzio che associava le parole agli esseri umani o alla natura. Oro Saiva perché il biscotto è dorato come l’alba, o l’auto al femminile perchè ricorda una donna. Per quanto riguarda i tre grafici trattati all’interno dell’articolo, personaggi i cui stili, sono ormai diventai storia moderna, penso che il loro modo di fare grafica sia stato in parte influenzato dal contesto storico in cui sono cresciuti, infatti tutti e tre sono vissuti durante gli anni ’60, vivendo gli inizi del movimento punk. Vivere in quell’epoca ha reso il loro approccio alla grafica provocatorio, trasgressivo e individuale. Sicuramente ciò li ha resi innovativi ed impattanti per gli anni 70 e 80, prima ricamati di grafiche pulite ed ordinate. Anche se loro si sono avvicinati al mondo della grafica per esigenze personali, poi hanno poi iniziato ad utilizzare il loro stile grafico unico anche per comunicare i messaggi altrui, rendendo il loro marchio ‘’di valore’’ ma perdendo gli intenti iniziali. Se la grafica di oggi è così, è anche merito loro dato che oggi le grafiche disordinate e talvolta psichedeliche sono diventate addirittura comuni, basta vedere il brutal core, o il vaporwave ecc… .

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   22 Novembre 2023 at 12:04

      Devo dire che il D’Annunzio grafico mi ha sorpreso. Per me era piuttosto un grafomane narcisista. Allora praticamente non esisteva la macchina da scrivere. Sì certo erano conosciuti gli ottocenteschi alambicchi di Giuseppe Ravizza o di Agostino Fantoni, che sembrano dei clavicembali. Effettivamente all’inizio del novecento appaiono i primi modelli che funzionavano più o meno come la mia mitica Olivetti Valentine. Ma un vanesio come D’Annunzio non avrebbe mai utilizzato personalmente una Remigton o una Smith. Come tutti i narcisi ad oltranza aveva bisogno di lasciare il segno in ogni cosa che lo coinvolgeva. Soprattutto, è ovvio, quando scriveva la sua noiosa letteratura, o le missive alle sue fidanzate…Se vuoi dire quindi che il suo bisogno di esprimere la sua terrificante individualità trovava modo di realizzarsi anche in una grafia particolare o in altri trucchetti figurativi, siamo d’accordo. Considerarlo un capostipite del grafic design…mah! Boh! Forse di un pessimo design

      Rispondi
  83. Giulia Minghini LABA   21 Novembre 2023 at 17:10

    Il Graphic Designer deve elaborare e trasmettere un messaggio persuasivo, attraverso l’utilizzo di parole, immagini, colori, parte da un problema e deve riuscire a creare un progetto creativo come soluzione.
    “La grafica che mi interessa sviluppare deve toccare il cuore di qualcuno”, questa è una frase di Stefan Sagmeister uno tra designer che attraverso la non-linearità, l’innovazione, la rottura delle regole, è riuscito a raggiungere l’obbiettivo della grafica.
    Nell’articolo vengono citati tre grafici: Paola Scher, Neville Brody, Stefan Sagmeister. Tutti quanti grafici che grazie alla rottura delle regole del modernismo(basato su ordine, regolarità e caratteri leggeri), hanno rivoluzionato il graphic design.
    Sher ha trovato soluzioni energiche: usava caratteri tipografici espressivi ed evidenti, molto leggibili e quasi sempre in stampatello. Inizialmente veniva criticata ma poi si creò una cerchia a suo favore, e iniziò così il post-moderno.
    Brody è stato designer, direttore artistico, disegnatore di caratteri. Ha aderito al punk, ha prodotto copertine per album, porter per concerti e con la sua creatività gli permette di lavorare per riviste internazionali, oltre ad aver fondato la rivista The Face. Venne presentata una mostra dei suoi lavori in tutta Europa e in Giappone. Creò il Font shop, il primo distributore di font digitali, in collaborazione di un designer tedesco. Ha lavorato anche per siti web come quello di Kenzo. Curò l’immagine del quotidiano “The times”, creando inoltre un nuovo carattere tipografico. Tra i suoi lavori più recenti sono presenti, Nike, Adidas, Montblanc e il modern Museum of art.
    Stefan Sagmeister uno dei più importanti designer nel periodo del post-design.
    Adora la provocazione, lo shock grafico, per creare messaggi diretti ed emotivi. Si percepisce subito il messaggio che vuole trasmettere, attraverso la sua provocazione riesce a farsi intendere ancora più rapidamente.
    Un grafico simile a quelli citati nell’articolo è David Carson, è un famoso designer grafico americano, un vero ribelle. Sostiene che se tutti amano il tuo lavoro allora stai andando troppo sul sicuro, hai bisogno che ad alcune persone non piaccia, e allora molto probabilmente hai capito qualcosa. Sono d’accordo con il suo pensiero, perché proprio quando ci sono difficoltà, problemi, da superare, bisogna dare il massimo di se stessi per cercare di superarsi e distinguersi, e così si può ottenere ogni volta qualcosa di diverso e migliore. Ciò che appare caotico e causale non lo è quasi mai, c’è sempre un motivo e una logica da progettare, per chi lo crea, e da capire, per chi lo osserva. Ha creato anche molte campagne pubblicità per la Nike, lavorato come direttore artistico per riviste come Ray Gum, Beach Culture, oltre ad aver creato album per band musicali. In tutti i suoi progetti si può riconoscere un’estetica ribelle e tipografie audaci.
    Si possono notare delle differenze nelle campagne pubblicitarie della Nike di David Carson da quelle di Neville Brody.
    Se si prende in considerazione lo stile grafico Neville Brody è audace e sperimentale, usa tipografie strutturate, forme geometriche, colori vivaci e un approccio grafico molto distintivo. D’altra parte, David Carson ha invece un approccio più postmoderno e ribelle, utilizza layout non convenzionali, sovrapposizioni di testo e immagini e un forte senso di grunge.
    Inoltre e campagne di Brody erano spesso molto concettuali, voleva trasmettere un senso di potere, energia e determinazione. Mentre Carson per Nike avevano un tono più giovanile e informale, voleva coinvolgere il pubblico attraverso elementi visivi insoliti e inaspettati.
    Entrambi i designer hanno fatto un uso innovativo della tipografia, ma in modi diversi.
    Entrambi i designer hanno lasciato un’impronta evidente sulle campagne pubblicitarie della Nike, ognuno con il suo stile unico e riconoscibile. La campagna di Brody era più concettuale e strutturata, mentre quella di Carson era più giocosa e informale.
    Possiamo notare diverse differenze tra i grafici e gli stili che utilizzavano(post-moderno, Graphic design estremo, post-design, grunge), ma fanno tutti parte della post-modernità, che significa liberarsi da qualsiasi narrazione precostituita che ostacola il problema da risolvere.
    Credo che tutti i progetti di questi grafici abbiano una cosa in comune, l’originalità e il piacere di osservarli, perché anche se si è abili con le tecnologie è sempre necessaria la creatività e distinguersi dalle solite tendenze del momento.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   22 Novembre 2023 at 08:45

      Ottimo esempio quello di Carson, ben descritto tra l’altro. L’unico appunto che posso farti è che secondo l’idea che mi sono fatto il post moderno così come si è profilato come concetto dalla fine dei ’70 dobbiamo differenziarlo da ciò che definisco post-design e anche dal design estremo. Questi ultimi risentono infatti dei colpi che il decostruzionismo ha cercato di rifilare all’effetto ludico e agli storicismi gravidi di anacronismi dei post modernisti.

      Rispondi
  84. tb   22 Novembre 2023 at 13:42

    Estetica e funzionalità. La funzionalità prima di configurare uno stile estetico. Questo è quello che ho sentito finora nel mio percorso di apprendimento per diventare graphic designer. In contraddizione con le esperienze dei tre designer citati sopra? Forse. O forse no. In ogni caso, già il designer austriaco ha sovvertito l’idea di avere uno stile preconfigurato, considerandolo una gabbia per l’espressione creativa. E di questo, anche se con altre parole, ne parla in realtà anche la Scher. Entrambi, anzi tutti e tre, incluso Brody, non aderiscono a uno stile esterno, preesistente come modello da scegliere, come prodotto preconfezionato tra gli scaffali del supermercato. Non per essere ridondante, ma sono pienamente d’accordo con l’uguaglianza stile = etichetta. Etichetta che una volta che ti metti non riesci più a staccare. A meno di commenti e critiche, ovviamente. Insomma…non è ironico che ci bombardano ogni giorno con messaggi del tipo “be different” ” be yourself”, però devi rimanere nel cerchio che ti sei creato? So what’s the point? Qual è il senso di essere creativi oggi? In modi diversi e veramente originali lo manifestano i tre designer. La Scher mettendo insieme testi e immagini quasi come in un gioco espressivo ( altri lo chiamerebbero disordine progettuale). Brody usando testi e immagini particolari nelle riviste ( che potrebbero essere definiti non adatti graficamente al contesto). Da ultimo, ma non meno importante, Sagmeister, con le sue provocazioni grafiche (da notare i polli nel manifesto). Hanno fatto tutti parlare, eppure sono diventati famosi. Non penso creando un metodo a partire da uno stile, piuttosto il contrario. Il loro “stile”, cosi unico, viene fuori perché avevano chiaro prima in mente che cosa volevano comunicare. E questo, a mio parere, è graphic design.

    Rispondi
  85. Luca Laba   23 Novembre 2023 at 13:21

    L’articolo fa riferimento a tre pesi massimi del graphic design, non so se si possano definire i migliori ma sicuramente ciascuno di loro ha avuto la funzione di spartiacque.
    Tutti e tre hanno contribuito a creare un punto di rottura tra lo stile convenzionale corrente attraverso la provocazione concentrando i loro lavori sull’empatia, portando lo spettatore ad una più profonda riflessione.
    Alcune delle loro opere hanno cambiato la percezione della grafica stessa, sia per l’osservatore sia per gli artisti dando più risalto all’emozione rispetto all’informazione.
    Ciascuno di loro presenta un forte interesse nell’ambito tipografico ed editoriale senza però dare meno importanza alla comunicazione e al marketing. Paula Cher si distingue per un uso vivace dei colori e una chiarezza geometrica, Neville Brody per un tratto più irregolare e una tipografia più sperimentale simile al collage, mentre Stefan Sagmeister è sicuramente il più provocatorio e creativo.
    Facendo un parallelismo col cinema, se l’articolo fosse incentrato sui registi, mi verrebbe da menzionare Orson Welles, Stanley Kubrick e il più recente Quentin Tarantino.
    Per alcuni possono essere i migliori mai apparsi sulla terra, per altri sicuramente no, ma è innegabile che il loro tratto provocatorio autoriale abbia significato un cambiamento nel panorama cinematografico, allontanandosi dai canoni che erano in vigore prima di loro.

    Rispondi
  86. Giovanni Forlenza LABA   23 Novembre 2023 at 15:47

    Credo fermamente che il ruolo del Graphic Designer rivesta un’importanza fondamentale nella comunicazione. Il compito principale è quello di veicolare un messaggio o un concetto attraverso dispositivi visivi, combinando vari elementi come immagini, colori, testi ed elementi grafici. Tuttavia, il lavoro del graphic designer non si limita a questo aspetto pratico; credo che sia altrettanto significativo lasciare un’impronta personale sia per il cliente che per il pubblico.

    Sono favorevole all’idea di stabilire delle regole di base nel Graphic Design, ma non ritengo che debbano essere seguite in modo rigido da tutti. La diversità è ciò che rende unici i designer. Ognuno di loro ha uno stile, delle idee e un modo personale di esprimersi. Ritengo giusto che questi elementi vengano messi in pratica nella creazione di materiali grafici.

    Nell’articolo vengono menzionati tre graphic designer di grande rilievo: Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister. Nonostante abbiano stili differenti, condividono la volontà di sfidare gli schemi e di non conformarsi alle regole tradizionali del design, come la linearità e la chiarezza dei contenuti. Inoltre, è affascinante notare come Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister condividano una prospettiva creativa fuori dagli schemi, una caratteristica che li accomuna a un altro visionario del Graphic Design: David Carson.
    Carson è davvero uno dei designer che ha cambiato il gioco nel mondo del graphic design. La sua audacia nel ribaltare le convenzioni e la sua disposizione a infrangere le regole hanno influenzato non solo il modo in cui vediamo il design, ma anche la nostra stessa percezione della comunicazione visiva. La sua capacità di trasformare la tipografia in un’arte dinamica e sperimentale è straordinaria. Carson è un vero pioniere che ha dimostrato che il design può essere rivoluzionario, sfidando le norme preesistenti e aprendo la strada a nuove forme di espressione visiva. La sua impronta creativa è un faro per chiunque voglia spingersi al di là dei confini convenzionali e abbracciare un approccio più audace e innovativo nel mondo del design.

    Rispondi
  87. Sara D. LABA   23 Novembre 2023 at 16:19

    I tre grafici citati rappresentano sicuramente tre figure che hanno rivoluzionato il mondo della grafica, ognuno per diversi motivi.
    Paula Scher per il suo utilizzo del lettering che potremmo definire non convenzionale mi ricorda un altro grande graphic designer: David Carson che, anche se con uno stile molto diverso da quello della Scher, gioca molto con il lettering; anche lui utilizza caratteri di grandezza non uniforme, sovrappone lettere con aggiunta di immagini e forme che si inglobano perfettamente nei suoi design.

    Tra i tre trovo che Sagmeister sia il mio preferito, credo che i suoi lavori siano totalmente innovativi e i poster per le conferenze dell’AIGA ne sono sicuramente la dimostrazione.
    Uno dei suoi lavori più recenti che merita attenzione è Beautification, si tratta di un murales che si estende su una parete di 400 m2 nella zona nord-est della città di Vienna, sul suo sito ufficiale spiega che attraverso questo murales voleva creare per chi lo guarda una connessione fisica e metaforica con l’acqua utilizzando una combinazione di immagini e parole.
    Le forme e i colori scelti per il murales ricordano il mare e percorrendolo per intero si possono leggere parole che descrivono il rapporto del designer con l’acqua.
    Sagmeister è ad oggi anche molto attivo sui social network, in particolare su instagram dove, su richiesta, recensisce il lavoro di aspiranti designer, sia grafici che non, dando consigli e critiche costruttive. Io stessa lo seguo da un po’ sui social e trovo molto motivante vedere un personaggio del calibro di Sagmeister donare il proprio sapere a coloro che saranno il futuro del Graphic Design.

    Rispondi
  88. MariaLABA   23 Novembre 2023 at 20:18

    Secondo il mio punto di vista i tre grafici trattati hanno davvero rivoluzionato il mondo della grafica, hanno davvero lasciato un segno indelebile nella storia grafica. In particolare modo credo che il ruolo di noi grafici non sia solo vendere un prodotto ma far trasmettere un emozione, andando a creare un legame fra fruitore e prodotto, sta nel tramettere in modo efficace, in modo diretto un messaggio, attirando l’attenzione del pubblico così che questi ne restino affascinati.
    Al giorno d’oggi grazie al computer vi è stato un cambiamento sia a livello lavorativo quanto di marketing, mentre nei giorni d’oro della Scher, di Brody e Sagmeister certamente si aveva un modo diverso di lavorare e interagire con il pubblico. Credo che la grafica, così come il design, la fotografia ecc. debba adattarsi nel tempo ma senza dimenticare del tutto i tempi passati con i nostri grandi maestri grafici.

    Rispondi
  89. Giada Pirani LABA   23 Novembre 2023 at 21:08

    Penso realmente che il Graphic Designer sia una figura molto importante nella nostra società, siamo pieni di prodotti grafici proprio perché si deve avere come obiettivo la comunicazione, e soprattutto aiutarla, anche nei modi più disparati se necessario. I grafici realizzano vari prodotti cartacei e non solo, proprio per necessità di voler parlare ma anche di esprimersi. Ho sempre pensato che quando si realizza qualcosa, poni effettivamente qualcosa di te, che sia tramite la simmetria, i caratteri tipografici, le immagini, la disposizione di certi elementi,…
    Da vari anni mi interesso di Graphic Designer non solo minimalisti, ma ho trovato un piacere nel vedere gli elaborati di artisti punk ad esempio. Nell’ambito italiano si ha la rivista “TVOR” (Teste Vuote Ossa Rotte) degli anni ’80, che è stata estremamente necessaria per le band italiane di quegli anni. Trovo interessante l’evoluzione che c’è stata nella storia dell’editoria, con tantissimi stili diversi e caratteristiche uniche. C’è stata col tempo una grande sperimentazione (per fortuna), che si attua ancora oggi da influenze differenti l’una dall’altra. Nell’articolo abbiamo la presentazione di alcuni elaborati di tre grandi Graphic Designer (Scher, Brody e Sagmeister) e se facessi un confronto, di certo noterei un punto in comune: la voglia di diffondere pensieri per esprimersi, sfogarsi, raccontare per far conoscere,… In ogni grafico presentato trovo interessante almeno una loro caratteristica: in Scher, lo sfondo giallo che mi ricorda alcuni elaborati del grafico psichedelico Martin Sharp della contro-cultura inglese (come in quello in cui abbiamo presente l’immagine di Van Gogh); invece in Brody, il grande stile che fa riferimento senz’altro alla Bauhaus (proprio per il minimalismo e le figure geometriche presenti); ed infine, in Sagmeister, per la sua ribellione più diretta, facendo parte del mondo punk. Di quest’ultimo artista, ho trovato maggiore interesse per l’immagine che faceva riferimento a “Fresh Dialogue” del 1996 in cui abbiamo queste due lingue come protagoniste, e circondate da varie scritte. L’ho trovata più impattante per la costruzione che ci ho trovato dietro: l’ironia a ciò che succede all’interno dei congressi, quindi a tutte le polemiche e i litigi; ma anche alla posizione simmetrica e provocatoria in cui sono state poste le lingue falliche. In generale, se dovessi sceglierne solo uno tra queste grandi figure della grafica, mi rivolgerei su Neville Brody, proprio per la caratteristica che ho citato precedentemente.

    Rispondi
  90. Celeste LABA   24 Novembre 2023 at 10:46

    Insieme, Scher, Brody e Sagmeister rappresentano una triade eccezionale di talento nel graphic design, ognuno con il suo stile unico e contributi significativi che hanno plasmato e continuano a plasmare il panorama creativo.
    Paula Scher è nota per la sua abilità nel combinare colori vibranti e forme geometriche in modo audace. Il suo “Citibank Mural” è un esempio eccezionale di come possa catturare l’essenza dinamica di un luogo attraverso il design. Scher spesso trasmette un senso di vitalità e contemporaneità attraverso le sue opere. Comparando l’approccio della Scher, con quello di un altro designer, ad esempio Saul Bass. É stato un maestro del design degli anni ’50 e ’60, famoso per le sue sequenze di titoli di film e i loghi iconici. Ad esempio, il suo logo per la AT&T è un classico intramontabile. Bass era noto per la sua capacità di semplificare concetti complessi in immagini memorabili, sfruttando la potenza di linee pulite e forme chiare. Mentre entrambi i designer utilizzano il colore e la forma in modo impressionante, le loro differenze emergono nella natura del loro impatto. Scher tende a creare opere che urlano vitalità contemporanea, mentre Bass aveva una predilezione per la chiarezza e l’eleganza senza tempo.
    Nevila Brody, d’altra parte, si distingue per la sua sensibilità e versatilità nel design. La sua abilità nel creare opere che comunicano in modo chiaro ed emotivo è notevole. Brody sembra padroneggiare il linguaggio visivo, trasformando concetti astratti in composizioni visive che parlano direttamente all’anima. Il suo approccio tattile e umano al design la rende una figura eccezionale nel panorama del graphic design contemporaneo. Confrontando un’opera di Nevila Brody con quella di Shepard Fairey, emerge come Brody abbia contribuito al rebranding di BBC Knowledge nel 2013, creando un sistema d’identità visiva che riflette la profondità e la diversità delle conoscenze offerte dal canale. Il suo approccio sensibile e la capacità di unire elementi visivi in modo significativo emergono chiaramente in progetti come questo. D’altra parte Shepard Fairey è noto per opere come il famoso manifesto “Hope” creato per la campagna presidenziale di Barack Obama nel 2008. Questo manifesto è diventato un’icona della politica contemporanea, riflettendo la capacità di Fairey di tradurre concetti complessi in immagini forti e simboliche; mentre Brody si concentra sulla rappresentazione visiva di concetti complessi, Fairey è maestro nel trasformare il potere delle parole in immagini incisive.
    Stefan Sagmeister è un’icona nel mondo del design, con una carriera che ha ridefinito i limiti della creatività. La sua propensione a sfidare le convenzioni lo collocano tra i pionieri del settore; non solo crea opere straordinarie, ma condivide saggezza e riflessioni profonde sulla natura stessa della creatività. Da un lato, prendiamo in considerazione il poster “AIGA Detroit” (1999) di Stefan Sagmeister. Questo poster è un esempio dell’approccio provocatorio e concettuale di Sagmeister al design grafico. Attraverso l’uso audace del testo ribaltato e una composizione che sfida le aspettative, Sagmeister crea un’opera che invita gli spettatori a riflettere e a mettere in discussione le convenzioni visive. Dall’altro lato, consideriamo il celebre logo “I Love NY” di Milton Glaser. Creato nel 1977, questo logo è diventato un’icona della cultura pop e del design. La sua semplicità e la capacità di catturare lo spirito di una città in tre semplici elementi (la mela, il cuore e “NY”) dimostrano l’abilità di Glaser nel creare un impatto duraturo con un design essenziale.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   25 Novembre 2023 at 11:10

      Ho apprezzato le tue parole di contorno alla grafica di Farey e Glaser. Grandi maestri tra l’altro, certamente da considerare in un contesto di ricerca più vasto da quello implicato nel mio script.

      Rispondi
  91. Cecilia Ruffini LABA   24 Novembre 2023 at 11:17

    In generale la grafica post-moderna di Paola Sher possiede una audace mescolanza di stili, simboli e colori, mostrandosi a noi come un affascinante esperimento visivo che sfida le convenzioni estetiche tradizionali.
    Penso si possa vedere un po’ come una risposta visiva all’era della globalizzazione e della pluralità culturale, tipo un collage concettuale. Con questa “etichetta” mi viene istintivo fare un collegamento con la filosofia di Lyotard, ovvero: la conoscenza non può più essere compresa in modo lineare, ma più come una serie di “micro-narrative” disperse.
    Sicuramente il post-moderno ha un’estetica decisamente esuberante, che o la ami o la odi, di sicuro va a sfidare il gusto dello spettatore. Una cosa che va apprezzata dei tre grafici è come ci hanno messo la faccia in tutti questi progetti, non curandosi degli standard.

    Una cosa sicura che si può dire su Neville Brody è che ha forgiato il suo nome nell’industria con un approccio audace e innovativo al design grafico. La sua filosofia, cristallizzata nelle sue affermazioni e nei suoi lavori, è stata una rottura radicale con le convenzioni visive tradizionali.
    “Il design non dovrebbe sedurre, dovrebbe provocare”. Questa dichiarazione riflette la sua volontà di sfidare lo status quo, di superare i confini del convenzionale. La sua concezione del design come uno strumento provocatorio trova radici nella filosofia di pensatori come Marshall McLuhan, il quale sosteneva che il medium è il messaggio. Brody, in modo simile, crede che il modo in cui qualcosa viene presentato è tanto importante quanto il contenuto stesso, e che il design può essere uno strumento per innescare una risposta emotiva e intellettuale, il che penso sia assolutamente veritiero.
    Un esempio tangibile di questa filosofia è il suo lavoro sulla rivista “The Face” negli anni ’80. Brody ha abbracciato la sovversione visiva, egli è andato ad utilizzare tipografie sperimentali, colori accesi e layout fuori dagli schemi. Un evidente tentativo di ribaltare le aspettative degli spettatori.
    Neville Brody ha aperto la strada a una nuova era nella grafica, sfidando le norme estetiche e spingendo i confini della creatività. Il suo impatto filosofico e visivo può essere visto ancora oggi, influenzando una nuova generazione di designer che cercano di rompere le catene della consuetudine visiva.

    Nel post-design di Stefan Sangmaister si vede come tutto ha un ruolo, è un vero e proprio trip visivo.
    La disposizione degli elementi grafici è orchestrata con maestria, come un direttore d’orchestra che guida la sua sinfonia. Le immagini, scelte con attenzione si vanno a fondere creando un qualcosa di coinvolgente. Chiaramente rimane tutta l’esuberanza e l’audacia, ma questo non va visto obbligatoriamente come un eccesso negativo.
    Un aspetto distintivo del lavoro di Sagmeister è la sua volontà di incorporare elementi di provocazione e sorpresa.
    Sagmeister ha lavorato con una vasta gamma di clienti, dai musicisti ai marchi di lusso, dimostrando la sua versatilità e la sua capacità di adattarsi a diverse esigenze creative. La sua collaborazione con artisti musicali, come i Rolling Stones, ha evidenziato la sua abilità nel tradurre il linguaggio visivo in un’esperienza multisensoriale.
    Ogni carattere ha il suo ruolo, contribuendo a creare un’esperienza di lettura piacevole nel suo disordine. La dimensione e lo stile del testo comunicano allo spettatore il messaggio in modo chiaro e accattivante.
    Il post-design di Sagmeister va a sfidare tutte le convenzioni e prende la bellezza nella sua diversità. È un’esperienza visiva coinvolgente e stimolante.

    Rispondi
  92. Marco Riccardi LABA   24 Novembre 2023 at 15:11

    Che cosa significa comunicare?
    Cosa vuol dire usare il linguaggio?
    Cosa accade, poi, mentre lo si usa?
    Queste sono le domande fondamentali che deve porsi un graphic designer, ma che provengono dalla filosofia del linguaggio; le stesse che si pose Ludwig Wittgenstein nel momento in cui, assistendo ad un processo riguardante un incidente stradale, la ricostruzione dei fatti si fece così confusa che fu necessario mettere in piedi una ricostruzione con modellini, figuranti e quant’altro per capirci finalmente qualcosa.
    Wittgenstein, per farla breve, dedicò tutta la sua vita alla disamina analitica del linguaggio, tentando, nella prima parte di essa, di ripulire il linguaggio stesso di tutto ciò che poteva portare alla confusione, al fraintendimento, all’errore; e, ad un certo punto, credette fermamente di esservi riuscito, tanto che, dopo la pubblicazione del “Tractatus Logico-Philsophicus”, credendo di aver detto tutto, si ritirò dalla filosofia per dedicarsi a tutt’altro. Tra le altre cose, divenne maestro elementare.
    Insegnando ai bambini, si accorse che questi facevano una cosa col linguaggio: giocavano. A seconda del gioco al quale si dedicavano, le medesime parole assumevano significati differenti, sempre nuovi, e chi fosse stato estraneo alle bizzarre e labili regole dei loro giochi probabilmente non ci avrebbe potuto capire granché.
    A quel punto, Wittgenstein cominciò a pensare che, forse, aveva torto: quella che considerava la sua opera fondamentale era basata su errori.
    Quindi cominciò a scrivere pensieri, riflessioni, andando a riconsiderare quello che aveva scritto in precedenza, pensieri che verranno poi raccolti e pubblicati postumi nelle “Ricerche filosofiche”. Di cosa si rese conto, quindi? Di cose innumerevoli troppo lunghe e complesse da spiegare in questa sede, ma ciò che interessa a noi è che il significato di una parola non può essere univoco.
    Che cos’è, infatti, che definisce il significato di una parola? Wittgenstein si rese conto che la risposta non poteva essere univoca: infatti, il significato di un termine poteva avere accezioni diverse a seconda dell’ambiente in cui viene utilizzato, del tono con cui lo si pronuncia, dei gesti che accompagnano la parola, del contesto in cui questa viene pronunciata: insomma, del gioco linguistico (così arriverà a chiamarlo) in cui si adopera quella determinata parola, e delle sue regole.
    Non è un caso che il Tractatus sia stato pubblicato più o meno negli stessi anni in cui era operativo il Bauhaus, e le Ricerche filosofiche, al contrario, dopo che questa esperienza era terminata, e si stavano cercando, seppur con fatica, nuovi orizzonti: quella del Bauhaus fu un’esperienza senza dubbio fondamentale, tuttavia non esente da errori, proprio come il primo lavoro di Wittgenstein. Nella ricerca dell’essenzialità, della chiarezza e dell’impossibilità di fraintendimento si è arrivati a risultati eccezionali, eppur, alla lunga, sterili e fatalmente riduttivi: la grafica del Bauhaus, tanto pulita e chiara, forte nella convinzione di trasmettere il suo messaggio in maniera il più puntuale possibile attraverso la tipografia, senza una grafica che distraesse dalle parole, non teneva conto, proprio come il Tractatus, del fatto che la comunicazione non è fatta solo di nomi, verbi e aggettivi. Come Wittgenstein si rese conto che il contesto in cui viene pronunciato un termine ne va a modificare il significato, col passare degli anni i grafici si son resi conto che la comunicazione visiva è, in gran parte, empatica; visiva, per l’appunto. Il fruitore proietta sul prodotto grafico sé stesso, i suoi ricordi; ad ogni colore, andamento, composizione e accostamento associa un briciolo di sensazione legata ad un ricordo che quell’elemento grafico va a riesumare.
    La grafica moderna si fonda sul creare un immaginario nella mente di chi ne fruisce, che sia attingendo ad uno comune o rivoluzionandone uno preesistente.
    Si prenda in esame il poster realizzato da Paula Scher per il musical Hamilton: qualcosa di, se vogliamo, atipico per uno spettacolo che tratta di un padre fondatore, non trovate? Certo, coerente con lo stile della Scher, eppure, logicamente, sbagliato per un prodotto del genere. Eppure, lo si compari per un attimo col musical stesso: un testo teatrale su un padre fondatore quasi interamente composto da pezzi rap nelle cui basi strumentali si fondono le sonorità dell’orchestra e del gruppo da strada, e coreografie decisamente inadatte per un feticista dell’accuratezza storica; così, il poster va a fondere un’incisione di Alexander Hamilton dell’epoca con una grafica che può ricordare quella del manifesto di un film d’azione del primo decennio degli anni Duemila.
    E come il musical funziona meravigliosamente nei suoi contrasti, così fa il manifesto.
    Siamo quindi sicuri che la chiarezza e la coerenza siano sempre la scelta migliore? Siamo sicuri che ci serva veramente porre dei confini netti e precisa tra i vari campi dell’esistenza e dell’arte? I tre grafici di questo articolo testimoniano l’insensatezza di queste convinzioni, e così Ludwig Wittgenstein, che, immerso nel linguaggio, ci ha passato una vita: “È sempre possibile sostituire un’immagine sfocata con una nitida? Non è forse spesso proprio ciò che è sfocato, quello che ci serve?”

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   25 Novembre 2023 at 11:05

      La tua ricostruzione del pensiero di Wittgenstein, dal Tractatus alla teoria dei giochi linguistici, configura un eccellente e profondo parallelismo che illumina aspetti della pratica del GD di solito trascurati. Complimenti.

      Rispondi
  93. Letizia Casotti   24 Novembre 2023 at 17:28

    Tutti e tre i designer hanno scelto di abbandonare una strada definita e rigida dettata dal gusto e la moda grafica dell’epoca per una nuova strada non ancora battuta, tutta ancora da scoprire.
    Non é forse uscire dagli schemi, dai codici e dalle consuetudini il miglior modo per permettere a un messaggio di permeare il vastissimo mare che il nostro linguaggio rappresenta?
    Oramai in un mondo in cui siamo bombardati da testi e immagini é sempre piú importante il come qualcosa viene detto.
    Facendo un esempio, in una pagina interamente scritta in Helvetica e impostata come un lungo paragrafo scritto, mettiamo una sola parola in modo differente.
    Magari la facciamo piú grande e scritta in ff Blur, chiunque come prima cosa andrebbe a leggere quello, ignorando il resto del testo come fosse un foglio bianco.
    Un esempio di un grafico del 1900 che secondo me bene segue la stessa idea di tracciare nuove strade nel mondo della grafica é Armando Testa l’autore della celebre Carmencita del caffé Paulista, spot che andava in onda negli anni 60′ durante il Carosello.
    Le sue opere in generale deviano dalla corrente comune con grafiche colorate e minimalistiche che nel contesto pubblicitario ebbero grande effetto mantenendo ancora un posto nei ricordi di molti italiani a piú di un secolo di distanza.
    E se questa non é grafica o pubblicità efficace non so cosa lo sia…

    Rispondi
  94. Luigi Pezzella laba   24 Novembre 2023 at 17:31

    Paola Scher emerge come una figura affascinante nel mondo del design grafico, ribellandosi alle norme convenzionali degli anni ’70 e ’80 con il suo approccio coraggioso e innovativo. La sua sfida al modernismo, è evidenziata attraverso l’uso di caratteri tipografici non convenzionali, che inizialmente è stata criticata per il suo “disordine”. La sua affermazione che “le parole hanno significato e la tipografia ha emozione” riflette la sua filosofia, creando un contrasto con le concezioni tradizionali che privilegiano la chiarezza dei concetti. Tuttavia, un confronto con un graphic designer come Massimo Vignelli, noto per il suo rigoroso minimalismo, potrebbe offrire un punto di contrasto interessante. Mentre Scher crea complessità, irregolarità e l’emozione attraverso la rottura delle convenzioni, Vignelli si distingue per la sua ricerca di ordine e chiarezza assoluta e cerca l’essenzialità e la precisione attraverso un’estetica più rigorosa.
    Neville Brody, un’icona nel mondo del design grafico, è noto per la sua creatività sperimentale e la capacità di ridefinire gli standard estetici. Una delle sue opere più rilevanti è il design per la rivista “The Face”. In questa pubblicazione, Brody ha sfidato le norme tipografiche tradizionali, utilizzando font audaci, sovrapponendo testi e sperimentando con layout non convenzionali. In confronto a Brody, il lavoro di David Carson, noto per il suo design di riviste come “Ray Gun”, offre un intrigante punto di vista. Entrambi sono noti per sfidare la tipografia convenzionale, ma mentre Brody spesso mantiene un’organizzazione strutturata, Carson è famoso per un approccio più caotico e anti-convenzionale.
    Stefan Sagmeister è noto per il suo approccio innovativo e sperimentale al design grafico, creando opere che catturano l’attenzione. Un’opera che merita attenzione è il progetto “The Happy Show”. Questa esposizione visivamente stimolante mette in evidenza il suo interesse per il connubio tra design e emozione. In confronto, l’opera di Milton Glaser, come la sua celebre illustrazione “I Love New York”, presenta un approccio più tradizionale ma altrettanto efficace nell’uso di elementi visivi per creare un’immediata connessione emotiva. Alcune critiche possono concentrarsi sulla sua preferenza per l’estetica sopra la funzionalità, come si può vedere per esempio in “the beauty”.

    Rispondi
  95. alice turchini LABA   24 Novembre 2023 at 17:37

    Il graphic designer non è chiamato solo a organizzare degli elementi per informare tramite un poster o fare copertine, anche se certamente è importante il contenuto, ma il graphic designer è chiamato a creare, ad avere delle idee e mettere la sua arte a servizio degli altri, a creare un impatto visivo che possa lasciare un’impronta. Paola Scher è una graphic designer negli anni ’70/’80 in un mondo in cui dominava ancora il modernismo, quindi ordine, la chiarezza del messaggio, la regolarità e il contenuto non doveva essere disturbato da un contorno eccentrico. Molti designer negli anni del modernismo utilizzano forme geometriche semplici come ad esempio il manifesto di Herbert Leupin del 1952 per il produttore svizzero di penne stilografiche Pelikan. I dettagli sono scarsi, le immagini sono ridotte alla loro forma più diretta. La Scher invece prende tutto ciò che era comunemente usato e lo stravolge, crea grafiche super estreme, con caratteri tipografici senza grazie e non uniformi creando un disordine molto criticato. Paola sher voleva diventare un artista ed entrando in contatto con il graphic design ne restò affascinata perchè aveva uno scopo, poteva imparare a risolvere i problemi. Conosce poi il grafico e illustratore Stanislaw Zagòrski che le dà il consiglio che diventò poi il suo marchio di fabbrica: “Illustra con le parole”. Neville Brody seppur mantenendo il grande impatto visivo come la Scher si differenzia spostandosi più sulla cultura post-punk. Con le sue copertine di The Face, trasgressive e provocatorie, in cui le espressioni delle persone in copertina sono strane e insolite, sperimenta con i font e testi sovrapposti ridefinisce degli standard estetici del graphic design. Brody nella sua carriera ha lavorato per tanti artisti e band musicali creando le copertine dei dischi, e tra i lavori più recenti ci sono clienti come Nike, Adidas e il New York Museum of Modern Art. Come Brody anche Stefan Sagmeister realizza delle opere molto aggressive e provocatorie che puntano a “sconvolgere” il pubblico. Stefan Sagmeister continua a sfidare le convenzioni del design grafico attraverso opere che uniscono creatività e provocazione mettendo sempre al primo posto l’estetica invece della funzionalità.

    Rispondi
  96. NiccoZ LABA   25 Novembre 2023 at 11:43

    Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister sono tre artisti che hanno rivoluzionato il mondo della grafica, con le loro opere progressiste, che hanno fatto discutere per la loro forma espressiva.
    Paola Scher, grafica in un periodo dove l’ordine e la chiarezza del messaggio si trovavano al primo posto, un periodo dove vinceva il minimalismo, lei andò “controcorrente”, mettendo l’ordine nel suo disordine, parole e immagini sovrapposte ma con una chiarezza unica, dovuta all’utilizzo di immagini semplici e parole scritte con font bastoni (quei font privi di grazie, font semplici e facilmente leggibili), giocando anche con i colori, ogni elemento portava un colore contrastante con l’altro per fare in modo che l’occhio differenziasse il tutto, mi può sembrare un ottimo paragone lo stile della Scher con quello di Zuzana Licko, un’altra graphic designer del periodo post-moderno che giocava molto sulla chiarezza generata dagli elementi con colori contrastanti.
    Neville Brody invece, come caratteristiche stilistiche si avvicina molto ad uno stile punk, va infatti a realizzare grafiche dove è presente un linguaggio molto esplicito, un testo chiaro accompagnato da delle foto/immagini prive di eleganza, soggetti rozzi e sgraziati che venivano però accerchiati da testi precisi, in modo che i nostri occhi e il nostro cervello siano in disaccordo su questo contrasto visivo, uno stile equiparabile a quello di Roman Cieslewicz, dove testi chiari giocavano di contrasto con immagini astratte con uno stile dark/punk.
    Seguendo l’ordine, in fine c’è Stefan Sagmeister, un’artista molto discusso per il suo stile aggressivo, le suo grafiche lasciavano l’osservatore in stato di shock, scarnificazione, messaggi occulti, teste decapitate, sono alcune delle cose che hanno fatto parlare di lui, adottava uno stile anticonformista, riconducibile ora ad Oliviero Toscani, fotografo e art director italiano (gestiva le grafiche ma senza realizzare di mano sua ) , che fece scalpore con le immagini utilizzati per realizzare le copertine della rivista COLORS, opere che lasciavano scossi gli osservatori.

    Rispondi
  97. Lorenzo Pollini LABA   25 Novembre 2023 at 12:18

    Parto col dire che Stefan Sagmeister è sicuramente quello che più dei tre ha catturato la mia attenzione, viste le sue “uscite” paradossali e l’odio per le vaste e sconfinate spiegazioni riguardanti i suoi gesti.
    Il suo lavoro che più mi fa pensare è “obsessions make my life worse and my work better”. Un’installazione che con 250.000 centesimi di differenti tonalità, va a comporre sul terreno la scritta che da il titolo all’opera, una scritta che ha prevalentemente caratteristiche di un lettering gotico.
    Il color bronzo ed il font scelto, conferiscono a mio parere un che di epico all’installazione del graphic designer austriaco.
    Con quest’operato dimostra come l’ossessione sovrasti qualsiasi cosa, e porti a risultati impensabili e talvolta rivoluzionari. In aiuto cito la frase di Adam Sandler che recita “l’ossessione batte il talento e lo batterà sempre”. Ed è sostanzialmente così per Sagmeister, che ha evoluto il suo essere fino ad andare oltre la grafica e probabilmente aver toccato anche nuovi orizzonti del design.
    In confronto al maestro austriaco, vorrei mettere Roman Cieslewicz, che tramite il fotomontaggio ha creato opere iconiche.
    Anche lui lavorava spesso col nero, è caratterizzato da uno stile iconico è riconoscibile, così come quello di Stefan.
    I lavori che maggiormente mi sono piaciuti del designer polacco sono quelli per la rivista opus,(specialmente il numero 7) durante il suo periodo a Parigi.
    Ecco, vorrei propio mettere a confronto il lavoro N.7 della rivista opus con “obsessions make my life worse and my work better” di Sagmeister.
    Seppur molto distanti a primo impatto, nascondono similitudini a livello concettuale secondo il mio parere.
    Nel lavoro del polacco infatti, troviamo un tono inquietante, con questo bambino colpito con violenza, ed il rosso di sfondo ad accentuare il tutto.
    Il punto fissa il concetto in maniera ben delineata, così come è esplicita la frase del designer austriaco.
    Sicuramente i colori utilizzati sono differenti, quelli di Cieslewicz più accesi, mentre spesso Sagmeister prediligeva il bianco e nero scale di grigi con qualche sfumatura (ma non sempre).
    A ribadire la similitudine dei due intenti arriva però ciò che hanno raggiunto, se infatti l’artista tedesco ha sfondato le barriere del design, Roman ne ha riscritto le regole, soprattutto per gli anni in cui ha agito, ovvero gli anni 60, anni di solo incipit per l’evoluzione, che però hanno aperto le porte ad un genio del suo calibro.

    Rispondi
  98. ElisaB Laba   25 Novembre 2023 at 12:37

    L’articolo si sviluppa su alcuni quesiti riguardanti il ruolo del graphic designer,per poi svilupparsi con visioni e definizioni diverse. Il GD dovrebbe dare messaggi chiari e in linea con ciò che viene richiesto dall’osservatore, il loro lavoro dipende quindi dallo studio che viene fatto prima di creare un messaggio e dalle emozioni che provano gli individui che osservano. Negli anni si è notato però, come non rispettare le regole possa essere utile per farsi notare e diventare un personaggio nel mondo della grafica.
    Esponendo i grafici in ordine vediamo come Paula Scher non sia convenzionale dal punto di vista della tipografia e ritenga fondamentale osservare chi pratica per ampliare le proprie conoscenze. “La conoscenza della pratica può esserci solo con la buona teoria” questo è quello che esponeva Leonardo da Vinci e per quanto mi riguarda leggere questo punto dell’articolo sulla Grafica mi ha fatto ripensare all’analisi fatta dal grande artista.
    Analizzando Neville Brody serve riconoscere lo stile post-punk che ha caratterizzato la maggior parte delle sue opere, il grafico in questione crea una sinergia tra occhio e mente per denunciare le solite immagini che vengono prodotte per la società.
    Infine viene descritto: Stefan Sagmeister, lui più degli altri analizzati protende per lo shock visivo, in particolare attraverso le sue opere per Aiga (anni ‘90), riconosciamo come il grafico voglia esporre i problemi della società facendoci concentrare sulla polemica a cui da voce. Nelle opere presentate riconosciamo i caratteri punk (dalle scritte scarnificate sulla pelle per esempio) e le forme spiazzanti, insomma ci viene presentato il grafico dal suo lato più critico. La sua produzione però contiene anche altri messaggi. L’opera :”Obsession makes my life worse and my work better” rappresenta un analisi diversa fatta da Sagmeister su ciò che può essere un’ opera e sul messaggio che si vuole dare a chi interagisce con questo. L’artista ha steso 250.000 centesimi di euro, in otto giorni e con più di 100 volontari per poi vederle sparire da un residente e successivamente dalla polizia. Quest’ultima le ha raccolte con il tentativo di preservare l’opera senza sapere però che togliendole da dove l’artista le aveva pensate, avrebbero perso il loro valore.
    In questo articolo ci viene presentato come i tre artisti vogliano ricostruire un ordine anche dove è presente solo il caos, ci fanno osservare opere che ci disturbano o che mettono alla prova il nostro intelletto perché per loro e non solo loro è fondamentale il lavoro di interpretazione fatto a livello mentale. Concludo con: “Come mai chi non rispetta le regole standard sembra avvicinarsi di più allo spirito del design?” Ecco secondo me questa frase rappresenta l’idea che avevano gli artisti presentati sopra, volevano staccarsi per risaltare, anche se con immagini shock o non abituali, per far sì che la gente vedesse il messaggio e rimanesse lì a pensare alle possibili interpretazioni e ragionamenti fatti (dalla rivoluzione nella tipografia di Scher, alla musicalità di Brody, fino allo shock e ai ragionamenti artistici di SagmeisterI).

    Rispondi
  99. Nicolò LABA   25 Novembre 2023 at 14:56

    Nel panorama del graphic design contemporaneo, Paula Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister emergono come figure iconiche che hanno ridefinito le regole tradizionali del settore. Ciascun designer ha abbracciato un approccio anticonvenzionale, sfidando le norme estetiche e tipografiche dominanti nel loro periodo di attività.
    Paula Scher, influente graphic designer, ha rotto gli schemi del modernismo con la sua predilezione per caratteri tipografici espressivi e layout innovativi. La sua avversione al rigido formalismo del modernismo l’ha collocata all’avanguardia del movimento post-modernista nel graphic design. La sua enfasi sull’espressività e sull’emozione ha aperto nuove prospettive nel modo in cui il design può comunicare con il pubblico.
    Neville Brody, ancorato alla cultura post-punk, ha portato un’estetica estrema nel graphic design, evidente soprattutto nelle sue creazioni per la rivista The Face. Il suo lavoro è dissacratorio, provocatorio e spesso trasgressivo, sfidando le aspettative convenzionali.
    Brody ha giocato con il linguaggio visivo in modo unico, cercando di coinvolgere gli spettatori anziché imporre un significato predefinito.
    Stefan Sagmeister, con la sua prospettiva post-design, ha enfatizzato la creatività e l’originalità rispetto allo stile convenzionale. La sua provocatoria equazione “Style = Fart” sottolinea il suo rifiuto degli stereotipi stilistici, ponendo maggiore enfasi sull’idea creativa. Il suo manifesto AIGA del 1994, in cui appare denudato con la scritta “Style = Fart” sulla pelle, è emblematico della sua audacia nel mettere in discussione le convenzioni del design.
    In base alla descrizione dei tre graphic designer analizzati, potrei suggerire la figura di David Carson. Noto per il suo lavoro rivoluzionario con la rivista “Ray Gun”, si distingue anch’esso per una visione del design che va oltre i confini tradizionali. Carson ha contribuito a ridefinire il concetto di layout e tipografia, sperimentando con forme non convenzionali e creando opere grafiche audaci e provocatorie.
    In sintesi, questi designer hanno segnato un punto di svolta nel graphic design contemporaneo, sfidando le regole esistenti e spingendo i confini dell’espressione visiva. Ognuno di loro ha apportato un contributo unico, consolidando la propria eredità nel mondo del design.
    Nicolò Furlani Graphic Design 1

    Rispondi
  100. Facchini Valeria LABA   25 Novembre 2023 at 15:52

    L’articolo elenca tre pionieri del design grafico che hanno ridefinito le regole del gioco, stravolgendo il razionalismo grafico dell’epoca.
    Questi GD, noti per la loro non convenzionalità e capacità di rompere gli schemi, hanno lasciato un’impronta indelebile nel mondo del design. Il loro contributo è stato tanto rivoluzionario quanto necessario, poiché hanno sfidato le norme esistenti (il razionalismo nella composizione di opere grafiche), aprendo nuove strade per l’espressione creativa.

    Partendo da questo contesto, è interessante notare come il razionalismo grafico, una volta dominante, abbia ceduto il passo a un approccio più libero e innovativo.

    Mi ha colpito l’approccio eccentrico di Scher al concetto di comunicazione, concentrandosi sulla creazione di manifesti visivi efficaci tramite il carattere tipografico. Brody, con la sua ispirazione post-punk, sembra sfidare le convenzioni grafiche per coinvolgere e provocare il pubblico. La sua enfasi sull’importanza del linguaggio e sull’engagement anziché sulla manipolazione è un punto di vista interessante. Infine, Sagmeister, con la sua prospettiva fortemente artistica e la concezione del design come evento e performance, porta una freschezza e un’originalità uniche al campo.

    Scher, Brody e Sagmeister hanno incarnato questa trasformazione, dimostrando che la bellezza e l’efficacia del design possono emergere dalla deviazione delle regole convenzionali. La loro audacia nel rompere gli schemi ha aperto la strada a un panorama visivo più variegato e stimolante.
    Tuttavia, nell’articolo non viene menzionato un GD che appartiene alla stessa scuola di pensiero di questi tre grandi maestri, trovo quindi fondamentale esaminare un grafico che ha i medesimi concetti espressivi.

    David Carson emerge come un esempio eloquente di come la non convenzionalità possa trasformare un concetto o messaggio visivo.
    Carson ha sfidato l’idea stessa di ordine predefinito nel design, sostituendolo con una forma di caos apparentemente casuale ma sorprendentemente organizzata. La sua capacità di dare sfogo alla spontaneità è evidente nella sua scelta di layout disordinati, tipografie inusuali e uso avventuroso del colore. In un mondo dominato da regole rigide, Carson ha contribuito a gettare le basi per un nuovo vocabolario estetico, dimostrando che il caos può essere un terreno fertile per la creatività, bisogna considerare che il caos può disturbare l’occhio dello spettatore, ma è tramite esso che il GD riesce a provocare una reazione emotiva al pubblico che col passare degli anni sembra diventare sempre più apatico o addormentato.

    E’ quindi da considerare nel processo creativo un nuovo elemento, la spontaneità e l’impronta artistica del GD come scopo ultimo di risvegliare il pubblico da un sonno che genera mostri.

    Rispondi
  101. Aurora Laba   25 Novembre 2023 at 16:21

    Paula Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister rappresentano quella categoria di graphic designer innovativi nel loro campo. Hanno saputo fondere il lavoro di grafico con l’arte, facendo emergere dai loro lavori, un’emotività che va oltre alla semplice realizzazione di una copertina o di un poster. Essi hanno saputo comunicare un messaggio, quello pubblicitario, utilizzando l’arte che è riuscita a catturare l’attenzione del pubblico più che il messaggio stesso.
    Attraverso la grafica, questi graphic designer hanno espresso le loro emozioni spesso in modo provocatorio e trasgressivo.
    Negli anni ‘70/’80, tra i grafici del tempo, era di gran moda utilizzare la chiarezza attraverso l’uso di caratteri semplici e lineari. Paula Scher ha rotto gli schemi del tempo introducendo una grafica innovativa grazie all’uso di caratteri tipografici non convenzionali. Per lei era importante rompere gli schemi andando contro il modernismo ed esprimendo le proprie emozioni attraverso l’atto grafico.
    I lavori di Neville Brody rappresentano l’espressione di un design estremo in cui emerge la sua cultura post-punk. Nelle sue copertine è evidente la passione con cui il graphic designer ha espresso i suoi sentimenti utilizzando caratteri trasgressivi e provocatori.
    Anche Stefan Sagmeister trasmette nelle sue produzioni la sua propensione per la provocazione. Il suo obiettivo è quello di arrivare al cuore dei suoi spettatori riuscendo a scuoterne i sentimenti. Egli, più degli altri, riesce a stravolgere le regole del design pulito e lineare. Nelle sue creazioni emerge la sua lotta contri i demoni interiori.
    Tra gli altri innovatori del graphic design mi vengono in mente David Carson e Milton Glaser. Il primo sperimenta in modo innovativo l’uso della grafica. Il suo stile è libero da regole; egli sovrappone le interlinee, le lettere assumono caratteri diversi l’uno dall’altro. Spesso la sua grafica risulta in un primo momento illeggibile perché, come per gli altri tre grafici citati sopra, per lui non è importante che il messaggio venga letto, ma che sia comunicativo. Glaser, il creatore del logo “I love New York” che ha saputo rilanciare il turismo della città in declino negli anni ’70 e che ancora viene utilizzato, ha il merito di aver conferito innovazione espressiva ai suoi prodotti grazie anche all’utilizzo di tecniche nuove.
    In conclusione ritengo che i graphic designer da me citati considerano il loro lavoro come un’espressione di se stessi, mostrando anche il loro lato provocatorio nei confronti della società e non temendo di sperimentare nuove tecniche che potrebbero talvolta suscitare sentimenti controversi nel pubblico.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   26 Novembre 2023 at 09:25

      Sì David Carson che citi insieme ad altri tuoi colleghi è una artista della grafica da ricordare e studiare. Il suo Surfer Graphic Style lo colloca tra le eccellenze del nostro tempo. Mi sembra di ricordare che fosse anche un bravissimo insegnante. Tra l’altro corre voce che il suo libro “End of Print” (1995) sia nel suo genere uno dei più venduti al mondo.

      Rispondi
  102. Filippo Bruno LABA   25 Novembre 2023 at 18:55

    Paola Scher
    Partendo dal presupposto che ho sempre amato il design “ribelle”, trovo il lavoro di Paola Scher veramente straordinario, sono rimasto ammirato in particolare dalla sua abilità nel combinare elementi grafici e testuali per creare composizioni visivamente accattivanti. Subito a primo impatto ho visto alcune interessanti connessioni con David Carson: entrambi i maestri sfidano le convenzioni, ma, mentre la Scher usa un approccio più strutturato e geometrico, Carson è famoso per la sua estetica più anarchica e caotica. Tuttavia, in entrambi i casi, c’è una ricerca di espressione attraverso la forma visiva. Un’opera di Paola Scher che mi ricorda l’approccio di Carson è “The Birds”. In modo simile a Carson, qui la Scher sembra sfidare le aspettative tradizionali, combinando tipografia e immagini in un modo che rompe le barriere tra il concetto e l’estetica.
    “Words have meaning and typography has feeling. When put together it’s a spectacular combination”, questa citazione si adatta perfettamente al lavoro di entrambi gli artisti, Carson, con il suo stile audace e anti-convenzionale, dimostra quanto la tipografia possa evocare emozioni potenti. In definitiva, credo che l’innovazione di entrambi contribuisca a rendere il mondo del design grafico un luogo più vibrante e stimolante.

    Neville Brody
    Apprezzo molto il modo in cui Neville Brody affronta il design non solo come un mezzo per comunicare informazioni, ma come un’arte che può ispirare emozioni e riflessioni. Ogni progetto sembra raccontare una storia unica, trasmettendo messaggi visivi in modo coinvolgente. Il suo lavoro non solo è all’avanguardia nel mondo del design grafico, ma rappresenta anche una fonte d’ispirazione per coloro che, come me, apprezzano la creatività audace e l’innovazione nel modo in cui comunichiamo visivamente.

    Stefan Sagmeister 
    Il lavoro di Stefan Sagmeister è un’ode alla creatività e all’innovazione. Guardando ad altri grandi nomi del design, noto una connessione interessante questa volta con Massimo Vignelli. Sebbene i due abbiano approcci distinti, entrambi condividono una dedizione all’eleganza e alla chiarezza nel loro lavoro. Mentre Vignelli infatti è noto per il suo design minimalista, Sagmeister spesso abbraccia l’eccentricità e l’approccio sperimentale.
    Un’opera di Sagmeister che richiama a mio parere l’estetica di Vignelli potrebbe essere “The Happy Show”: anche se Sagmeister si immerge in un caleidoscopio di colori e forme, c’è una sottostante ricerca di equilibrio e struttura che ricorda il rigore di Vignelli.

    Rispondi
  103. Dennis Di Gioia LABA   25 Novembre 2023 at 20:25

    Catturare l’attenzione a tal punto di riuscire a entrare nella mente del fruitore è l’obbiettivo e l’ambizione di ogni graphic designer che si rispetti. Questo avviene solamente quando si riesce creare un progetto grafico che è in grado davvero di comunicare e suscitare emozioni, positive o negative che siano, perchè il lavoro del graphic designer è, soprattutto, di tipo cognitivo: deve indagare la società e la psicologia degli individui andando anche a ipotizzare e immaginare la reazione di esse. L’empatia del graphic designer gioca quindi un ruolo chiave nella sua formazione, ecco perché secondo me Brody parla di “tricks to the brain”.

    Settimana scorsa scorrendo su instagram mi sono imbattuto in un cartellone pubblicitario stradale di “Heinz” una marca di salse. Il cartellone esposto a Roma e Milano mostrava la nuova salsa ketchup per la pasta lanciata in UK con affianco la frase “Fateci sapere cosa ne pensate” e sotto il numero di assistenza dei consumatori in UK. Si tratta di una campagna a parer mio davvero ben pensata perchè il brand si finge di parlare male di se stesso senza però danneggiarsi poichè si riferisce agli strani colleghi in UK che sono riusciti a inventarsi una schifezza del genere ma allo stesso tempo fa conoscere il brand tramite la sua nuova salsa (che purtroppo in qualche modo degli italiani avranno il coraggio di comprare)

    Il lavoro del graphic designer è sicuramente un mestiere che si è evoluto notevolmente nel corso degli anni ritrovandosi a stare costantemente al passo con l’evoluzione della tecnologia, la nascita di nuovi stili e di conseguenza anche l’origine di un “regolamento tecnico” se cosi vogliamo chiamarlo. Io credo che il buon designer debbà conoscere le regole che nel corso del tempo la grafica e i suoi protagonisti hanno adottato, ma allo stesso tempo deve anche essere in grado di decidere quando e come spezzare le stesse regole che ha appreso nei suoi studi per andare a giocare e spaziare nell’unicità di questa disciplina uscendo fuori dai canoni standard. Non è detto che un manifesto tecnicamente e graficamente perfetto, con proporzioni e dimensioni corrette, regolazioni dei font giuste e colori adatti riesca a comunicare di più di un manifesto completamente disordinato, con una mancanza di gerarchia visiva, con immagini magari disturbanti o spazi gestiti in modo sbagliato. Allo stesso tempo entrambi potrebbero non riuscire a comunicare nulla allo spettatore.

    L’articolo fa riferimento anche allo “stile”, altra caratteristica che il buon designer deve necessariamente avere e saper padroneggiare. Un mio professore dell’Itis in 3 superiore mi disse: “Nell’era digitale della grafica ormai tutti hanno fatto tutto, quello che ti può differenziare dalle altre persone è solamente lo stile, perchè mai nessuno avrà un stile identico al tuo.” Credo che avere uno stile personale che ti differenzi da tutti gli altri sia fondamentale per non risultare piatto e uguale alla massa.

    L’abilità del grafico dunque sta nel riuscire a catturare l’attenzione di chi guarda. Un buon grafico è colui che uscendo o meno dagli schemi riesce comunque coinvolgere emotivamente chi guarda, perché l’informazione emotiva arriva prima del messaggio e questo è quello che secondo me accomuna i 3 grafici presi in analisi nel suo articolo.

    Non è detto però che ogni progetto grafico debba suscitare le stesse emozioni ad ogni persona, per esempio mi è capitato di trovare particolarmente piacevoli o interessanti poster/manifesti/loghi/immagini che ad altre persone non piacevano perchè non gli suscitavano emozioni. Questo succede quando entra in gioco il gusto personale, come in qualsiasi altra cosa esistente su questo mondo. Un progetto grafico può essere solamente esteticamente bello ma poi rimane lì, non entra nella testa dello spettatore e non lo persuade. Questa è la differenza tra un bel progetto grafico e un buon progetto grafico ma entrambi possono comunque essere apprezzati.

    Rispondi
  104. DARIO BRUNO LABA   25 Novembre 2023 at 21:40

    In risposta all’eccessiva rigidità del modernismo anestetico, Neville Brody e Stefan Sagmeister hanno sviluppato stili grafici reattivi, attribuendo maggiore importanza all’espressione personale del designer rispetto alla mera funzionalità. La corrente post-modernista si propone di canalizzare la soggettività del designer, generando riflessioni personali ed evocando emozioni nel fruitore, anche se queste possono essere positive o negative, ma mai indifferenti.

    Il rifiuto della simmetria, dell’equilibrio e delle forme geometriche convenzionali mira a rendere il dispositivo grafico più intrigante e originale, attirando l’attenzione del fruitore. Tuttavia, bisogna considerare il rischio di confusione, specialmente in contesti in cui i tempi di fruizione sono limitati. Ad esempio, l’applicazione di approcci simili a quelli di Sagmeister o Paola Scher potrebbe non essere adatta per la progettazione di cartellonistica stradale, dove la chiarezza è essenziale per evitare l’abbandono da parte del fruitore.

    In conclusione, non esiste uno stile “corretto” o “sbagliato”; la chiave risiede nell’abilità del graphic designer nel coordinare creatività, contesto e pubblico di riferimento.

    Rispondi
  105. Chiara F. LABA   25 Novembre 2023 at 21:49

    L’articolo affronta il ruolo del graphic designer, il cui compito, convenzionalmente parlando, è quello di comunicare in modo efficace un messaggio, attraverso l’utilizzo della grafica. Grazie alla visione dell’autore dell’articolo, riusciamo a vedere la figura del graphic designer da un altro punto di vista: egli non elabora più la trasmissione di un messaggio persuasivo, ma bensì crea dei dispositivi che fungono da potenti strumenti di connessione.

    Paola Scher si contraddistingue per la sua avversione al modernismo, dando priorità all’espressività e all’emozione nel design. Il suo lavoro sfida la linearità convenzionale, spingendo alla riflessione sulla percezione e sull’ordine percettivo. Nell’ambito del graphic design, il suo stile distintivo si evidenzia attraverso un uso non convenzionale dei caratteri tipografici, considerandoli non solo come strumenti di scrittura, ma innanzitutto come immagini e forme espressive. Questa concezione della tipografia come immagine, pervade anche le sue mappe, evidenziando una meticolosa ricerca di colore e degli elementi identificativi dei paesi ritratti. L’obiettivo non è la precisione morfologica delle mappe, ma piuttosto evocare sensazioni, trasformandole in vere e proprie opere d’arte.
    Neville Brody, influenzato dalla cultura post-punk, si impegna a coinvolgere le persone attraverso il design euforico. Il suo approccio dissacratorio si oppone alle convenzioni della grafica commerciale, cercando di liberare il cervello dall’effetto alienante delle immagini nella società dello spettacolo, utilizzando dei “trucchi” per sfidare la percezione convenzionale. Il “language work” di Brody, diverso dal linguaggio tradizionale, coinvolge l’interazione tra gesto grafico, occhio e bocca, interpretando il mondo attraverso emozioni, gesti e parole espressive, con effetti tipografici maestri. Avendo esperienza nell’industria musicale, integra emozioni ed espressività, lavorando sulla “ritmica” grafica anziché sull’ordine geometrico, attribuendo una valenza musicale al messaggio senza perdere le convenzioni linguistiche.
    Stefan Sagmeister, considerato un visionario, si proietta nell’arte attraverso un demone estetico. La sua disposizione a stravolgere le regole del design si rivela in manifesti provocatori, come quelli per l’AIGA, che stimolano la riflessione e generano scalpore affrontando temi come la libertà creativa, l’assenza di stile e l’importanza delle idee.
    La sua provocazione estrema, incluso il manifesto di Detroit del 1994 in cui appare nudo con scritte incise sulla pelle, riflette la sua visione: lo stile è una prigione per la creatività, mentre la vera creatività emerge dall’integrità, dalla libertà e dall’evento o performance che coinvolge il pubblico.

    Se dovessi fare un confronto, parlerei di Massimo Vignelli, il cui stile grafico è opposto a quello dei tre grafici appena analizzati. Vignelli è stato un influente graphic designer e architetto italiano noto per il minimalismo e la razionalità nel design moderno. Credeva che il buon design dovesse essere chiaro, semplice ed elegante. La sua estetica rifletteva un approccio pulito e geometrico, che spesso coinvolgeva l’uso di un sistema di griglie e una selezione attenta della tipografia.
    Dal mio punto di vista, considero il campo della grafica come dinamico, caratterizzato da regole guida utili per orientare un progetto in determinati contesti, seguendo, ad esempio, il modello di Vignelli. Tuttavia, è importante sottolineare che tali regole non sono necessariamente vincolanti. L’analisi dei tre grafici illustra chiaramente come la deviazione dagli schemi possa emergere come un approccio efficace nella comunicazione, sviluppando nel tempo un contatto evolutivo.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   26 Novembre 2023 at 09:45

      Massimo Vignelli è un’altro grande nome della grafica. Le vicissitudini della sua articolata mappa della metropolitana di New York hanno fatto discutere a lungo. La chiarezza e l’efficacia comunicativa di quel progetto lo considero un capolavoro dei vangeli modernismo internazionale. La sua idea che se si è in grado di progettare qualcosa allora si è in grado di progettare qualunque cosa ovvero “Design is One”, è una formula che ha sedotto molti aspiranti grafici e critici. Non so dire però quanti l’abbiano effettivamente capita, considerandone anche i limiti. Devo aggiungere che aldilà del mio rispetto per un grande interprete e maestro della comunicazione visiva la sua grafica modernista, razionale, minimalista mi annoia da morire.

      Rispondi
      • mary   26 Novembre 2023 at 10:09

        Scusi prof. ma se lei fosse nella metro di una città che non conosce preferirebbe consultare una mappa modernista alla Vignelli o una mappa creativa alla Scher?

        Rispondi
        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   26 Novembre 2023 at 11:08

          Che razza di domanda…Se fossi un umile prof. che viene da una nottata etilica, la cui lezione mattiniera comincia ad un’ora prestabilita in una nuova sede che necessita di un viaggio in metro, con l’ovvoobbligo di rispettare questi parametri, pena una cazziata dalla direzione, certamente opterei per dare uno sguardo ad una mappa noiosamente modernista.
          Però se fossi in assetto flaneur alla Baudelaire o Benjamin, scegli pure tu…ovvero desideroso di andare a zonzo per la città, sdormicchiando su un tranvai….Allora una mappa un po’ ubriaca alla Scher penso che andrebbe meglio, potrei trovarmi in un luogo inatteso, tutto da scoprire…

          Rispondi
          • ann   26 Novembre 2023 at 11:17

            Ehi prof non le sembra una risposta un tantino ambigua? un pochettino ipocrita?

          • Lamberto Cantoni
            Lamberto Cantoni   26 Novembre 2023 at 13:19

            Oddio no!…Un pò, forse…Ma no e poi no!…cazzocentra l’ipocrisia?…In definitiva dico che esiste una dimensione pragmatica della quale a volte dobbiamo tenere conto. Faccio anche capire che la sintassi grafica e la semantica degli elementi visivi del modernismo non è così scontato che sia così efficace in ogni contesto.

  106. Chiara Gasperi Laba   26 Novembre 2023 at 10:46

    “Un graphic designer usa colori, lettere ed immagini per aiutare le persone a capire meglio le cose”.
    Questa è una frase semplice e chiara ma che descrive al meglio la qualità di un graphic designer.
    Citando Hans Hofmann, insegnante nonché uno dei più grandi artisti americani del dopoguerra, il design è il mediatore tra l’informazione e la comprensione ovvero traduce le informazioni in modo che siano comprensibili a tutti.
    Tra i piu significativi graphic designer troviamo senz’altro Paula Scher, la quale sosteneva che il graphic design potesse risolvere problemi.
    Nei suoi progetti evidenti sono l’interesse verso la tipografia, la creazione di immagini che parlino alla cultura giovanile dell’epoca. Grazie alla sua visione creativa e al suo stile unico, Paula Scher ha ridefinito il concetto di identità visiva. Personalmente ciò che mi colpisce maggiormente tra i vari progetti realizzati, sono state le mappe.
    Ciò che cattura è proprio la loro originalità, l’impegno e l’attenzione che ci ha dimostrato, tanto da rivoluzionare completamente il modo in cui vengono realizzate abitualmente, diventano delle vere e proprie opere d’arte che raccontano la storia di una città, piene di parole, simboli e colori, diventano quasi mosaici di parole. La mappa non deve essere solo una rappresentazione geografica, ma deve trasmettere un’emozione e un senso di appartenenza. Quello che mi colpisce di Paula è anche il suo carisma, la voglia di mettersi in gioco nel creare qualcosa che sia accattivante, la passione che muove ogni suo progetto.
    Secondo Paula infatti alla base di ogni successo ci deve essere l’amore per quello che fai.
    “Deve essere l’amore nel fare le cose a guidarti perché troverai la tua posizione solo così, è frustrante altrimenti. Devi voler fare una cosa, volerla fare bene e trovare il modo per perfezionarti. Deve esserci passione! se c’è quella passione tutto andrà bene”.
    Un altro esponente influente del graphic design è Neville Brody e ciò che lo caratterizzerà sarà la rivendicazione di un pensiero libero dagli schemi.
    Celebre è anche la vicinanza con il movimento dell’Anti-Design, con posizioni critiche rispetto al sistema della comunicazione. Ciò che colpisce di questo designer è la voglia di “esprimersi”, la voglia di parlare tramite la comunicazione visiva, di esprimere un concetto a modo proprio.
    Possiamo definire il pensiero di Brody attraverso una sua frase: “La gente pensa che il linguaggio digitale sia un linguaggio fisso, ma non lo è: è molto fluido. È come se stessi facendo un dipinto in cui la vernice rifiuta di asciugarsi”.
    Un ultimo interessante esponente del graphic design è Stefan Sagmeister, di lui mi ha colpito la sua idea di creatività, infatti secondo Stefan la creatività nasce dalla felicità e non dalla malinconia, contrariamente a quanto si pensava fin ora. Per esempio se pensiamo alla stesura di un libro o alla creazione di una canzone, la prima cosa che ci viene in mente è che questi artisti o scrittori che siano, abbiamo concentrato le loro sofferenze e i loro problemi nelle loro produzioni, quasi fosse un modo di liberazione.
    Stefan Sagmeister è noto per la sua abilità nel creare progetti che siano sorprendenti e coinvolgenti, aspetto che lo accomuna con gli altri due designer in quanto interessati a esprimere un concetto e “raccontarlo” secondo il loro punto di vista.
    Un altro artista che mi viene in mente, libero dalla griglia e senza paura di dire quello che pensa è sicuramente David Carson anch’egli attratto dall’uso della tipografia come gli esponenti sopra indicati.
    David Carson è il padre della grafica grunge, una grafica “sporca”, illeggibile di primo impatto.
    Ma quel che conta per David Carson è comunicare, non è importante che il messaggio sia letto, ma conta che sia comunicativo. Il suo design è sperimentale, personale e intuitivo e non ha nulla a che fare con il design formale.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   26 Novembre 2023 at 13:37

      Si legge dappertutto il riferimento al parallelismo tra Carson e la musica di Kurt Cobain dalla quale è emersa la categoria di stile chiamata “Grunge”. Ma personalmente non trovo che la grafica di Carson sia “sporca” o metafore del genere. Il suo rumore visivo non mi sembra così scontato sia simile al sound dei Nirvana. È certamente una grafica entropica, sottoposta ad un apparente e crescente caos o disordine. Ma quando la vediamo, la danza tra un neurone e l’altro a cui siamo costretti assomiglia di più all’attività del surfer, alla ricerca di un fluttuante equilibrio tra un’onda e l’altra.
      Quindi stimata Chiara hai ragione quando parli di Carson come padre della grunge graphic. Il tuo commento è giusto. Ma attenzione agli stereotipi o ai modi di classificare eventi creativi troppi frettolosi.

      Rispondi
  107. Giorgia Adani LABA   26 Novembre 2023 at 11:23

    Il ruolo del graphic designer non è un lavoro semplice. Bisogna saper progettare, saper creare materiali visivi attraverso delle grafiche, immagini o semplici scritte. Nulla è lasciato al caso in questo mestiere. I grafici però devono accomunare funzionalità e bellezza, perché ciò che si crea deve essere funzionale. Ciò che accomuna i tre graphic design che ha citato sopra, la Scher, Brody e Sagmeister, è che loro hanno reinventato a modo loro il concetto di funzionalità nella grafica. Secondo me nonostante loro siano andati controcorrente rispetto alla simmetria, alla precisione di un grafico, hanno saputo coniugare funzionalità e bellezza.
    La Scher, nonostante non sia, definito dai suoi colleghi, un progetto funzionale in base alla leggibilità, secondo me è funzionale perché dà il senso di armonia che darebbe un quadro. Guardando l’opera della Scher, mi viene voglia di vedere altre sue grafiche, mi invoglia e mi coinvolge, che è una parte importante rispetto alla funzionalità.
    Poi, la funzionalità ci deve essere, perché senza, non sarebbe un mestiere che funziona. Però la Scher riesce comunque a creare la leggibilità, nonostante siano progetti non impaginati correttamente e che non seguono delle griglie, le cose che crea si riescono a leggere. Ci si può mettere un pò più di tempo, ma si legge. Mi ricorda molto David Carson, ribelle e anticonformista del graphic design, anche lui come la Scher, non amava molto seguire le griglie, strutture e schemi razionali. Poi, anche lui è finito a lavorare nel mondo dell’editoria ed ha avuto anche molto seguito. Complimenti ad entrambi perché non è semplice.
    Neville Brody è un genio del carattere tipografico, riesce a distorcere, a manipolare i caratteri tipografici a suo piacimento e a dargli proporzione ed equilibrio. Brody dà al carattere tipografico una personalità, distorce, annienta e modifica i caratteri a suo piacimento contrariamente a quello che fa Paul Rand, un’altro grafico che lavora anche lui con il carattere tipografico, che gli dà rigore geometrico e minimalismo.
    Sagmeister fa della grafica un quadro artistico, forse anche grazie al suo lavoro da art director, è più concentrato a fare lavori sorprendenti e visivamente coinvolgenti. Mi ricorda Milton Glaser e l’opera “Bob Dylan”, anche se un pò più minimalista in confronto, ma se si osservano altre sue opere, secondo me si assomigliano, entrambi vogliono fare dell’opera grafica, un’opera d’arte.
    In conclusione, questi tre graphic designer mi piacciono molto, mi coinvolgono e sono, secondo la mia opinione, grafici che hanno fatto la storia. Grazie al loro coraggio nell’andare fuori dagli schemi, oggi abbiamo la possibilità, noi grafici, di giostrarci al meglio lo spazio rendendolo più creativo e funzionale allo stesso tempo.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   26 Novembre 2023 at 14:08

      Va bene pensare che per la nostra immaginazione tutto può essere in connessione con tutto. Si tratta di una credenza molto diffusa tra i grafici. Tuttavia l’analogia che proponi tra lo stile Segmeister e il Bob Dylan di Glaser è molto audace…Sono convinto che se lo proponessimo a Stefan avrebbe un immediato attacco di orticaria.

      Rispondi
    • Gaia Laba   2 Dicembre 2023 at 21:53

      Hai fatto a mio avviso una scelta alquanto audace nel mettere a confronto Sagmeister con Glaser, suggerendo che entrambi cercano di trasformare il graphic design in un’opera d’arte. Questa analogia può risultare discutibile, poiché Glaser è noto per un approccio più classico e decorativo, mentre Sagmeister è spesso associato a un’estetica più contemporanea e sperimentale. Per rendere il confronto più accurato, sarebbe utile considerare altri artisti contemporanei che condividono l’approccio di Sagmeister. Ad esempio, artisti come Saul Bass o David Carson, che hai citato anche nel tuo commento, potrebbero offrire un confronto più rilevante con il lavoro di Sagmeister in termini di estetica contemporanea e innovazione. Per il resto, globalmente, il tuo mi è sembrato un buon commento, con bisogno solo di qualche miglioramento nella struttura e nei dettagli per renderlo più incisivo e convincente.

      Rispondi
  108. Roberta De Vito LABA   26 Novembre 2023 at 12:25

    Paola Scher, Neville Brody e Stepan Sagmeister sono tre graphic designer che hanno lasciato un’impronta significativa nel campo del design grafico. Ognuno di loro ha adottato uno stile unico e ha cercato di coinvolgere il pubblico in modo emozionale.

    Paola Scher è una graphic designer talentuosa e creativa. Il suo stile unico e distintivo si distingue per l’uso audace del colore e delle forme geometriche. I suoi lavori sono sempre innovativi e riescono a catturare l’attenzione del pubblico. Un graphic designer con uno stile simile è Milton Glaser. Un’opera di Paola Scher che mi ha colpito particolarmente è il suo design per il logo del New York City Ballet. Utilizzando caratteri tipografici espressivi e colori vivaci, Scher è riuscita a catturare l’energia e la bellezza del balletto. Il suo design trasmette un senso di movimento e di eleganza, creando un’esperienza visiva coinvolgente. Un graphic designer con uno stile simile è Milton Glaser. Una delle opere più famose di Milton Glaser è il logo “I Love NY”, creato nel 1977 per una campagna di promozione turistica della città di New York. Il logo è composto da una forma di cuore rosso con la scritta “I Love NY” al suo interno, utilizzando un carattere tipografico audace e semplice. Questo logo è diventato un’icona riconoscibile a livello mondiale e rappresenta l’amore e l’entusiasmo per la città di New York. L’opera di Glaser è stata un successo sia dal punto di vista estetico che commerciale, dimostrando la sua abilità nel creare design memorabili e influenti.

    Neville Brody, d’altra parte, è noto per il suo stile trasgressivo e provocatorio. Un’opera che mi ha colpito è il suo manifesto per la rivista “The Face”. Utilizzando immagini audaci e testi insoliti, Brody ha creato un design che ha suscitato scalpore e ha sfidato le convenzioni del design grafico. Il suo lavoro ha dimostrato l’importanza di rompere le regole e di spingere i limiti per creare un impatto duraturo. Un graphic designer che potrebbe essere collegato a Neville Brody, potrebbe essere Peter Saville. Peter Saville è un designer britannico noto per il suo lavoro nel campo della grafica musicale, in particolare per le sue collaborazioni con band come Joy Division, New Order e Roxy Music. Come Brody, Saville è stato un pioniere nel campo del design tipografico e ha contribuito a definire l’estetica del design grafico negli anni ’80 e ’90. Entrambi hanno avuto un impatto significativo sulla cultura visiva contemporanea e hanno influenzato molti designer successivi. Un’opera di Peter Saville che si collega allo stile di Neville Brody potrebbe essere la copertina dell’album “Power, Corruption & Lies” dei New Order, pubblicato nel 1983. La copertina presenta un design minimalista e geometrico, con una griglia di quadrati colorati che rappresentano un codice di colore basato su un sistema di cifratura. Questo approccio tipografico e visivo è simile allo stile di Brody, che spesso utilizza forme geometriche e tipografia sperimentale nei suoi lavori.

    Infine, Stepan Sagmeister ha sperimentato con il design emotivo e ha utilizzato il suo corpo come parte del suo lavoro. Un’opera che mi ha colpito è la sua installazione “The Happy Show”. Attraverso l’uso di grafica, testi e oggetti interattivi, Sagmeister ha cercato di esplorare il concetto di felicità e di coinvolgere il pubblico in un’esperienza emozionale. Il suo lavoro dimostra come il design possa andare oltre l’estetica e creare un impatto significativo sulla vita delle persone. Jessica Walsh è una designer che ha lavorato a stretto contatto con Sagmeister e ha ereditato il suo stile provocatorio. Ha creato opere che sfidano le convenzioni del design e utilizzano l’umorismo e l’ironia per coinvolgere il pubblico. In “40 Days of Dating”, la Walsh e il suo partner Timothy Goodman hanno documentato la loro esperienza di frequentarsi per 40 giorni. Jessica Walsh ha utilizzato il design emotivo e interattivo per coinvolgere il pubblico in questa storia d’amore. Questo approccio emotivo e coinvolgente è simile a quello di Sagmeister, che cerca di creare un’esperienza emozionale attraverso il suo lavoro.

    In conclusione, Paola Scher, Neville Brody e Stepan Sagmeister sono tre graphic designer che hanno contribuito in modo significativo al campo del design grafico. Le loro opere uniche e innovative hanno dimostrato l’importanza di coinvolgere il pubblico in modo emozionale e di spingere i limiti del design tradizionale.

    Rispondi
  109. Achille   26 Novembre 2023 at 16:11

    Il ruolo del graphic designer è quello di comunicare e a sua volta persuadere attraverso immagini e componenti testuali, il tutto cercando di utilizzare le metodologie più opportune nel campo nel quale va ad operare (magazine, giornali…). Ciò che rende vincente un elaborato, oltre la comunicazione, è la capacità di attirare l’attenzione in sé, e per far si che ciò accada a volte si tende a non seguire le regole standard. In questo modo è possibile generare dinamismo, a differenza delle regole standard, che richiedono chiarezza, ordine, simmetria..,coinvolgendo maggiormente l’osservatore.
    Quanto affermato sopra lo possiamo trovare nei professionisti del settore quali:
    Paula Scher, come si può notare dai suoi manifesti, andava contro il principio di chiarezza. Infatti i suoi lavori inizialmente appaiono confusionali.
    Neville Brody,utilizza uno stile trasgressivo, provocatorio, dissacratorio ispirato al movimento Punk.
    Stefan Sagmeister, si caratterizza per l’utilizzo di uno stile provocatorio, aggressivo e “ambiguo”.
    Come già detto sopra ciò che accomuna questi tre maestri del Graphic Design è lo stile fondato su caratteristiche contrastanti rispetto a quelle definite “standard”.
    Questo coraggio nel mostrare il loro stile, nonostante venivano pesantemente criticati dai loro colleghi, ha rinnovato una parte della grafica contemporanea, difatti sono numerosi i grafici che si rifanno al loro approccio estetico.
    Un esempio lo troviamo in Jonathan Barnbrook facendo un parallelismo con Neville Brody: Graphic designers accomunati per l’approccio sperimentale e innovativo al design, entrambi si focalizzano sulla tipografia, influenzati dalla cultura PUNK e dalla NEW WAVE…
    La copertina creata da Barnbrook per l’album di David Bowie intitolato “Heathen” ne è un chiaro esempio: la somiglianza sta nell’estetica sperimentale e la tipografia audace soliti nelle opere di Brody.
    Alla luce di quanto riportato nell’articolo posso affermare che provare nuovi metodi e nuove tecniche non è mai sbagliato. Al giorno d’oggi grazie ai nuovi sviluppi tecnologici ci troviamo in una situazione in cui la grafica si evolve giorno dopo giorno quindi chissà, magari facendo uno strappo alla regola (come Scher, Brody, Sagmeister e altri hanno già fatto) si arriva ad una soluzione finale vincente in grado di attirare l’attenzione e allo stesso tempo risultare comunicativa e persuasiva.

    Rispondi
  110. Francesco B. LABA   26 Novembre 2023 at 16:34

    Questo articolo offre una prospettiva intrigante sul mondo del Graphic Design, mettendo in evidenza l’importanza di un approccio eccentrico che va oltre la mera comunicazione per coinvolgere direttamente la percezione e le emozioni del fruitore.
    Nel contesto della discussione sulla dicotomia tra modernismo e post-modernismo nel Graphic Design, Paula Scher emerge come una figura chiave che rappresenta la transizione tra queste due epoche. La sua opera “Maps” è un esempio eloquente di come Scher sfidi le convenzioni del modernismo. In questa opera, utilizza caratteri tipografici espressivi e disordini apparenti per reinventare la cartografia. Nonostante le critiche iniziali, la sua audacia ha influenzato significativamente il settore, dimostrando come il Graphic Design possa abbracciare la complessità e l’emozione. Vorrei aggiungere un parere personale, credo che una mappa come quella della Scher possa essere contemplata solo all’interno di un’ambito artistico in quanto per essere utilizzata come grafica ambientale creerebbe solo gran scompiglio e andrebbe ad annullare tutta la ricerca che è stata effettuata dallo studio che ha realizzato “Legible London”, il modo esatto per comunicare in maniera chiara le informazioni a qualsiasi tipo di utente, non solo a coloro che hanno una formazione artistica e un’occhio attento per poter capire una mappa come quella di Paula Scher.
    Il confronto con altri designer come Neville Brody, il quale introduce una visione estrema e provocatoria, e Stefan Sagmeister, che abbraccia una dimensione artistica e indisponente, offre uno spaccato delle molteplici direzioni in cui il Graphic Design può evolvere. La sfida di Sagmeister al concetto di stile come prigione della creatività e il suo focus sull’idea creativa come evento aprono nuove porte nel campo.
    Potrei mettere in paragone la mitica Paula Scher con l’illuminante Dan Friedman, il quale offre delle grafiche pulite ma che al contempo possono creare qualche tipo di incomprensione nei fruitori meno esperti e con occhio meno critico.
    Questa analisi non solo celebra l’innovazione e l’audacia di designer come Paula Scher, ma invita anche a una riflessione più ampia sull’importanza del rapporto tra forma e contenuto nella comunicazione visiva. È un invito a considerare il Graphic Design come un’arte che va oltre la mera estetica, coinvolgendo emozioni, percezioni e concetti, e che può essere veicolo di trasformazione e progresso nel panorama visuale contemporaneo.

    Rispondi
  111. eros laba   26 Novembre 2023 at 17:06

    Non conoscendo questi grafici, e approfondendoli durante la lettura di questo testo, ho notato subito i vari punti i comune fra di essi. Uno stile fuori dai classici canoni e sopratutto per Sagmeister anche scandaloso (manifesto AIGA del 1994). I lavori della Scher mi hanno ricordato un’opera di Seneca, il manifesto dei cioccolatini Perugina. Anche se in forme e stili diversi, quelli della Scher molto confusionari e quelli di Seneca a tratti minimalisti, l’uso delle scritte e il modo in cui vengono disposte, facendo sembrare le parole e le frasi libere di ogni vincolo, lo trovo molto simile anche se stilisticamente distante. I tre grafici citati nel testo sono tre esempi di come la grafica era ed è molto importante, di come possa veicolare messaggi anche personali oltre che per fini pubblicitari. Sono figure che hanno voluto sovvertire le regole e i canoni classici, cercando di esprimere qualcosa in più.

    Rispondi
  112. Sara Cadegiani LABA   26 Novembre 2023 at 17:32

    Paola Scher si distingue per la sua abilità unica nel combinare forma e funzione, creando opere che catturano l’attenzione e trasmettono messaggi potenti attraverso il suo uso audace dei colori e delle forme. La sua creatività eclettica e la capacità di fondere l’estetica con la comunicazione visiva la collocano tra gli artisti di punta nel panorama contemporaneo.

    Neville Brody, noto per la sua ribellione contro le convenzioni del design grafico, ha ridefinito il concetto stesso di comunicazione visiva. La sua capacità di sfidare i limiti e di adottare approcci innovativi nel trattamento di testi e immagini lo ha reso un’icona nel mondo del design, ispirando generazioni di creativi a pensare al di fuori degli schemi tradizionali.

    Stefan Sagmeister, con il suo approccio sperimentale e concettuale, ha contribuito a plasmare il paesaggio del design contemporaneo. La sua capacità di fondere arte e design, insieme alla sua filosofia di incorporare il pensiero provocatorio nelle sue opere, lo rende un pioniere nell’esplorazione delle connessioni tra emozione ed estetica.

    Hanno lasciato un impatto significativo nella sfera artistica e del design, continuando a ispirare e sfidare il mondo creativo con la loro visione unica e innovativa.

    Rispondi
  113. DIEGO LABA   26 Novembre 2023 at 17:40

    Credo di mio, dopo la lettura di questo articolo, che Sagmeister sia il riassunto grafico/emozionale di entrambi i due designer sopracitati nell articolo. Intendo dire, che sono evidenti gli stili e le dinamiche grafiche del loro pensiero, tutti e tre indistintamente, ma trovo un filo conduttore nell’ abbandono o nell allontanamento da uno stile/pensiero che caratterizzava il loro mondo sino alla loro messa in posa. Sia la Scher che con fare rispettoso del messaggio emozionale dei caratteri stravolge le idee moderniste, tramutando la sterilità geometrica del modernismo in geometria ricca di carica visiva data dai colori e dalla geometrica confusione organizzata che creava nei suoi manifesti.
    Cosi Brody andava acreare un estetica post-punk incentrando il messaggio più sull elemento fotografico che a quello tipografico sempre di filone pero alla cultura punk.
    E ritengo che il primocitato Saigmeister sia una fusione di entrambi gli stili, evidenziabile nelle due copertine proposte per l’ AIGA, in quella in cui fa uso del suo corpo come lavagna incisoria, andando a riprendere prefettamente l’ ideologia punk.
    Mentre in quella con i polli che scorrazzano senza testa sacrifica il testo, scritto a mano, per usarlo come contorno alla figuara del pollo in primo piano.
    Rimangono comunque tutti e tre ben distinti, elementi di rottura e innovazione nel mondo della grafica e della comunicazione

    Rispondi
  114. Sara Cadegiani LABA   26 Novembre 2023 at 17:53

    Se si vuole fare un raffronto con un altro designer si potrebbe considerare l’approccio minimalista di Dieter Rams, noto per il suo design funzionale e senza fronzoli, che si concentra sulla semplicità ed eleganza. Questo contrasterebbe con l’approccio più audace e sperimentale di Paola Scher, Neville Brody e Stepan Sagmeister.

    Per quanto riguarda un’opera grafica specifica, potremmo menzionare “A Bigger Splash” di David Hockney, un dipinto pop art che potrebbe ispirare le scelte cromatiche e l’approccio sperimentale di Paola Scher. La vivacità dei colori e la composizione dinamica potrebbero essere riflessi in modo interessante in un progetto grafico ispirato a questa opera.

    Ogni designer ha il suo stile unico, ma l’ispirazione può essere tratta da una varietà di fonti per creare opere grafiche innovative e affascinanti.

    Rispondi
  115. Giulia Monti LABA   26 Novembre 2023 at 19:14

    Un buon GD deve catturare l’attenzione e i tre grafici analizzati nell’articolo lo hanno fatto.

    Paola Scher ha uno stile unico che si distingue nel panorama dell’arte grafica contemporanea. Con il suo uso audace del colore e delle forme geometriche, riesce ad esprimere concetti complessi in modo semplice e accessibile. Può essere paragonata a un altro grande GD come Massimo Vignelli. Entrambi condividono un approccio minimalista creando opere iconiche. Utilizzano la forma e la tipografia come fondamentali per la loro espressione artistica. Però, la Scher riesce a dare un valore emotivo alle immagini. É in grado di evocare emozioni profonde con il pubblico.

    Neville Brody, con il suo stile innovativo e con un’attitudine punk, ha reso popolare l’uso dei font non convenzionali e delle composizioni grafiche complesse. Un altro graphic designer che ha contribuito in modo significativo alla rivoluzione della grafica nel Regno Unito negli anni ’80 è Peter Saville. Il suo lavoro è caratterizzato dall’attenzione per i dettagli e dalla capacità di trasformare i simboli in icone culturali.

    Stefan Sagmeister si distingue per la creazione di immagini altamente concettuali e provocatorie. Ha sicuramente lasciato un’impronta indelebile nell’industria del graphic design, influenzando diverse generazioni. Un GD di rilievo con cui Sagmeister può essere paragonato è David Carson. Carson si concentra sull’uso audace dei caratteri tipografici. Attraverso l’illustrazione, la fotografia e, appunto, la tipografia è in grado di comunicare emozioni evocando un senso di caos e bellezza non convenzionale.

    Per concludere, Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister sono tre GD visionari che hanno contribuito a ridefinire il campo del design con la loro creatività e originalità. Il loro lavoro continua ad ispirare i designer, lasciando un segno significativo nel mondo del design.

    Rispondi
  116. Toscano Martina Laba   26 Novembre 2023 at 19:32

    Paola Scher
    Una dei Graphic Designer con maggiore impatto che diede attenzione per il suo più grande uso dei caratteri tipografici e per i nuovi tagli imposti negli elementi visivi, quindi un nuovo modo di progettare manifesti al di là del “vecchio” modo di elaborare i contenuti, cioè i messaggi da trasmettere al pubblico.
    Per Paola si impara gli aspetti del design solo vivendo, sono d’accordo perché solo vivendo con la pratica e magari con l’analisi si posso comprendere tutti i particolari o aspetti del design.
    Va “contro” alla grafica ordinaria.
    La designer entra in contatto con artdirector newyorchesi come Seymour Chwast che realizzò una delle versioni più divertenti del poema dantesco.

    Naville Brody
    Se Paola Scher era “fan” del post-moderno, Naville Brody invece era attirato dalla cultura post-punk.
    Brody denuncia l’effetto incantatorio, creando un contrasto tra occhio e cervello nelle immagini, in una società dello spettacolo, diffuso per una liberazione del cervello come con GuyBebord che scrisse un saggio, “la società dello spettacolo”, che denuncia il potere di controllo esercitato dai mezzi di comunicazione di massa e la trasformazione dei lavoratori in consumatori nel sistema economico capitalista.
    Brody approfondisce anche un nuovo modo di interazione tra gesto grafico – occhio – bocca per la nuova percezione di emozioni, gesti e parole, utile al mondo d’oggi secondo me, un “trucco” per arrivare anche a capire e conoscere una persona.
    Un possibile collegamento sarebbe con David Carson il cui stile è precursore di quella che viene definita “grunge typography”.
    Dal punto di vista strettamente musicale, pur nella varietà dei generi e degli stili, con grunge si intende una contaminazione tra hard rock, metal, punk rock, hardcore punk e new wave, nonché il ritorno alla formazione chitarra-basso-batteria e alle sonorità degli anni Sessanta e Settanta.

    Stefan Sagmeister
    Famoso graphic designer austriaco, riconosciuto per lo stile provocatorio e il voler toccare, ad esempio in modo emotivo, il cuore delle persone con il lavoro.
    Penso che con alcuni di suoi manifesti, lui voglia spingerci in una discussione con gli altri, come una riunione di polemiche e litigi, combattere per le proprie idee in un congresso.
    Segmeister ha anche utilizzato il suo corpo per uno dei suoi lavori.
    Il Design, per il grafico, è qualcosa che coinvolge le persone e le emoziona.
    Sono d’accordo, ognuno può percepire ciò che vede e legge, in questo caso dal manifesto di segmeister.

    Rispondi
  117. Juliet L   26 Novembre 2023 at 21:00

    Indubbiamente, i tre Graphic Designers citati nel suo aricolo hanno rivoluzionato il mondo della grafica.
    Spinti da un bisogno di rivoluzione e di contrasto verso l’ordine imposto dal modernismo, Paola Scher, Brody e Seigmeister, sperimentano non solo l’ambito tipografico e la forma in se dei caratteri, ma anche l’emozione che essi suscitano nello spettatore e come essi vengono percepiti.
    Sostengo che, se il mestiere del grafico è quello di tradurre in messaggi visivi un messaggio, il grafico può e deve servirsi di qualsiasi mezzo per comunicarlo.
    Paola Scher è “arrivata” a creare un suo stile ed un suo modo di comunicare grazie alla conoscenza dell’ordine: e come ha affermato nella sue conclusioni, bisogna lasciare andare qualsiasi protocollo e convinzione per essere liberi.
    Se i manifesti creati dall’artista americana fossero stati creati con lo stile geometrico del Modernismo come possiamo per esempio trovare in Massimo Vignelli, non avrebbero di certo trasmesso l’idea di musica e di ritmo per cui erano stati pensati; e viceversa, Vignelli credeva in uno stile ordinato, senza troppi fronzoli e che arrivasse dritto al punto, perciò non avrebbe mai potuto sperimentare nuovi caratteri ed uscire dagli schemi.
    E chiaro che ogni artista “rispetta” i canoni e le tendenze dell’epoca in cui vive: per i modernisti ordine e razionalità, cercata dopo il caos lasciato da una guerra che stravolse l’intero globo, Paola Scher invece vive un periodo di rivolta in tutti i campi artistici, fortemente influenzata dal mondo musicale che anch’esso plasmava cambiando forma.

    Passando a Neville Brody, possiamo notare come la sperimentazione di nuovi caratteri, lettering, forme e layouts sia d’obbligo nel suo stile unico.
    Denoto che usa spesso forme sinuose e ripetute, quasi psichedeliche come nel suo poster per CocaCola, oppure riempie con caratteri delle forme, come nella locandina da lui realizzata per il suo convegno all’ Univesity Gallery di NY.
    Non crea un’ordine ben preciso, una gerarchia per il quale lo spettatore dovrebbe prima concentrarsi su una elemento piuttosto che un altro, bensì crea disordine che però incuriosisce (almeno me) e, ripete ossessivamente questa espressione essenza dei suoi lavori ,”screw the rules”.

    Sagmeister invece sfida e provoca il mondo della grafica tradizionale “mettendoci letteralmente la faccia” : utilizza il suo corpo per sperimentare nuovi spazi e forme. Se il lavoro di grafico è quello di risolvere un problema e di essere capito subito dalla massa, il messaggio visivo di Sagmeister sembra invece porre un altro problema: caos, confusione, perplessità. Capisco anche come il pubblico di quell’epoca fosse rimasto traumatizzato e confuso davanti ad un corpo nudo inciso.

    Penso che la grafica in generale serva a comunicare qualsiasi messaggio: lo si può comunicare in modo diretto, chiaro, razionale o lo si può fare in modo emotivo, passionale, scandaloso, irriverente; ovviamente il grafico deve considerare a chi il messaggio sarà rivolto.
    C’è però una linea sottile che separa grafica ed arte: questi artisti l’hanno sfondata.
    Quando la grafica deriva nell’ arte, il destinatario del messaggio tende a voler trovare un’interpretazione a ciò che vede, si pone domande, mette in discussione e il più delle volte non trova risposte e, come ha citato nel suo commento, il messaggio diventa un piacere visivo fine a stesso.

    Rispondi
  118. Alessandro Para LABA   26 Novembre 2023 at 21:39

    Leggendo l’articolo, in particolare la parte dedicata a Paula Cher ed osservando le sue opere, subito alla mente mi son sovvenute alcune immagini: le prime sono i primissimi gig poster che vedevano come protagonisti dei giovanissimi Johnny Cash ed Elvis Presley; le altre sono invece i gig poster della generazione successiva a quelli che ho prima citato, ovvero quelli dove la psichedelia pregna ogni centimetro. La produzione della Cher pare una fusione tra questi due generi: mantiene la pulizia e la leggibilità occupando tutta la superficie a disposizione. Questo connubio però lo trovo alquanto asfissiante per l’occhio. A questo approccio trovo molto più efficace e d’impatto quello di Neville Brody. Le copertine di “The Face” riescono a mio parere a porre in perfetta relazione l’immagine fotografica con quella grafica. Ma veniamo ora a Sagmeister. Ecco, Stefan Sagmeister a mio avviso sta un gradino sopra rispetto ai due nomi precedenti per un semplice motivo: la schiettezza e brutalità dei suoi manifesti sono qualcosa che ti colpiscono nel profondo. Più di tutte, il manifesto per AIGA del ’94 penso sia un capolavoro. A primo impatto vedi questa foto di un corpo nudo e dilaniato di graffi e non capisci se ti stai trovando davanti a qualche documento trapelato da un’autopsia, poi intuisci che tutti quegli sfregi non sono altro che l’effettivo contenuto del manifesto. Ad un tratto mentre stai leggendo questi sfregi, compare la scritta “Style = FART”. In accademia capita ogni tanto che si senta parlare di stile: lo stile caratteristico di tale artista, lo stile di tale figura a cui dovremmo ispirarci, tutti questi stili che dovremmo poi noi sezionare ed implementare alle nostre conoscenze, esperienze e vissuti per comporre il nostro stile personale; ed ecco che Sagmeister, modello da cui prendere ispirazione, ti dice che lo stile è una scoreggia. Un montante da KO, ed è proprio questo quello che manca in generale nella produzione di oggi, non solo nel campo delle arti visive, ma in ogni sfera, campo e materia immaginabile: provocazione. Sagmeister a mio avviso supera la Cher e Brody proprio per questa componente provocatoria diretta e senza fronzoli, componente di cui oggi sento il bisogno più che mai.

    Rispondi
  119. Stefano Flammini LABA   27 Novembre 2023 at 04:05

    Dal punto di vista grafico, le opere di Paula Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister presentano aspetti rilevanti nel contesto dell’arte contemporanea. Paula Scher, nota per la sua abilità nell’utilizzare il collage come forma espressiva, crea opere audaci e vibranti catturando l’attenzione dell’osservatore attraverso l’uso di colori e di immagini ricomposte in forme insolite, trasmettendo un senso di energia e caos controllato. D’altra parte, Neville Brody è un designer grafico che ha avuto un impatto significativo nell’ambito della comunicazione visiva. La sua opera “The Face Magazine” è un esempio iconico del suo stile distintivo, caratterizzato da font audaci e layout innovativi; questa rivista ha rappresentato una pietra miliare nell’estetica del design tipografico degli anni ’80. Infine, Stefan Sagmeister con “The Happy Show”, un’esposizione realizzata coinvolgendo lo spettatore in un percorso interattivo per esplorare il tema della felicità; attraverso un mix di installazioni artistiche e design grafico, invita il pubblico a riflettere sul significato della felicità e sulle piccole azioni quotidiane che possono portare a una vita più appagante. In definitiva, questi tre artisti hanno contribuito significativamente alla scena contemporanea, ciascuno con il proprio stile distintivo offrendo con le loro opere una prospettiva unica sull’arte visiva e il design..

    Rispondi
  120. Giorgia N LABA   27 Novembre 2023 at 11:00

    I tre grafici descritti nell’articolo sono stati tre icone nel campo del graphic design, e ognuno di loro, opponendosi alla grafica tradizionale, ordinata e minimalista, che era sempre stata quella più in uso e sviluppando un proprio stile distintivo ha contribuito all’affermazione della grafica post moderna.
    Paula Scher con l’uso audace ed espressivo della tipografia e di colori sgargianti, Neville Brody con le sue composizioni provocanti e accattivanti che sfidano le norme e attirano l’attenzione, e infine Stefan Sagmeister, con la sua abilità nel nascondere concetti profondi dietro grafiche ironiche e quasi giocose.
    Tutti loro oltre ad aver mutato il panorama visivo, hanno influenzato le successive generazioni di graphic designers.
    David Carson ad esempio ha citato Neville Brody come un’influenza nel suo lavoro. Ispirandosi ai suoi progetti innovativi, soprattutto quelli per la rivista “The Face”, Carson ha sviluppato un proprio stile distintivo caratterizzato da layout non convenzionali e rifiuto delle norme di design tradizionali.
    Il suo uso di una tipografia audace e sperimentale inoltre, ricorda un po’ quello di Paula Scher.
    Un graphic designer che ricorda Sagmeister invece potrebbe essere Jonathan Barbrook che condivide con lui la volontà di oltrepassare i confini e sperimentare idee non convenzionali.

    Rispondi
  121. Gabriele O LABA   27 Novembre 2023 at 11:26

    Di queste tre colonne portanti del graphic design conoscevo solo la prima, ma sono piacevolmente rimasto sorpreso dalle opere degli altri due. Credo sia ormai dato per assodato come ognuno di essi abbia agito da punto di svolta nella storia del moderno graphic design, gettando le basi per una propria e distinta rivoluzione grafica che ancora oggi si fa sentire nello stile contemporaneo: tutti e tre hanno giocato un ruolo fondamentale nel creare una cesura con lo stile convenzionale dell’epoca attraverso la provocazione, mettendo in primo piano la forma rispetto al contenuto, una peculiarità molto più vicina al mondo dell’arte che a quello della grafica. Anche se con evidenti differenze stilistiche, ciascuno dei tre grafici dimostra un forte interesse nell’ambito tipografico, con un particolare occhio di riguardo per la comunicazione, seppur venendo sempre dopo la forma creativa. In particolare Paula Scher è nota appunto per “illustrare con le parole”, come si può notare da molti suoi lavori. Uno dei miei preferiti è la campagna del 2013 per la nuova visual identity di Jazz at Lincoln Center, dove la Scher ha avuto la semplice ma efficace idea di trasformare la lettere “a” in un disco in vinile, elemento che poi si ripete in modo eccentrico e appariscente per tutti i poster pubblicitari della campagna marketing, ma riuscendo comunque a mantenere un equilibrio estetico che rende tutto più piacevole all’occhio dello spettatore. Per certi versi vedo i lavori di questi tre grafici, specialmente quelli più “grezzi”, creati all’inizio della loro carriera, come una sorta di evoluzione dei manifesti costruttivisti di Aleksandr Rodčenko ed El Lissitzky, dove il focus era proiettato sull’alto impatto visivo più che sull’informazione da trasmettere, ma riuscendo comunque a convogliare il messaggio in modo efficace.

    Rispondi
  122. Manuela Guida Laba   27 Novembre 2023 at 11:41

    L’articoo presenta un’analisi approfondita del design grafico attraverso le figure di Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister, esplorando come questi pionieri abbiano rivoluzionato la percezione del design allontanandosi dagli standard grafici tradizionali. Questa transizione dal modernismo al post-modernismo e poi al post-design evidenzia il passaggio da un approccio orientato alla funzione a uno incentrato sulla forza emotiva e sulla provocazione visiva.La premessa dell’autore è che il design grafico non sia solo una questione di comunicazione efficace, ma anche di creazione di “dispositivi visuali efficaci” che stimolino un contatto percettivo immediato, un’emozione prima ancora che un messaggio. Questo punto di vista si allontana dall’idea che il compito principale del design sia trasmettere chiarezza e ordine, e suggerisce che un’esperienza visiva più complessa e stratificata possa essere più coinvolgente e ricca di significato.Paola Scher è esemplificata come una figura di transizione dal modernismo al post-modernismo nel design grafico, un cambiamento che ha visto l’introduzione di forme tipografiche audaci e di un uso del colore e della scala che rompe deliberatamente con la tradizione per creare impatti emotivi e reazioni istintive. Brody viene descritto come un estremista del design grafico, le cui opere incarnano lo spirito transgressivo e dissacrante del post-punk. Il suo approccio, caratterizzato da un uso provocatorio delle immagini e dei caratteri tipografici, si propone di stimolare il pensiero critico piuttosto che aderire a convenzioni estetiche.Stefan Sagmeister, infine, è illustrato come un visionario che sfida il design convenzionale per creare opere che sono quasi performance artistiche, con l’obiettivo di suscitare una risposta emotiva diretta e profonda.Questi tre designer rappresentano un movimento che ha incorporato nel design grafico elementi di performance e arte, portando il settore in nuove direzioni e contesti. Un parallelo artistico significativo può essere trovato nell’opera di Marcel Duchamp, in particolare nei suoi ready-mades, che hanno spostato il focus dall’oggetto artistico tradizionale alla percezione e al contesto. Analogamente, il lavoro di Jackson Pollock, con la sua tecnica di dripping, rompe con le convenzioni pittoriche per enfatizzare il processo e il movimento fisico, piuttosto che un’immagine preconfezionata.
    Criticamente, potremmo interrogarci sul rischio che un’arte che privilegia l’impatto immediato possa sacrificare la sostanza o diventare autoreferenziale. Mentre il design che enfatizza l’emozione e il contatto percettivo può essere visivamente stimolante e provocatorio, potrebbe anche allontanarsi dal compito di comunicare informazioni chiare e dirette. Inoltre, la tendenza a enfatizzare lo stile individuale e l’autoespressione potrebbe talvolta sfociare in un’esuberanza che domina il messaggio che si intende trasmettere.

    Rispondi
  123. Francesco Giacomucci LABA   27 Novembre 2023 at 16:32

    Paola Scher è una graphic designer che si è distinta per l’uso innovativo dei caratteri e per la sua capacità di creare elementi visivi singolari. Durante gli anni 1970 e 1980 la maggior parte dei designer usavano un carattere come l’Helvetica e tendevano alla chiarezza del messaggio. Paola Scher invece ha scelto soluzioni diverse e ha utilizzato caratteri più espressivi. All’inizio è stata criticata per il suo stile non convenzionale a quei tempi ma successivamente diventò una figura di spicco nel design. Ha incoraggiato i giovani designer a imparare l’importanza dell’espressività e dell’emozione e a difendere e promuovere il proprio lavoro. Uno stile così unico ha avuto un discreto successo perché ha coinvolto il pubblico e ha offerto un’esperienza visiva diversa dalle altre.
    Paola Scher e Neville Brody sono due designer emozionali ed euforici che hanno avuto un grande impatto negli ultimi decenni. Scher è un designer gioioso ed espressivo mentre Brody ha uno stile più trasgressivo e provocatorio. Entrambi hanno utilizzato caratteri unici e hanno cercato di coinvolgere il pubblico in modo emotivo. Brody ha evidenziato l’importanza del linguaggio nel design e ha cercato di stimolare il pensiero critico.
    Stepan Sagmeister è un graphic designer austriaco noto per uno stile provocatorio e per cercare di toccare il cuore delle persone con il suo lavoro. Ha creato manifesti che hanno suscitato molto scalpore e discussioni utilizzando spesso immagini e testi singolari. Il pensiero di Sagmeister è che lo stile personale non è importante nel design ma che quello che conta è avere idee creative, per questo ha anche utilizzato il suo corpo come parte del suo lavoro. Sagmeister crede che il vero design sia qualcosa di più di un semplice disegno ma piuttosto qualcosa che riesca a coinvolge le persone e le riesca ad emozionare.

    Rispondi
  124. Iulia Costin, LABA   27 Novembre 2023 at 18:59

    Penso che il coraggio di osare sia qualcosa di molto prezioso per chi lo possiede, quel qualcosa che ti permette di spiccare il volo, stravolgendo la monotonia di tutto ciò che è stato precedentemente stabilito e ormai metabolizzato dalla maggior parte. Osare significa distinguersi, e distinguersi fa sì che allo spettatore, di qualunque tipo esso sia, rimanga impresso qualcosa. Non importa se si tratti di rigetto, confusione o ammirazione. Ciò che conta è il fatto di aver suscitato un sentimento nel cuore e nella mente di chi ha osservato. È proprio questo coraggio di osare, il motivo per cui ammiro maggiormente i tre graphic designer commentati in questo articolo. Un altro esempio che vorrei citare a riguardo, è quello di Jessica Walsh, designer americana nota per il suo lavoro nel design grafico e dell’identità visiva. Ha lavorato per clienti come Adobe e The New York Times, diventando infine una collaboratrice di Sagmeister, sotto il nome di Sagmeister & Walsh. Il duo, conservando la propria attitudine provocatoria, ha rivalutato e messo in discussione il concetto di bellezza, andando in contro a numerose critiche. “Il concetto di bellezza ha avuto una cattiva reputazione per centinaia di anni”, ha affermato Stefan Sagmeister nel corso di una conferenza stampa. “I designer più rispettabili dichiarano di non esserne interessati. Il cambiamento nella percezione psicologica della bellezza ha diminuito le occasioni per ritracciare la bellezza nel design che avvistiamo tutti i giorni nelle città, nell’architettura e nella grafica”. Visitando il Design Museum Holon, possiamo appunto osservare l’installazione concepita da Sagmeister & Walsh, ovvero Beauty=Human. Da lontano, la grande scritta sul muro appare un esercizio tipografico virtuoso, ma ad uno sguardo ravvicinato, si scopre composta da oltre 10.000 cimici e scarabei. Quest’opera rovescia lo stereotipo dell’insetto come essere disgustoso, sottolineando non soltanto il potenziale estetico insito in tutte le cose, ma anche la possibilità che la percezione della bellezza contribuisca a ribaltare i nostri punti di vista, trasformandosi in una guida per favorire la nostra accettazione del mondo.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   27 Novembre 2023 at 22:01

      Jessica Walsh ha poi fondato una agenzia tutta sua. Una rarità in un mondo grafico dominato da uomini. Mi aspetto grandi cose. Dice che collaborerà ancora con Sag solo per progetti speciali dal momento che lui non vuole più interessarsi di grafica commerciale.
      Non sono così sicuro che la loro collaborazione abbia fatto bene alla creatività di Sag. Intendiamoci, Jessica è un fenomeno della grafica pubblicitaria e della comunicazione visiva. Sono sicuro che lascerà un segno significativo almeno quanto la Scher. Sono sicuro che nei dieci anni passati nell’agenzia di Sag abbia aumentato l’appeal dello studio presso i clienti. Ma io preferivo però il Sag in formato fard…quando lavorava per pochi… Ma poi con la maturità contagiato da Jessica è diventato saggio…oggi, sob, dice in giro persino che “lo stile aiuta la comunicazione”… A proposito bel commento…

      Rispondi
  125. Camilla Fabbri LABA   27 Novembre 2023 at 19:08

    L’autore dell’articolo esplora il ruolo dei graphic designer nella comunicazione visiva, sfidando gli approcci tradizionali.
Evidenzia le principali sfide che i grafici devono affrontare nel recuperare l’impatto della comunicazione percettiva interrotta, sfidando l’idea che il trasferimento delle informazioni si basi esclusivamente sulle idee. Questo articolo porta alla luce i rischi degli effetti non lineari nella comunicazione ed evidenzia il successo dei diagrammi che sfidano le regole standard.
Inoltre, vi è l’esempio di Paola Scher, figura chiave del postmodernismo, che ha fronteggiato le convenzioni grafiche degli anni ’70 e ’80 ed è diventata un’icona del tempo.
    Scher vedeva la grafica come un gesto creativo di auto espressione, emotivo ed espressivo.
    La sua sfida con il modernismo ha influenzato il design grafico, dimostrando che l’auto legittimazione può superare le regole tradizionali. La propensione della Scher, a generare coinvolgimento percettivo attraverso la complessità e l’irregolarità, ha contribuito a plasmare il design contemporaneo.

    I progetti emozionali di Paola Scher e Neville Brody, rappresentanti del postmodernismo e della cultura post-punk, hanno lasciato un segno importante.
Brody, meglio conosciuto per ‘The Face’, ha lanciato design estremi che sfidano le convenzioni estetiche (riviste patinate).
Nonostante la grafica scadente, “The Face” è riuscito a coinvolgere gli spettatori.
Brody credeva fermamente che il design dovesse coinvolgere il cervello e opporsi alla manipolazione mentale della grafica commerciale. Il suo metodo mira a liberare il cervello attraverso “piccoli trucchi”, gesti emotivamente grafici e un linguaggio che cerca di coinvolgere piuttosto che imporre.
La sua prospettiva musicale aggiunge valore al messaggio, allontanandosi dal tradizionale ordinamento geometrico.

    L’icona del design contemporaneo, Stefan Sagmeister, si caratterizza per la sua influenza grafica e provocatoria; in contrasto con Paola Scher e Neville Brody, Sagmeister è un visionario che infrange le regole del buon design con determinazione e violenza artistica.
Attraverso manifesti provocatori come quello dell’AIGA, Sagmeister è diventato sia “maitre à penser“ sia un agente.
Con un’audace performance del 1994, in cui si è fotografato completamente nudo su un manifesto per una conferenza a Detroit e ha scritto sulla sua pelle, ha sostenuto che lo stile individuale nel graphic design ha poco valore e ha presentato la formula “Style = Fart”.

    Secondo Sagmeister, l’indipendenza dai protocolli consolidati è essenziale per generare idee creative, serie ed efficaci, per spingere il design oltre gli schemi convenzionali. 
La sua ricerca si estende all’immersione nelle aree più pericolose dell’arte e della sensibilità, libere dai cliché dell’ambiente naturale.
    Infine, Sagmeister crede che abbandonando lo stile, la bellezza e l’ordine si riesca a trovare la strada per la felicità (anche se la luce del dubbio rimane sempre accesa).

    Un paragone che mi viene spontaneo porre è quello tra Stefan Sagmeister e Jessica Walsh (nota designer alla guida di un colosso Americano); entrambi decidono di discutere sulla bellezza come elemento essenziale e significativo nel ambito del design. Tuttavia, la loro prospettiva sulla bellezza può essere unica e provocatoria rispetto alle concezioni più tradizionali.
    Sagmeister, come ho già riportato, ha spesso esplorato il concetto di bellezza in modo audace e controverso; per questo motivo il suo approccio con la bellezza non è considerato solo un’estetica piacevole, ma può coinvolgere la provocazione e l’inaspettato.
La sua idea di “Style=Fart” suggerisce che lo stile convenzionale non ha un grande valore nel Graphic Design, e ciò potrebbe estendersi alla nozione tradizionale di bellezza nel design.
    Proprio per questo motivo, Jessica Walsh (collaboratrice e partner di Sagmeister) ha contribuito a portare una prospettiva fresca alla loro pratica con un tocco distintivo.
La bellezza nei loro progetti potrebbe emergere attraverso l’innovazione, la sorpresa e la sfida delle convenzioni, piuttosto che attraverso standard estetici predefiniti.
    In definitiva, per Sagmeister e Walsh, la bellezza può essere una forza dinamica e sperimentale nel design, andando oltre la semplice estetica per coinvolgere e provocare il pubblico.

    Proprio in questa loro collaborazione è possibile notare opere molto simili, come:
    ->“Happy Film” (2016): diretto da Stefan Sagmeister, questo documentario esplora il concetto di felicità, incorporando elementi visivi e narrativi unici. Jessica Walsh ha contribuito alla realizzazione del film, aggiungendo il suo stile unico.
    ->”Sagmeister & Walsh: Beauty” (2018): una mostra che esplora il concetto di bellezza nel design. Le opere esposte sfidano le convenzioni e cercano di ridefinire la percezione tradizionale della bellezza. La collaborazione tra Sagmeister e Walsh è evidente.
    ->“Happy Show” (2012): mostra interattiva di Sagmeister che esplora il concetto di felicità. Jessica Walsh ha contribuito all’esperienza complessiva della mostra aggiungendo un tocco creativo alla disposizione e al design dello spazio espositivo.
    ->“Sagmeister & Walsh: A Retrospective“(2013): una mostra che esamina il lavoro passato e presente di Sagmeister e Walsh. Il progetto ha messo in evidenza il lavoro comune e il modo in cui le due personalità creative si completano a vicenda.

    In queste opere, è evidente un’interessante fusione di stili, con Sagmeister che apporta la sua provocatoria estetica concettuale e con Walsh che contribuisce con un approccio fresco e innovativo.

    Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister rifiutano gli standard grafici tradizionali, permettendo agli utenti di ottenere più informazioni. Questo aumento informativo è considerato una liberazione del cervello, concentrata sulle emozioni. La loro abilità nel bilanciare l’appeal emotivo con gli obiettivi di comunicazione ha contribuito al successo nelle aziende e nella cultura. Questo equilibrio è descritto come “post-design”, giocando tra forma, funzione e percezione. Rovesciano i ritmi compositivi passati, simulano il movimento percettivo e reinterpretano gli standard grafici esistenti. La loro sensibilità “musicale” ricostruisce l’ordine semantico, fornendo un richiamo emotivo che guida l’informazione visiva anziché determinarla linearmente.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   27 Novembre 2023 at 21:10

      Ottimo intervento Camilla. Io personalmente preferisco Sagmeister in assetto scoreggia, ovvero quando si smarca da Jessica, troppo brava lei, troppo sensibile alla bellezza lei.

      Rispondi
  126. Enrico Rossi LABA   27 Novembre 2023 at 20:45

    Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister sono tre eccellenti graphic designers che hanno segnato il panorama del design con la loro visione innovativa. Esaminando alcuni dei loro lavori, emerge la diversità di stili e approcci che ognuno si è studiato e creato.

    Paola Scher si distingue per la sua abilità nell’integrare l’arte con il design. Il suo uso del colore e la capacità di trasmettere concetti complessi attraverso immagini grafiche sono unici.

    Neville Brody, invece, è noto per la sua estetica rivoluzionaria, sperimentando con tipografie e layout in modo audace. La sua influenza punk sfida la società in modo provocatorio.

    Infine Stefan Sagmeister, con il suo approccio più sperimentale e concettuale, utilizza spesso l’arte visiva per veicolare messaggi profondi. Possiamo dire che spesso sfida lo spettatore a riflettere più a fondo su quello che sta osservando.

    Quindi per adesso abbiamo originalità, forme creative, innovazione e provocazione visiva. Ma se prendiamo in esame un artista poco più anziano di loro?
    Confrontando questi tre designers con Paul Rand emergono interessanti differenze. Rand, un pioniere del design moderno, si distingueva per la sua semplicità e chiarezza concettuale.
    Mentre Scher, Brody e Sagmeister spesso abbracciano uno stile variegato, fuso con la sperimentazione, Rand si focalizzava sull’essenziale, creando design iconici basati sulla funzionalità. Basti vedere il logo dell’IBM, creato da lui nel 1956, è prova di chiarezza concettuale e semplicità.

    Rispondi
  127. Giulia D LABA   28 Novembre 2023 at 00:01

    Leggendo questo articolo ho realizzato che la professione del Graphic Designer è composta da tanti fattori, uno fra i quali, lo studio della psicologia del pubblico. Per quanto si lavori, si studi e ci si informi, alla fine, il prodotto finale risulta soggettivo. Secondo la mia opinione, ciò che l’artista riesce ad interpretare, a rielaborare e a trasmettere al suo pubblico, sono un insieme di fattori determinanti per essere un buon “GD”.
    Perché ha posizionato quella lettera in quel modo? Perché ha scelto questo tipo di carattere? Perché utilizzare colori così accesi? L’elemento che risulta veramente soggettivo, è il messaggio che si vuole lasciare: che sensazioni ed emozioni si vuole suscitare?

    Leggendo di Paola Scher, mi ha riportato alla mente la stilista Vivienne Westwood ma soprattutto il grafico Jamie Reid, che ideò la famosissima grafica di “God Save the Queen”.  Un’interessante particolarità che accomuna i due grafici sono l’utilizzo dell’ “assemblage” e del “collage”, tecniche dell’avanguardia dadaista. Un esempio calzante, sono i manifesti realizzati per il Teatro Pubblico, caratterizzati dall’utilizzo di un font espressivo e allo stesso tempo distorto e sovrapposto.

    Con l’avvento dello stile non convenzionale della cultura post-punk, emerge l’intenzione di scardinarsi dai canoni classici della grafica tradizionale per creare qualcosa di ribelle e aggressivo. Lo scopo dei lavori di Neville Brody era proprio quello: coinvolgere il pubblico con composizioni e scritte caotiche per trasmettere con grande impatto ciò che voleva comunicare. Pensando alle caratteristiche dei suoi lavori, mi sono venuti in mente i colori intensi e gli accostamenti dissonanti della tipografia di Andrew Krivine. Layout innovativi e l’utilizzo di elementi grafici astratti sono le caratteristiche che accomunano i due grafici, un esempio confacente è la tipografia di Brody presente nella rivista FUSE, dove sono presenti elementi geometrici a tratti utopici.

    L’opera che mi ha colpito maggiormente di tutto l’articolo è proprio quella di Stefan Sagmeister, “Fresh Dialogh”. Ho colto e apprezzato l’ironia leggera ma allo stesso tempo gravante e innovativa espressa tramite una composizione grafica unica. Egli si è distinto per la sua sperimentazione concettiva tattile: in alcune delle sue opere, infatti, utilizza tecniche di produzione artificiale per creare un impatto visivo senza uguali. Sagmeister, inoltre, ha utilizzato il proprio corpo per creare altre opere grafiche importanti. Considerando il suo approccio post-Moderno alla grafica, egli può essere paragonato a Tibor Kalman, anche se non rispecchia in maniera altrettanto complessa il suo spirito provocatorio e critico.

    Rispondi
  128. Riccardo Carbonari LABA   28 Novembre 2023 at 16:16

    Questo articolo offre una prospettiva interessante sulla professione del Graphic Designer. Il ruolo del Graphic Designer non si limita a risolvere problemi di comunicazione per il cliente, ma va oltre, creando dispositivi visivi efficaci che ripristinano o instaurano effetti percettivi-comunicativi.
    L’approccio convenzionale alla comunicazione nel design grafico, dipende non solo dai contenuti, ma anche dalla percezione del messaggio e dalle informazioni che appartengono alla configurazione grafica. Questo punto di vista pone l’accento sull’importanza del contatto percettivo nel design grafico.
    Lavorare sul contatto percettivo può portare a effetti non-lineari nel processo comunicativo standard, cambiando le regole del gioco. Questo approccio pone l’accento sull’interazione tra l’assetto grafico e il corpo emozionale, prima che i contenuti stabilizzino il senso. Il testo si sposta poi su tre Graphic Designer di rilievo: Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister.
    Paola Scher è presentata come una figura post-modernista il cui contributo artistico ha costituito una sfida alle convenzioni del modernismo nel campo del design grafico. Il suo approccio non convenzionale e la sua predilezione per caratteri tipografici espressivi hanno inizialmente suscitato critiche, ma in seguito sono stati oggetto di celebrazione.
    Neville Brody e riconosciuto come un esponente di spicco del Graphic Design radicale, con un focus distintivo sul linguaggio e sulla violazione delle convenzioni. La sua produzione, in particolare per la rivista The Face, si distingue per un’estetica post-punk e provocatoria.
    Stefan Sagmeister è raffigurato come un individuo che si è contraddistinto per la sua inclinazione artistica. La sua propensione a provocare e a mettere in discussione le norme del design tradizionale è manifestata nei suoi manifesti, che mirano frequentemente a coinvolgere emotivamente l’osservatore. L’affermazione di Sagmeister “Style= Fart”sottolinea l’importanza dell’idea creativa rispetto allo stile personale e la necessità di liberarsi da vincoli estetici predefiniti per consentire una comunicazione più autentica.
    Milton Glaser (1929-2020) è stato uno dei designer grafici più influenti del XX secolo. La sua carriera abbraccia un’ampia gamma di progetti, dai manifesti iconici famosi ai loghi famosi. Una delle opere più celebri di Glaser è il logo “I Love NY”, creato nel 1977 per una campagna di marketing dello stato di New York. Il design è diventato un simbolo iconico della città e del suo amore per essa, ed è stato ampiamente imitato e parodiato nel corso degli anni.
    Sebbene questi designer abbiano stili unici, un elemento comune tra di loro è la loro capacità di innovare e spingersi oltre i confini del design tradizionale. Hanno tutti contribuito in modo significativo alla evoluzione del design grafico, sia attraverso l’uso audace della tipografia, l’esplorazione di nuovi medium, o la creazione di opere iconiche che hanno lasciato un’impronta duratura nel campo.

    Rispondi
  129. Nicole Pieri   28 Novembre 2023 at 20:06

    La grafica non è solo la scelta di un font o di un’immagine, la creazione di loghi, siti internet o pubblicità, ma ha il potere di risollevare un’economia in crisi, creare un legame emotivo all’interno di una comunità, portare le persone a protestare in piazza e guidare un pensiero o una scelta politica. Detto con le parole di Edward Bernays, considerato uno dei padri della pubblicità: “Il manipolatore invisibile delle vostre opinioni e atteggiamenti è la pubblicità, che crea la struttura mentale di oggi come ha creato il vestito che indossate.” E la pubblicità odierna si fonda sul binomio indissolubile di immagini e parole, “il mezzo più potente usato dall’umanità” (Rudyard Kipling). Ma la grafica non è solo questo; essa è anche arte, stile, ritmo. La grafica, infatti, tocca molti aspetti della vita di tutti i giorni e ci coinvolge molto di più di quello che immaginiamo.

    Il 29 ottobre 2012, l’uragano Sandy ha colpito Haiti, Cuba, la Costa orientale degli Stati Uniti e il Canada. Anche la città di New York ne è rimasta gravemente colpita, subendo danni strutturali, gravi inondazioni e interruzioni di servizi. Rockaway Beach soprattutto è stata particolarmente colpita e la sua economia devastata. Così, tra i tanti addetti alla lunga ricostruzione della città, è stato chiamato anche un grafico, Paula Scher, che creando un sistema di “cartelli emotivi” – così li ha definiti – ha unito la funzionalità del cartello a delle foto che ne mostrassero la bellezza di quei luoghi. Visto che i pontili erano tutti distrutti, la Scher decise di concentrare il suo lavoro sulle meravigliose e uniche spiagge di Rockaway Beach, una delle poche cose rimaste intatte sul litorale. Lo fece per ricordare l’identità di quei luoghi, affinché la comunità potesse ritrovarne così il legame e avere la possibilità di avviare un percorso terapeutico. I cartelli costruiti ebbero un enorme impatto sulla popolazione, e il comune li trasformò in cartoline e ne fece oggetto di pubblicità. Costruendo quei cartelli, ha dimostrato che il “Design è l’arte di integrare la funzionalità con l’estetica” (Paul Rand) ma che anche, come dice la Scher stessa parlando delle grafiche di Rockaway, “il graphic design deve sempre tenere in considerazione le reazioni umane”.

    Un esempio invece di “cattivo” graphic design sono state le votazioni di Palm Beach del 2001 (di cui la Scher ne ha parlato in una sezione del New York Times). A causa di una grafica non chiara, molti elettori si riversarono in piazza, dichiarando di aver sbagliato a votare a causa della scheda. Il risultato elettorale fece sì che Palm Beach, che raccoglie in sé una delle più importanti comunità ebraiche di New York, votasse un candidato antisemita. Ma se quello della grafica di Theresa Lepore sembra stato un errore senza volontà manipolativa, non possiamo altrettanto dirlo per la campagna del referendum sulla Brexit nel 2016, caratterizzata da diverse pubblicità e slogan controversi, che girarono sugli autobus per la città. Uno dei più noti è stato l’autobus della campagna di Leave.eu, un gruppo sostenitore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. L’autobus recava uno slogan che diceva: “Inviamo all’UE £350 milioni a settimana, finanziamo invece il nostro NHS” (Servizio Sanitario Nazionale gratuito del Regno Unito). Tuttavia, questa cifra è stata in seguito ampiamente criticata come fuorviante, poiché non teneva conto degli sconti e dei benefici ricevuti dal Regno Unito dall’UE. Inoltre, la promessa di dirottare quei fondi verso il NHS è stata oggetto di dibattito, poiché molti ritenevano che fosse un’affermazione eccessivamente semplificata e poco realistica. Se abbiamo quindi visto quanto sia importante la grafica, sia per ristabilire un legame comunitario riaffermandone alcuni simboli, sia legata alla pubblicità per aiutare una città nella sua ripresa economica; oppure negativamente, veicolando e forviando dei contenuti per ragioni politiche, o per errore; vediamo che la grafica si è affermata anche come forma d’arte.

    La Scher, infatti, con le sue “Maps”, ha formato un connubio perfetto tra opera grafica e opera d’arte, unendo colori vivaci, forme audaci e linee dinamiche a mappe geografiche; così anche Neville Brody, noto per le sue sperimentazioni tipografiche, collage e immagini sovrapposte, descritto spesso come “avant-garde” e “rivoluzionario”, ha unito la tipografia al suo stile unico spesso definito anche come “Punk”. Sagmeister, un esperto di tipografia e design digitale, che nel suo lavoro unisce elementi tradizionali e sperimentali, utilizzando la fotografia, l’illustrazione e la tipografia crea design unici caratterizzati da una forte volontà provocatoria.

    Ma assieme a questi artisti di cui si parla nell’articolo, non possiamo non citarne altri che hanno scritto la storia della grafica: Saul Bass, che oltre alla sua sperimentazione innovativa della grafica ha creato sequenze di apertura nei film, con grafiche nei titoli di testa, collaborando con diversi registi, tra cui Alfred Hitchcock in “Psycho”, “Vertigo” e “North by Northwest”; o Milton Glaser famoso per la creazione del logo “I ♥ NY” e unico nel suo modo di unire l’illustrazione e grafica; April Greiman con il suo turbinio di colorati collage grafici; in contrasto con quelli più sobri e geometrici di Bierut; e Massimo Vignelli, con la sua grafica molto influenzata dal design.

    Artisti diversi hanno generato diversi segni, ritmi, colori, unendo tecniche e “mondi” molto lontani, ma uniti dal desiderio di fare della parola e delle immagini una forma d’arte. Concludo con una frase di Neville Brody che secondo me spiega molto bene cosa possa essere il graphic design quando lo si usa come forma artistica. Brody, paragonando il graphic design al jazz, dice: “Ha una serie di regole; quando capiamo come usarle, possiamo spingere in una risposta performativa o espressiva permettendo che accadano cose inaspettate”.

    Rispondi
  130. Gabriele Brilli LABA   28 Novembre 2023 at 21:48

    A volte per essere i migliori e per catturare l’attenzione delle persone bisogna andare fuori dagli schemi, pensare al contrario.
    Paula Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister sono solo alcuni dei Designer che sono passati alla storia per il loro stile e la loro capacità di pensare fuori dagli schemi.
    Ma prima di parlare dei tre pilastri del mondo del Design vorrei soffermarmi su questa domanda, quali sono i canoni che ci poniamo oggi per definire un graphic designer?
    Come sappiamo il graphic designer è la persona che possiede le capacità di trasmettere in maniera chiara e diretta il messaggio che un certa persona vuole far divulgare e comprendere al mondo intero. Il designer ha la capacità anche di risolvere un problema contenuto nel brief e propone una soluzione utilizzando ed attenendosi a regole ben definite, basandosi su capisaldi assoluti.
    Negli ultimi tempi però, le regole e i capisaldi assoluti del design stanno subendo un cambiamento radicale.
    Ora non si può più far affidamento alle regole che venivano definite tanto tempo fa perfette e pratiche. Lo spettatore e le persone che giudicano stanno andando sempre oltre a questi canoni di bellezza e si tende quasi non più ad apprezzare il bello, ma il diverso ovvero l’opposto di quello che pensiamo.
    Non ci sono più canoni di bellezza, si tende quasi a preferire il brutto/diverso rispetto al bello, stare dalla parte del cattivo rispetto a quella del buono.
    Tutta questa introduzione per dire che il mondo è cambiato e per il mondo non intendo solo le persone ma anche il loro gusto e il loro modo di pensare.
    Questo ha fatto sì che pure nell’ambito del graphic design è stata necessaria una rivoluzione nell’ambito dell’estetica e non solo: Paula Scher ne è un esempio.
    Paula Scher è una graphic designer, tra le più influenti al mondo. Da 40 anni a questa parte ha ispirato artisti e grafici dettando le regole della comunicazione visiva, dalle copertine di album ai loghi di importanti multinazionali. Diventata nel 1991 la prima direttrice donna di Pentagram, uno degli studi più iconici della storia del graphic design, ha collezionato nel corso della sua carriera circa 300 premi.
    La definizione di graphic designer sta stretta ad una figura come Paula Scher, dal momento che il suo lavoro è riconducibile anche ad un linguaggio legato all’arte più che alla pura comunicazione. In un certo senso, è possibile definire il lavoro di Paula Scher come in costante bilico tra belle arti e graphic design.

    Tra i più influenti nel mondo del graphic design non possiamo non nominare Neville Brody, uno dei designer più rivoluzionari che durante gli anni ebbe l’occasione di proporre la sua idea creativa creando dei lavori sperimentali.
    Nel 1980 guadagna un buona dose di attenzione diventando art director e fondatore della nota rivista “The Face”.
    La creatività di Neville gli permise poi di lavorare come direttore artistico e grafico per diverse riviste a livello internazionale come City Limits, Lei, Actuel, fino a curare il ridisegno dei quotidiani inglesi The Guardian e The Observer; nel 2006 ha curato il rinnovamento del quotidiano The Times, progettando tra l’altro un nuovo carattere: il “Times Modern” in sostituzione del Times New Roman in uso sin dal 1932.
    Infatti Brody ha fondato a Londra la fonderia di caratteri *Fontwork*, per la quale ha progettato più di 20 caratteri tipografici nel corso della sua carriera, tra questi: Arcadia, FF Autotrace,FF Blur, FF Dirty 1, FF Dirty 3,FF Gothic…
    Infine non possiamo non citare uno dei più importanti graphic designer contemporanei: Stefan Sagmeister.
    Noto soprattutto per i suoi manifesti per l‘AIGA, per le sue copertine di dischi per Lou Reed, David Byrne, Talking Heads,Rolling Stones, Aerosmith, Pat Metheny.
    Stefan Sagmeister ha mescolato la body art, le installazioni, il writing con il design, ottenendo dei risultati rivoluzionari: dopo di lui il graphic design, l’art direction, la fotografia, l’arte, l’illustrazione non hanno più confini.
    Il grafico da semplice organizzatore di testi e linee è diventato un artista.
    Qualcuno potrà obiettare che il suo è un lavoro da art director, ma il suo amore per il disegno dei caratteri ,disegnati a mano o realizzati con espedienti e trovate bizzarre lo aiutano a comunicare messaggi non banali, testimoniano in modo convincente che siamo di fronte ad un progettista, seppure fuori dalle righe: la grafica è anche questo.

    Il confronto che vorrei fare è quello tra Paula Scher con Doug McCune, un data artist di Portland. I loro lavori possono considerarsi per certi versi simili soprattutto per quanto riguarda il “Modus Operandi” cioè mi spiego meglio: tutti e due partono da una mappa e da un insieme di dati. Per la Scher disegnare mappe vuol dire estraniarsi da un mondo che non le permette di esprimere a pieno la sua creatività: è un momento ludico e di evasione da lavori più impegnativi che le vengono commissionati.
    Nelle mappe grafiche la Scher sceglie di enfatizzare la natura di ogni territorio nella sua dinamicità.
    McCune, attraverso la ricerca dei dati e la creazione di mappe, esplora il mondo che lo circonda. Egli sperimenta molto con la stampa 3D, il taglio laser, realizza stampi e fusione di metalli per portare forme digitali nello spazio fisico. Si definisce programmatore di professione, un cartografo amatoriale e un grande sostenitore dell’uso dei dati per capire il mondo. Per comprendere le mappe di Paula Scher devi andare a leggere le singole parole che compongono l’immagine (es. “U.S. Area Codes and Time Zones, 2014”).
    Mentre le rappresentazioni di McCune sono più astratte e hanno bisogno di una spiegazione a priori che fornisca la chiave di lettura per ciò che si vede. Di grande effetto è la rappresentazione dei crimini di San Francisco come montagne (“If San Francisco Crime were Elevation”)

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   29 Novembre 2023 at 10:44

      Faccio un inchino al tuo intervento, anzi due…Colto, preciso, ben scritto. Ti ringrazio per avermi ricordato McCune che prima o poi vorrei studiare con attenzione. Mi prendo il piacere di polemizzare: non è affatto simile alla Scher …Lui usa dati per conoscere (o per aiutarci a conoscere meglio qualcosa); lei non cartografa dati, pone parole al posto di territori per farceli sognare.

      Rispondi
  131. Lisa LABA   1 Dicembre 2023 at 16:31

    La Scher offre un’estetica analitica molto interessante del design e della tipografia, soprattutto se in relazione al contesto storico e artistico del 900’ (facile la contrapposizione tra movimenti come il Modernismo o il precoce Futurismo) e mi trova particolarmente d’accordo con la sua visione di espressione soggettiva, specie con la frase riportata nell’articolo “Words have meaning and Tipography has feeling. When put together it’s spectacular combination”. Tuttavia per rispondere alle domande poste sul cieco disordine dei suoi lavori credo che il rischio subentri nel momento in cui si abbandona completamente la gabbia d’impaginazione della superficie grafica: Scher puntava alla forza delle parole e la esprimeva creando vortici e scontri di corpi tipografici tutti ben definiti all’interno del proprio spazio creando sì l’illusione di confusione ma anche una schema preciso e dinamico. A prova di ciò basta dividere in sezioni i vari testi e scoprire come la rigidità alla funzionalità delle regole del Bauhaus possano adattarsi in espressione di chi la usa. Difficile però per me l’interpretazione di “anti=boredom”, mantra della designer, in quanto mi sembra un accostamento tra rivoluzione e noia anche se probabilmente l’intento è quello di svegliare lo spettatore dalla sonnolenza di fronte all’ennesima opera grafica imparziale.

    Ammetto che la connessione sulla dimensione grafica con Sagmeister mi sia completamente sfuggita nonostante sia essenziale al fine dello studio stilistico, tuttavia l’impatto di questi due grafici è ben diverso: se la prima crea curiosità e la volontà di decifrare un progetto, il secondo offre una provocazione ben più diretta ed incisiva sfruttando la parola e l’immagine, ma in modo anche molto inaspettato come succede nella fotografia Fresh Dialogue dove la visione di due lingue di mucca all’interno di un dialogo tipografico assume una forma curiosa e offre una serie di interpretazione varie per lo spettatore originariamente non previste dall’autore. Nasce così la critica spontanea dell’osservatore, una volta colto il doppio senso, che già da sé evidenzia i punti marci della società anche oltre il pensiero e immaginazione del creatore dell’opera.

    Per quanto riguarda il terzo artista preso in esame, Brody, paragonato a Sagmeister per la tendenza provocatoria dei connubi immagini e tipografia, ho deciso di porlo in mezzo ai due artisti sopracitati in quanto spazia costantemente nell’arco della sua carriera sulla superficie grafica. Guardando il suoi lavori per la rivista The Face è chiaro come emerga un tentativo di suscitare nelle persone un pensiero piuttosto che indottrinarli ad una mente comune, prediligendo pose atipiche e punk per sottolineare la volontà di uscire dagli schemi. Incuriosita dal personaggio mi sono imbattuta nel poster completamente tipografico Free Me From Freedom dove tutto sembra essere sbagliato: la scelta per la bandiera a destra evidenzia con stranezza i pieni e vuoti delle parole; i colori sono composti da palette inusuali con dei marroncini e dei verdini; le lettere sono suddivise in mattoncini spesso irregolari. Questa mancanza di “pulizia” mi ricorda un grafico contemporaneo italiano, Sonnoli appunto, in cui è subito lampante il percorso progettuale congruo alle esigenze grafiche: caratteri con forme regolari e coerenti tra loro; colori particolari ma ridotti e la scelta di uno spazio armonioso e appagante all’occhio.

    Il graphic designer è un lavoro in costante evoluzione e strettamente legato al contesto perciò è curioso vedere come pochi anni fa l’esigenza di espressione e rivoluzione sia stata più forte dell’esigenza comunicativa di pulizia estetica.

    Rispondi
  132. Alice LABA   2 Dicembre 2023 at 10:49

    Il design grafico, attraverso figure come Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister, ha costantemente sfidato le convenzioni estetiche e razionali. Mentre Scher ha introdotto elementi non convenzionali e sperimentato con diversi stili, Brody ha adottato un approccio post-punk provocatorio, e Sagmeister ha abbracciato una prospettiva anti-stile, focalizzandosi su idee creative contestualizzate. Queste deviazioni dalle norme tradizionali secondo me dimostrano che il design può essere efficace al di là delle regole convenzionali.

    Approfondendo ulteriormente, ho esaminato le differenze tra la grafica svizzera di Josef Müller-Brockmann, nota per le sue regole rigorose, e il lavoro eclettico di Paola Scher.

    Paola Scher e Josef Müller-Brockmann, figure di spicco nel design grafico, incarnano approcci distinti riflettendo le influenze delle rispettive epoche e correnti stilistiche.

    Scher, con uno stile eclettico e sperimentale, si colloca nella tradizione post-moderna degli anni ’80 e ’90. La sua prospettiva sfida le convenzioni, abbracciando la diversità e la sperimentazione. Incorpora elementi artistici e concettuali, utilizzando colori audaci, tipografie varie e forme innovative. La sua estetica richiama un’atmosfera post-moderna, ricca di significati emotivi e concettuali. Scher ha trovato espressione creativa nell’industria musicale e culturale, contribuendo a progetti oltre i confini convenzionali del design.

    Müller-Brockmann, icona del modernismo svizzero, segue un approccio razionale e funzionale. Radicato nel razionalismo e nella semplificazione formale, il suo lavoro riflette influenze della Bauhaus e delle avanguardie del Novecento. La tipografia senza grazie e l’uso di griglie sono sue caratteristiche distintive. Concentrandosi sulla comunicazione chiara ed efficace, Müller-Brockmann privilegia la forma che segue la funzione. Il suo impatto è evidente in progetti legati alla pubblicità e al design aziendale, dove la chiarezza visiva dovrebbe essere cruciale.

    Se da un lato Scher rappresenta sperimentazione e rottura delle convenzioni, Müller-Brockmann incarna precisione e chiarezza del modernismo svizzero. Entrambi trovano un equilibrio tra creatività ed efficienza. Scher contribuisce all’intrattenimento con innovazione ed emozione, mentre Müller-Brockmann sottolinea l’importanza della comunicazione diretta e senza fronzoli nel design. Insieme, le loro visioni contribuiscono a definire il panorama diversificato e in continua evoluzione del design grafico contemporaneo.

    Rispondi
  133. Lisa LABA   2 Dicembre 2023 at 21:58

    La Scher offre un’ estetica analitica molto interessante del design e della tipografia, sopratutto se in relazione al contesto storico e artistico del 900’ (facile la contrapposizione tra movimenti come il Modernismo o il precoce Futurismo) e mi trova particolarmente d’accordo con la sua visione di espressione soggettiva, specie con la frase riportata nell’articolo “Words have meaning and Tipography has feeling. When put together it’s spectacular combination”. Tuttavia per rispondere alle domande poste sul cieco disordine dei suoi lavori credo che il rischio subentri nel momento in cui si abbandona completamente la gabbia d’impaginazione della superficie grafica: Scher puntava alla forza delle parole e la esprimeva creando vortici e scontri di corpi tipografici tutti ben definiti all’interno del proprio spazio creando sì l’illusione di confusione ma anche una schema preciso e dinamico. A prova di ciò basta dividere in sezioni i vari testi e scoprire come la rigidità alla funzionalità delle regole del Bauhaus possano adattarsi in espressione di chi la usa. Difficile però per me l’interpretazione di “anti=boredom”, mantra della designer, in quanto mi sembra un accostamento tra rivoluzione e noia anche se probabilmente l’intento è quello di svegliare lo spettatore dalla sonnolenza di fronte all’ennesima opera grafica imparziale.

    Ammetto che la connessione sulla dimensione grafica con Sagmeister mi sia completamente sfuggita nonostante sia essenziale al fine dello studio stilistico, tuttavia l’impatto di questi due grafici è ben diverso: se la prima crea curiosità e la volontà di decifrare un progetto, il secondo offre una provocazione ben più diretta ed incisiva sfruttando la parola e l’immagine, ma in modo anche molto inaspettato come succede nella fotografia Fresh Dialogue dove la visione di due lingue di mucca all’interno di un dialogo tipografico assume una forma curiosa e offre una serie di interpretazione varie per lo spettatore originariamente non previste dall’autore. Nasce così la critica spontanea dell’osservatore, una volta colto il doppio senso, che già da sé evidenzia i punti marci della società anche oltre il pensiero e immaginazione del creatore dell’opera.

    Per quanto riguarda il terzo artista preso in esame, Brody, paragonato a Sagmeister per la tendenza provocatoria dei connubi immagini e tipografia, ho deciso di porlo in mezzo ai due artisti sopracitati in quanto spazia costantemente nell’arco della sua carriera sulla superficie grafica. Guardando il suoi lavori per la rivista The Face è chiaro come emerga un tentativo di suscitare nelle persone un pensiero piuttosto che indottrinarli ad una mente comune, prediligendo pose atipiche e punk per sottolineare la volontà di uscire dagli schemi. Incuriosita dal personaggio mi sono imbattuta nel poster completamente tipografico Free Me From Freedom dove tutto sembra essere sbagliato: la scelta per la bandiera a destra evidenzia con stranezza i pieni e vuoti delle parole; i colori sono composti da palette inusuali con dei marroncini e dei verdini; le lettere sono suddivise in mattoncini spesso irregolari. Questa mancanza di “pulizia” mi ricorda un grafico contemporaneo italiano, Sonnoli appunto, in cui è subito lampante il percorso progettuale congruo all’esigenze grafiche: caratteri con forme regolari e coerenti tra loro; colori particolari ma ridotti e la scelta di uno spazio armonioso e appagante all’occhio.

    Il graphic designer è un lavoro in costante evoluzione e strettamente legato al contesto perciò è curioso vedere come pochi anni fa l’esigenza di espressione e rivoluzione sia stata più forte dell’esigenza comunicativa di pulizia estetica.

    Rispondi
  134. Tommaso LABA   4 Dicembre 2023 at 01:31

    Il Graphic Designer punta alla ricerca di mezzi e elementi espressivi in grado di colpire le mete ricettive di un osservatore, col semplice obiettivo di comunicare ma anche di emozionare, se non è intendibike anche quest’ultima come una forma stessa di comunicazione, visto che è necessario che l’osservatore si emozioni, perché sia necessario che egli tragga fuori qualche conclusione da quel che vede o che più comunemente gli rimanga impressa una determinata immagine.
    Con questo si può affermare che la grafica sia una forma d’arte in tutto per tutto, è che il grafico sia un vero e propfio artista.
    E non è nuovo che nell’ arte ci sia una necessità spesso di stravolgere le regole e
    di creare nuovi elementi e tattiche per emozionare, e questo articolo spiega benissimo quest’ultimo concetto, illustrando quello che è l’ operato di questi grafici. Partendo da Paola Scher, essa cerca di sviluppare uno stile soggettivo che si distaccasse dal modernismo, facendo delle sue opere un qualcosa di auto-espressivo. Nell’ articolo vengono anche presentati anche Neville Brody e Stefan Segmeister, entrambi con uno stile abbastanza estremo, il primo che si avvicina di più al punk, mentre il secondo cerca soggetti ed elementi che rimangano impressi e che colpiscono l’ osservatore bruscamente, disinteressandosi degli standard attribuiti precedentemente al graphic design. Per concludere quindi i lavori di questi artisti sono a tutti gli effetti arte, in quando cercano il lato emotivo di chi osserva, con l’intento di condividere e rendere parte di ciò che è raffigurato.

    Rispondi
  135. Giulia T. LABA   4 Dicembre 2023 at 11:57

    Osservando i tre grafici contemporanei citati nell’articolo, possiamo notare una serie di approcci distinti e audaci nel mondo del Graphic Design. Il primo grafico si distingue per la sua sperimentazione cromatica e l’uso coraggioso di forme astratte, suggerendo una narrativa visiva avventurosa e dinamica. A confronto, il secondo grafico si immerge nella chiara comunicazione attraverso l’uso di simboli e icone, trasmettendo messaggi complessi in modo immediato ed efficace. La forza espressiva di questo lavoro risiede nella sua capacità di tradurre concetti complessi in un linguaggio visivo universale. Il terzo grafico, con il suo minimalismo sofisticato, sottolinea la bellezza nella semplicità e si avvicina a una forma di comunicazione visiva che si basa sulla riduzione agli elementi essenziali. Ora, dirigiamo il nostro sguardo a Milton Glaser, una figura iconica nel Graphic Design. Glaser è noto per la sua abilità unica di sintetizzare complessità in immagini iconiche e memorabili. Il suo stile spazia da illustrazioni vivaci e colorate a design più astratti e concettuali, rivelando una versatilità sorprendente. Mentre i tre grafici contemporanei possono essere visti come esploratori dell’innovazione e della comunicazione diretta, Glaser si distingue per la sua capacità di comunicare messaggi profondi attraverso l’uso di simboli e forme, combinando chiarezza e immediatezza con una profondità concettuale. In sintesi, i tre grafici contemporanei offrono una visione del Graphic Design in continua evoluzione, ognuno con il suo approccio distintivo. Il confronto con Milton Glaser mette in luce la diversità e la ricchezza del mondo del design visivo, dimostrando come quest’arte sia una forma in costante espansione e reinterpretazione.

    Rispondi
  136. Giada Vitiello LABA   4 Dicembre 2023 at 15:23

    Questo articolo mi ha dato modo di riflettere più approfonditamente sulla figura del GD, alla quale sto approdando io stessa.
    L’analisi dei tre rinomati graphic designer, Paula Scher, Stefan Sagmeister e Neville Brody, rivela un filo conduttore comune di innovazione e sperimentazione nel campo del design e della comunicazione visiva. Questi creativi sembrano condividere una passione per sfidare le convenzioni e abbracciare nuove idee, tecniche e stili.
    Navill Brody ad esempio, come menzionato nell’articolo, rappresenta una figura ai miei occhi curiosa che incarna l’idea di trasformare gli spazi urbani grigi in opere d’arte viventi. La sua filosofia che vede l’arte come strumento per connettersi con le persone e stimolare la riflessione è particolarmente interessante. L’idea di portare l’arte fuori dai tradizionali spazi museali e renderla parte integrante della vita quotidiana delle persone è un modo potente di democratizzare l’arte e rendere accessibile la cultura a tutti.
    Tuttavia, mi chiedo quanto sia realistica questa visione in contesti urbani più ampi e quanto possa avere un impatto a lungo termine. Mentre la prima impressione è potente, è essenziale considerare la durata dell’impatto che queste opere possono avere sulla mentalità delle persone nel tempo. Inoltre, affrontare la trasformazione di spazi urbani richiede spesso coordinamento tra diverse autorità, e il successo dipende anche dalla disponibilità di risorse e dalla volontà politica. Va quindi oltre la singola iniziativa artistica e coinvolge questioni più ampie di pianificazione urbana e governance.
    Paola Scher emerge nell’articolo come una figura dal talento straordinario nel campo del design e della comunicazione visiva. Il suo approccio di unire l’arte e la funzionalità nelle sue opere è degno di nota e dimostra una grande comprensione dell’importanza della progettazione visiva nell’era contemporanea.
    L’idea di “distillare l’essenza” attraverso il design è affascinante e riflette un desiderio di comunicare in modo chiaro ed efficace. La sua capacità di catturare concetti complessi in immagini e colori è un tratto distintivo che va oltre la mera estetica, trasformando il design in un veicolo per trasmettere messaggi e idee in modo potente.
    Potrebbe però essere interessante esplorare come il suo approccio si adatta o sfida le tendenze più ampie nel mondo del design contemporaneo. La sua estetica unica e la volontà di spingersi oltre i confini tradizionali sono certamente lodevoli, ma come si colloca nel contesto più ampio del design moderno? Questo potrebbe essere un punto di riflessione per comprendere meglio l’impatto e l’importanza del suo lavoro nel panorama attuale.
    Stefan Sagmeister, si distingue invece per il suo approccio unico e sperimentale al design grafico. La sua filosofia “Design and Happiness” non solo cattura l’attenzione, ma apre una discussione stimolante sulla relazione tra design e benessere emotivo. L’idea di integrare concetti filosofici, come la ricerca della felicità, nel tessuto del design stesso è interessante.
    Un elemento distintivo del suo lavoro è l’approccio interattivo. Sagmeister non solo crea opere visive, ma incoraggia anche una partecipazione attiva da parte degli osservatori. Questo approccio dinamico può generare a mio parere una connessione più profonda tra l’opera e il pubblico, trasformando il design in un’esperienza coinvolgente e significativa.
    In conclusione, Stefan Sagmeister emerge come un pensatore e un creativo avanguardista nel campo del design grafico, sfidando le convenzioni e ispirando una riflessione più profonda sulla relazione tra design, felicità e interazione umana.

    Rispondi
    • mary   5 Dicembre 2023 at 14:46

      Credo che Giada abbia dato un contributo interessante, soprattutto quando sottolinea la ricerca di felicità nel design. Argomento importante che mi ha permesso di vedere Sagmeister in una prospettiva diversa dalla teoria del post design del professore.

      Rispondi
  137. Rebecca Bergonzini Laba   17 Dicembre 2023 at 15:37

    Questo articolo parla del Graphic Design, concentrandosi su tre famosi Graphic Designers: Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister. Cerca di esplorare il modo in cui questi designer hanno affrontato il concetto di comunicazione visiva, allontanandosi dalle regole convenzionali e sperimentando con nuovi approcci.
    L’articolo inizia spiegando che il Graphic Design si occupa di creare testi visivi per comunicare messaggi significativi. Sostiene che il problema principale del Graphic Design non è solo risolvere i problemi di comunicazione, ma anche creare dispositivi visivi efficaci a livello percettivo-comunicativo. Viene suggerito quindi che concentrarsi sull’efficacia percettiva può portare a risultati più performanti, nonostante comporti il rischio di sfidare le regole tradizionali della comunicazione. Dopo di che viene presentata Paola Scher come un esempio di designer che ha sfidato le convenzioni del Modernismo, optando per soluzioni più energetiche e caratteri tipografici espressivi. Scher è associata al post-modernismo nel Graphic Design, poiché ha trasformato il messaggio o il problema in qualcosa di percettivamente pregnante, spesso a costo della chiarezza iniziale.
    Si passa poi a Neville Brody, che rappresenta il Graphic Design estremo, influenzato dalla cultura post-punk. Brody utilizza manifesti provocatori e dissacratori, sfidando le aspettative della grafica convenzionale e cercando di coinvolgere le persone anziché dettare cosa pensare. Infine, viene introdotto Stefan Sagmeister, associato al “post-design”, che ha una propensione per la provocazione e uno stile grafico riconoscibile. Sagmeister sostiene che lo stile personale nel Graphic Design non ha molto valore, preferendo concentrarsi su idee creative nate in stretta correlazione con il problema da affrontare.
    In sintesi, l’articolo esplora come questi designer abbiano sfidato le regole convenzionali del Graphic Design, privilegiando l’efficacia percettiva, l’espressività e la creatività come elementi chiave nel processo creativo.

    Rispondi
  138. Mila LABA   20 Dicembre 2023 at 10:51

    Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister sono tre graphic Designer accomunati dalla loro tendenza a rompere schemi e regole di movimenti culturali preesistenti. Ed è proprio grazie a questa rottura che si sono fatti spazio tra altri e hanno fatto emergere il proprio lavoro.
    Paola Scher, grazie alla sua abilità grafica nella progettazione tipografica, ha creato composizioni considerate, per l’idea grafica di quel tempo guidata dal minimalismo e dall’organizzazione, disordinate e senza un focus sul messaggio. In realtà le sue espressività e capacità comunicativa la rese una delle maggiori esponenti della grafica post-modernista. In contrapposizione all’opera di Paola Scher si possono citare i lavori di Paul Rand, graphic designer americano che fu il maggior esponente del minimalismo Svizzero e più grande difensore dell’atemporalità dello stile modernista. Grafiche basate sul rigore geometrico, sulla funzionalità della comunicazione, su regole estetiche ben precise, che non lasciano spazio ad astrazione, trasformazione, dilatazione di forme regolari in funzione dell’espressività. Questa sua dedizione al rigore e alla funzionalità lo fece diventare uno dei principali disegnatori di identità aziendali, tra cui di un’azienda molto nota di cui realizzò il marchio, l’IBM.
    Il secondo designer analizzato nell’articolo è Neville Broody, grafico londinese, che ebbe un importante impatto nella cultura grafica del post-punk. Il periodo della sua formazione coincide proprio con l’avvento del punk, una tendenza che si ripercuote nella sua attitudine: infatti i principi fondamentali della sua arte sono il superamento della regola codificata e la rivendicazione di un pensiero libero da ogni schema. I suoi punti di forza sono la sua capacità visionaria e il suo pensiero creativo e fuori dagli schemi che espresse nei suoi lavori, rendendoli unici e rivoluzionari. Il suo approccio alla creazione è prevalentemente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione che sfociano in una serie di idee creative tutte valide a modo proprio; lui stesso nelle interviste dichiara di dare ai clienti più idee di quelle da loro richieste.
    L’ultimo Graphic Designer analizzato è Stefan Sagmeister, uno dei tipografie e graphic Designer più influenti grazie alla sua grafica provocatoria. La sua missione è quella di “toccare il cuore delle persone e migliorare le loro vite” tramite il design. Il suo utilizzo dei colori primari, le sue composizioni geometriche e illusioni ottiche guidano il fruitore alla scoperta dei progressi fatti dall’umanità durante gli anni. Infatti, anche da quello che si evince dalle sue interviste, la sua una visione del futuro e il suo approccio alla vita sono radicalmente ottimisti. Lui nella vita, come nella grafica, cerca sempre di cogliere il positivo per non farsi abbattere dagli eventi che inevitabilmente fanno parte della propria esistenza: la sua è guidata dalla bellezza, dall’ordine e dallo stile. La dimensione provocatoria è molto presente nelle sue opere, e la utilizza per trasportare i fruitori nelle sue opere e per trasmettergli il proprio approccio ottimista alla vita.

    Rispondi
  139. Nicola LABA   5 Gennaio 2024 at 04:44

    L’evoluzione del design grafico nel corso del tempo è affascinante, soprattutto quando si considera il contributo di pilastri come Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister. Questi designer contemporanei hanno davvero cambiato il modo in cui concepiamo il design visivo, portando nuove prospettive e stili audaci alla disciplina. Mi viene un déjà-vu a ripetere queste parole in quanto questo avvenimento, in cui nello specifico si ha una sorta di rivolta o rigetto per per la tendenza dei tempi correnti, dove si passa da una grafica che contemplava la chiarezza del messaggio senza alcun disturbo, al totale sovraccarico di informazioni. Infatti se spostiamo l’attenzione agli anni ’60, troviamo figure altrettanto rivoluzionarie come Martin Sharp e Richard Neville, pionieri del “Oz Magazine”. Nel periodo in cui il movimento contro-culturale stava guadagnando slancio, Sharp e Neville sfidarono le convenzioni sociali attraverso un design psichedelico. Sebbene le epoche siano diverse, esaminare l’eredità di designer come Paola Scher, Neville Brody e Stefan Sagmeister alla luce del contributo di figure come Martin Sharp e Richard Neville offre una visione completa dell’evoluzione dinamica del design grafico. Le diverse epoche si intrecciano attraverso la ribellione, la sperimentazione e la ricerca costante di espressione creativa.

    Rispondi
  140. Diana Laba   20 Gennaio 2024 at 12:35

    Leggendo il testo, emerge chiaramente il percorso di sviluppo della figura del graphic designer come professionista. Il graphic designer è responsabile della creazione di design visivi accattivanti per diverse finalità, tra cui comunicazione, identità del marchio, pubblicità e marketing. La sua funzione richiede una combinazione di creatività, competenze tecniche, abilità comunicative e una comprensione delle esigenze del pubblico.
    L’obiettivo del graphic designer non è semplicemente quello di vendere, ma di creare un impatto emotivo sull’osservatore al fine di instaurare una comunicazione efficace, suscitare emozioni, stimolare la curiosità e creare una connessione emotiva. Questo viene ottenuto attraverso l’uso strategico di colori, forme, immagini, tipografia e layout che evocano sensazioni, creano atmosfere e trasmettono messaggi profondi.
    Tra i graphic designer più innovativi emerge Paola Scher, la cui approccio multidisciplinare integra design grafico, tipografia, arte e architettura, sfidando le convenzioni del design tradizionale. Scher enfatizza l’importanza dell’apprendimento pratico nel campo del design, incoraggiando i giovani designer a non limitarsi alla teoria, ma ad immergersi nella realtà del settore.
    Concordo con l’idea di Paola Scher che considera l’atto grafico come un gesto creativo di auto-espressione. Il design grafico offre una piattaforma per esprimere la propria creatività e comunicare idee, emozioni e concetti attraverso elementi visivi. La capacità di comunicare attraverso il proprio lavoro permette di creare un’identità unica e di connettersi in modo significativo con il pubblico.
    Anche la citazione di Stepan Sagmeister sulla necessità che la grafica tocchi il cuore di qualcuno riflette l’importanza di generare una risposta emotiva nel pubblico. Quando il design grafico trasmette un messaggio in modo potente ed empatico, può suscitare una gamma di emozioni che influenzano la percezione del messaggio, rendendo il design più memorabile ed efficace.

    Rispondi
  141. MariaLABA   27 Gennaio 2024 at 15:50

    Il graphic designer oggi è colui che si occupa di gestire la progettazione grafica di una campagna pubblicitaria; di realizzare prodotti visivi per la stampa (ad esempio biglietti da visita e brochure) o per la diffusione digitale (siti web e canali social). Il grafico si occupa di realizzare il materiale grafico necessario a diffondere il brand (marchio) o un determinato messaggio pubblicitario in altre parole ha il compito di tradurre in immagini il messaggio che si vuole comunicare.
    Deve riuscire ad ottenere un elaborato gradevole da vedere, che catturi l’attenzione di chi guarda in modo semplice ed immediato, per arrivare ad avere un risultato finale veramente funzionale. Nell’articolo si parla di tre grafici che hanno rivoluzionato questo settore. Paola Scher è una delle graphic designer più influenti del mondo e si trova a cavallo tra la cultura pop e le belle arti. Le sue grafiche sono iconiche , intelligenti e accessibili. L’icona del design, Stefan Segmeister è uno dei più importanti grafici contemporanei. Conosciuto soprattutto per le sue copertine di dischi, i suoi manifesti e per le sue prese di posizione provocatorie. Infine Neville Brody, designer, direttore artistico e disegnatore di caratteri tipografici britannico.
    Per concludere, ciò che lega i tre graphic designer citati nell’articolo credo sia il loro modo non convenzionale di comunicare un determinato messaggio. L’obiettivo non è solo la vendita di un prodotto ma di creare una connessione con il fruitore attraverso un atteggiamento provocatorio. Questo permette al messaggio di rimanere impresso nella mente dello spettatore.

    Rispondi
  142. Sofia LABA   20 Febbraio 2024 at 11:48

    Viene esplorato il concetto di comunicazione grafica olistica, in cui l’efficacia del messaggio dipende dalla percezione e dalla configurazione grafica. Privilegiare il contatto percettivo può portare a una maggiore efficacia, anche se può risultare inizialmente incomprensibile. Un esempio di questo approccio è Paola Scher, un’importante graphic designer nel settore.
    Paola Scher ha avuto un impatto significativo nella sua generazione. La sua prospettiva non convenzionale sull’uso dei caratteri tipografici e la sua innovativa disposizione degli elementi visivi hanno attirato l’attenzione nel mondo del design. Negli anni settanta e ottanta, la maggior parte dei professionisti del settore privilegiava la chiarezza del messaggio, utilizzando caratteri leggeri e poco invasivi come l’Helvetica. Il modernismo dominava il campo del design, con la sua enfasi sulla simmetria, l’ordine e la funzionalità. La concezione comune era che il miglior grafico fosse uno che non si facesse sentire, in modo da non interferire con il messaggio. Tuttavia, Paola Scher non era d’accordo, infatti per lei, le parole nell’ambito grafico possono essere evidenziate e promosse attraverso l’intervento creativo del designer. I suoi manifesti, presentati in sequenza, si distinguono per il modo in cui combina elementi visivi e caratteri tipografici in modo innovativo e non convenzionale, creando composizioni visive più energiche e espressive.
    Un altro grande graphic designer è l’austriaco Stepan Sagmeister, considerato una figura di spicco nel design contemporaneo. Come Scher, Sagmeister si distingue per la sua provocazione e il suo shock grafico al servizio di messaggi diretti ed emotivamente scuotenti. Sagmeister crede che lo stile sia una prigione per la creatività e preferisce concentrarsi sull’idea creativa e sulla performance che si lega strettamente all’oggetto del design.
    In conclusione, i designer come Paola Scher e Stepan Sagmeister nel campo della comunicazione grafica olistica, sono riusciti a creare messaggi efficaci che coinvolgono emotivamente il pubblico, attraverso approcci non convenzionali e innovativi.
    In conclusione, penso che i designer dovrebbero creare messaggi efficaci ed emotivamente coinvolgenti grazie ai diversi stili di realizzazione, altrimenti non ci sarebbero più elementi che colpirebbero la nostra attenzione se fosse tutto simile, quindi non ci si differenzierebbe nemmeno nel campo della vendita, ad esempio.

    Rispondi

Leave a Reply

Your email address will not be published.