Poliform & Paolo Roversi

Poliform & Paolo Roversi

Tutto il design, anche quello più serioso e prudente sta sempre più emulando le strategie d’immagine e comunicazione della moda. Breve analisi di un modello di collaborazione.

Premessa

Tra moda e design lo scambio di prestazioni, in forme eterogenee, sembrerebbe oggi scontato. In realtà, nel passato, i rapporti tra i grandi interpreti del design e i creatori di abiti non sono mai stati particolarmente affettuosi. A parte le collaborazioni necessarie per gli interni dei punti vendita, penso per esempio alla fruttuosa stima reciproca che univa il grande Fiorucci a Ettore Sottsass, la visione dell’oggetto che avevano i designer di mobili o i progettisti grafici faceva attriti con quella dei pseudo colleghi stilisti.   Alessandro Mendini (1932- 2019), a suo tempo, quando assunse la direzione di Casabella (1970-76) e poi di Domus (1979-84), si prodigò per avvicinare questi due mondi. Ma molti designer di arredi, Graphic designer e architetti d’interni continuarono a considerare la Moda troppo effimera per poter essere una seria interlocutrice. Lavoravano spesso per aziende dell’abbigliamento senza crederci troppo.

La situazione cambiò quando al posto del generico concetto di “moda” fece la sua comparsa l’idea che fosse “lo stile di vita” a fungere da catalizzatore delle responsabilità estetiche di tutti i designer. Non sto sostenendo che all’improvviso i creativi si siano precipitati a leggere Thorstein Veblen, Max Weber o lo psicologo Alfred Adler. Ma l’idea che ogni individuo faccia innanzitutto esperienza del modo in cui recita se stesso, all’interno di una rete di relazioni contestualizzate, è divenuta in fretta una linea di confine in base alla quale misurare l’efficacia estetica di ogni oggetto prodotto nella nostra forma di vita. Un certo stile di vita può essere etichettato come si vuole, ma nel suo fondo rimane sempre una avventura creativa che rimanda ad esperienze, percezioni, emozioni di individui reali. Avere Stile, comunque lo definiamo, significa parteggiare per un’etica della bellezza legata a un certo ordine, significa animare un’idea di giustezza condivisa con il mainstream, con la propria tribù, il proprio gruppo …Significa inoltre una reazione verso i limiti della funzionabilità estrema o pura (che sterilizza gli oggetti da ogni emozione umana).  Con la pluralità degli stili di vita come punto di riferimento, hanno potuto strutturarsi “zone libere” da vangeli estetici prestabiliti, nelle quali creativi di diversi settori potevano collaborare per sviluppare idee disancorate dalle norme funzionali, razionali se volete, concepite per stabilizzare il senso dell’oggetto nel semplice uso.

Devo però aggiungere che, se pur molti stilisti famosi hanno fatto oggetto del proprio interesse il “design allargato”  con risultati notevoli, risulta più difficile trovare esempi di grandi designer specializzati nell’arredamento o dei Graphic designer capaci di creare elementi d’abbigliamento in grado di oltrepassare la soglia che introduce alla notorietà.  Per esempio: Giorgio Armani disegna personalmente da anni una collezione di mobili di notevole impatto percettivo/visivo (voglio dire che, guardandoli, sento una coerenza di fondo con il suo Grande Stile così come si è depositato nella cultura estetica del nostro tempo). Anche Gianni Versace, a suo modo, fu un pioniere dello scambio di prestazioni tra industria degli interni di lusso e moda. Ricordo che, le sue ceramiche divennero subito un complemento d’arredo di valenza internazionale.

Come dicevo sopra mi riesce difficile citare un esempio opposto cioè chi dal design tradizionale ha fatto colpi creativi di successo nel campo della moda. Una delle rare eccezioni che ricordo fu Moschino: da grafico pubblicitario di grande talento seppe trasformarsi in fashion designer di travolgente successo.

Comunque oggi, in un modo o nell’altro, tra chi si occupa di arredamento e chi crea abiti, esistono certamente affinità di campo, solide almeno quanto rilevanti risultano le differenze.

Ma forse in questo inizio del terzo millennio, il citato riferimento al punto di svolta che ho correlato alla diffusione del concetto di “stile di vita”, necessita di un rinforzo, di una revisione. Se distinguiamo la moda come creazione di forme oppure di oggetti, dal processo che li fa discendere negli ambienti percettivi umani, processo che definisco “modazione”, risulta più chiaro come interpretare lo “scambio di prestazioni” dal quale sono partito. Mi spiego meglio. Immaginando che un mercato grande come il pianeta implichi un interesse estremo di chiunque sia immune a rischiosi romanticismi, soggetto o azienda non importa, implichi dicevo una attenzione al processo che trasforma un oggetto in qualcosa che intreccia notorietà, novità, metriche degli stili di vita, ricerca del successo commerciale, con una dedizione forse superiore a quella dedicata alla sua configurazione materiale, allora se è vero che l’oggetto deve trasformarsi in evento, in immagini, in storie, riesce facile capire perché da tempo l’industria degli arredi tende a seguire le tracce o i sentieri della modazione esplorati dalle grandi marche della moda.

Se osserviamo Il design che sta facendo la differenza, difficilmente lo troviamo arroccato dietro forme-funzioni. Il design che fa la differenza trasuda di idee, punta a suscitare emozioni, diventa fin dalla fase progettuale un catalizzatore di narrazioni. Il campo di forze (visive, emozionali, semantiche) che orchestra sembrano configurate per sintonizzarsi con il processo che ho definito “modazione”.  La sorpresa, l’allontanamento dalla norma, le rotture dei codici deboli della post modernità, non sono solo più informative e più potenti nel comunicare qualcosa; in realtà esse non vengono più vissute come anomalie creative bensì come effetti desiderabili e pregnanti del dispositivo estetizzante che governa il sistema di oggetti necessari alla riproduzione della nostra forma di vita così com’è ora.

In parole forse più semplici, il ragionamento acrobatico che vi ho presentato, possiamo sintetizzarlo e semplificarlo così: i dispositivi della moda, soprattutto le marche affermate e i lori creativi più radicali, stanno fungendo da modello di riferimento per tutti i settori del design. Eventi, informazioni/narrazioni, emozioni, correlate agli oggetti, agiscono sulle disposizioni della gente generando effetti retroattivi in contesto progettuale.  Non sto facendo riferimento ad una astratta logica evenemenziale o spettacolare, oppure a una generica idea di creatività diffusa, ma al come queste parole/concetto prendono parte al processo, compenetrandosi e spesso cambiando le disposizioni del consumatore fin dalle prime interazioni con l’oggetto (per esempio, riuscendo a dare valore alla percezione di una immagine virtuale, pensare all’e-commerce, come se i suoi colori, dimensioni, superfici fossero pregnanti quanto le percezioni reali).

foto n.1

Poliform & Paolo Roversi

Uno degli esempio a noi più vicini dal punto di vista temporale, relativo a ciò che sopra ho sintetizzato con l’espressione “scambio di prestazioni”, è rappresentato dalla recente collaborazione tra Poliform (azienda da 700 dipendenti, presente in 85 paesi con 750 rivenditori mono brand) e Paolo Roversi. Per celebrare i suoi primi 50 anni di attività l’azienda ha scelto di collaborare con uno dei più apprezzati fotografi di moda attualmente in circolazione, affidandogli la realizzazione di un testo al quale va stretta l’etichetta di “libro celebrativo”. Il libro si intitola Time, Light, Space (ed. Rizzoli), e presenta il racconto per immagini della storia dell’azienda vista dalla prospettiva dei prodotti realizzati.

Naturalmente, al famoso image maker della moda è stata conferita una totale libertà espressiva/interpretativa e, non credo di esagerare, se aggiungo che il risultato è fuori dall’ordinario.

Come gran parte dei giudizi estetici del nostro tempo oramai così lontano da stabili canoni estetici condivisi, soprattutto quando il contesto delle “opere” ha pareti di comunanza con la comunicazione pubblicitaria, il mio giudizio sconfina sfacciatamente nell’arbitrarietà, nel soggettivismo, nelle mie personali preferenze. Me ne rendo conto e perciò vorrei motivarlo. Comincio con l’osservare che raramente si riscontrano sulle riviste specializzate e non, atti creativi  che trasducono in immagini oggetti del design d’arredamento, capaci di farci percepire le  sfumature emozionali che Roversi fa emergere.

Per quanto mi riguarda, gran parte delle immagini standard usate dalle marche che producono e commercializzano mobili sono Still Life oppure foto di interni opportunamente arredati. La qualità delle immagini non si discute, il ritratto fatto agli oggetti è quasi sempre esemplare, così come lo sono le foto di ambientazione e/o contestualizzazione dell’oggetto da promuovere. Sfogliare una rivista di design a larga diffusione può essere percettivamente sconcertante: dopo una decina di pagine tutta la perfezione evocata sopra produce l’evaporazione dell’attenzione cioè del carburante che consente all’atto percettivo di muoversi lungo le rete neuronali fino alla correlazione con l’astrazione categorizzata che chiamiamo “senso”, idea, pensiero. Non so a voi, ma a me, l’evaporazione dell’attenzione, induce più che altro una insopprimibile rottura di palle, tale per cui credo di non essere mai riuscito a sfogliare una delle riviste citate fino in fondo. Nemmeno nell’ambulatorio del mio dentista, quando nell’anticamera, un salottino male arredato, in attesa del mio turno, mi aggrappo a qualsiasi pubblicazione nella vana speranza di trascendere il momento. Voi siete certamente lettori per bene e quindi senz’altro preferirete usare la parola “noia”. Avete ragione ma io non ho torto. L’espressione popolare che ho utilizzato è politicamente scorretta ma traduce meglio il senso dell’esperienza in oggetto, ovvero il fatto che la struttura emergente non ha niente di semantico e si riduce a un infinitesimale malessere a sua volta induttore di una qualità temporale dannatamente umana chiamata fretta che, applicata alla situazione che ho utilizzato come esempio, ci porta a saltare pagine su pagine per ricacciare la rivista sul tavolino (e prenderne subito un’altra).

Tutte queste parole per dirvi che la perfezione può essere boring, noiosa. Sottoposta a ripetizioni senza soluzione di continuità produce l’ottundimento dell’ingaggio percettivo. Fu il filosofo/psicologo T. Lipps (1851-1914) a focalizzare per primo questo tipo di fenomeno in una teoria finalizzata a promuovere l’empatia come concetto centrale della sua visione fenomenologica della vita psichica. Oggi le sue idee non godono certo di un largo seguito. Ma l’ottundimento percettivo dovuto a ripetizione dello stimolo, persino se ammantato di perfezione, è un’esperienza che ciascuno di noi vive quasi quotidianamente.

Bene, abbiamo visto che le immagini standard utilizzate dalle marche del design per trasducere l’oggetto in un dispositivo visuale efficace per farlo circolare velocemente nel mondo, seppur tecnicamente perfette, possono indurre problemi.

Ora osservate l’immagine 1, di G. Roversi. Si tratta di due sedie disposte in modo da farci percepire casualità e una appena accennata asimmetria. I contorni degli oggetti sono sfumati come se fossero in procinto di entrare in dissolvenza. La sfumatura della poltrona bianca tende ad appiattirla sulle tonalità dello sfondo. Roversi narcotizza i parametri spaziali per valorizzare le superfici a macchia di colore, nel senso che nell’oggetto non vediamo più il tempo ordinario bensì una sua fluttuante sospensione come ci succede quando ricordiamo qualcosa che con insistenza permane senza un prima e un dopo, una presenza che sentiamo più vicina proprio per l’assenza delle geometrie di linee, di contorni ben disegnati, angoli, di netti contrasti di colore, tutte dimensioni che siamo abituati a percepire nella maggioranza delle immagini pubblicitarie e nelle foto come modelli astratti del reale. Roversi de-realizza lo spazio/tempo della percezione dell’oggetto con l’evidente obiettivo di trasformarlo in qualcosa di ek-sistente cioè di più vicino all’origine dell’oggetto, ovvero sembra trasportarci in un illusorio momentum  quando tra ciò che diventerà forma e l’esperienza interiore del designer dobbiamo immaginare esistesse una sorta di simbiosi mutualistica. Oggetto ed emozioni dunque diventano inscindibili. Ogni creazione implica un atto di amore. È questo il mito che appassiona Roversi e gli fa preferire l’ek-sistenza dell’oggetto. Il lettore evoluto a questo punto potrebbe chiedermi le ragioni di scomodare Heidegger e il suo anti-umanesimo. In effetti la forzatura c’è. L’obiettivo del filosofo tedesco è porre al centro della riflessione l’essere e non l’uomo esistenziale. Ek-sistere significa dunque porsi in prossimità dell’essere. Ma attraverso quale strumento noi possiamo avvicinarci a questo punto d’origine? Per il filosofo è il linguaggio poetico e l’arte che, riportati al loro significati originari, possono lasciarci intravvedere la luce dell’essere. È in questo passaggio che io trovo esplicativo il concetto di ek-sistenza in relazione al modus operandi fotografico e artistico di Roversi. Indubbiamente il realismo fotografico, il naturalismo, non lo interessano. Ecco perché lavora essenzialmente in studio e usa la luce non per presenziare la scena, il soggetto, l’oggetto bensì per trasfigurarlo, per sottrarre ad essi una eccedenza di chiarezza che evidentemente lo imbarazza. Cosa cerca Roversi con la “sua” luce? Sembra cercare con essa quel supplemento di temporalità che nella sua visione rappresenta un più-di-esistenza (cosa saremmo senza un passato? Senza una memoria? Senza ricordi?).

Ebbene, questo in-più, aldilà dei concetti che strutturano la visione o il Vangelo fotografico di Roversi, dal punto di vista dell’atto percettivo implicato nella fruizione delle sue immagini, sembra coincidere con l’emersione di una particolare sfumatura emotiva. “I miei scatti vogliono catturare l’emozione che provo in un preciso momento davanti al soggetto”…La frase è una mia invenzione. Ma sono convinto che in modi discorsivi simili il fotografo l’abbia ripetuta spesso nelle innumerevoli interviste di cui ho vaga memoria. Ma soprattutto nella frase inventata penso sia imbricato il raffinato Vangelo fotografico con il quale Roversi ha costruito il suo stile e di conseguenza la riconoscibilità nell’immediatezza, di molte delle sue immagini. Un Vangelo fotografico è un mito che ci serve per dare un certo ordine a una ricerca fatta di domande che non cessano di ripetersi. Oggi preferiamo parlare di “narrazioni”. Ogni narrazione suscita interpretazioni che possono planare su territori semantici assai diversi gli uni dagli altri. Per esempio, c’è chi trova negli oggetti e/o soggetti di Roversi qualcosa di proustiano. E quindi ha la disposizione a percepirli come le “madeleine” nella Recherche di Marcel Proust ovvero come ectoplasmi della memoria originati da sinestesie (un profumo, un colore, una musica) dai quali scaturiscono inaspettati e improvvisi ricordi, vissuti in una bolla emozionale che nel caso del grande scrittore francese ha il sapore della nostalgia. Tanto per farmi capire anche da chi non ha letto Proust: un dolcetto, la madeleine (sarebbe l’oggetto), immerso nel the di Giglio, nel preciso momento che stimola il palato e il narratore ne percepisce l’odore ( la percezione diviene sinestesica ), fa emergere in parallelo ricordi (immagini mentali, suppongo) e una gioia improvvisa (emozione) trascinando il narratore in un passato che si ammanta di nostalgia (l’emozione quindi non è descrivibile da una parola/concetto; non è un punto bensì è un flusso in trasformazione). Devo ammettere che memoria, ricordo, nostalgia sono parole che compaiono spesso nei commenti critici che riguardano il lavoro di Roversi. Guardate le immagini 2 e 3. L’analogia con l’emersione della memoria di un ricordo è verosimile? Vi suscitano un sentimento di nostalgia? Io non lo provo affatto, anche se ammetto che l’oggetto-madeleine sia certamente una metafora suggestiva per descrivere la struttura di senso che Roversi sembrerebbe voglia farci percepire con molte delle sue immagini.

Tuttavia preferisco metterla giù così: siamo propensi a percepire nell’immagine sfuocata o dai contorni instabili, un riferimento temporale al passato che può indurre sfumature emozionali raggruppate a una nostalgia resa particolarmente penetrante dalla grazia magistralmente configurata da Roversi. Questa cifra della bellezza può assumere le sembianze di una premonizione e quindi, per certi versi, ammantarsi di futuro, Ecco perché il fotografo gode di grande credito nel campo della moda. I suoi non sono anacronismi. Nelle sue imagini percepiamo fluttuazioni che creano tensività tra una presenza che rimanda a qualcosa che c’è stato per addivenire.

foto 2

Gli spiriti animali del design

È prevedibile che alcune delle foto del libro “celebrativo” finiranno sulle riviste specializzate, funzionando come pubblicità di marca. Di conseguenza posso congetturare che daranno un insospettabile contributo allo sviluppo e alla maturazione delle strategia d’immagine della Publiform, mettendola a passo con le marche della moda più efficaci. Anche se Paolo Roversi per la notorietà e il prestigio che tutti gli opinion leader del settore gli riconoscono, rappresenta solo per il nome che porta un valore aggiunto, io credo che sia stato scelto soprattutto in vista di un cambio di prospettiva rispetto al problema di come comunicare i valori di marca nel nostro tempo.

Per quanto riguarda la comunicazione prodotto, forse le immagini standard utilizzate dall’industria del design di arredi ancora per qualche tempo continueranno ad essere configurate seguendo il paradigma fotografico standard: rappresentazioni di interni nelle quali la percezione dell’oggetto risponde alle attese del fruitore razionale, ovvero ambientazioni armoniose, coerenti, immediate per chiarezza, disposizione, punto di vista.

Ma oggi, la percezione della qualità intesa in senso olistico, la percezione della valenza di un possibile valore, dipendono solo in parte dalla bella rappresentazione dell’oggetto funzionale. Anche se la creatività nella maggioranza dei casi è fasulla, rimane pur sempre un mito di riferimento che sarebbe da sciocchi sottovalutare. L’idea che il pubblico evoluto misuri l’estetica dell’oggetto secondo parametri emozionali ed esperenziali che implicano una visione diversa del modo di comunicarlo, non è una semplice moda discorsiva del momento. Gli spiriti animali del design reclamano la loro parte. L’approccio arido alle funzionalità primarie di un oggetto ha tentato in ogni modo di rimuoverli. L’eccesso di razionalità che molti chiamano minimalismo, se ostentato, non produce passione quindi inibisce, annichilisce la percezione di emozioni, limita l’esperienza.

Tra gli spiriti animali possiamo annoverare anche le narrazioni che ci suscitano gli oggetti. Forse farò sussultare il fondatore dell’ecologia percettiva James Gibson ma sono pronto a sostenere che tra le affordances che predispongono ogni prodotto, evento, situazione a compenetrarsi con le nostre percezioni suggerendo modi d’uso, tra le affordances dicevo, l’istanza narrativa/emozionale riveste un ruolo strategico per sintonizzare e sincronizzare l’oggetto del design con il soggetto ideale che deve in qualche modo prevedere, costruire, implicare.

Le grandi marche della moda anche grazie al talento di image maker come Roversi, sono le più evolute in questi giochi di trasfigurazione (qualcuno preferisce definirli giochi di manipolazione) nei quali percezioni, emozioni, passioni di dinamizzano, escono o rompono schemi, interrompono bruscamente abitudini, giocano con imperfezioni, valorizzano illusioni.

Anche il design più severo non può rinunciare a questa sfida. Forse è per questo che tende ad assomigliare sempre più alla moda, qualsiasi sia la definizione o l’idea che avete di essa.

A me pare che la collaborazionePoliform/Roversi, tra le altre cose, lo mostri con una certa evidenza.

Le immagini che presento nell’articolo sono tratte dal citato libro di Giancarlo Roversi, “Time, Ligh, Space” edito da Rizzoli.

Una vasta rassegna dedicata al fotografo, è in corso al Mart di Ravenna, intitolata Paolo Roversi = Studio Luce (aperta fino al 10 gennaio 2021).

Foto 3

 

Lamberto Cantoni
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134 Responses to "Poliform & Paolo Roversi"

  1. Antonio Bramclet
    Antonio   30 Novembre 2020 at 08:26

    Premetto che l’oggetto madeleine mi piace e lo trovo più esplicativo rispetto la misteriosa eksistenza. Ma quanto valgono le info che abbiamo sul fotografo rispetto alla percezione di una sua immagine?

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   30 Novembre 2020 at 09:17

      Non sono sicuro di aver capito la domanda…

      Rispondi
      • Antonio Bramclet
        antonio   30 Novembre 2020 at 11:16

        Volevo chiedere quanto ciò che conosciamo del fotografo conta nella percezione di una sua immagine.

        Rispondi
        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   30 Novembre 2020 at 11:38

          Il processo percettivo è molto più ricco di dati rispetto a ciò che i sensi ci mettono a disposizione.

          Rispondi
          • Antonio Bramclet
            antonio   30 Novembre 2020 at 16:23

            Significa che nelle foto di Roversi ci mettiamo del nostro?

          • Lamberto Cantoni
            Lamberto Cantoni   1 Dicembre 2020 at 13:07

            È per noi molto difficile distinguere ciò che vediamo da ciò che sappiamo.
            Diciamo che nel caso delle foto di Roversi il loro effetto sfumato induce il fruitore a proiettare nella figura ciò che ha appreso di inerente a situazioni simili. Da qui l’illusione semantica che ci fa credere che in esse sia visibile il tempo, la nostalgia etc.

  2. annalisa   30 Novembre 2020 at 09:37

    Sono d’accordo con Antonio è elegante anzi intrigante. Personalmente avrei citato le “scarpette rosse” della Duchessa de Guermantes. Che bellezza quelle pagine! L’articolo mi è piaciuto, però mi sarei aspettata delle considerazioni su Roversi e la moda. Se le sue foto di moda sono così speciali, perché non farle almeno vedere.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   30 Novembre 2020 at 09:51

      Sei d’accordo su cosa? Mi fa piacere scoprire quanto ti commuovano le “scarpette rosse” ma purtroppo non c’entrano un bel nulla con il parallelismo tra l’immagine letteraria dell’ingaggio percettivo di Proust e un certo modo di leggere le foto di Roversi.
      Sul lavoro nella moda hai ragione. Se trovo il tempo aggiungerò alcune note e immagini ( nel web ne trovi migliaia).

      Rispondi
      • annalisa   30 Novembre 2020 at 11:58

        Mi era piaciuta la citazione della Madeleine e quindi sono d’accordo con Antonio. La ringrazio per aver accettato i miei suggerimenti. Scusi l’impertinenza, ha dei problemi con il rosso?

        Rispondi
  3. Lucia Morigi   30 Novembre 2020 at 20:11

    Comincio col dire che sono d’accordo con il problema dell’evaporazione dell’attenzione data dalla perfezione delle immagini utilizzate da i grandi brand o dalle industrie per pubblicizzare i loro prodotti; anche se, sono consapevole, che tutto ciò che fanno lo fanno a scopo di lucro, infatti grazie alle tecniche di marketing utilizzate per costruire le loro pubblicità, questi riescono a vendere più facilmente e con più efficacia i propri prodotti/servizi, ma il problema non è tanto quanto siano superficiali le pubblicità ma quanto lo siano le persone.
    Analizzando l’aspetto storico sociale, vediamo che “la società di massa” nasce alla fine del ‘800, e con essa la cultura di massa, alimentata dall’avvento dei mass media, in maniera sempre maggiore, prima di tutto i giornali, quindi il cinema e poi soprattutto la televisione, hanno avuto la possibilità di creare, questo tipo di cultura.
    Col passare del tempo questi mezzi divennero sempre più presenti nelle vite di tutti, diventando di basa la struttura comunicativa della “massa” in sé, influenzando la loro cultura generale e la percezione della realtà proponendo modelli e stili di vita sulla desiderabilità sociale.
    Infatti, le grandi aziende per pubblicizzare i propri prodotti/servizi fanno leva sulle emozioni, che giocano un ruolo cruciale nel modo in cui la mente funziona, ovviamente con metodi sempre più limitanti fino ad arrivare alla sinteticità delle pubblicità di oggi.
    Tutto questo è anche dovuto allo sviluppo della società organica, che funzionando come un’organismo, ha necessitato di più ambiti di specializzazione, mi spiego, ciò che richiedeva la società non era un sapere enciclopedico ma più specializzato; questo ha fatto in modo che la “massa” si interessasse ad un’ambito preciso, quasi eclissando la presenza di altri ambiti della vita/sapere. Infatti, in molti parlano di “massificazione della superficialità”, portando la semplificazione e la velocizzazione della vita quotidiana delle persone che ha ridotto al minimo lo sforzo necessario per realizzare molte attività.
    In conclusione, il prodotto è il risultato di un adattamento più o meno equilibrato fra le possibilità dell’offerta e l’attesa della domanda, se la domanda sarà più o meno superficiale la risposta lo sarà di conseguenza.

    Rispondi
  4. Fedor Beserra   30 Novembre 2020 at 20:20

    Io mi trovo d’accordo con l’autore quasi in tutti i punti di questo articolo.
    Trovo curioso il fatto preso in analisi: esistono più casi di stilisti che sfociano in altri campi del design che, di graphic designer che si avvicinano alla moda, come citato nell’articolo. Sarà uno spunto di riflessione interessante.
    Mi ritrovo molto anche nel fatto di non finire mai una rivista perchè diventa noiosa e ripetitiva.
    Amo le foto di Roversi, trovo che Poliform abbia fatto una scelta vincente a farsi rappresentare da un artista del genere.
    L’unico punto in qui mi trovo in disaccordo è per quanto concerne il minimalismo: non credo che il minimalismo limiti l’esperienza, anzi credo proprio che ci voglia tanta esperienza e creatività per ottenere il minimalismo degno di essere chiamato tale, contrariamente si otterrebbe solo un progetto spoglio con poco significato.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   30 Novembre 2020 at 21:08

      Minimalismo è solo una parola/etichetta. In realtà esistono, forse, i minimalismi, a volte molto diversi uno dall’altro. Per me l’unico minimalismo che ha senso è quello che reagisce all’inbaroccamento del mondo. In questo caso assume una valenza etica che approvo e che associo a una tensione post classicista ovvero con la freccia del tempo orientata al futuro (cioè una tensione per l’innovazione, la ricerca, la tecnologia). Però il minimalismo che si ripete, che ostenta il proprio il proprio desiderio di niente lo trovo deludente e in definitiva noioso.

      Rispondi
  5. silvia pedrelli   30 Novembre 2020 at 20:33

    Le fotografie di Paolo Roversi emerse dalla collaborazione con l’azienda Poliform sono una reinvenzione.
    In esse possiamo osservare oggetti di design, ma anche emozioni. Un nuovo modo di vedere le forme.
    Reinventare significa anche scuotere la routine, ed è importante nel mercato.
    Il consumatore è infatti bisognoso di stimoli, desideri, emozioni.
    Il minimalismo quindi, è anch’esso reinvenzione ed emozione, perché eliminare ciò che è superfluo significa, oltre che valorizzare materiali e forme, liberare la mente dalla moltitudine di informazioni in essa già presenti, conferendo calma interiore.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   30 Novembre 2020 at 21:19

      Reinvenzione è una categoria critica interessante. Minimalismo è una parola abusata. E come un vaso con un buco sul fondo: dentro non ci rimane niente,

      Rispondi
  6. Beatrice Ricci   30 Novembre 2020 at 21:07

    Attualmente più che mai è ben evidente che il mercato e il marketing abbiano una grande influenza sui vari settori del design e il loro modo di comunicare; infatti all’interno di un mercato globale fortemente targetizzato a sua volta anche il design ha iniziato ad adottare una comunicazione sempre più di nicchia in base a chi vuole rivolgersi.
    Oggi i vari brand non si limitano più a creare un prodotto o servizio, bensì cercano di offrire esperienze concrete e multisensoriali che portino le persone ad associare determinate emozioni ad un prodotto o servizio.
    La comunicazione utilizzata nel design in questi ultimi tempi mira infatti a coinvolgere nello stesso tempo i sensi, l’emotività e il pensiero razionale dei loro destinatari al fine di cercare di instaurare una sorta di legame diretto che li permetta di entrare all’interno della vita delle persone; pertanto si potrebbe affermare che ormai i diversi marche e brand in circolazione non vendano più prodotti ma esperienze che siano piacevoli tanto quanto da influire fortemente nella percezione che la gente ha sul quel prodotto e di conseguenza rendere le persone più predisposte a comprare determinati prodotti o servizi rispetto ad altri.
    Detto ciò, si può affermare che l’immagine di un’azienda e del prodotto ha un ruolo fondamentale all’interno del design e la comunicazione e ciò ha fatto sì che i diversi ambiti del design iniziassero a collaborare in sinergia tra loro al fine di unire le loro conoscenze specifiche per rendere l’immagine e il modo di comunicare nel mercato di una determinata azienda o prodotto più completa possibile e che riesca ad instaurare una sorta di rapporto con le persone in modo tale da entrare a far parte della vita quotidiana di queste ultime.

    Rispondi
  7. Sofia Toccaceli   30 Novembre 2020 at 21:29

    Seguo il discorso del sentimentalismo estremo che hanno portato avanti certi esponenti delle pratiche di design (il quale ha avuto concretezza nelle teorie di Lipps), ma nei bisogni visuali umani ritroviamo anche una ricerca di equilibrio ed ordine stilistico che dona una sintesi all’impatto visivo.
    Roversi ha ricercato, si, una concettualità nel suo lavoro, ma anche il potere di innovare otticamente la forma fotografica dell’immagine. Una ricerca che si distacca dalle altre, e diviene innovativa per oggi, momento in cui tutto è così stabile e misurato.
    Tale misura e stabilità si traduce in coerenza negli atti pratici di una azienda che appunto mette in riga tutto il “set” comunicativo del concept promozionale, per arrivare sempre più a colpire il consumatore traducendo in visual degli impulsi emozionali ed identificativi del pubblico.

    Rispondi
  8. Alice Colombari   30 Novembre 2020 at 22:26

    Roversi, grande fotografo italiano, racconta la storia di un’azienda, di una terra e di una famiglia attraverso inconfondibili immagini.
    Roversi riesce a guardare l’azienda con occhi diversi, a rappresentare uno stile di vita miscelando sapientemente il soggetto, le luci, la scenografia attraverso uno sguardo unico e professionale.
    Questo grande fotografo con i suoi scatti è alla continua ricerca dell’emozione e della suggestione per regalarci una sorta di mix magico.
    Riguardo alla comunicazione del prodotto, tuttavia, credo ci sia una continua evoluzione che va oltre il ‘paradigma fotografico standard’. Le immagini dell’industria del design stanno evolvendo in modo radicale, possiamo prendere in esempio la comunicazione VR Experience che molti brand ultimamente stanno adottando (es. Ikea o Amazon).
    Il ‘possibile cliente’ potrà riuscire, in questo modo, a percepire il prodotto in tempo reale nel suo quotidiano e non solamente visionarlo da cataloghi o e-commerce.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   1 Dicembre 2020 at 08:06

      Sulla VR Experience hai ragione. Sei sicura che sia già così diffusa? Puoi citare ricerche che ne comprovino l’efficacia? La percezione del prodotto in VR è omologabile a quella che nasce dal rapporto ambiente-prodotto-organismo biologico?

      Rispondi
      • Veronica Bucci   2 Dicembre 2020 at 21:46

        Girando vicino a Ravenna, sono stata subito colpita dai pieghevoli e dai manifesti della mostra che ospitava il Mar proprio con le fotografie di Roversi.
        Era una grafica molto accattivante, inusuale quanto meno per il posto in cui era affissa.
        Se non ricordo male era in bianco e nero e molto essenziale, le tipiche cose che piacciono a noi aspiranti grafici.
        Studio luce appunto era il titolo della mostra,titolo che possiamo scomporre e spiegare in :
        -‘’studio’’, ovvero lo spazio. Spazio che a sua volta può significare: sia luogo fisico, un teatro di posa essenziale e scarno dove mettere in scena i propri sogni e interpretazioni e dall’altra un luogo della mente, una contesto rituale che apre le porte ad una dimensione alternativa, la cui chiave è, da sempre, la luce.
        Dalla luce, parte anche il titolo de libro: tempo, luce e spazio: sono gli elementi essenziali da cui nasce una fotografia.
        Il suo stil è unico e riconoscibilissimo, va alla ricerca di una sintesi, di una semplicità, tanto da usare la luce per sottrarre.
        Sottrae i contorni, lasciando che sia il fruitore, attraverso i territori della mente a costruirli. Accostando le cromie, costruisce i contorni, vediamo ciò che sappiamo.
        Time, Light, Space anche se ritrae oggetti di arredo e design è quanto di più lontano da un catalogo di Ikea, così come lo saranno i clienti o chi andrá a sfogliare queste pagine : è quasi un viaggio all’interno dell’universo di Poliform non fermandosi solo a mostrare i prodotti con scatti impeccabili e ma anche nel raccontare i propri valori, l’amore per il lavoro ed il rispetto per la qualità.

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  9. Aurora Fabbri   1 Dicembre 2020 at 10:57

    Roversi è un grandissimo fotografo. Ha saputo interpretare i cinquant’anni di storia di Poliform, l’azienda italiana che ha saputo trasportare nella modernità l’antica tradizione artigianale della Brianza. Questo grande fotografo si differenzia per il fatto che riesce a rappresentare la realtà con occhi diversi, non solo per i soggetti da lui utilizzati ma anche per luce e spazio che assumono particolare importanza e tanto da dare nome al volume.
    Ha attuato una RIVOLUZIONE perché alle emozioni vengono accostati oggetti di design. Questo scatenerà nel consumatore, che guarderà uno scatto di Roversi, non solo emozioni ma anche desideri nei confronti degli oggetti presenti.
    A mio avviso Roversi, attraverso la sua fotografia, cerca di persuadere la nostra mente in modo del tutto innovativo, cercando di far percepire allo spettatore come un determinato oggetto potrebbe assumere un ruolo importante nella nostra quotidianità.

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  10. Antonio Fagnocchi   1 Dicembre 2020 at 12:08

    Mi trovo in accordo con il fatto che gli scatti di Paolo Roversi riescano a rendere vivi i prodotti di Poliform grazie ai giochi di luci-ombre e la scenografia. Non c’è dubbio sulla qualità del suo occhio fotografico.
    In quanto alla comunicazione del prodotto mi trovo abbastanza d’accordo con Alice e il discorso della realtà aumentata che sta prendendo sempre più piede anche grazie a questo periodo di lockdown vari dove ormai si fa tutto da casa, nonostante ciò, almeno personalmente, se devo acquistare un mobile, poltrona, eccetera mi sento obbligato a vederla e provarla nel mondo fisico.

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  11. Siria Vaselli   1 Dicembre 2020 at 12:55

    È interessante l’interazione che c’è tra design e moda, e artisti di settori diversi che tendono a fondere le loro esperienze per dare vita a mondi differenti. Detto questo però tendo anche a sottolineare che però l arte e il mercato sono due luoghi distinti (anche se a volte si fondono). Voglio soffermarmi principalmente su due concetti. Il primo riguarda il commento riferito alle riviste di settore (per es di arredamento) dove tale rivista viene considerata pallosa e monotona; e il secondo che riguarda questa frase “I miei scatti vogliono catturare l’emozione che provo in un preciso momento davanti al soggetto” riferita a Roversi.

    Ciò che fa Roversi è incrementare il significato dell’oggetto d’arredamento arricchendolo di un significato emozionale, empatico ed attrattivo attraverso l’uso sapiente della sua fotografia.
    È un evento, appunto si festeggiano i 50 anni dell’azienda Poliform.
    È importante questo perché è ovvio che questo lavoro evada dal classico volantino Ikea per esempio, è intrinseco di emozioni e significati e i mobili di Poliform si calano in una sorta di ambiente fiabesco che sicuramente attrae.
    “I miei scatti vogliono catturare l’emozione che provo in un preciso momento davanti al soggetto” questo è quello che direbbe Roversi.
    Attribuire un emozione una certa atmosfera agli oggetti è sicuramente un modo attrattivo per vendere ma questa fase si deve concentrare nello storytelling del prodotto ovvero nel periodo di promozione e pubblicità dello stesso, in modo che l’attenzione venga catturata e poi conduca il cliente nei classici sfogliabili pallosi.
    Perché non adattare una visione “Roveresca” a tali sfogliabili? Secondo me lo sfogliabile deve essere neutro e si anche palloso perché si deve concentrare l’attenzione su quelle che sono le caratteristiche fisiche del prodotto quali misure materiali ecc cosa che verrebbe difficile notare se si inserissero immagini a forte impatto visivo che distoglierebbero l’attenzione.
    Le foto artistiche di Roversi sono fatte in un occasione speciale e meritano di essere esposte ma con altri obbiettivi ovvero attirare verso l’azienda Poliform dopo aver suscitato emozioni precise.
    Facendo uno sfogliabile più accattivante si rischia di mettere in primo piano il lato artistico dello stesso e metterebbe secondo me in confusione l’acquirente. E se l’emozione che scaturisce dai suoi scatti non interessasse affatto un determinato cliente? Ciò comporterebbe il rifiuto TOTALE di ogni prodotto presente su quello sfogliabile invece che indurlo alla pagina seguente dove può trovare un altro mobile a prezzo più conveniente dove sicuramente andrebbe a parare.

    Lo stesso discorso credo possa valere anche nell’ambito dell’abbigliamento.
    Abbiamo scatti e pubblicità, storytelling che ci portano ad avere una determinata idea di vestiario. Per esempio lo stile di Gucci viene raccontato ed esposto in maniera diversa rispetto alla marca di Adidas ma quando siamo in negozio ciò che guardiamo è il prezzo e la taglia, sia da Gucci che da Adidas.

    Penso, riassumendo, che il lato artistico sia affascinante e sia uno step primario che serve a indottrinare il cliente; ma successivamente segue la fase di acquisto dove è necessario avere minimalismo, freddezza e dépliant pallosi che possano renderci consapevoli di ciò che acquistiamo. Sono due concetti diversi e se vogliamo opposti, ma che meritano di coesistere.

    Comprando un mobile scattato da Roversi, una volta tornati a casa e piazzato in salotto magari notiamo che non ci azzecca nulla con tutto il contorno. Questo perché abbiamo puntato sul livello emozionale trasmetto e non ci siano concentrati sulla realtà effettiva non avendo magari a disposizione il classico sfogliabile che ci riporta alla realtà.
    Al contrario avendo entrambe le cose (lato artistico e razionale) possiamo decidere di riarredare casa seguendo quel determinato Mood e feeling.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   1 Dicembre 2020 at 13:18

      Dici cose sensate in linea con le abitudini consolidate delle aziende.. Ricordati però che ho parlato di Comunicazione strategica e di marca. Non di prodotto.
      Non so se veramente qualcuno compri qualcosa perché motivato da un depliant palloso. Io spero di no, ma la prevalenza del cretino e/o sonnambulo mi invita alla prudenza.

      Rispondi
      • Elisa Tito   29 Dicembre 2020 at 15:24

        Leggendo questo articolo mi sono ritrovata molto nell’esempio riportato; ovvero di trovarsi in una sala d’aspetto e sfogliare riviste senza porre particolare attenzione a quest’ultime , ebbene si mi è capitato di sfogliare riviste per noia e che le riviste stesse alla fine erano una noia…sicuramente se mi fosse capitata una rivista con le foto di Roversi sarebbe stato diverso e avrebbe attirato la mia attenzione.
        Sono totalmente d’accordo inoltre con il problema dell’evaporazione dell’attenzione, ai giorni d’oggi è sempre più frequente questo aspetto; i tempi di fruizione e attenzione sono molto brevi quindi è importante non proporre contenuti noiosi ma bensì contenuti piacevoli che ti invoglino a finire di leggere/ osservare la rivista o libro che sia.
        Credo che Poliform con Roversi, oltre a trovare interessante questo legame tra moda e design, abbia fatto una scelta vincente poiché trovo che nei suoi scatti, oltre ad avere l’oggetto di design in se, grazie alle ombre/luci da lui utilizzate troviamo emozioni, stimoli, il desiderio di avere quel determinato oggetto e questo aspetto è molto importante nel marketing, io consumatore ho bisogno di questi stimoli.
        Il cliente non baserà solo le proprie decisioni d’acquisto sulle caratteristiche tecniche del prodotto o se effettivamente quel prodotto soddisfi i suoi bisogni ma piuttosto si concentrerà molto sul desiderio di avere quel determinato prodotto.
        Le emozioni influiscono sulle nostre decisioni ,anche di acquisto.
        Chi comprerebbe , chi è motivato ad acquistare un oggetto da una rivista statica e noiosa?

        Rispondi
  12. Federico Battistoni   1 Dicembre 2020 at 13:02

    Molto interessante il lavoro che fa paolo Roversi su ombra/luce.
    Per quanto riguarda la VR experience, trovo che sia un mondo affascinante, non è ancora molto diffusa ma ultimamente sta cominciando ad essere più richiesta nel mercato. Un esperienza in VR puó renderci il nostro tour virtuale molto più interessante e puó esserci d’aiuto su un acquisto, scegliendo forme, colori e dimensioni che più ci soddisfano, anche se pecca da un punto, l’esperienza tattile, possiamo vedere il nostro oggetto perfettamente arredato nel nostro soggiornl, nella nostra cucina, ma non possiamo toccarlo, e un arredo come ad esempio il divano, trovo fondamentale la parte sensoriale tattile.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   1 Dicembre 2020 at 13:40

      Beh! Anche l’olfatto non se la cava bene in VR. Comunque credo che oggi sia più corretto parlare di Augmented Reality come sviluppo del virtuale.

      Rispondi
  13. giorgia piastra   1 Dicembre 2020 at 16:59

    Io ritengo che ai tempi d’oggi, sia designer che stilisti abbiano il compito di “rompere gli schemi”, e debbano avere una caratteristica fondamentale: il coraggio di farlo. Concordo con il fatto che spesso le riviste di design possano sembrare noiose appunto perchè rappresentano una perfezione che, in fondo, non esiste. Per questo motivo vengono la maggior parte delle volte abbandonate e non lette, nè osservate con attenzione. L’attenzione dei fruitori nel mondo d’oggi si è indebolita per questo ritengo che il lavoro di chiunque abbia a che fare col mondo del design e delle immagini debba impegnarsi per risvegliarla usando al massimo la sua creatività per fare in modo di suscitare nuove emozioni in chi si trova di fronte al loro lavoro. Questo è un rischio ovviamente, potrebbe infatti non essere apprezzato o addirittura giudicato da molte persone che non riescono a comprenderlo, altre, invece, potrebbero elogiarlo. Io credo sia sempre opportuno rischiare di fare lavori fuori dal “comune”, usando e sfruttando al massimo la creatività e l’invenzione unite ovviamente ad uno studio profondo e tecnica, sia nel campo della moda, del design o della fotografia.

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  14. federica forte   2 Dicembre 2020 at 16:37

    Ricadiamo ripetutamente in tentazioni di cui spesso conosciamo già il risultato. Design e moda sono entrambi correnti che si influenzano, viaggiano di pari passo e decadono al mancare di una. Tuttavia, per chi opera nell’uno o nell’altro settore, é difficile pensare a questi due mondi come parti divise non appartenenti ad un’unico panorama culturale. La moda e il design si scrutano a distanza, si ammirano e si invidiano a vicenda, senza ammetterlo. La moda invidia al design il Salone del Mobile milanese. Il design invidia alla moda i fatturati da capogiro, e a lei, che presenta le sue collezioni prima di tutti, si ispira alla realizzazione delle sue creature.
    Paolo Roversi, fotografo italiano, attua agli occhi dello consumatore un efficace processo mentale che rinomina parte della pubblicità e trasforma quello che é poi l’impatto percettivo sulla persona. Rinomina la definizione delle immagini e la fa percepire come mossa, sfocata grazie a questo gioco che compie di ombra – luce, facendo riemergere una tematica molto trattata da diversi artisti che hanno fatto la storia. Il suo impatto sullo spettatore non può che essere destabilizzante e quindi suscitare desideri in relazione a quello che viene mostrato.

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  15. francesco   2 Dicembre 2020 at 17:32

    “Time, light, space” non è una pubblicazione ai fini di accrescere (in senso numerico) le vendite di Poliform.
    Lo scopo principale di questo libro è quello di valorizzare l’azienda fortificandone le radici, l’azione di unire produzione industriale all’arte ha come fine quello di incrementare il valore del prodotto .

    Le foto di Paolo Roversi non spingono il possibile cliente a comprare compulsivamente i prodotti, bensì tendono a farlo sognare ed emozionare.
    Le emozioni che le foto suscitano danno al fruitore un senso di gratitudine che, inconsapevolmente lo legheranno all’azienda.

    Rispondi
  16. Francesco   2 Dicembre 2020 at 17:35

    “Time, light, space” non è una pubblicazione ai fini di accrescere (in senso numerico) le vendite di Poliform.
    Lo scopo principale di questo libro è quello di valorizzare l’azienda fortificandone le radici, l’azione di unire produzione industriale all’arte ha come fine quello di incrementare il valore del prodotto .

    Le foto di Paolo Roversi non spingono il possibile cliente a comprare compulsivamente i prodotti, bensì tendono a farlo sognare ed emozionare.
    Le emozioni che le foto suscitano danno al fruitore un senso di gratitudine che, inconsapevolmente lo legano all’azienda.

    Rispondi
  17. Sara Mascherucci   2 Dicembre 2020 at 17:39

    Dopo aver ammirato gli scatti di Paolo Roversi, sono attratta dalla sua capacità di unire oggetto e sensibilità. Una sorprendente armonia fra gli oggetti e l’occhio che li guarda.
    Ha saputo trasportare nella modernità l’antica tradizione artigianale.
    Il marketing emozionale gioca un ruolo sempre più rilevante nel panorama commerciale odierno. Eppure, molti imprenditori ne sottovalutano le potenzialità.
    Secondo me, se qualcuno ci togliesse le emozioni, non saremmo più capaci di decidere.
    Le emozioni influiscono sulle nostre decisioni anche di acquisto e ci imprimono nella memoria fatti, situazioni, prodotti e brand.

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  18. Sharon Miotti   3 Dicembre 2020 at 09:44

    Perché il design emula le strategie comunicative della moda?
    Come è stato detto, in principio il designer considerava la moda un campo effimero, fino a quando non compare l’idea di “stile di vita”. Da questo modo di pensare si è visto che chi lavora nell’ambito della moda può occuparsi anche di design, ma non viceversa.
    Oggi, invece, il designer cerca di emulare lo stilista, ma perché?
    Perché la moda sta cercando di restare al passo con i tempi, sfrutta l’avvento dei social come trampolino di lancio per mettere in mostra i propri prodotti. Anche grazie ai vari influencer, che creano immagini dalle quali nascono storie o eventi. Tutto deve trasmettere delle emozioni, al contrario del design puro ed essenziale, che doveva essere anestetico. Ed è proprio questo il problema del design: non riuscire a trasmettere emozioni.
    Ecco perché un designer o un grafico non potrebbe mai entrare nel campo della moda. Quest’ultima infatti sta lavorando troppo sulle sensazioni, sul dare a chi guarda un motivo per continuare a farlo. Tutta la ricerca della perfezione nel campo del design invece annoia. Ma come eliminare questa sensazione?
    I designer allora cerca di appellarsi anch’essi alle sensazioni/emozioni. Come è stato mostrato nell’articolo soprastante. Roversi si appella al passato, alla memoria e ai ricordi, nella sua immagine delle due sedie ci fa provare il senso di sospensione, come ci succede quando ricordiamo qualcosa.
    Ed ecco il salto di qualità che fa avanzare di livello chi si occupa di progettazione grafica. Basta anesteticità, basta ricerca della perfezione, ma spazio all’emozione e a quello che un oggetto può trasmettere. D’altro canto, in un mondo che sta andando verso l’apatia, la ricerca di emozioni è essenziale.
    Ritornando alla domanda iniziale, oggi si può dire che il design e la moda collaborino. Entrambi con la stessa finalità: comunicare emozioni, far vivere allo spettatore una nuova esperienza. In più, lavorando assieme, moda e design, si valorizzano a vicenda, dopotutto lo stilista non avrà mai le conoscenze tecniche di chi si occupa di grafica, al contrario, il designer non avrà mai le competenze tecniche di chi fa moda.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   4 Dicembre 2020 at 12:19

      Molti stilisti sono dei disegnatori eccezionali. D’altra parte il figurino o lo schizzo che fa prendere forma a una idea moda, non è forse parte di una attività “grafica”? Infatti con quel figùrino lo stilista comunica allo staff produttivo istruzioni, funzioni, estetica del progetto.
      Comunque hai ragione, stilisti e designer possono collaborare, ma agiscono su superfici che richiedono competenze tecniche specifiche.

      Rispondi
  19. Paolo Teodonno   3 Dicembre 2020 at 18:30

    Trovo molto interessante questo legame che vi è tra moda e design e concordo sull’accezione di vendere emozioni e prefigurare stili di vita quando si acquista un prodotto. Il lavoro che ha svolto Roversi è importante sotto molti punti di vista: innanzitutto un catalogo fotografico del genere va ad attirare il cliente che vede nell’oggetto qualcosa di diverso e quindi di speciale, che si diversifica dal mercato-standard. Inoltre questa presentazione trasmette un valore determinante per l’usabilità: l’emozione. L’uomo si rivede attraverso le proprie esperienze, realtà quotidiana e proprio sapere in quell’oggetto sentendolo più vicino a sé. L’emozione, in particolare, ci trasmette continuamente dei giudizi e sensazioni, offrendoci informazioni immediate sul mondo circostante: qui potrebbe esserci un pericolo, lì un possibile benessere ecc…
    L’estetica (che scaturisce emozioni) quindi, può avere un ruolo chiave nel design; infatti, un prodotto esteticamente attraente induce in chi ne fa uso, uno stato d’animo positivo, rendendolo, di conseguenza, meglio predisposto alla formulazione di soluzioni alternative e al pensiero creativo. Come risultato, l’individuo avrà la percezione che questo sia più semplice e piacevole da usare.
    Un esempio analogo che mi è venuto in mente leggendo questo articolo, riguardo l’argomento, è l’azienda produttrice di computers Apple, che incentra la sua produzione concentrandosi sul dettaglio, aggiungendo nel tempo novità che potevano sembrare superflue ma hanno dato un gran valore aggiunto al prodotto; per esempio: l’utilizzo del marchio illuminato sulla scocca del dispositivo, tasti con illuminazione regolabile, fino ad arrivare all’introduzione di una touch bar nei modelli più recenti. Anche la scelta dei colori e materiali come l’alluminio, rispetto a materiali plastici, danno la percezione di trovarsi davanti ad una macchina altamente sofisticata e performante che ha “una storia da raccontare”, affidabile e facile da utilizzare rispetto ad un computer prodotto di altri competitor, ad un costo inferiore, ma più minimal sotto questo aspetto.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   4 Dicembre 2020 at 12:45

      Gli esempi Apple che proponi sono convincenti.

      Rispondi
  20. Rebecca Rizzo   5 Dicembre 2020 at 12:54

    Allontanarsi dagli standard del mercato oggi non è così semplice e quello che ha realizzato Roversi rappresenta come si possa andare oltre aggiungendo alla strategia di marketing il parametro delle emozioni. Non si cerca di vendere il semplice prodotto in quanto tale, bensì di vendere l’intera esperienza che porta quell’oggetto con sé. Discipline nuove come lo UX design fondano buona parte del loro lavoro proprio sulle emozioni legate all’esperienza che l’utente ha ad esempio su siti web o applicazioni. L’emozione quindi è importante sia per l’usabilità del prodotto, per la strategia di comunicazione e per l’estetica legata ad esso perché cambia la prospettiva fornendo nuove soluzioni e stimoli per la creatività.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Dicembre 2020 at 00:26

      D’accordo Rebecca. Mi permetto solo di segnalarti che oggi tutti i soggetti economici parlano, propongono, inducono emozioni. È la loro regolazione a fare la differenza. Le marche della moda sono particolarmente evolute nel gestirne la sceneggiatura. E poi, nel caso di Roversi, è la specificità dell’impatto emozionale sul quale lavora a generare l’emersione della qualità d’immagine che nel tempo è divenuta una componente del suo stile individuale.

      Rispondi
  21. Silvia Savioli   6 Dicembre 2020 at 15:01

    Trovo molto interessante il rapporto che si può instaurare tra design e moda, perchè sempre più spesso questo binomio viene richiamato quale simbolo dell’italianità nel mondo, a connotare un universo di prodotti che rappresentano nel loro complesso il made in Italy. Tuttavia, per chi opera nell’uno o nell’altro settore, è difficile pensare a questi due mondi come parte di un unico panorama produttivo e soprattutto “culturale”. È, tuttavia, proprio sul piano delle radici culturali che moda e design sono assai simili. Queste comuni radici trovano conferma nel recente avvicinamento di questi due mondi che, sempre più spesso, trovano spazi comuni di sviluppo ma anche di comunicazione e promozione. Infatti, la tradizionale reciproca indifferenza si sta oggi sgretolando, non senza resistenze, di fronte agli innegabili vantaggi che le sinergie tra design e moda possono portare sul piano dell’immagine. Ad esempio l’azienda Publiform negli ultimi mesi ha operato una svolta in direzione della moda, e quindi verso tutte quelle pratiche che consentono all’oggetto di circolare e trasfigurarsi in qualcos’altro. L’oggetto in sè deve essere comunicato e per questo ha bisogno di una trasfigurazione, per esempio un’immagine digitale. In questo modo può fare il giro del mondo in poco tempo. Nel contesto sociale italiano la “cultura dell’abitare” rappresenta infatti un valore primario, realizzato attraverso la ricerca di qualità nel quotidiano, vissuto negli spazi di relazione della famiglia o del gruppo sociale, spesso ristretto alla comunità locale. Arredi, accessori, tessuti, abiti, persino i prodotti della tradizione alimentare, divengono i medium di questa cultura.

    Rispondi
  22. Emanuele Maraldi   7 Dicembre 2020 at 10:53

    Trovo molto interessante l’approccio di Roversi alla fotografia di Design. Se nella sala d’attesa del mio dentista, rovistando tra le pile di riviste inutili tutte uguali, dovessi imbattermi in una rivista in cui vengono riportate delle fotografie insolite, come quelle sopra mostrate, diverse rispetto allo standard attuale, molto probabilmente ne sarei maggiormente attratto. Dietro questi scatti vedo l’influenza di un marketing diverso, non recepisco il classico e banale messaggio “Compralo! Questo è il prodotto che fa per te” e soprattutto non vedo una semplice poltrona la cui foto è stata scattata da un semplice esecutore, ma riesco a percepire la soggettività del fotografo.
    Sembra che l’azienda voglia farmi vivere i loro prodotti e la loro comunicazione sotto un aspetto più innovativo, ovviamente grazie allo stile inconfondibile di Roversi, cercando di stimolare la parte più emotiva e profonda del fruitore, andando a cestinare il solito approccio standardizzato in voga in questo ultimo decennio, che a mio parere risulta freddo e noioso e che restituisce sempre il solito messaggio percettivo.

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  23. Gessica Hima   8 Dicembre 2020 at 15:35

    Nella lettura dell’articolo mi sono soffermata particolarmente sulla tesi del “design che segue le strategie della moda”. Innanzitutto potremmo affermare che la nascita della moda ha influenzato la vita delle popolazioni sin dall’antichità: dalla scelta dei tessuti, alla vestibilità, all’assuefazione che si prova nel sentirsi invincibili in un abito. Il design nasce per rispondere a questioni e ulteriori problematiche conseguenti ad uno sviluppo sociale e culturale, nel quale le necessità plasmano gli stili di vita, dove si passa dal vendere il sapone solido al kilo al venderlo con dosi preconfezionate uguali per tutti, dove la carta che accoglie la saponetta riporta il marchio produttore. In quel momento nascono la progettazione, il design thinking e un Problem solving che risponde a situazioni legate alla propria contemporaneità.

    Dire che il design imita la moda è rischioso, perché si potrebbe capovolgere facilmente la situazione ponendo sul tavolo dell’articolo il pensiero che la moda imiti il design, considerando che ad oggi il design è presente in ogni campo, non solo a vendersi ma anche a facilitare la vendita di prodotti altri campi (appunto, tra i tanti, la moda).

    Attualmente non considererei come un paragone il rapporto moda-design, piuttosto li vedrei come due campi differenti che viaggiano in parallelo e rispondono a domande differenti, ma con obiettivi simili. Si aiutano reciprocamente con strumenti diversi.

    Sono, invece, parzialmente d’accordo per quanto riguarda la nullità delle riviste che troviamo in sala d’attesa. La noia che si prova nello sfogliare tematiche ed argomenti (a volte anche fasulli) è comprensibile, ma d’altro canto non possiamo pretendere che il nostro dentista chieda ad ogni suo paziente quali siano le tematiche che vorrebbe trovare a sua disposizione al prossimo appuntamento. Il fatto che le riviste siano noiose non può portarci ad eliminare o ad ignorare altre realtà che definiscono riviste dignitose. Molti consigliano la stesura di riviste monotematiche, curate fino all’osso tanto da dispiacerti nel leggerle, e preferirle come pezzi d’arte sulla propria libreria.

    Per quanto riguarda il temine “minimalismo”, è sbagliato considerarlo come sinonimo di “razionale” perché non è solo questo. Negli ultimi decenni si è definito minimale qualsiasi cosa che agli occhi risultasse pulito, senza fronzoli in sostanza. Questo termine è stato abusato tanto quanto l’utilizzo del termine “semplice” per indicare il “banale”. Il minimalismo è affascinante e, se utilizzato sapientemente, invece di limitare l’esperienza, la espande, portando l’osservatore ad indagare la ricerca e l’obiettivo ultimo del designer.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   9 Dicembre 2020 at 14:34

      Attenzione Jessica, nel mio script parlo di “modazione” cioè della trasformazione dell’oggetto in dispositivo e/o evento.
      È in questo contesto che ho ipotizzato una maggiore efficacia delle marche della moda rispetto al design degli arredi.

      Rispondi
  24. Aurora Verdone   12 Dicembre 2020 at 13:16

    Tutti quei prodotti che risultano essere effimeri ovviamente puntano sull’impatto immediato, sul suscitare emozioni forti, proprio per riuscire a vincere l’attenzione e l’empatia dello spettatore – e potenziale cliente – immediatamente. I prodotti della moda sono decisamente di questa categoria, visto come la moda stessa è volubile, cambia da un anno all’altro e volontariamente ci fa sentire la necessità di cambiare il nostro modo di vestire allo stesso ritmo (dopo che si è posseduto un capo d’abbigliamento per più di un anno, normalmente, si ha già voglia di buttarlo via e sostituirlo con qualcosa di nuovo, anche se non è concretamente necessario. Almeno per me è così.)

    Per l’oggetto di design invece l’atteggiamento è diverso, più statuario, lo si vuole far sembrare perfetto ed eterno, rendendolo quindi paradossalmente più noioso, difficile da afferrare, e le riviste di design, rispetto a quelle di moda, risultano nel 90% dei casi più “aride”, fredde, e seppur bellissime ci inducono alla distrazione dopo 5 pagine.

    Trovo che cercare di rendere i prodotti di design a loro volta più effimeri e carichi di emotività sia un’ottima strategia per fare emergere un brand dal mercato iper-saturo di oggi, per far risaltare una rivista su un mucchio del tavolino del dentista e renderla davvero interessante. Poi è vero che un mobile non ha la stessa durata vitale di un capo d’abbigliamento, ma penso che nel loro approccio le fotografie di Roversi riescano a trasmettere anche una certa idea di tempo sospeso e la loro emotività supera ogni altro pensiero razionale che ci possa far mettere in discussione La qualità dell’oggetto, aumentandone invece il valore.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   12 Dicembre 2020 at 15:35

      I contenuti che metti in campo sono condivisibili. Mi permetto di segnalarti l’opportunità di rendere più comprensibile le tue argomentazioni. Per esempio la frase “vincere l’attenzione e l’empatia” ha un significato ambiguo. Può significare la loro narcotizzazione. Io credo che tu volessi dire proprio il contrario.
      Ci siamo detti che il primo campo percettivo sul quale lavorare coincide con il vostro assetto come individui. Il modo in cui presentate voi stessi e il vostro lavoro ha una importanza straordinaria. Non dimentichiamolo.

      Rispondi
  25. Jessica Mazzola   13 Dicembre 2020 at 18:29

    “La fotografia è scrittura, è un linguaggio. Le foto sono parole e anche se tutti siamo alfabetizzati, pochi sanno veramente scrivere.”

    Sono parole di Paolo Pellegrin, un fotoreporter che ha collaborato con testate giornalistiche quali Newsweek e New York Times magazine. Ci vuole veramente tanta immaginazione per essere un buon fotografo, bisogna vedere oltre gli schemi. Serve meno immaginazione per fare il designer perché le cose le si può inventare, mentre con la fotografia è tutto molto ordinario e bisogna osservare parecchio prima di imparare a vedere lo straordinario. Ma qual’è il problema? Che non tutti sono abituati a vedere lo straordinario. Mi trovo pienamente d’accordo con lei quando dice “Sfogliare una rivista di design a larga diffusione può essere percettivamente sconcertante: dopo una decina di pagine tutta la perfezione evocata sopra produce l’evaporazione dell’attenzione.” Credo di non essere riuscita neanch’io a sfogliare un’intera rivista di design ma vediamola con gli occhi di una persona qualunque, ci sono tante donne e uomini che nelle sale d’attesa sfogliano riviste impregnate di foto che emulano la perfezione, foto che noi riteniamo noiose, come ha detto lei, ma che loro ritengono belle, di moda e interessanti. Sicuramente le foto di Roversi stimolano sentimenti diversi, magari anche contrastanti, ma siamo sicuri che quelle persone nelle sale d’attesa possano percepire positivamente foto del genere?

    Trovo che sicuramente il lavoro di Roversi con Poliform sia un mix di sentimenti e di emozioni che danno vita a quei prodotti raffigurati, che non sono neanche più prodotti ma opere che vivono di luce propria. Le ombre, le cromie, i bordi sfocati e le texture permettono di percepirli e di sentirli vivi.

    Per quanto riguarda la comunicazione del prodotto, tuttavia, credo non si possa vederla allo stesso modo, le persone non hanno voglia di “perdere tempo”, deve essere tutto veloce e immediato. Un e-commerce, come poi una rivista, deve comunicare i prodotti, sicuramente deve far vivere un’esperienza al “cliente” ma deve anche essere fruita subito quest’esperienza.
    Forse quei mobili in Still Life oppure quelle foto di interni opportunamente arredati, di cui lei parla, sono proprio ciò che arrivano alla gente e perché vedere questa sorta di foto “minimal”, di cui tanto oggi si parla, come un qualcosa di negativo, di freddo e di distacco? E mi raccomando quando dico “minimal” non mi riferisco al Total White. Il bianco non è minimal e raffinato, è basico, é solo bianco, nulla in più.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   15 Dicembre 2020 at 10:34

      Enigmatica Jessica, alcuni tuoi ragionamenti mi hanno dato i crampi mentali. Per esempio scrivi che a un designer serve meno immaginazione di un fotografo, perché inventa le cose.
      A me risulta che per inventare qualcosa serva molta immaginazione!
      Ancora, proprio perché le persone non hanno voglia di perdere tempo è l’argomento che ha convinto gli strateghi d’immagine ad affinare i messaggi, sconfinando dalle proprie abitudini. Perché allora le foto noiose rimangono così diffuse? 1. Cambiare strategia significa aumentare i costi e assumere manager qualificati; 2. Cambiare arredi, passando dall’Ikea al design d’autore,costa di più che cambiare le scarpe o la camicia. Gran parte della gente si adegua forzatamente a vivere in ambienti standardizzati, di bassa qualità e non può permettersi oggetti di design. Perché spendere soldi per persone che non possono restituirli? E allora che problema c’è se gli propino pubblicità che è poco più di propaganda per ritardati mentali! 3. Le aziende di arredi evolute parlano lo stesso linguaggio della moda, se questo è vero allora è utile capire il perché e come.
      Dulcis in fundo, nel mio script non parlo di pubblicità prodotto bensì di strategie di marca. Tattica commerciale e strategia d’immagine implicano modi di pensare a agire molto diversi. In un mondo economico nel quale la sopravvivenza dipende dall’allargamento del mercato la strategia classifica la tattica e non viceversa.
      Per quanto riguarda il minimalismo direi che è quasi scontato fraintendersi. Troppo interferenze soggettive. Sul fatto che il bianco sia percepito come più freddo del rosso c’è poco da dire. Ma io non parlo della semantica dei colori o delle sensazioni private che ciascuno di noi prova. L’idea di fondo è semplice da capire e da misurare: il minimalismo ad oltranza è deprimente, anti emozionale, noioso. Le costanti reazioni al minimalismo che possiamo osservare avanti e indietro nella storia ce lo mostrano a sufficienza. Così come dopo eccessi prolungati diviene irresistibile il fascino della semplicità, del less is more, di forme più minimal, perdinci e poi perbacco!

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      • Jessica   21 Dicembre 2020 at 16:47

        Buonasera, mi ha fatto piacere avere un suo riscontro, ciò che ha scritto mi ha fatta riflettere veramente tanto e sicuramente ci sono vari punti che mi ha elencato sul quale sono pienamente d’accordo.

        Probabilmente il discorso relativo “all’immaginazione” è stato frainteso, quando le scrivo che ad un designer serve meno immaginazione rispetto ad un fotografo mi riferisco al fatto che un designer può creare una qualsiasi cosa, dal nulla, senza limiti e senza troppi paletti, un fotografo invece deve riuscire a trasmettere una sensazione riproducendo un qualcosa di già creato, un qualcosa che già è stato immaginato e prodotto. Ed è per questo che credo che ciò non sia affatto semplice, siamo tutti bravi con l’immaginazione, chi più e chi meno, ma trovo che sia molto più complicato immaginare un qualcosa avendo dei limiti imposti già dalla realtà.

        Per quanto riguarda le immagini noiose sono d’accordo con lei, i tre punti che mi ha esposto raffigurano al meglio l’ideologia della nostra società e i costi sono il problema maggiore.

        Relativamente al concetto di minimalismo invece non trovo che sia deprimente, anti emozionale e noioso ma credo sia semplicemente un modo diverso per vedere o per mostrare un qualsiasi soggetto e che utilizzato al momento giusto possa dare all’immagine un carattere maggiore che valorizzi i suoi punti di forza. E con ciò non nego nulla, magari ad oltranza, come dice lei, mi potrà risultare un qualcosa di monotono e noioso. Soggettivamente parlando, per ora, credo possa essere solamente una tipologia stilistica che fatta nel modo giusto possa dare forma all’immagine.

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        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   21 Dicembre 2020 at 17:05

          Finalmente ho capito cosa vuoi dire quando tiri in ballo l’immaginazione. Penso che tu abbia proposto un argomento intelligente: i limiti (di ogni tipo) esaltano o deprimono l’immaginazione creativa? Molto interessante.
          Sul minimalismo apprezzo la tua auto difesa. Ti ricordo solo che io parlo di minimalismo ad oltranza, parlo di farne una specie di Vangelo inattaccabile pena la blasfemia grafica.

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  26. Federico Battistoni   14 Dicembre 2020 at 16:13

    Paolo roversi è un bravissimo fotografo e fotoreporter italiano, peccato ricostruisca quasi tutte le sue opere in studio, che personalmente non mi intusiasma moltissimo, peró apprezzo il suo modo di trasformare un immagine semplice anche di design, per dargli un atmosfera molto più oscura, tetra, malinconica e ribaltare il significato che diamo al singolo scatto. Sembra come se il soggetto si fondesse con lo sfondo. È come se non volesse lavorare sull’oggetto ma sui colori e le cromie che lo rappresentano.

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    • james   15 Dicembre 2020 at 13:48

      E come si fa ad ottenere gli effetti di luce che Roversi ama en plein air? Non dico sia impossibile soprattutto in post pruduzione, ma di sicuro Roversi non é interessato al realismo fotografico.

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  27. Noemi Nevola   15 Dicembre 2020 at 12:59

    Dopo aver letto questo articolo, mi è rimasta particolarmente in mente la scena in cui lei si trova nello studio dentistico a sfogliare varie riviste… Mi sono trovata svariate volte in questa situazione: sfogliare riviste senza alcuna attenzione per la paura di entrare nella sala del mio dentista. Effettivamente non ho mai provato eccessivo interesse e ho sempre guardato quelle viste per perder tempo.

    Sono d’accordo col fatto che la maggior parte delle immagini perfette non siano sempre interessanti ma spesso noiose… Però non voglio dare per scontato che sia così per tutte… Anzi credo che dietro ogni foto ci sia uno studio o un significato, che poi non sia pben riuscito è un altro conto.
    Creare un’immagine più interessante effettivamente potrebbe rendere l’articolo più interessante, ma comunque potrebbe avere un qualche tipo di problema nell’ambito della funzionalità, per quanto possa essere interessante potrebbe essere non fruibile.
    Le immagini vanno adattate alle esigenze richieste… Per quanto un’immagina possa essere evocativa o emozionale in ambito di design deve essere come già detto “funzionale” agli obiettivi stabiliti.
    Per sfortuna o fortuna in questo ambito lavorativo bisogna comportarsi in questo modo, seguire ciò che viene richiesto.

    Con le foto di Roveresi sicuramente i campi citati vengono toccati profondamente e resi in modo immediato.

    Credo inoltre che sia fondamentale il rapporto tra design e moda, sono strettamente legati e uno dipendente dall’altro.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   17 Dicembre 2020 at 10:25

      Sulla base della mia esperienza posso dire che chi si occupa di strategia, di solito sono manager che applicano i vangeli marketing che hanno imparato, è ben lieto di incontrare interlocutori che mettano in discussione persino le sue pseudo certezze. Di certo però bisogna saper descrivere e motivare i progetti che ci vedono coinvolti. Altrimenti, come sostiene Noemi, non ci resta che eseguire ciò che ci viene richiesto,

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  28. Martina Tinti   25 Dicembre 2020 at 19:46

    L’operato di Roversi è estremamente azzeccato poiché consiste nel prendere un prodotto commerciale, un oggetto, e dargli vita: attraverso la sua fotografia riesce ad attribuire a quell’oggetto inanimato caratteristiche che appartengono alla sfera emotiva dell’uomo. Credo sia un procedimento estremamente importante (anzi, NECESSARIO) nell’ambito della comunicazione pubblicitaria. Osservando le fotografie di Roversi posso percepire sensazioni, emozioni, che vengono attribuite automaticamente al soggetto rappresentato all’interno della fotografia. E quindi mi inducono a creare un legame affettivo con quell’oggetto, si crea un rapporto di empatia che mi istiga all’acquisto. Io compro quell’oggetto perché mi ci rispecchio. Io compro quel vestito perché mi ci identifico. Questo processo creativo effettuato da Roversi credo sia la caratteristica che accomuna gli esperti di diversi settori del design. Come la fotografia può effettuare questo procedimento, la moda lo fa da sempre: lo stilista non crea semplicemente un’idea estetica, ma trasmette con i suoi prodotti, attraverso un processo creativo complesso, un’emozione, un sentimento, una storia, uno stile di vita. Ed è questo che spinge un consumatore a scegliere un determinato prodotto, di una determinata marca.

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  29. Giorgia Baldassari   26 Dicembre 2020 at 10:39

    Io mi trovo pienamente d’accordo con il problema dell’evaporazione dell’attenzione, al giorno d’oggi i tempi di fruizione sono molto brevi e proporre troppi contenuti e sopratutto tutti con la stessa impostazione porta già dalla quinta pagina un senso di noia, ma guardando questi pochi scatti penso che forse per la prima volta riuscirei a finire la rivista. Per scampare a questa noia penso che Polifom abbia fatto davvero un ottima scelta, gli scatti di Roversi sono tra i miei preferiti. Li trovo davvero unici e indescrivibili, sono in grado di rappresentare l’oggetto immergendolo in un’aria di mistero attraverso i splendidi giochi di luce che vanno, non solo a evidenziare l’oggetto ma a creare un’ambientazione che accompagna lo stesso. E guardando solo questi 3 scatti posso dire che si presentano le stesse caratteristiche ma che rendono così particolare l’immagine che non porta facilmente ad un senso di noia.

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  30. Enya   2 Gennaio 2021 at 11:16

    Indiscutibile il talento del maestro Roversi, capace di reinventarsi ogni volta creando un armonia di ombre, luci e scenografie pazzesche e al tempo stesso creare un unione tra antiche tradizioni e sensibilità, in grado cosi da poterci regalare un emozione solo tramite la visione di un oggetto.
    Anche dal punto di vista del marketing questo aspetto è fondamentale, unire un oggetto a un emozione è proprio ciò che più lo rende un potenziale acquisto e inoltre, ciò che lo differenzia da un “non acquisto” perché in fondo è questo da cui siamo attratti, non l’oggetto in se bensì le emozioni che cercano di venderci.
    Ed è proprio questo che può salvarci dal fenomeno della vaporizzazione dell’attenzione, la noia è un sentimento che ci viene scaturito nel momento in cui le emozioni, sensazioni con cui entriamo in relazione sono le stesse che abbiamo già provato e condiviso un infinità di volte, ma nel momento in cui veniamo a contatto con qualcosa di fresco e nuovo aumenta anche la possibilità che la nostra attenzione venga catturata.

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  31. D.TAURO   3 Gennaio 2021 at 17:03

    P. Roversi come sappiamo è un fotografo e fororeporter molto conosciuto sopra tutto per la sua identità nel scattare. Roversi pone molta attenzione nell’utilizzo dell’illuminazione cercando, quasi sempre di ricreare atmosfere malinconiche. Inoltre utilizza spesso il chiaro e scuro e i colori, ma il tutto in modo molto moderato. Insomma Roversi ha una tecnica personale molto determinante. Detto ciò ritengo che sia molto interessante il suo approccio alla fotografia di Design, per il semplice motivo che le persone non comprano prodotti ma semplici emozioni. Dal mio punto di vista personale ritengo che sia un fatto storico che ormai, da anni non esistono più delle grande ‘’invenzioni‘’. Quello che noi consideriamo ‘’invenzioni’’ sono solo un ripetersi di avvenimenti già accaduti, è un continuo ritorno dal passato. Per esempio nella moda, nel design, nel design degli arredi e in tanti altri ambiti. Si ripetono le influenze, ogni anno c’è un nuovo cambiamento. Viviamo in un mondo in costante mutamento e di conseguenza anche i fruitori si sentono in dovere di cambiare, e stare al passo. L’unica cosa che ci differenzia al giorno d’oggi è l’approccio di vendita. In questo periodo storico ci sono tantissimi modi in cui si possono vendere e sponsorizzare dei prodotti. Il quale ritengo che l’eccesivo abuso di pubblicità o di visualizzazione ci possa dare danno, e di conseguenza ci può fare perdere l’interesse. Come già detto le persone sono in costante cerca di emozioni. Per questo motivo condivido la scelta di Polifom che con gli scatti di Roversi è stato in grado di innovare il modo di comunicare ed è stato in grado di catturare la giusta attenzione e interesse di cui il fruitore ha bisogno. Questi scatti personalmente te li ritengo davvero interessanti, sono in grado di trasmettere sensazioni e gli scatti sono coerenti tra di loro presentano le stesse caratteristiche.

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  32. Daniela Panuta   5 Gennaio 2021 at 23:26

    Paolo Roversi, che si definisce “un fotografo poco sofisticato che scatta immagini sofisticate”, è considerato uno dei fotografi di moda contemporanei dotati di maggior talento e dallo stile più personale e riconoscibile.
    Gli elementi della sua arte sono facilmente identificabili: la luce, l’utilizzo dello sfocato e un’attenzione particolare verso il femminile, un approccio quasi spirituale verso la bellezza incarnata dai soggetti ritratti.
    Le immagini di Roversi, le sue fanciulle dall’aspetto infantile ed etereo, incarnano “l’espressione più estrema della grazia e della fragilità”. L’approccio di Roversi alla fotografia è quasi “mistico e non del tutto razionale – ha detto – scattare foto a qualcuno è avere uno scambio intenso, intimo, un tentativo di “catturare la sua anima, la sua personalità”. Roversi attribuisce questa intensità al suo utilizzo delle lunghe esposizioni (da pochi secondi fino a 30 secondi) preferendolo all’utilizzo del flash per catturare le espressioni dei suoi soggetti, tecnica che darebbe più “tempo all’anima di manifestarsi e affiorare allo scoperto”.
    Capace come pochi altri di rendere magici i suoi scatti, Roversi è stato più volte definito un “pittore d’immagini”. Il suo rapporto con il mondo, infatti, non passa attraverso la macchina fotografica, non è un atto di testimonianza, il momento fotografico è per lui uno spazio creativo in cui viene fuori la più estrema espressione della grazie e della bellezza.
    Poliform ha fatto centro scegliendo Roversi, poiché la sua capacità straordinaria fa dimenticare a chi guarda, attraverso l’uso spettacolare di luci e ombre, di non guardare solo un prodotto di design, ma di guardare un sogno, ovvero quella cosa che suscita emozioni e che ci resta dentro, che ci fa sentire partecipi che ci fa desiderare, che ci aiuta a non cadere nella banalità e nella noia.
    Di conseguenza il potenziale cliente si dimenticherà di comprare solo un prodotto, e comprerà un desiderio, un emozione, un sogno che può diventare realtà.
    Le emozioni ci influenzano sempre, determinano le nostre azioni e le nostre decisioni, di conseguenza penso che che nessuno comprerebbe un oggetto da una rivista noiosa senza anima, senza comunicazione, senza EMOZIONE.
    Ed é per questo che Roversi é unico ed inimitabile, poiché da una ventata d’aria fresca a quella comunicazione che da più di un decennio é stata fredda statica e noiosa.

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  33. Anzhelika Komarova   12 Gennaio 2021 at 15:34

    Ritengo che il modo in cui Roversi ha deciso di rappresentare gli oggetti è molto particolare. Questa sfumatura, questo contorno sfumato, questa evanescenza è talmente particolare che si fa fatica a distogliere lo sguardo e ti invoglia di continuare a indagare. Nonostante nella nostra testa abbiamo già l’idea della poltrona perciò creiamo le linee nette già nella nostra mente, non riusciamo a distogliere lo sguardo da questa fotografia.
    Si può affermare che queste fotografie sono quasi l’opposto della pubblicità in cui infatti tutto deve essere perfezionato per attirare gli acquirenti, invece in questo caso questa ‘imperfezione’ (se possiamo chiamare così questa evanescenza/sfumatura) rende unica e catturante l’esperienza di guardare queste poltrone. Perciò ritengo che Roversi è riuscito a usare la luce in modo da riuscire a rappresentare il momento ideale tra l’idea stessa del oggetto e la creazione di quel oggetto. Questa luce e sfumatura ci spingono anche a pensare alle vecchie macchine fotografiche e per scattare avevano bisogno di molto più tempo rispetto ad adesso, perciò secondo me Roversi è riuscito a richiamare questa ‘nostalgia dell’infanzia’, che è il suo motore principale del lavoro, richiamando un po’ quello stile oscurato delle vecchie foto (che è lo stesso stile presente nei suoi ritratti, che ritengo siano molto profondi e particolari).

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  34. Pasqualini Cristiana   17 Marzo 2021 at 17:42

    Mi hanno molto colpito gli scatti di Paolo Roversi e questo fa capire come la sua capacità ha potuto imbattersi nell’emozione di chi osserva. Parliamo di un’ottima capacità di unire all’oggetto quello che è la sensibilità dell’uomo.
    Oggi come oggi questo tipo di marketing è sempre più ricercato e utilizzato per poter arrivare sempre più vicino all’osservatore. Infatti ritengo che quello che possa differenziare un’azienda dall’altra è proprio la potenza della propria comunicazione visiva che va ad intaccare la percezione emotiva dell’osservatore andando così ad influenzare le loro decisioni di acquisto.

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  35. Giorgia Caroni   24 Marzo 2021 at 11:24

    Trovo molto interessante la reciprocità che c’è tra il design e la moda, soprattutto trovo interessante l’impegno che artisti, di settori diversi, impiegano per fondere le loro esperienze e dare vita a nuove dimensioni. In ogni caso, anche se questi due mondi tendono a fondersi, rimangono distanti a livello pratico.

    Leggendo l’articolo ho evoluto una mia considerazione a riguardo; ciò che fa Paolo Roversi consiste nel realizzare foto che aumentino il significato del soggetto fotografato, assegnandoli anche un aspetto più emotivo, più empatico, attraverso l’uso di questa sua dote, ovvero la fotografia.
    Detto questo, è ovvio che per celebrare i 50 anni dell’azienda “Poliform” non ci si può limitare a un volantino come quelli che ci ritroviamo nella buchetta della posta; questo progetto è normale che sia pieno di emozioni, di significati. Inoltre i mobili della Poliform sembrano calarsi perfettamente nella scena, come in una favola e ricordiamo che tutto ciò che è solare e felice, piace.
    Infatti Roversi afferma che il suo intento era proprio quello di catturare l’emozione che LUI prova in quei precisi istanti mentre si trova davanti al soggetto fotografato.
    Secondo me, questo processo, può avvenire in due passaggi che sono fondamentali per la riuscita dell’intento, dell’obbiettivo: il primo passaggio è proprio capire cosa vogliamo trasmettere, schiarire le nostre idee e focalizzarci su ciò che lo spettatore deve provare; il secondo passaggio avviene successivamente alla foto, nel periodo di promozione e pubblicità del prodotto, in modo da catturare l’attenzione del cliente.
    Lo stesso discorso forse vale anche per l’ambito della moda; abbiamo foto che ci portano a farci una nostra idea sui vestiti, ad esempio marche come Prada, Gucci, Yves Saint Laurent vengono raccontati in modo diverso rispetto a marche come Nike, Adidas o Puma.

    In questi anni in cui ho studiato grafica, ho capito che lo sfogliabile deve essere neutro e magari può risultare “palloso” ma questo perché? Perché l’attenzione di chi sta guardando deve cadere su quelle che sono le caratteristiche fisiche del prodotto stesso (misure, materiale, ecc…) che sono cose difficili da notare se le immagini inserite fossero a forte impatto visivo e quindi che distolgono l’attenzione.
    Quindi, facendo un riassunto: le foto “artistiche” di Roversi sono fatte per una determinata occasione speciale e, secondo me, meritano di essere esposte ma tenendo presente che l’obbiettivo di queste foto sono per attirare le persone verso l’azienda dopo aver suscitato emozioni precise. Facendo uno sfogliabile accattivante si mette ovviamente in primo piano il lato più artistico del progetto, ma questo porta in confusione il compratore.
    Il lato artistico è il primo passo per attirare il cliente, ma dopo segue comunque la fase dell’acquisto, nel quale è necessario essere sintetici ma che ci rendono consapevoli di ciò che acquistiamo.

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  36. Claudia Varano   31 Marzo 2021 at 18:19

    In “Time, Light, Space” Paolo Roversi ha interpretato i cinquant’anni di storia di Poliform, con lo scopo principale di valorizzare l’azienda, celebrarla, aumentando così il pregio del prodotto, unendo la produzione industriale all’arte.
    La pubblicazione quindi vuole fare emozionare il cliente, in modo da farlo sentire legato all’azienda. Roversi è indubbiamente riuscito con successo in questa operazione, riuscendo con la sua fotografia a dare vita a un oggetto, un prodotto commerciale, suscitando in chi guarda le sue immagini un legame con l’oggetto, e quindi con il marchio.

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  37. sebastiano baratta   16 Aprile 2021 at 14:49

    Nelle fotografie di roversi possiamo notare che il ritratto dell’oggetto non è esemplare e nemmeno l’ambientazione, Roversi punta più sulla parte emozionale, dal punto di vista oggettivo peggiora la foto del oggetto, la rende meno riconoscibile. D’altro canto vuole sensibilizzare il prodotto provando a renderlo familiare, sensibile, vivo. Ovviamente queste foto funzionano perché sono state fatte per celebrare il 50 anniversario del brand, se Roversi avesse fatto la stessa cosa con la nascita dell’azienda dal mio punto di vista non avrebbe senso. Roversi tramite questi scatti fa rivivere tutti i 50 anni del brand, non sarebbe riuscito a fare lo stesso se avesse scattato le foto in maniera rigida fredda perfetta.

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  38. Giorgia Verdini   16 Aprile 2021 at 14:51

    Inizio col dire che condivido il pensiero espresso riguardo le immagini “standard” usate dalle marche che producono e commercializzano mobili possono essere noiose a lungo andare, ma forse sono anche le migliori per vedere un oggetto in modo superficiale, senza tanti “fronzoli” dietro a persone che non hanno interesse a questi “fronzoli”.
    Nelle immagini di Roveresi per Poliform nascondo emozioni mixando sapientemente luci, ombre e scenografia, una ricerca visiva innovativa sull’immagine. Ricerca che si distacca dallo standard rigido delle normali immagini dei prodotti, non solo per poter vedere il singolo prodotto ma anche un’esperieza.

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  39. Greta Lodi   19 Aprile 2021 at 14:10

    Questa è la storia per immagini di una dimensione dell’abitare diversa dalle altre. Sebbene ci siano stati tentativi di creare una filosofia di interior design, raramente c’è stato uno sforzo per scoprire l’anima di mobili e oggetti. È quello che Paolo Roversi ha cercato di fare con la sua macchina fotografica in queste pagine, dedicate a Poliform, l’azienda italiana che ha trasformato con successo le antiche tradizioni artigianali italiane in mobili contemporanei. Utilizzando quelle che da sempre sono state le sue materie prime – tempo, luce, spazio – Roversi ci conduce in un viaggio fotografico al centro dell’universo Poliform, aiutandoci a rivivere la storia dell’azienda ea catturare l’anima misteriosa e inconfondibile che la compone. superfici e volumi dei suoi oggetti vibrano.
    Il titolo del libro Time, Light, Space cita tempo, luce e spazio, elementi costitutivi sia della fotografia che del design, la ricerca di una sintesi assoluta e di una semplicità radicale che accomunano il lavoro di Paolo Roversi e che guidano la progettualità di Poliform nella sua costante reinvenzione dell’abitare. Non un catalogo, ma una potente narrazione attraverso il linguaggio universale della fotografia, un viaggio all’interno dell’universo Poliform che condensa nelle immagini dei suoi prodotti anni di innovazioni, sfide e incontri, di valori senza tempo come l’amore per il lavoro, il rispetto per la qualità e la dedizione all’eccellenza. Dicono che guardarsi con gli occhi degli altri sia una
    delle cose più difficili. Poliform, dopo 50 anni ha deciso di farlo, raccontando i propri valori
    senza tempo nel linguaggio universale della fotografia.

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  40. Sara B   26 Aprile 2021 at 17:42

    Paolo Roversi è un grandissimo fotografo della storia italiana, che ha interpretato la storia di un’azienda attraverso scatti fotografici.
    La sua grande forza come fotografo è proprio quella di essere unico nel suo genere attraverso l’uso di soggetto, luci e scenografia. Infatti Roversi si serve delle luci per sottrarre, per arrivare alla semplicità, toglie i contorni lasciando che lo spettatore attraverso la sua mente possa ricostruirli. Roversi si occupa di ritrarre oggetti di design e arredo ma di ritrarre anche la loro qualità e l’artigianalità e al contempo esprimere i sentimenti dati, i valori e il lavoro.
    I suoi scatti riescono a rendere vivi i prodotti di Poliform grazie ai giochi di luci-ombre e di scenografie. Poliform grazie a Roversi è riuscito a stimolare attraverso i suoi scatti il desiderio al cliente, riesce a stimolare lo spettatore. Le emozioni influiscono sulle nostre decisioni anche di acquisto e ci imprimono nella memoria fatti, situazioni, prodotti e brand.
    Per questo motivo condivido la scelta di Polifom che con gli scatti di Roversi è stato in grado di innovare il modo di comunicare ed è stato in grado di catturare la giusta attenzione e interesse di cui il fruitore ha bisogno.

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  41. Camilla Zanotti   30 Aprile 2021 at 17:06

    Una grande challenge per Paolo Roversi doversi ritrovare a fotografare arredamento,una challenge che però ha accettato molto volentieri.
    Quello che dice Roversi è che il suo lavoro non può considerarsi incentrato sulla moda ma il suo unico lavoro è togliere la maschera, andare oltre la superficie ed arrivare all’anima che si tratti di una persona, di un albero o di un oggetto.
    E da qui anche il paragone al titolo dell’album per Poliform, ‘Tempo spazio e luce’ sono le coordinate principali che si tratti di fotografia, di moda o di arredamento.
    In un’intervista Roversi dice di trovare nell’arredamento e nella fotografia di moda la stessa ricerca di uno stile, dell’eleganza, la ricerca di novità, di rinnovarsi.
    Si hanno molti paralleli tra questi due campi, da un certo punto di vista indossare un abito è come sedersi su una sedia ed arricchirla con la propria persona.
    Ecco dove sta la grande differenza tra la moda ed il design, la forma del prodotto finale.
    “Tutto il lavoro si fonda sulla ricerca della bellezza che può essere a volte un sorriso, uno sguardo, a volte un oggetto, uno spazio”.

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  42. Marco Caporrino   3 Maggio 2021 at 16:20

    Ammiro molto il lavoro di Paolo Roversi e ho avuto la possibilità di ammirare la sua esposizione “Studio Luce” a Ravenna. Lui non è solito a ritrarre questo ti po di soggetti, ovvero pezzi di design d’arredo, ma comunque si è visto il vero talento che lo distingue dagli altri ed è riuscito a trattare questi soggetti esattamente come fa di solito con i suo modelli, dandogli vita e significato! Con questa pubblicazione vuole fare crescere un’emozione al cliente e a creare un legame tra il prodotto e il cliente. Al giorno questo tipo di marketing è sicuramente di successo e si è visto dal risultato.

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  43. Michele Saracino   24 Agosto 2021 at 11:43

    Essendo un appassionato di moda dagli anni in cui andavo alle scuole medie, conosco molto bene questo tipo d’interezione che vi è tra design e moda.
    Sono convinto che alla fine in ogni settore artistico come può essere il product design o il graphic design ecc.. ci sia sempre un influenza da altri settori/discipline, è un modo per evolvere e creare un qualcosa di nuovo.

    Per quanto riguarda questa vicinanza tra moda e design, negli ultimi anni si è sviluppata molto, ci sono stati brand che dall’abbigliamento si sono catapultati a creare anche oggetti per la casa (es. zara home), oppure semplici oggetti esteticamente affascinanti che insieme al marketing la gente desiderava a tutti i costi (es. custodia airpods luis vuitton, mascherine off white).
    E poi ci sono brand tra i quali Supreme NY, che nella pianificazione dei drop settimanali per la vendita, inseriva ed inserisce tutt’ora anche oggetti di design logati, a volte sono anche prodotti inutili come un mattone logato, un pala ecc..

    A livello d’influenze sono convinto che ci sia una sorta di piramide d’importanza, dove al primo posto troviamo l’arte, che influenza la moda, che poi influenza tutti gli altri settori.
    (l’’arte in primis influenza molteplici discipline).

    Per quanto riguarda Roversi e il suo lavoro non c’è nulla da dire, ha un estetica pazzesca e riesce come nel caso di Poliform, a trasmettere tramite la sua fotografia delle emozioni uniche.
    Con la frase di Roversi: “I miei scatti vogliono catturare l’emozione che provo in un preciso momento davanti al soggetto”, vorrei citare un’altro fotografo molto importante; Platon che dice: “Lo scopo del mio lavoro è fermare un momento, quel momento è quando mi sento il più vicino possibile all’anima del soggetto/oggetto.
    Questo è il vero design, ti fa provare una sensazione di grande potenza e quando succede crei un Icona.”

    Con questa citazione, voglio dire che Roversi nel fotografare i prodtti dell’azienda è riuscito a catturare proprio quel momento, creando degli scatti che sono poi diventati delle Icone dell’immagine.

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  44. Matteo Mazzotti   28 Settembre 2022 at 12:17

    Roversi si serve delle luci per semplificare le sue foto, per renderle immediate agli occhi dello spettatore.
    Riesce a esprimere emozioni anche solo fotografando design di arredo, insieme a Poliform e’ riuscito a coinvolgere il cliente emotivamente influenzandone la memoria verso brand e prodotti.
    Polifom ha fatto la scelta giusta con Roversi, riuscendo a catturare i clienti e ha creare delle icone.

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  45. Noemi Midolo   10 Dicembre 2022 at 12:09

    Come articolo lo trovo molto interessante. Mette in luce alcune problematiche che si riflettono nel nostro quotidiano in particolare quando sfogliamo una rivista. La questione della rivista del design troppo perfetta che stanca è un perfetto punto di partenza. Dopo 5 minuti che la sfogli quelle foto appaiano tutte uguali. Almeno Roversi riesce a distinguersi, garantendo una prospettiva nuova che attira l’attenzione. Però se rimaniamo sul tema riviste anche quelle di alta moda hanno lo stesso effetto. I visi delle modelle sempre inepressive e sempre nelle stesse pose. Forse sbaglio io, forse lo scopo di questo scatti è di farti concentrate sull’abito e nel caso del design sull’oggetto. Penso che a volte si riesca a centrare il punto e altre volte si perda un po’ , come la mia attenzione.
    Magari l’unione di oggetti e vestiti può essere la soluzione che avvicina tutti quanti ma anche qui, penso che si vada in un’unica direzione con un unico vincitore. La moda. Sono quasi sempre gli stilisti a giovarne da queste collaborazioni come Gianni Versace e Giorgio Armani mentre per il caso di Muschino che lo classifichiamo come designer,se lo cerchiamo esce solo la moda. Sembra arrivare alla conclusione che il design non riesca ad emergere dal mondo della moda. Questo credo sia legato alla moda-mania negli ultimi anni che ha monopolizzato quasi tutti i settori nei ruoli di coprotagonisti.
    Un esempio che ho trovato come artista/stilista è Stella McCartney che quest’anno ha usato il suo brand di borse in collaborazione con l’azienda industry Savoir che gli garantiva un set d’arredamento invitante mentre sponsorizza il marchio Cole&Son. Mi sembra più un ricevere che un dare.
    Per questo penso che sia più difficile per un designer entrare nel mondo della moda che viceversa. Il protagonista, per il momento, non è lui ma penso che lo possa diventare se si riuscirà a mostrare una creatività più umana e realista che farà immedesimare nell’ arredamento.

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  46. Ivana Doldi   13 Dicembre 2022 at 22:05

    La collaborazione tra artisti di diverse “fazioni” ma con le stesse intenzioni cioè quelle di suscitare emozioni, attenzioni, analisi di un prodotto, guadagni economici e professionali fa, indubbiamente, generare un impatto sul pubblico non indifferente.Un’altro fotografo, di origine portoghese, Hugo Suissas (l’illusionista del web), diventato famoso per aver stravolto la prospettiva architettonica di famose città nel mondo, merita di essere citato. Quest’ultimo attraverso le sue opere fotografiche generate dallo studio della giusta angolatura ed al magico potere della prospettiva è in grado di trasformare oggetti di uso comune in una vera e propria architettura, catalizzando l’attenzione sul prodotto di riferimento in maniera del tutto originale ed innovativa.

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  47. Tommaso Morandi   14 Dicembre 2022 at 14:16

    Penso che la collaborazione tra artisti di un certo livello, provenienti da diversi ambiti, come il design, la moda, la fotografia, la musica, l’architettura ecc. ecc. , porti sempre a qualcosa di innovativo, di diverso e spesso anche stravagante e ciò, a mio parere, è positivo, trasmette emozioni e sensazioni differenti, dovute al fatto che presentano la visione e la percezione delle cose di due persone creative diverse, ispirate l’una dall’altra.
    Questo è accaduto anche con l’azienda Poliform, che ha affidato le illustrazioni del libro celebrativo dei 50 anni di attività a Roversi, famoso fotografo, che ha realizzato scatti in maniera diversa rispetto al solito.
    Un artista che collabora con più generi è sicuramente Kanye West, noto rapper e produttore discografico, che negli ultimi anni ha collaborato con il mondo del cinema e della moda, principalmente con Adidas, con la quale ha creato la propria linea di sneakers ” Yeezy”, inoltre con Nike, Louis Vuitton, Balenciaga, GAP…

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  48. Alice Massari LABA   14 Dicembre 2022 at 16:38

    Credo che nella società attuale dove gli stili di vita sono estremamente eterogenei e dove oramai non esistono più canoni di bellezza condivisi da tutti sia fondamentale che designers e artisti collaborino al fine di creare prodotti che uniscano la tecnica progettuale dei primi e la capacità di emozionare dei secondi perché sono proprio le emozioni e le sensazioni suscitate dai prodotti a catturare l’attenzione del compratore e a convincerlo all’acquisto.
    A parer mio il compratore deve sentirsi emotivamente coinvolto e rivedere qualcosa di sé, della propria personalità nell’oggetto o nel prodotto che andrà a comprare per essere stimolato ad acquistare.

    Possiamo notare che negli ultimi tempi sono sempre di più le collaborazioni tra artisti (in particolare stilisti) e aziende (in particolare di mobili).
    Oltre all’esempio riportato nell’articolo e cioè la collaborazione tra Publiform e Paolo Roversi che trovo per altro azzeccata ed efficace in quanto ha consentito all’azienda di raccontarsi in maniera più coinvolgente e di discostarsi dalla tradizionale perfezione e precisione dei cataloghi specializzati ne esistono molti altri.
    Fra questi troviamo la collaborazione tra la casa di haute couture Elie Saab e l’azienda di arredo milanese Corporate Brand Maison, il cui designer, Carlo Colombo, è riuscito a realizzare una collezione che combina i valori e lo stile della casa di moda libanese e la funzionalità degli arredi dell’azienda italiana.
    Sono convinta che tale collaborazione si rivelerà particolarmente vantaggiosa per entrambe le aziende infatti se per Elie Saab ha costituito un’occasione per ampliare la propria fetta di mercato proponendo la sua prima collezione di arredamento, l’azienda milanese ha potuto sfruttare la notorietà e la fama del brand di haute couture.
    Credo quindi che queste collaborazioni funzionino e riescano a coinvolgere e stimolare il compratore in quanto si allontanano dal rigore e dalla perfezione e favoriscano invece il fiorire di opinioni, sensazioni ed emozioni nei confronti dei prodotti.

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  49. Martina celli laba   14 Dicembre 2022 at 18:18

    Ho trovato l’articolo sovracitato molto interessante perché riguarda molto il giorno d’oggi gli interessi dei giovani. Ciò che Roversi ha realizzato, rappresenta l’andate oltre gli standard, aiutandosi con il marketing e ciò che riguarda tutto il mondo delle emozioni. Riversi,appunto, lavora sull’impatto emozionale delle sue immagini, che nel tempo diventano simbolo principale de suo stile. Parallelamente però sono d’accordo con “le percezioni,emozioni , passioni interrompono abitudini, giocano con imperfezioni e valorizzano illusioni” perché il design di moda, spesso è vittima delle esigenze di vendita. Facendo delle ricerche correlate appunto a questo argomento, mi sono imbattuta sulla collaborazione di Prada e Jeanne Detallante . Per la collezione Uomo autunno-inverno 2019 Miuccia Prada si è servita della moda per parlare del presente, descrivere la “pesantezza”, la bruttura del mondo, il disagio e la ricerca delle emozioni. E si è ispirata a film horror tra cui Frankenstein, un mostro in cerca di amore e conforto. L’idea si trasferisce in stampe con saette, rose e faccine di creature fantastiche disegnate dall’illustratrice Jeanne Detallante su camicie infilate sulle polo, maglioni con spalline pelose, scarpe tempestate di borchie, cuori stampati per ricordare il desiderio d’amore. Secondo me queste collaborazioni sono molto d’impatto al pubblico e coinvolgenti

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  50. Sinfonia giornale scommessa   14 Dicembre 2022 at 18:39

    Concordo sull’affinità design-moda-fotografia. Il design è una disciplina che unisce la logica all’architettura e la creatività dell’arte. Anche nella moda e nella fotografia è presente l’arte, ciò significa che queste discipline hanno un elemento in comune. Per questo motivo, nel tempo, moda design e fotografia (ma anche altri ambiti) hanno saputo combinarsi e ispirarsi a vicenda, dimostrando grande capacità d’innovazione. L’articolo riporta l’esempio di collaborazione innovativa tra fotografia e design (Poliform e Rovesi). Un altro esempio può essere la collaborazione tra Davide Campari e Fortunato Depero. Campari incaricò l’artista futurista di disegnare la bottiglia monodose per il Campari Soda. Depero si ispiró ad un calice rovesciato e, innamoratosi del rosso del Campari Soda, eliminó l’etichetta dalla bottiglia facendo scrivere tutto il necessario sul tappo e inserendo in rilievo sulla bottiglia il nome Campari.

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  51. Martina Ceccaroli   14 Dicembre 2022 at 21:01

    Concordo pienamente sul concetto inziale di differenziazione da uno stilista di moda ad un Designer degli interni.
    Lo stilista si dedica allo stile inteso come la ricerca di un’etica di bellezza e può perfettamente integrarsi nel mondo dei designer, il sopra citato “design allargato”, uno stilista è in grado di aprire il suo campo visivo e vedere più possibilità di creatività e fantasia sperimentando la realizzazione di oggetti di arredamento che potrebbero benissimo diventare iconici nel mondo del design e aumentare il guadagno e l’espansione dello stesso brand.
    Negli ultimi anni il rapporto fra moda e design è aumentato notevolmente e a mio parere è sicuramente una innovazione più che positiva, ad esempio Louis Vuitton delizia mettendo in mostra “Objet Nomades”, una collezione di oggetti ispirati al viaggio creati in collaborazione con i più grandi designer internazionali.
    Mentre nella collezione “Versace Home” del brand Versace spicca la bellissima sedia “Shadov” con la silhouette della medusa noto simbolo del famoso brand di lusso.
    I fan dello stile “Armani Casa” affollano il nuovo store di corso Venezia 14, quattro piani, sedici vetrine e altrettante finestre, dove lo stilista accoglie la sua home collection al completo.
    Ai designer di interni (eccetto alcuni) probabilmente non interessa sperimentare all’interno del campo della moda e ciò a mio parere è un grande svantaggio e una grande perdita di idee che magari potevano avere successo. Nonostante il lavoro del designer sia quello di dominare i temi degli spazi interni, delle funzionalità, delle intersezioni e molto altro, è sicuramente un peccato non provare ad allargare i propri orizzonti. Anche perché sappiamo bene che un prodotto è composto sia dallo stile che dal design e se dovesse mancare uno dei due probabilmente l’oggetto non funzionerebbe.

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  52. Cristian Serani LABA   15 Dicembre 2022 at 11:07

    Sono dell’idea che la specializzazione in più ambiti sia un vantaggio in tutti gli ambiti, mi vengono in mente le startup che producono ad esempio le protesi meccaniche, persone con una profonda conoscenza in meccanica, elettronica e medicina che sviluppano da sole un nuovo prodotto (e non poco utile), questa cosa può e deve essere applicata anche al mondo del design. Per poter fornire un prodotto a chi lo richiede, essendo il design un’opera d’estetica e funzionalità, è necessario essere muniti di specialisti in vari ambiti in base al lavoro da svolgere, questo quindi include anche l’arte, l’unione tra designer e artisti è un evento che ha rivoluzionato il mercato decorando l’utile e rendendolo più appetibile agli occhi.

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  53. Emma Laba   15 Dicembre 2022 at 11:58

    Ho trovato molto interessante questo articolo. La moda e il design si influenzano una con l’altra, camminano su due linee parallele che permettono loro di andare pari passo, è difficile guardare una senza pensare all’altra. Paolo Roversi è un grande fotografo che tramette emozione ed eleganza, ci rappresenta oggetti di quotidianità e permette di vederli in un modo totalmente diverso da come potremmo vederli in tutti i nostri giorni.
    Le nostre emozioni influiscono nelle nostre decisioni, anche le nostre decisioni di acquisto, per questo saremo più propensi ad acquistare un oggetto se questo suscita in noi emozioni forti, proprio per riuscire a vincere l’attenzione e l’empatia dello spettatore che diventa, un potenziale cliente, in modo immediato.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   17 Dicembre 2022 at 10:04

      Estendo la tua metafora geometrica: …linee parallele che sempre più spesso si intersecano, incurvano lo spazio costringendoci a sperimentare gli effetti di una creatività non euclidea.

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  54. Federica   15 Dicembre 2022 at 12:24

    Sono d’accordo che la maggior parte delle immagini “perfette” siano spesso noiose, però credo che dietro ogni foto ci sia uno studio, un significato, ma che poi non sia di successo è un altro conto. Roversi dà molta attenzione all’illuminazione cercando, quasi sempre, di ricreare atmosfere malinconiche anche utilizzando il chiaro e scuro. Ha sicuramente una tecnica personale molto determinante. C’è da dire anche che queste foto sono fatte per un’occasione speciale e sicuramente meritano di essere esposte ma l’obiettivo di queste ultime è di attirare le persone verso l’azienda dopo aver suscitato emozioni precise.
    Moda e design è un incontro spesso interessante, di creatività affini, altre volte di convenienza. Due nomi illustri che più illustri non si può: Dior chiama, in occasione del Salone del Mobile 2022 a Milano, il designer Philippe Starck, per collaborare e ridisegnare la sedia Medaglione. Nasce così la sedia Miss Dior, una scintillante versione metallica di un’icona dell’arredamento. Il creativo di fama internazionale, celebre per le sue opere visionarie e poetiche, per Dior ha ideato una creazione battezzata Miss Dior, un omaggio alla femminilità, all’incontro tra audacia e grazia, animato da una “passione per il minimo”, ha affinato al massimo la struttura della leggendaria sedia, cercando di ripulirne il più possibile la silhouette

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  55. Yasaman faraji   15 Dicembre 2022 at 13:08

    A mio parere, dovrebbe formarsi una collaborazione amichevole tra designer di moda e mobili perché ognuno di loro fa un lavoro importante e quando saranno insieme avremo un lavoro più coerente e bello.
    Credo che i due membri siano inseparabili

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  56. Tommaso   15 Dicembre 2022 at 13:39

    Parto sottolineando e confermando che solo ora si sta verificando un’intersezione tra moda e design, anche se è evidente la sovrabbondanza e il monopolio della moda rispetto al suo “secondario rivale”. Citando alcuni esempi di alcune collaborazioni di brand e interior designer recenti mi vengono in mente, alla Milano Fashion Week, Louis Vuitton con gli oggetti nomadi (Cosmic Table, sedute di pelle di atelier…) e Fendi con il divano “Welcome” di Chiara Andreatti.
    Concordo nelle varie affermazioni riguardanti la trasformazione degli oggetti poiché ultimamente questi non vengono più visti solo come forme tridimensionali ma bensì come l’unione di queste e sentimenti fatti provocare appositamente per colpire e coinvolgere il consumatore/cliente.
    In seguito mi ricollego all’articolo e al noto Roversi riguardo la nostra percezione delle riviste di moda. Personalmente, non essendo un esperto di moda, mi ritrovo molto nelle parole dell’editore anche se, come già specificato, potrei non essere la persona più adatta per fare certi tipi di commenti e giudicare. Non vedo alcuna emozione e sentimento nelle varie sfilate, forse anche per i/le modelli/e antiespressive, e nelle mostre, e soprattutto non verrà sicuramente stimolata l’attenzione e l’interesse negli oggetti/capi che stanno presentando e promuovendo
    Concludo ricollegandomi alla fusione di oggetti ed emozioni e all’unione di moda e design promuovendo una famosa collaborazione tra Raf Simons e Kvadrat che dal 2014 ormai promuovono ogni anno nuovi tessuti e nuove idee per interni dalla creatività sempre più sfrenata.

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  57. Linda Laba   15 Dicembre 2022 at 21:28

    Condivido l’idea che la maggior parte delle riviste riguardanti moda e design propongano immagini “perfette”, noiose che fanno scemare l’attenzione di chi le sfoglia.
    Nelle foto di Roversi non si vedono solo gli oggetti, ma qualcosa che è meno vicino allo spazio-tempo e più vicino all’origine dell’oggetto stesso.
    Dunque, emerge l’importanza dell’ aspetto percettivo, cioè quello che l’immagine fa scaturire nell’osservatore.
    In tal senso oggetto ed emozioni sono inseparabili, infatti, Roversi nelle sua visione, riesce a rappresentare ed a far emergere ciò che ci lega a quell’oggetto (ricordi, emozioni, memoria, sensazioni). Nelle sue immagini si percepisce quindi un collegamento, un ricordo, un rimando a qualcosa che c’è stato, di soggettivo, di personale.
    Il processo percettivo si dimostra molto più ricco di dati e di “informazioni” rispetto a quello che i soli sensi ci possono comunicare.
    Infatti. è difficile distinguere ciò che vediamo oggettivamente da ciò che sappiamo, che abbiamo dentro di noi come bagaglio emotivo, che deriva dalla nostra percezione che quindi è soggettivo.
    Nonostante ci sia affinità reciproca tra il mondo della moda ed il mondo del design, concordo con l’idea che sia più difficile per un designer entrare a far parte del mondo della moda, piuttosto che il contrario.
    Ciò non significa che il passaggio inverso sia impossibile, come possiamo vedere nel caso di Virigl Abloh, l’architetto che è passato è riuscito a stravolgere il mondo della moda.
    Non avendo mai studiato moda, la sua formazione di architetto lo ha portato a concepire la moda come un esercizio di costruzione e decostruzione. Virgil Abloh, ha rivoluzionato il mondo attuale della moda, è considerato lo stilista per eccellenza dello “Streetwear”.
    Egli considerava lo “Street-wear” come una “Street-culture”, come se fosse una vera e propria comunità, un gruppo di amici.
    Virgil Abloh è il fondatore del brand “Off-White” che promuove anche oggetti di uso comune per l’arredo di una casa.
    Numerose sono le sue collaborazzioni con case di moda come Louis Vuitton, stilisti come Heron Preston, grandi aziende come l’Ikea ed addirittura musicisti come Kanye West.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   17 Dicembre 2022 at 09:57

      Ho letto con crescente interesse il tuo script. Abloh non lo conoscevo e mi hai stimolato ad esplorare ciò che ha creato. E di questo ti ringrazio. Mi hai fatto pensare anche al grande e oggi dimenticato Ferrè. Anche lui era un architetto come formazione e secondo gli opinion leader che chiosavano il suo modo di configurare un look, l’impronta del “costruire/edificare” era assolutamente evidente. Le foto di Roversi ci avvicinano all’origine degli oggetti? Pensiero audace. Però, perché dovrebbero suggerire il passato (l’origine rimanda sempre a un prima) e non a un dopo? Mettere in discussione i contorni chiari delle cose produce solo nostalgie?

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  58. Benedetta S   22 Dicembre 2022 at 11:31

    Sono dell’idea che il rapporto tra moda e design, citato nell’articolo, sia molto interessante. Roversi ha dunque svolto un lavoro eccezionale, in modo da rendere possibile la vendita di emozioni quando si acquista un prodotto. Difatti un catalogo fotografico attira molto il cliente. Inoltre trasmette anche emozioni, poiché il cliente si identifica nell’oggetto che vede attraverso la propria quotidianità, le proprie esperienze e crea un legame.
    Quindi l’estetica, che suscita emozioni, ha un ruolo fondamentale nel design, poiché un prodotto attrae e suscita emozioni positive nel cliente. Pensando a questo punto fondamentale del design, mi è venuto in mente di conseguenza l’industria Apple, che concentrandosi sul dettaglio e l’aspetto esteriore del prodotto, rivoluzionando continuamente e proponendo prodotti nuovi ogni anno. Si può bensì ricollegare automaticamente il logo della mela mangiata ai dispositivi Apple, che si sono evoluti negli anni: nel caso del cellulare, il design è passato dal tasto centrale iconico ad un cellulare tutto schermo; per i pc passiamo dal logo della mela che si illumina ad una touch bar nei modelli più nuovi. Di rilevanza è anche la scelta dei materiali utilizzati, infatti l’uso di colori e i metalli, rispetto alle plastiche, danno il senso di trovarsi davanti ad un dispositivo più sofisticato, funzionale, affidabile, nonostante il design esteriore minimal.

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  59. Matilde Gatti   22 Dicembre 2022 at 13:53

    Fotografie particolari. Questo è uno di quei commenti che le citate riviste di interior design potrebbero fare. Personalmente tutte e 3 le fotografie suscitano una miscela di sensazioni tra cui gelo, eleganza, invulnerabilità, caos ma anche (per quanto riguarda la prima e la terza fotografia) morbidezza dei materiali data dalla seduta e dallo schienale. Come tutti anch’io conservo in casa una rivista di interior design commerciale probabilmente arrivata tramite posta grazie ad abbonamenti del quale nemmeno si sapeva l’esistenza…aprire la prima pagina e trovare “le tendenze”, aprire la seconda e trovare un soggiorno tipicamente bianco o grigio stile industrial ormai è una costante. Insieme a questi elementi si troveranno poi composizioni regolari, perfettamente collocate ed illuminate con oggetti qua e là che rimembrano famiglia o quotidianità e che danno un senso di appartenenza a quel soggiorno, quel bagno o quella cucina.
    Per quanto riguarda la moda vorrei citare l’interior design di Martin Margiela, che si esprime, in onore del Salone del Mobile a Milano, in un modo tutto suo presentando in una riproduzione dell’atelier di interior design della sede parigina dove nascono tutti i progetti per tutti gli eventi, negozi, showroom del brand. La scena che si vede suggerisce un’atmosfera, un’emozione unica e soprattutto non ineccepibile.

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  60. Alyssa T   30 Dicembre 2022 at 13:26

    Come per la maggior parte dei miei colleghi, anche io mi trovo d’accordo con l’osservazione secondo la quale le attuali riviste di alta moda o di design esclusivo propongano e ripropongano ininterrottamente le stesse e ideali immagini. E’ per questa ragione che le foto di Roversi spiccano in tal modo nell’articolo; il fotografo non si limita a proporre un banale scatto dell’oggetto ma va a giocare con la percezione che da questo ne deriva, rendendo così partecipe l’osservatore. Questo accade perchè il processo percettivo riesce ad andare oltre alle semplici “informazioni” che ci derivano dai cinque sensi.

    Certo, spesso moda e design sono come binari che corrono paralleli ma al giorno d’oggi credo non possa esistere più l’uno senza l’altro, questo li porterà inevitabilmente a incontrarsi seppur in maniera sporadica. Di fatto mi sento di dire che non trovo cosi impossibile la situazione per cui un designer possa partecipare attivamente al mondo della moda e viceversa. Primo fra tutti il grande Renzo Piano protagonista della collaborazione con Max Mara, per la quale l’architetto genovese ha realizzato la borsa “Max Mara Whitney Bag design by Renzo Piano Building Workshop”. Come lui, hanno prestato il loro nome alla moda anche gli architetti Fernando Romeo, Michael Young, Rosse Lovegrove, Ben Van Berkel e Zaha Hadid nell’esposizione “Re-Inventing Shoes”, presentata lo scorso aprile a Milano durante il Fuorisalone 2015.
    Questo perchè, come ci amava ripetere Coco Chanel: ‘La moda è come l’architettura, è una questione di proporzioni’.

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  61. Alyssa T   30 Dicembre 2022 at 20:28

    Come per la maggior parte dei miei colleghi, anche io mi trovo amaramente costretta ad ammettere che le attuali riviste di alta moda piuttosto che quelle di design esclusivo propongano e ripropongano senza tregua le solite immagini di cucine e salotti che hanno come unico effetto quello di far velocemente scemare l’attenzione dell’osservatore. E’ per questa ragione che le fotografie di Roversi colpiscono cosi profondamente: con esse entra in gioco l’aspetto percettivo dell’opera rendendo partecipe chi guarda di un’esperienza più intensa di quella che potrebbe banalmente percepire affidandosi ai cinque sensi, entrano in gioco le emozioni.

    Certo, è corretto dire che moda e design viaggino parallelamente, ma ritengo evidente che mai come oggi questo binomio sia stato così potente: le due arti camminano sempre più spesso mano nella mano. Seguendo quindi questa argomentazione non mi risulta difficile immaginare un designer o architetto che si reinventa come stilista e viceversa; primo tra tutti il grande Renzo Piano e il brand “max Mara”. Collaborazione che ha visto come protagonista l’architetto genovese nella realizzazione della borsa “Max Mara Whitney Bag design by Renzo Piano Building Workshop”. Come lui hanno prestato il loro nome alla moda anche gli architetti Fernando Romeo, Michael Young, Rosse Lovegrove, Ben Van Berkel e Zaha Hadid nell’esposizione “Re-Inventing Shoes”, presentata lo scorso aprile a Milano durante il Fuorisalone 2015. Questo perche,come amava ripetere Coco Chanel: ‘La moda è come l’architettura, è una questione di proporzioni’!

    Rispondi
  62. Alyssa T   30 Dicembre 2022 at 20:38

    Come per la maggior parte dei miei colleghi, anche io mi trovo amaramente costretta ad ammettere che le attuali riviste di alta moda piuttosto che quelle di design esclusivo propongano e ripropongano senza tregua le solite immagini di cucine e salotti che hanno come unico effetto quello di far velocemente scemare l’attenzione dell’osservatore. E’ per questa ragione che le fotografie di Roversi colpiscono così profondamente: con esse entra in gioco l’aspetto percettivo dell’opera rendendo partecipe chi guarda di un’esperienza più intensa di quella che potrebbe banalmente percepire affidandosi ai cinque sensi, entrano in gioco le emozioni.
    Certo, è corretto dire che moda e design viaggiano parallelamente, ma ritengo evidente che mai come oggi questo binomio sia stato così potente: le due arti camminano sempre più spesso mano nella mano. Seguendo quindi questa argomentazione non mi risulta difficile immaginare un designer o architetto che si reinventa come stilista e viceversa; primo tra tutti il grande Renzo Piano e il brand “Max Mara”. Collaborazione che ha visto come protagonista l’architetto genovese nella realizzazione della borsa “Max Mara Whitney Bag design by Renzo Piano Building Workshop”. Come lui hanno prestato il loro nome alla moda anche gli architetti Fernando Romeo, Michael Young, Rosse Lovegrove, Ben Van Berkel e Zaha Hadid nell’esposizione “Re-Inventing Shoes”, presentata lo scorso aprile a Milano durante il Fuorisalone 2015. Questo perché, come amava ripetere Coco Chanel: ‘La moda è come l’architettura, è una questione di proporzioni’!

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  63. LT   4 Gennaio 2023 at 15:15

    La creatività è individuabile in tutto dall’economia e dalla finanza fino ai designer dove questa presenza è più tangibile; però è necessario affermare che il termine “creatività” abbia subito un abuso linguistico.

    Partendo dalla sua etimologia sia greca sia latina indica “colui che fa”, si usava creatività per affermare con il linguaggio qualcuno o qualcosa che va formando, creare evocava una crescita e sopratutto un fare generativo.

    Nella società industriale la creatività si sdoppia perché da un lato si interiorizza sempre più nelle passioni del soggetto definito creativo, e dall’altro emergono in modo forte programmi di ricerca che ribaltano la visione romantica, quindi non più dominata dal sentimento, ma da un fenomeno con una spiegazione scientifica come le neuroscienze. Questo pensiero governato dalla razionalità trovo subito uno scontro con post-romantci perche essi sono irritati dalla scienza che interviene su un terreno nel quale troppo sapere compromette la libera espressività.
    Nella cultura aziendale, però, diventa fondamentale l’attenzione per il pensiero creativo come il brainstorming che è considerata una pratica creativa.

    Alla fine poi degli anni cinquanta e sessanta il termine spalanca su tutto ciò che odora di novità, innovazione e mutamento; questo risulta subito un problema, come afferma nel suo libro Stefano Bartezzaghi, perché non solo l’uso disinvolto della parola appare come una difficoltà, ma anche il tentativo di comprimerla in una definizione.

    Bisogna anche chiarire che lo scambio tra moda e design, che oggi è scontato, in passato non lo era affatto perché i designer credevano che la moda fosse troppo effimera. La svolta decisiva fu quando da moda si passò a uno “stile di vita” catalizzatore delle responsabilità estetiche di tutti i designer, erano tutti stili differenti ma nel fondo tutte rimandano ad esperienze, percezioni ed emozioni; infatti avere stile significa avere, con il proprio gruppo, un’etica di bellezza con un certo ordine.
    Oggi l’oggetto, ciò che crea la moda, deve trasformarsi in un evento, immagini o storie, per questo l’industria degli arredi tende a seguire le tracce della moda, e il design che fa differenza difficilmente è arrivato dietro a foro-funzione, ma trasuda di idee ed emozioni; un esempio e quello della collaborazione di Paolo Roversi e poliform. Si parla di un fotografo che ha realizzato un libro su commissione dell’azienda vista dalla prospettiva dei prodotti realizzati, ed è raro vedere rivista specializzate capaci di farci vedere le emozioni che Roversi riesce a far emergere. Normalmente le riviste mostrano esemplati perfetti, ma “la perfezione può essere boring”, per questo motivo oggi si parla di narrazione perché ogni scatto suscita interpretazioni che possono planare su territori semantici assai diversi, se invece è presente un minimalismo eccessivo non produce passione quindi inibisce la percezione di emozioni, limitando l’esperienza.

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  64. Rosa   4 Gennaio 2023 at 17:52

    La meraviglia di Roversi è quella di riuscire a suscitare tante emozioni e soprattutto sensazioni. Le sue fotografie a parer mio sono , nella loro semplicità , suggestive affascinanti ed eleganti.

    Per quanto riguarda moda e design al giorno d’oggi seguono esattamente la stessa andatura. Entrambe si uniscono ai fini di creare qualcosa di stupefacente. Infatti tanti grandi architetti si sono poi rivelati grandi stilisti.
    Porto l’esempio di Romeo Gigli che anche lui, come Gianfranco Ferrè, ha conseguito la laurea in Architettura ma la passione per la moda, tuttavia, non lo abbandona, e così Gigli decide di intraprendere numerosi viaggi “in compagnia” di abiti e gioielli provenienti dai posti che aveva visitato. Proprio in uno dei suoi viaggi, a New York, inizierà la sua carriera nel settore abbigliamento.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   5 Gennaio 2023 at 08:49

      Sono quasi certo che Gigli da giovane si iscrisse ad architetture; ma non sono sicuro che si sia laureato. Comunque quando decise di creare abiti, le sue forme demolirono il pattern formale “architettonico” a quel tempo dominante, per seguire il fascino poetico di una silhouette romantica.

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  65. laura rontini LABA   4 Gennaio 2023 at 22:47

    Questo articolo è molto interessante perché parla di temi affini ai giorni d’oggi che a parer mio interessano molto anche ai giovani.
    Penso che la collaborazione di creativi provenienti da diversi settori sia una cosa geniale e positiva perché permette di sviluppare idee diverse dal solito, che potrebbero dar vita a qualcosa di funzionale e innovativo in quanto presentano l’unione di due o più artisti di ambiti differenti che cooperano tra loro.
    Condivido l’idea che spesso sfogliare una rivista di moda/design contenenti le solite immagini “perfette” e “immacolate” possa risultare troppo scontato e quindi noioso agli occhi dell’osservatore.
    Al contrario, il grande fotografo Paolo Roversi con i suoi scatti derealizza lo spazio/tempo della percezione dell’oggetto con l’obbiettivo di trasformare un semplice scatto fotografico in qualcosa di più, ovvero trasformarlo in qualcosa che è in grado di trasportarci all’interno dello scatto stesso e di farci provare delle emozioni alla vista di tale. Nelle sue fotografie infatti emerge l’importanza dell’aspetto percettivo, oggetto ed emozioni diventano una cosa sola e ogni sua creazione implica un atto di amore.
    Il processo percettivo si dimostra molto più efficace rispetto a quello che ci può comunicare la sola percezione sensoriale. Talvolta, infatti, è difficile dare un parere oggettivo senza tener conto del proprio bagaglio emotivo. Sappiamo che le nostre emozioni influiscono e sempre influenzeranno sulle nostre decisioni, sulle nostre azioni e anche sulle nostre scelte di acquisto; ed è proprio su questo che punta Roversi. Attirando l’attenzione, suscitando emozioni forti e creando un’empatia con lo spettatore lo fa diventare un potenziale cliente, ovvero un potenziale compratore.
    Facendo delle ricerche sul web su questo argomento mi sono imbattuta sulla collaborazione tra il colosso del design svedese e il brand di moda di Virgil Abloh, collaborazione composta da un design classico e minimale e da dettagli artistici che creano un dna perfetto di ikea x Off-White. Il gruppo svedese decide di collaborare col direttore creativo del marchio di streetwear di lusso (e direttore artistico della linea Louis Vuitton uomo) per creare una linea di mobili e arredamenti unici e innovativi aggiungendo una qualità artistica a oggetti di tutti i giorni. La linea esposta consiste in tappeti, borse, fodere, orologi, quadri, sedie, vetrine, specchi, tavoli, set di attrezzi e divanetti. Il tutto è pensato per una casa abitata da millennials, con lo stile minimale e concettuale del neo direttore artistico di Louis Vuitton.
    In questa collezione, la funzionalità si fonde con l’arte.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   5 Gennaio 2023 at 08:43

      L’esempio dell’Ikea è calzante. Segue le tracce lasciate da H&M, grande brand del Low cost che anni or sono lanciò una capsule collection firmata Lagerfeld (direttore creativo di Chanel). Da quei giorni questa strategia marketing ha avuto tantissime repliche. Voglio dire che le motivazioni di fondo non sono certo artistiche.

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  66. A.M. Laba   5 Gennaio 2023 at 12:58

    Tutto quello che ci circonda è arte, ma anche noi stessi lo siamo.
    Penso che arte, design, moda, fotografia e altro ancora si intrecciano tra loro creando nuove cose straordinarie.
    Penso che chiunque voglia lavorare, interessarsi di più in questi mondi bellissimi, debba far esprimere emozioni, sentimenti, sia belli che brutti, a tutti coloro che lo vedono.

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  67. Michela Naldi LABA   9 Gennaio 2023 at 16:40

    Così come affermato nell’articolo, anche io credo che le riviste di moda o soprattutto di interior design, ultimamente, siano un po’ “monotone”, ovvero che nello sfogliare una di queste riviste le nuove emozioni percettive provate nel guardare le foto sono quasi nulle, non percepiscono nuovi stimoli.
    Si cerca di rispettare canoni e regole di bellezza che a lungo andare rendono l’oggetto osservato noioso, e questo fa perdere l’attenzione.

    Molto interessanti invece sono le foto di Paolo Roversi; osservando i suoi scatti sento nuovi stimoli, che al contrario sento mancare nelle riviste classiche. Il fotografo trasmette emozioni e ricordi attraverso le sue foto, sembrano quasi vive, come se nel farsi osservare volessero trasmettere qualcosa, e non soltanto nell’ambito della moda, anche nei ritratti, i quali grazie al gioco della luce e dell’ombra, ma soprattutto grazie all’intensità che il volto emana, sembrano quasi raccontare una storia.

    Oltre a Roversi, anche Gianfranco Ferré amava creare un qualcosa di vivo, un qualcosa che al solo guardarlo ti scaturisse qualcosa dentro e lo possiamo capire anche da una sua citazione: “un abito è sensualità quando si muove legato al corpo. È ostentazione quando ti copre e ti abbaglia. È rumore, fruscìo. Un abito silenzioso è un abito nullo, inutile.”
    Ferré era un architetto che sin da giovane si interessava alla moda e alla gioielleria, tanto che fece il suo ingresso in questo ambito tramite la creazione di accessori; una delle sue piú grandi creazioni erano le camicie, lui credeva che ognuno sapesse interpretare a modo suo questo indumento rendendolo un’essenza unica e irripetibile.

    Attraverso questo piccolo paragone vorrei evidenziare quanto sia importante nel design non replicare soltanto il bello, ma creare e progettare qualcosa di profondo e intenso.

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  68. giamperoli martina   12 Gennaio 2023 at 11:05

    penso che la collaborazione di artisti provenienti da diversi settori come moda, musica, architettura, design, a un certo punto diventi inevitabile per non cadere nel monotono nel corso della loro carriera. si tratta di una situazione anche molto interessante da affrontare, sottolineando come campi così diversi possano alla fine intrecciarsi così bene. un esempio chiaro di questo tipo di contesto può essere benissimo: Virgil Abloh. laureato in ingegneria civile e successivamente ottenuto il master in architettura, questo grande artista cambia completamente campo entrando poi nella moda internazionale grazie a uno stage svolto presso Fendi nel 2009. Nonostante questo bisogna mettere in evidenza che la sua carriera, nata con la fondazione di Off White, ebbe una grande spinta di ispirazione grazie alla musica, in particolare grazie all’amicizia e alla collaborazione con Kanye West. non credo sia quindi necessario aggiungere altro al riguardo per sostenere la mia idea, unire i vari campi artistici crea innovazione, modernità, bellezza…
    riprendo quindi l’idea di Virgil Abloh per cui “tra queste discipline non esistono confini”…

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  69. Annalisa Balsamini   18 Gennaio 2023 at 12:15

    Un articolo davvero interessante, vi sono diversi aspetti che hanno catturato la mia attenzione, sui quali avevo anche già una mia idea.
    In particolar modo con il problema dell’evaporazione dell’attenzione, sarà perché l’anno scorso al liceo ho proprio studiato questo aspetto, o anche perché mi sono ritrovata nell’esempio fatto, ovvero di essere nella sala d’attesa e sfogliare riviste senza avere particolare interesse. In realtà è già difficile a prescindere trovare al giorno d’oggi informazioni utili. Mi è ritornato in mente “ il corriere della sera” che aveva messo in prima pagina la separazione di Ilary Blasi e Francesco Totti… ho poi notato che in alto a sinistra messo in piccolino vari aggiornamenti sulla guerra in Ucraina. So che non è un esempio prettamente pertinente per quanto detto sul suo articolo, ma volevo proprio sottolineare quanto le persone siano diventate superficiali a volte. Ma non mi ero nemmeno sorpresa , purtroppo in pochi hanno ancora voglia di leggere contenuti non “noiosi” che richiedano un minimo di attenzione e attivazione del pensiero critico.
    Ma alla fine quello che noi vediamo non è altro che il risultato e la ricerca fatta dalle varie compagnie. Ovvero le aziende sanno quali siano i loro acquirenti.
    Fatta questa parentesi, trovo che il lavoro svolto da Roversi sia congeniale. Oltre alle fotografie insolite e innovative, si denota uno studio vero e proprio di marketing differente, solitamente quando sia parla di arredi/vendita di oggetti trovo siano spesso ripetitive, solite foto, soliti motivi per cui dovresti avere quella determinata cosa.
    Un esempio che posso fare, che porrei sullo stesso piano è lo studio Milo di Arianna Crosetta e Federica Gosio, architetto la prima e interior designer la seconda. Si dividono tra Milano e Londra (da cui, appunto, il nome dello studio) e – per amor di binomi e duetti – portano avanti parallelamente sia progetti architettonici residenziali sia fruttuose collaborazioni con brand prestigiosi, come Fratelli Rossetti, Manerba, Valdama, ecc..
    Le foto presentate ( dei loro progetti) sono davvero incantevoli, prorponendo dei materiali innovativi, oppure tradizionali ma con accostamenti inusuali.

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  70. Nicola Emiliani   18 Gennaio 2023 at 17:49

    Ritengo l’articolo molto attuale in quanto oggigiorno trovo la linea che divide il mondo della moda e quello del design sempre più sottile. Vi è sempre più influenza trai due mondi, nonostante, come citato nell’articolo, una volta questo rapporto fosse tutt’altro che scontato. Ad oggi si possono vedere abiti ispirati ad opere architettoniche, come per esempio l’abito di qualche anno fa creato da Balenciaga ispirato al Guggenheim, o la stravagante sfilata realizzata da Virgil Abloh alla guida di Louis Vuitton, dove il creativo ha realizzato abiti più che unici ricreando uno skyline addosso al modello o ancor di più un abito con importanti opere architettoniche tra cui la Tour Eiffel. Da abiti come questi possiamo notare senza difficoltà che la sua carriera ha proprio inizio con il mondo architettonico.
    Ma sono state realizzate anche collaborazione che ritengo pertinenti citare dove è la casa di moda a decorare oggetti di design, un esempio è la collaborazione tra Rosenthal e Versace. In questo caso il brand italiano ha potuto esprimere se stesso realizzando piatti, bicchieri, tazzine e molte altre cose, o la famosa collaborazione tra ikea e off white dove sono state realizzati tappeti, specchi, sedie e altri oggetti mantenendo lo stile tipico di ikea ma fondendolo i caratteri che contraddistinguono off white.

    Durante la lettura dell’articolo ho poi ritenuto molto pertinente l’esempio di Proust con le madelene, le foto di Roversi infatti nascondono al loro interno un senso di nostalgia, e legame con il passato non indifferente che fanno scaturire nell’osservatore emozioni.

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  71. Asia Borio   10 Febbraio 2023 at 17:15

    Coglie subito la mia attenzione un punto comune di queste due discipline prese in considerazione che sono la moda ed il design: riuscire ad esprimere l’essenza di se stessi. Spesso vengono anche utilizzate in un tentativo quasi di fuga dall’ambiente in cui ci si trova, troviamo sicuramente differenze evidenti e basilari tra questi due mondi, ma secondo un certo contesto vengono e verranno spesso considerati affini.
    In un arte come quella della fotografia, se si ha talento e lo si sa esprimere come Paolo Roversi, si può essere in grado di stimolare molte e differenti pulsazioni energetiche, che ovviamente varieranno di persona in persona ed è per questo che mi sento di dire che la penso diversamente riguardo a quelle “effimere” riviste magari lasciate nelle sale di aspetto di dentisti uffici, che sicuramente non saranno sempre stimolanti e interessanti, ma almeno giocano sull’attenzione ad essi dedicata e quindi sullo scorrere del tempo che si sta attendendo e trascorrendo.
    Di per sé la fotografia può rappresentare un’infinità di concetti, può raffigurare epoche storiche, e chi ne sa padroneggiare bene la materia come Roversi, trova il potere di fermare un momento, imprimerlo con i colori sulla carta, e nel tempo fare sì che chiunque veda questa immagine possa percepire il messaggio e le sensazioni da esso emanate; nel confronto con il concetto della “Madeleine” di Proust, trovo che sia un collegamento calzante, data l’affinità comune nel dare importanza ad un certo ISTANTE.
    Quanto a questi spiriti animali del design credo di non aver ben appreso il concetto primario, però mi sembra di aver appreso la critica sulla correlazione tra bellezza e funzionalità che spesso nei parametri del design pecca e sfocia in un’utilità.
    Certo quella di Roversi è un arte che molto
    spesso può ingannare, sia nella moda che nel design, perché è capace di enfatizzare qualsiasi sensazione che poi si andrà a percepire e creerà immediatamente un ottica totalmente diversa, ma è proprio per questo che l’uomo utilizza la fotografia come una forma di espressione, cosa impossibile da sottovalutare.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   18 Febbraio 2023 at 00:42

      Mah! sei propri sicura che il design è la moda che scegliamo denoti la nostra essenza? Sei hai ragione tu, io sono proprio ridotto male dal momento che a me piacerebbe riempirmi la casa con mobili di quel fuori di testa di Pesce; e mi vesto a volte come un disadattato, altre come un dandy di provincia, nel il week end gironzolo un atleta in pensione.
      Io l’essenza di qualcosa o di qualcuno non l’ho mai vista. Sospetto che non esisti nessuna essenza.
      La tua idea che l’arte quando ci intriga, ci doni pulsioni energetiche è interessante.

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  72. Weronika Andretta   15 Febbraio 2023 at 17:01

    “Comunque oggi, in un modo o nell’altro, tra chi si occupa di arredamento e chi crea abiti, esistono certamente affinità di campo, solide almeno quanto rilevanti risultano le differenze.”
    Il Fashion Designer è coinvolto nel processo di creazione di una collezione di abiti o di accessori, sia nell’alta moda che nel retail. Il fashion designer ha anche il compito di decidere le linea guida di una collezione, in accordo con le ultime tendenze e le direttive del direttore artistico. In accordo con queste, dovrà scegliere i tessuti, innovativi e trendy, che andranno a comporre i pezzi del brand per cui lavora. Il designer, è una figura professionale che si occupa della progettazione di moltissimi tipi di artefatti. Questa figura professionale non progetta solamente degli oggetti esteticamente belli e originali, ma considera tutti gli aspetti tecnici dei materiali che compongono un prodotto, tenendo sempre presente i bisogni dei futuri consumatori.
    Quando il mondo della moda incontra quello del design e dell’architettura: le location e le scenografie più belle delle sfilate sono più belle, le tendenze, i consigli per lo shopping, i progetti speciali, le capsule collection, gli occhiali e gli accessori, i negozi e i pop up store più interessanti e le storie dei grandi stilisti più intriganti.

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  73. Pekins Omorodion Laba   17 Febbraio 2023 at 23:48

    L’argomento trattato dall’articolo espone una realtà più vicina di quanto si pensi realmente, ciò che divide moda e il design è il nome assegnatogli, la distinzione sta in piccoli dettagli e leggermente nel modo di comunicare del designer e dello stilista.

    Spesso sfogliando riviste di design di interni o di prodotti ciò che passa per l testa di molti osservatori è “…” esatto, niente, non vi è comunicazione o percezione di alcun tipo, solo oggetti inanimati privi di linguaggio, non dico che siano brutti, molti sono pezzi stupendi che al di fuori della presentazione sono perfetti, ma a volte manca un chiave di lettura differente, che ci mostri l’oggetto non solo per quello che è, ma anche per quello che vuole trasmettere, per quello che può diventare cambiando quindi la percezione che abbiamo di quello strumento. Queste nuove chiavi lettura vengono proposteci da altre figure, altri artisti, fotografi, stilisti, musicisti, pittori etc…
    Un esempio come quello di Paolo Roversi è quello di Marco Tortaro fotografo che presta il suo servizio per realizzare stupende foto interni dando un’altra chiave di lettura agli interni, egli ha collaborato con enti come : ITLAS, Alta Cucine, Giuseppe Tortato Architetti, Zanini Mobili e molti altri. “Lavorare come fotografo d’interni e di arredamento significa raccontare trend, stili e modi di abitare all’interno di un servizio fotografico.” cit. Marco Tortato.
    Un altro esempio è Ikea che lancia sul mercato OBEGRÄNSAD, linea di mobili e complementi ideata a quattro mani con il team di Swedish House Mafia. L’industria discografica, questa volta, il colosso svedese risponde alle esigenze delle persone che amano fare musica: “La collezione è stata creata per chiunque voglia avere la possibilità di esprimere la propria creatività in casa, in particolare i musicisti”, spiega il supergruppo fondato nel 2009 da tre DJ producer, Axwell, Steve Angello e Sebastian Ingrosso. Nata dalla matita di Friso Wiersma, la serie conta una robusta scrivania, cuore pulsante della postazione, uno scaffale perfetto per ospitare degli amplificatori, una poltroncina dai profili minimalisti e, ancora, lampade, borse e tappeti. Fiore all’occhiello, un modernissimo giradischi.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   18 Febbraio 2023 at 00:22

      Esempi interessanti che hai inserito con pertinenza.

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  74. federico balboni   21 Febbraio 2023 at 15:17

    Trovo le fotografie di Paolo Roversi molto suggestive, le immagini un po’ sfocate riescono a trasmettere questo senso di movimento dell’oggetto e quindi come se fosse vivo, sono d’accordo con ciò che c’è scritto nell’articolo, ovvero che Paolo Roversi vuole cercare di trasmettere l’emozione che prova quando sta davanti all’oggetto, e poi sta a chi legge la rivista cercare di interpretare i suoi scatti in base al suo punto di vista, sono d’accordo anche sul fatto che oggi le immagini usate sono perfette, e che anche grazie a questo si crei una disconnessione con ciò che si sta guardando, però penso anche che questa sia l’evoluzione delle foto e che la disattenzione non è causata principalmente da come sono le foto ma da come sono diventate le persone, ovvero che hanno abbassato la loro soglia dell’attenzione per qualsiasi cosa.
    Penso anche che la vicinanza tra moda e design sia un bene e che possa fare nascere qualcosa di geniale e innovativo, per citare un esempio Prada nel 2019 ha invitato una serie di designer e architetti, esperti del settore come Cini boeri, Eizabeth Diller e Kazuyo Sejima a progettare prodotti unici in nylon per la collezione Primavera/Estate.

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  75. Rebecca Ferri   28 Febbraio 2023 at 15:09

    Trovo questo articolo molto interessante. Concordo che ci sia affinità tra design, moda e fotografia. A mio parere queste discipline hanno un elemento che le accomuna, l’arte. Al giorno d’oggi si possono vedere abbigliamenti influenzati da opere architettoniche come ad esempio l’Hearst Building di New York realizzato da Sir Norman Foster e caratterizzato dalle facce di vetro composte da sagome dalla forma rombica ha ispirato Gareth Pugh nelle sue collezioni e Dolce&Gabbana che ha realizzato degli abiti con pietre colorate minuziosamente applicate al fine di riprodurre il gioco di colori della cattedrale di Reims.

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  76. Atena Tomasetti   28 Febbraio 2023 at 16:12

    Il libro “Time, light, space” si rivela essere quanto di più lontano da un catalogo, è piuttosto un vero e proprio viaggio all’interno dell’universo di Poliform che condensa nelle immagini delle sue creazioni anni di innovazioni, sfide e incontri.
    Paolo Roversi con questi scatti trasmette tutta la storia di Poliform mantenendo la sua profondità.

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  77. Manila P   7 Marzo 2023 at 22:09

    Per quanto riguarda Roversi, penso che con le sue fotografie ha fatto un lavoro eccezionale, soprattutto per quanto riguarda molti degli scatti fatti per la rivista Vogue. Con dei semplici scatti riesce a suscitare tantissime emozioni, cosa che non tutti i fotografi riescono a fare, non a caso è uno dei fotografi di moda migliori degli ultimi anni.

    Trovo affascinante come design e moda siano due mondi così affini eppure così distanti, ma che se uniti insieme creano dei veri e propri capolavori.
    Sicuramente il primo esempio di una maison di moda che è riuscita a affermarsi anche nel mondo degli interni è sicuramente Versace, seguito da Armani. Questi due colossi della moda sono forse due dei pochi a fare dei veri e propri mobili, ma se si pensa anche a Gucci, Louis Vuitton e altre case di alta moda, non producono mobili, ma hanno creato dei pezzi di arredo come tappeti, piatti… veramente dal design unico e spettacolare.
    Negli ultimi anni è quasi più scontato vedere designer che collaborano con case di moda creando dei veri e propri capolavori e io sono particolarmente fan di queste collaborazioni.
    Uno di quelli che salta subito alla mente è sicuro Ikea, che negli ultimi anni ha creato dei pezzi meravigliosi nati con collaborazioni con Off-White e Patagonia.
    Altre collaborazioni che mi vengono in mente sono Tiffany x Daniel Arsham, oppure le innumerevoli collaborazioni di Kaws come ad esempio con Uniqlo o Dior.

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  78. Elisa B LABA   10 Marzo 2023 at 11:13

    Per cinque anni ho studiato e praticato grafica pubblicitaria presso un istituto superiore professionale, e di quegli studi ho fatto del pane e della conoscenza che ad oggi, spesso mi consente di avere una visione critica e consapevole su tematiche legate alla pubblicità, tra cui fotografie, locandine, loghi e quant’altro.
    Le fotografie di Roversi mi hanno colpita, perché a differenza di ciò che oramai siamo abituati a vedere nelle riviste di arredamenti, dalle sue opere si percepisce l’intento non solo di mostrare, ma di comunicare. Le sue fotografie sono ricche di sentimento e il contrasto luce e ombra è lo specchio di quanto appena detto, infatti l’importanza di esse in una fotografia è innegabile e con una luce diversa e delle ombre diverse, tutto cambia all’occhio dello spettatore.
    Roversi ha saputo interpretare i cinquant’anni di storia di Poliform, l’azienda italiana che ha trasportato nella modernità l’antica tradizione artigianale della Brianza. Egli si distingue grazie alla sua abilità di rappresentare la realtà con occhi diversi, non solo per i soggetti da lui utilizzati ma anche per luce e spazio che con la loro importanza, danno nome al volume. Roversi è un rivoluzionario, perché alle emozioni vengono accostati oggetti di design. Ciò provoca ciò che in tecniche della comunicazione chiamiamo ‘bisogni latenti’, ovvero quei desideri che riguardano, in questo caso, componenti d’arredo che non sapevamo di volere finché non lo vediamo con i nostri occhi tramite la lente della macchina fotografica di qualcuno, e se lo scatto sarà di Roversi, oltre a questi bisogni latenti si sveglieranno nel consumatore anche dei sentimenti, che legherà al prodotto anche emotivamente. Guardando le sue fotografie, ho percepito che egli cerca di persuadere la mente di chi guarda in modo innovativo, comunicando con il consumatore e permettendogli di percepire come quell’oggetto si adatterebbe al nostro stile di vita quotidiano.

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  79. Alanis C. LABA   10 Marzo 2023 at 19:31

    Concordo sull’affinità design-moda-fotografia. Il design è una disciplina che unisce la logica all’architettura e la creatività dell’arte. Anche nella moda e nella fotografia è presente l’arte, ciò significa che queste discipline hanno un elemento in comune. Per questo motivo, nel tempo, moda design e fotografia (ma anche altri ambiti) hanno saputo combinarsi e ispirarsi a vicenda, dimostrando grande capacità d’innovazione. L’articolo riporta l’esempio di collaborazione innovativa tra fotografia e design (Poliform e Rovesi). Un altro esempio può essere la collaborazione tra Davide Campari e Fortunato Depero. Campari incaricò l’artista futurista di disegnare la bottiglia monodose per il Campari Soda. Depero si ispiró ad un calice rovesciato e, innamoratosi del rosso del Campari Soda, eliminó l’etichetta dalla bottiglia facendo scrivere tutto il necessario sul tappo e inserendo in rilievo sulla bottiglia il nome Campari.

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  80. Valentina Spadoni   2 Aprile 2023 at 20:28

    Poliform ha fatto centro. La scelta di celebrare i 50 anni dell’azienda attraverso un lavoro in collaborazione con Paolo Roversi ha fatto sì che da un volume fotografico non emergessero solo semplici prodotti di design, ma una vera storia.
    Roversi è stato in grado di fare di ogni fotografia un ritratto. Il soggetto viene sottratto da quello che lo circonda, tolta la maschera ed estratta l’anima, per rivelare qualcosa di più intenso ed emozionante capace di catturare l’attenzione senza l’utilizzo delle parole.

    Riguardo alla collaborazione tra artisti di diversi settori artistici ho una mia idea ben precisa: trovo che, oltre ad essere inevitabile, sia estremamente positiva e in grado raccontare molto di più, cancellando i confini e annullando i limiti, lasciando spazio al massimo delle innovazioni. Collaborazione è condivisione, è conoscenza, è confronto, ma soprattutto è crescita.

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  81. Aurora C. LABA   17 Aprile 2023 at 15:32

    Concordo su molte cose presenti in questo articolo; come il collegamento al design, moda e fotografia. Penso che molti prodotti che sia un capo, una rivista o una poltrona sono sulla tessa lunghezza d’onda. Al giorno d’oggi molte persone seguono la massa che sia per lo stile nei vestiti sia sull’arredamento di una casa come anche nello stile di vita; un esempio banale l’alimentazione, durante la quarantena tutti si mangiavano il porridge perchè una ragazza è diventata virale sui social cucinando il porridge. Questo per dire che molte persone seguono la massa non importa ciò che ti piace ma importa quello che ti porta a qualcosa che sia fama che siano soldi. Inoltre dell’articolo mi ha colpito lo studio di T. Lipps mi rivedo parecchio in quel che ha detto come penso moltissime altre persone. Per quanto riguarda la collaborazione che ha fatto Roversi, io non ho mai studiato fotografia, ma mi hanno molto colpito le foto, soprattutto i colori scuri, le sfumature e i pinti luce dati dal bianco, danno un senso di tristezza e malinconia come possiamo rivedere nella madeleine di Proust.

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  82. Alessia P. LABA   18 Giugno 2023 at 12:17

    Roversi è un grandissimo fotografo. Ha saputo interpretare i cinquant’anni di storia di Poliform, l’azienda italiana che ha saputo trasportare nella modernità l’antica tradizione artigianale della Brianza. Questo grande fotografo si differenzia per il fatto che riesce a rappresentare la realtà con occhi diversi, non solo per i soggetti da lui utilizzati ma anche per luce e spazio che assumono particolare importanza e tanto da dare nome al volume.

    Questo grande fotografo con i suoi scatti è alla continua ricerca dell’emozione e della suggestione per regalarci una sorta di mix magico.
    Riguardo alla comunicazione del prodotto, tuttavia, credo ci sia una continua evoluzione che va oltre il ‘paradigma fotografico standard’.

    A mio avviso Roversi, attraverso la sua fotografia, cerca di persuadere la nostra mente in modo del tutto innovativo, cercando di far percepire allo spettatore come un determinato oggetto potrebbe assumere un ruolo importante nella nostra quotidianità.

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  83. ilaria c laba   19 Giugno 2023 at 21:22

    Penso che l’articolo si sviluppi sul concetto del mondo del design, della moda e della fotografia.
    Vedendo il design come una disciplina che unisce la creatività con il pratico.
    Ed è per questo motivo che parliamo di unione dell’arte per questa coesione che emerge e per questo è difficile guardarne una senza pensare all’altra.
    Invece Paolo Roversi è un fotografo che vuole trasmettere emozioni e raffinatezza, portandoci così a rappresentare oggetti di vita quotidiana trasformandoli per i nostri occhi e vedendoli totalmente diversi da come siamo abituati a vederli quotidianamente.
    Proprio per questo le emozioni che suscitano in noi, ricadano sulle nostre scelte come ad esempio scelte di acquisto.
    Infatti siamo meno propensi ad acquistare un oggetto che non ci suscita emozioni mentre non dubitiamo a comprare l’oggetto che ce ne suscita.

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  84. Chiara D. LABA   22 Giugno 2023 at 08:30

    Non conoscevo Roversi, mi son permessa di fare delle ricerche sul suo conto nel campo della fotografia. Leggendo l’articolo, trovo che l’intento di Roversi nel suscitare con trepidazione le sue immagini contrastando la riproduzione di tendenze su tendenze che vanno e vengono. Inserire il Poliform è stato piuttosto rilevante, perché vedo che in molti ne sono stati affascinati, compresa la sottoscritta.

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  85. MichelaS   22 Giugno 2023 at 11:47

    « Penso che anche gli oggetti abbiano un’anima punto è per questo che ci emozionano, che tra noi e loro nasce un rapporto sentimentale » Paolo Roversi

    Non conoscevo questa collaborazione, la trovo bellissima. È essenziale ma allo stesso tempo esalta il prodotto. L’ importanza della fotografia per degli oggetti di arredo è importante. Penso che un’azienda come Poliform non abbia bisogno dimostrare i suoi prodotti in un’ambientazione e un design esclusivo ed è giusto che l’immagine abbia un carattere più forte. questa immagine non li trovo semplici la luce gli da una forte espressione. Vorrei approfondire la coscienza di queste due importanti pilastri nei loro campi.

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  86. Carmelo V   26 Giugno 2023 at 23:30

    Articolo molto interessante che mi ha introdotto alla fotografia di Paolo Roversi per la prima volta. Il connubio creatosi tra gli arredi e il modo così personale di Roversi di fotografarli rende questa, sicuramente, una collaborazione interessante e non aspettata. Ritengo che le collaborazioni fra realtà di mondi di appartenenza diversi siano giuste e più attuali che mai, soprattutto in vista del trend sviluppatosi negli ultimi anni che vede case della moda storiche come Louis Vuitton e Dior o di alta gioielleria, nel caso di Tiffany &Co., collaborare con artisti, pittori e scultori nel creare collezioni che vanno ad assottigliare quella linea tra arte e moda, bensì a mergere le due, anche se, a mio parere, viaggiano di pari passo in ogni caso. Cito alcune collaborazioni degne di nota: l’attualissima collezione di accessori Louis Vuitton che viene stravolta dai tratti caratteristici dell’artista giapponese Yayoi Kusama; la collezione FW19 di Dior Mens che vede il direttore creativo Kim Jones collaborare con l’artista Hajime Sorayama per creare una nuova versione, ispirata alle sculture metalliche dell’ultimo, dell’iconica Saddle Bag introdotta da John Galliano; il designer Daniel Arsham che collabora con Tiffany&Co. nella realizzazione di una capsule collection di bracciali.

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  87. Jenni   15 Dicembre 2023 at 14:05

    Il design e la moda, due mondi intricati che si influenzano reciprocamente, sono spesso considerati separatamente, ma in realtà sono parte di un unico panorama culturale. La loro interazione è il fulcro di una dinamica in cui entrambi gli ambiti si scrutano, si ammirano e si invidiano a vicenda, anche se raramente lo ammettono apertamente. La moda invidia al design il prestigioso Salone del Mobile milanese, mentre il design invidia alla moda i cospicui fatturati e la capacità di presentare le sue collezioni in anteprima.
    Il fotografo italiano Paolo Roversi, protagonista di questa riflessione, svolge un ruolo chiave nel plasmare la percezione del consumatore attraverso un efficace processo mentale. Il suo lavoro rinomina la definizione delle immagini, creando uno stile mossa e sfocata attraverso giochi di luce e ombra. Tale approccio richiama tematiche esplorate da artisti che hanno segnato la storia, generando un impatto destabilizzante sullo spettatore e suscitando desideri legati a ciò che viene presentato.
    Nel contesto della collaborazione tra Poliform e Paolo Roversi, evidenziata nel libro “Time, Light, Space”, emerge chiaramente la sinergia tra design e moda. Il fotografo, con la sua totale libertà espressiva, esce dagli schemi convenzionali, sfumando i contorni degli oggetti e trasmettendo un senso di sospensione temporale. Questo approccio crea un’esperienza percettiva unica, che va oltre la mera rappresentazione di mobili.
    L’autore sottolinea che Roversi, attraverso il suo Vangelo fotografico, cerca di catturare l’emozione intrinseca agli oggetti, contribuendo a trasformare la percezione estetica e narrativa del design. La riflessione si conclude con una prospettiva più ampia, suggerendo che la moda stia sempre più influenzando il design e che l’approccio emozionale e narrativo diventi cruciale anche in settori notoriamente orientati alla funzionalità.

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  88. Mattia V   23 Dicembre 2023 at 10:24

    L’articolo propone una visione critica e alternativa alle previsioni di Philippe Starck e Alessandro Marchetti, due personalità di spicco nel campo del design e della tecnologia. Secondo Starck, il design come lo conosciamo oggi è destinato a scomparire, sostituito da uno spazio vuoto e dematerializzato, in cui gli oggetti saranno integrati altrove e l’uomo diventerà puro spirito. Secondo Marchetti, il coding sarà la nuova lingua universale, capace di generare nuove forme di espressione e di bellezza.
    Il mio parere è che entrambe le visioni siano eccessive e riduttive, e che non tengano conto della complessità e della diversità del mondo reale. Il coding e il design non sono in opposizione, ma in dialogo, e possono arricchirsi reciprocamente. Il coding non elimina la materia, ma la trasforma, e il design non è solo una questione di forma e funzione, ma anche di poesia e sorpresa. Il coding e il design sono due modi di interpretare e di intervenire sulla realtà, che possono coesistere e collaborare, senza annullarsi o sostituirsi. Penso anche che questo rapporto tra l’uomo e il coding è un tema estremamente attuale e su cui bisogna riflettere. In particolare nell’ambito del design e più in generale della creatività, il coding può essere uno strumento per aiutare l’uomo ad esprimersi e ad agevolare il suo processo di realizzazione di un’idea così come un qualsiasi software contemporaneo di CAD. La questione su cui bisogna riflettere è se il coding lo stiamo utilizzando come uno strumento che agevola la realizzazione della nostra idea o come sostituto di questa’ultima.
    In conclusione penso che il futuro del design sia aperto e plurale, e che il coding sia uno strumento potente e creativo, ma non l’unico né l’ultimo. Il design ha ancora molto da dire e da fare, e il coding può essere un alleato, ma non un padrone. Il design non è morto, ma vivo e in continua evoluzione.

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  89. Giada LABA   3 Gennaio 2024 at 12:15

    Concordo con il problema dell’attenuazione dell’attenzione dovuta alla perfezione delle immagini utilizzate dai grandi brand o dalle industrie per promuovere i loro prodotti. Tuttavia, sono consapevole anche del fatto che tutto ciò che le grandi multinazionali fanno, è puramente a scopo di lucro. Ora più che mai grazie alle strategie di marketing impiegate per costruire le pubblicità, si riesce a vendere un prodotto in modo più veloce ed efficace. Il reale problema, quindi, non credo riguardi tanto la superficialità delle pubblicità quanto più quella delle persone e dell’epoca storica che le caratterizza. La società di massa porta con sé una cultura alimentata dall’avvento dei mass media. I giornali, il cinema e la televisione hanno sempre più contribuito a creare questa cultura nel corso del tempo. Tali mezzi si sono radicati sempre di più nella vita di ciascuno, diventando la struttura comunicativa di base per la “massa”, influenzando la cultura generale e la percezione della realtà attraverso la presentazione di modelli e stili di vita desiderabili e idilliaci.
    Le grandi aziende, sfruttano le emozioni per pubblicizzare i loro servizi poiché sanno come manipolare il funzionamento della mente. Questo avviene attraverso metodi sempre più specializzati, giungendo infine alla sinteticità delle pubblicità odierne. Questa evoluzione è anche attribuibile allo sviluppo della società che ha portato alla massificazione della superficialità, semplificando e velocizzando la vita quotidiana delle persone, riducendo al minimo lo sforzo necessario per svolgere moltissime attività. In conclusione, credo che il prodotto rappresenti l’esito di un adattamento più o meno equilibrato tra le possibilità offerte e le aspettative della domanda; di conseguenza, se la domanda sarà più o meno superficiale, allora la risposta lo sarà di conseguenza.

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  90. Martina T LABA   11 Gennaio 2024 at 12:10

    Il modo in cui il grande fotografo italiano Paolo Riversi ha raccontato la storia dell’azienda in questione, Poliform, è incredibile.
    Sembra quasi come se gli oggetti rappresentati avessero un’anima, sarà forse la scenografia, l’utilizzo delle luci, ma ha trovato un modo per realizzare foto assolutamente non scontate e che non fanno perdere subito quell’attenzione e ti fanno annoiare.
    Per quanto riguarda questo discorso penso che il fatto di fare foto “perfette” ai prodotti e che a lungo andare questa perfezione porti alla noia è vero, ma come in tutti gli altri casi. Anche nella vita quotidiana le cose sempre in ordine e perfette ci annoiano, ma perché è nella nostra indole umana. Siamo attirati dqll’imperfezione, i problemi sono difficili da risolvere ma sono quelli che ci tengono vivi.
    Detto questo, la collaborazione del design con altri campi dell’arte secondo me è fondamentale, questo scambio di prestazioni (purché siano sensate) può rendere una cosa già fatta bene, migliore. Si può arrivare ovviamente a risultati che una mente sola magari non avrebbe nemmeno pensato.

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  91. ElisaB Laba   6 Febbraio 2024 at 09:54

    Nell’articolo viene esplorata l’importante connessione tra moda e design e in particolare il concetto di “stile di vita”. Questo ha giocato un ruolo cruciale nel cambiare la percezione dei designer verso la moda, in quanto è andato a trasformare la visione della moda dal punto di vista del design. Da questa prospettiva oltre a Moschino che viene giustamente nominata nel testo, citerei anche un altro caso di eccezione: quello di Jonathan Adler. Inizialmente noto per il suo lavoro nel design di interni, Adler ha gradualmente ampliato la sua attività includendo una linea di moda che riflette lo stesso stile e l’estetica dei suoi arredi e complementi d’arredo. La sua capacità di trasferire la sua visione artistica e il suo senso del design dal mondo dell’arredamento alla moda ha contribuito a consolidare la sua posizione nel settore, dimostrando come il concetto di “stile di vita” possa essere applicato in modo efficace attraverso diverse discipline del design.
    Viene evidenziata infine l’importanza della collaborazione tra Poliform e Paolo Roversi nel contesto del cinquantesimo anniversario dell’azienda. Questa partnership riflette un cambio di prospettiva nella comunicazione dei valori di marca, poiché le immagini di Roversi non solo celebrano l’azienda, ma contribuiscono anche a allinearla alle marche di moda più efficaci. Le immagini che ci vengono rappresentate non ci annoiano, ma ci fanno pensare a ciò che è rappresentato da un altro punto di vista, ci portano a uscire dal tempo e dallo spazio in cui gli oggetti sono inseriti cambiando così la percezione che abbiamo delle foto che stiamo osservando. Le immagini di Roversi ci portano quindi al di fuori degli standard fotografici. Questo approccio emotivo ed esperienziale alla comunicazione del design a parer mio non è un fenomeno isolato, in quanto rispecchia una tendenza più ampia nell’industria, dove le emozioni e le esperienze dell’utente sono sempre più centrali nella percezione della qualità e del valore di un prodotto. Una possibile situazione simile potrebbe essere la collaborazione tra una casa automobilistica e un famoso regista cinematografico per la realizzazione di spot pubblicitari che trasmettono emozioni e esperienze legate all’uso dell’automobile. Questo tipo di partnership dimostra come l’industria stia adottando sempre più un approccio basato sul coinvolgimento emotivo per comunicare i valori di marca e soddisfare le esigenze dei consumatori contemporanei.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   6 Febbraio 2024 at 16:40

      Interessante la citazione di Adler. Grazie per la dritta.

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  92. Marika LABA   6 Febbraio 2024 at 11:52

    Il testo analizza come il design, anche quello più serioso e prudente, stia sempre più emulando le strategie d’immagine e comunicazione della moda. Si inizia con una premessa sulla storica separazione tra design e moda, seguita dall’evoluzione dell’idea di “moda” verso uno stile di vita che influisce sull’estetica di ogni oggetto. Si evidenzia che la moda ha influenzato il design attraverso la creazione di narrazioni emotive e l’uso di eventi e immagini. Si menzionano esempi come Giorgio Armani nel design di mobili e Gianni Versace nella produzione di complementi d’arredo.
    Il testo offre una prospettiva intrigante sull’evoluzione del design, evidenziando la sempre più evidente convergenza con le strategie della moda; tuttavia, alcune questioni mi suscitano interrogativi e contrasti. Pur riconoscendo il valore dell’approccio emotivo e narrativo nel design, mi preoccupa l’eccessiva esclusione della funzionalità; un oggetto d’arte può suscitare emozioni, ma nel design gli oggetti devono anche essere pratici e utilizzabili nella vita quotidiana, inoltre, l’accento sull’immagine potrebbe trascurare altre forme di espressione e comunicazione, e l’idealizzazione della moda dovrebbe essere considerata con cautela, data la sua complessa relazione con il consumismo e i modelli di bellezza irrealistici.L’accessibilità nel design dovrebbe essere una considerazione prioritaria, non limitandosi al lusso e alle collaborazioni con figure di spicco. In definitiva, il design dovrebbe cercare un equilibrio tra estetica, funzionalità, accessibilità e impatto sociale e ambientale, per offrire soluzioni inclusive e sostenibili.

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  93. Chiara F. LABA   6 Febbraio 2024 at 12:01

    La collaborazione tra Poliform e Paolo Roversi per la creazione del libro “Time, Light, Space” rappresenta un’interessante fusione tra design e arte visiva, che va oltre la semplice documentazione aziendale per trasformarsi in un’esperienza estetica e emotiva.

    Ciò che trovo affascinante di questa collaborazione è il modo in cui Roversi, con la sua sensibilità artistica, riesce a trasformare oggetti di design in opere d’arte visiva, catturando non solo la forma fisica degli oggetti, ma anche l’essenza emotiva e concettuale che li circonda. Mentre le immagini convenzionali possono diventare ripetitive e prive di profondità emotiva, le sue fotografie catturano l’attenzione e stimolano la riflessione.
    Inoltre, il modo in cui Roversi utilizza la luce e la composizione per creare un senso di temporalità e tensione aggiunge un livello di profondità e significato alle sue immagini. Questo contrasto, tra la perfezione tecnica e la dimensione emotiva delle sue opere, fa sì che le sue fotografie siano molto più di semplici rappresentazioni di oggetti: diventano veicoli per esplorare il significato più profondo di design e memoria.

    In conclusione, la collaborazione tra Poliform e Paolo Roversi evidenzia il potere dell’arte visiva nel trasformare oggetti quotidiani in opere d’arte emotivamente coinvolgenti. Questo
    approccio innovativo sfida le convenzioni del design e apre nuove possibilità di espressione e comprensione nel mondo dell’arte e del design contemporaneo.

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  94. Marco Riccardi LABA   6 Febbraio 2024 at 14:33

    Il buon fotografo di moda riesce a circondare l’abito che fotografa con l’immaginario cui è legato, rendendolo fisico, tangibile allo sguardo, quando, in assenza della foto, questo rimane solamente suggerito. Un po’ come Tolkien scrisse Il Signore degli Anelli per dare un contesto alla lingua che lui stesso aveva inventato, l’elfico, così fa il fotografo, creando un mondo per un oggetto che, in questo caso, viene però creato da altri.
    Pertanto, come si è già visto in altra sede, la collaborazione tra stilista e fotografo è fondamentale; ma anche nell’ambito del design questa non è da sottovalutare, sempre che non ci si accontenti di presentare un oggetto come un più o meno bizzarro pezzo d’arredamento, anonimo nella sua stramberia in un mondo di milioni di oggetti alieni senza una vera ragione.
    Un fotografo come Roversi riesce a trasformare l’oggetto in soggetto, l’anonimo in nominato: e questo perché riesce ad andare oltre la pura materialità dell’oggetto. Queste fotografie funzionano tanto bene perché Roversi non tratta gli oggetti come oggetti da inserire in un catalogo, ma come tratterebbe un essere umano che deve essere ritratto. E anche qui, riesce a spingersi ulteriormente a fondo, perché tanti fotografi, anche di fronte ad un soggetto vivo, realizzano quella che mi viene da definire fototessera, vale a dire una fotografia pulita, nitida, ben illuminata, esteticamente piacevole, ma niente di più. Roversi riesce ad andare oltre la pulizia, oltre la nitidezza, oltre la semplice estetica, facendo in modo che, nell’immobilità, riuscissero a raccontare qualcosa di sé; esattamente come i ritrattisti più blasonati della storia della fotografia, come Avedon, come la Leibovitz, per citarne due, che, seppur con approcci completamente opposti, portavano alla luce fotografie che non ci dicono semplicemente com’era fatta una tale persona; ci dicono chi era: possiedono quel punctum che porta ad andare al di là del tanto ricercato “momento perfetto”, perché non sono solo un momento, ma racchiudono, in un singolo istante dell’incessante scorrere del tempo, un’intera esistenza. Tutto questo può sembrare troppo, ragionando che l’intera faccenda è associata ad un paio di sedie e altra mobilia: ma trattandole, appunto, come mobilia, non si potrebbe mai vedere veramente quello che a loro è preceduto, vale a dire una mano che li ha plasmati e, ancor prima, un’idea.

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  95. Elisa Mattia LABA   7 Febbraio 2024 at 10:26

    Il testo analizza la collaborazione tra Poliform, azienda di design di mobili, e Paolo Roversi, famoso fotografo di moda, attraverso la creazione del libro “Time, Light, Space”. Si evidenzia come il design stia sempre più adottando strategie di comunicazione tipiche della moda, mettendo in luce un cambio di prospettiva sul valore estetico e narrativo dei prodotti. Sebbene le divisioni tra settori creativi siano state più nette in passato, oggi vi è una maggiore propensione alla collaborazione, sebbene non sempre agevole.
    L’articolo inoltre riflette l’approccio distintivo di Roversi alla fotografia, enfatizzando la sua capacità di trasformare gli oggetti in entità emotive e suggestive, sfidando la convenzionale rappresentazione realistica. Si parla del concetto di “spirito animale del design”, sottolineando l’importanza delle narrazioni e delle emozioni nella comunicazione del valore del prodotto, con le marche di moda in prima linea in questo tipo di strategie comunicative.
    L’analisi suggerisce che questa collaborazione sia emblematica dell’evoluzione del design, sempre più influenzato dalle tattiche comunicative della moda, e riflette sull’importanza dell’approccio emotivo e narrativo nel design contemporaneo, che può arricchire l’esperienza del consumatore e trasformare la percezione di un oggetto al di là della sua funzionalità. Si sottolinea infine che il confine tra settori creativi si sta sfumando, aprendo a nuove opportunità di collaborazione innovativa.

    Un esempio simile di collaborazione è la partnership tra il marchio di moda Chanel e il fotografo Karl Lagerfeld. Lagerfeld, noto per il suo stile distintivo e la sua visione iconica, ha collaborato con Chanel per decenni, creando immagini pubblicitarie e campagne di moda che hanno contribuito a definire l’estetica del marchio.
    Attraverso questa collaborazione, Lagerfeld ha trasformato le creazioni di Chanel in opere d’arte visive, utilizzando la sua maestria nel catturare l’essenza e lo spirito del marchio attraverso la fotografia. Le sue immagini hanno spesso raccontato storie visive che evocano emozioni e suscitano interesse nel pubblico, trasformando semplici capi di abbigliamento in simboli di eleganza e raffinatezza.
    Questa partnership ha permesso a Chanel di comunicare i suoi valori di marca in modo coinvolgente e emozionale, avvicinando il mondo della moda a una forma d’arte e creando un’esperienza visiva memorabile per gli spettatori.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Febbraio 2024 at 17:14

      Fai attenzione Karl Lagerfeld non era un fotografo come gli altri. Dal 1984 fino alla sua morte è stato soprattutto lo stilista e l’art director del brand Chanel. Tuttavia amava la fotografia e in molte occasioni riprendeva lui stesso i suoi abiti indossati dalle sue modelle preferite. La più famosa è stata senz’altro Claudia Shiffer.

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  96. Sara D. Laba   12 Febbraio 2024 at 11:50

    La collaborazione tra designer e fotografi spesso porta a risultati straordinari, contribuendo a definire l’identità e l’estetica di un marchio. Un esempio della potenza della collaborazione è il lavoro di Paolo Roversi per Poliform. Le sue immagini hanno contribuito a trasformare il modo in cui il marchio viene percepito, catturando la bellezza e l’eleganza dei loro mobili e degli spazi abitativi.

    Nelle campagne fotografiche di Poliform, Roversi ha saputo mettere in risalto non solo i prodotti, ma anche lo stile di vita associato ad essi. La sua capacità di giocare con la luce, la composizione e gli ambienti ha portato a risultati straordinari, rendendo le sue fotografie un elemento essenziale nella comunicazione visiva del marchio Poliform.

    Un altro esempio significativo di una collaborazione di successo tra un designer e un fotografo lo abbiamo visto in un altro articolo dell’autore ed è rappresentato dalla lunga partnership tra Giorgio Armani e Aldo Fallai. Le immagini di Fallai hanno catturato l’essenza dello stile raffinato e dell’eleganza senza tempo di Armani, contribuendo a definire l’immagine del marchio.

    Entrambe queste collaborazioni dimostrano il potere delle immagini nel comunicare il messaggio di un marchio di prestigio e nel creare un legame emotivo con il pubblico.

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  97. Giada Pirani LABA   16 Febbraio 2024 at 16:05

    Paolo Roversi è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi fotografi di moda contemporanei, la cui firma artistica è sinonimo di eleganza senza tempo e bellezza senza sforzo. La sua carriera straordinaria ha visto la creazione di immagini iconiche che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’industria della moda e dell’arte.
    Roversi ha iniziato la sua carriera come assistente presso lo studio di fotografia di Laurence Sackman a Londra negli anni ’70. Questo periodo formativo ha contribuito a plasmare il suo occhio artistico e a ispirare il suo approccio alla fotografia, caratterizzato da una sensibilità poetica e una ricerca incessante della bellezza autentica. Una delle caratteristiche distintive del lavoro di Roversi è l’uso magistrale della luce, che avvolge i suoi soggetti in un’atmosfera di mistero e romanticismo. Le sue immagini sono pervase da un’illuminazione soffusa, che conferisce loro una qualità quasi surreale. Questa maestria nella gestione della luce gli consente di creare immagini che sfoggiano una bellezza senza tempo, trasportando lo spettatore in un mondo di sogno e fantasia. La sua capacità di creare una sinergia creativa con i suoi soggetti ha portato a collaborazioni fruttuose e a immagini che trasudano autenticità ed eleganza senza sforzo.
    Ma forse ciò che rende il lavoro di Roversi così straordinario è la sua costante ricerca della bellezza autentica e della verità emotiva. Le sue fotografie vanno oltre la mera rappresentazione estetica, catturando l’essenza stessa dei suoi soggetti e trasmettendo un senso di intimità e vulnerabilità. Attraverso il suo obiettivo, riesce a creare connessioni emotive che risuonano con lo spettatore, rendendo le sue immagini non solo opere d’arte visive, ma anche esperienze sensoriali e emotive profonde.
    Oggi, l’eredità di Paolo Roversi continua a ispirare e influenzare generazioni di fotografi e amanti della moda in tutto il mondo. La sua visione unica e il suo spirito pionieristico lo rendono una vera e propria icona della fotografia di moda contemporanea, il cui impatto e l’influenza si estendono ben oltre i confini del settore della moda.

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  98. Giovanni Forlenza Laba   19 Febbraio 2024 at 15:56

    La collaborazione tra Poliform e Paolo Roversi per la realizzazione del libro “Time, Light, Space” rappresenta un’interessante fusione tra design e arte visiva, unendo le loro visioni per creare un’esperienza estetica e emotiva che va al di là della semplice documentazione aziendale.
    Paolo Roversi è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi fotografi di moda contemporanea, il cui stile elegante e senza tempo ha lasciato un’impronta indelebile nell’industria della moda e dell’arte. La sua capacità di manipolare la luce, avvolgendo i soggetti in un’atmosfera di mistero e romanticismo, conferisce alle sue immagini una qualità quasi surreale.
    Ma ciò che rende veramente straordinario il lavoro di Roversi è la sua incessante ricerca della bellezza autentica e della verità emotiva. Le sue fotografie vanno oltre la semplice rappresentazione estetica, catturando l’essenza stessa dei suoi soggetti e trasmettendo un senso di intimità e vulnerabilità. Riesce a creare connessioni emotive che risuonano con lo spettatore, trasformando le sue immagini in esperienze sensoriali ed emotive profonde.
    L’eredità di Paolo Roversi continua a ispirare e influenzare generazioni di fotografi e appassionati di moda in tutto il mondo. La sua visione unica e il suo spirito pionieristico lo rendono una vera icona della fotografia di moda contemporanea, il cui impatto si estende ben oltre i confini del settore moda, influenzando anche l’arte e la cultura visiva in generale.

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  99. Giorgia Laba   20 Febbraio 2024 at 15:40

    L’articolo si apre con un confronto tra design e moda, in cui essa viene definita dagli architetti effimera, ma tutto ciò cambia una volta che essa diventa l’idea di “stile di vita”. In questa maniera la moda è diventata un riferimento per il mondo del design, e tra i due si è istaurato uno “scambio di prestazioni”.
    Dopo questa piccola introduzione parliamo di Roversi, grandissimo fotografo, che ha collaborato con la Poliform (un’azienda italiana di arredamento di alta gamma fondata nel 1970, in provincia di Como. L’azienda si è distinta negli anni per la produzione di mobili e complementi d’arredo di elevata qualità, caratterizzati da un design moderno e funzionale).
    Roversi nei suoi scatti non segue lo stile noioso e ripetitivo che troviamo nelle solite riviste, con immagini Still Life oppure foto di interni arredati alla perfezione e studiate a tavolino. Lui esce da questi soliti schemi di scatti, infatti nelle sue fotografie ci racconta e rappresenta la realtà vista con occhi diversi. Questi scatti riescono ad esprime sensazioni ed emozioni. Nell’immagine 1 di G. Roversi, l’oggetto diventa quasi evanescente, tutto ciò perché il realismo fotografico a lui non interessa, in questo modo provoca suggestione a chi le guarda.
    Roversi vuole parlare di se, o per meglio dire di ciò che prova nel momento dei suoi scatti. Penso che attraverso le sue fotografie, voglia farci uscire dai nostri soliti schemi preimpostati, di cui ormai siamo abituati.

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  100. Martina T LABA   24 Febbraio 2024 at 13:40

    L’articolo mette a confronto quello che è il mondo del design con quello della moda, portando un forte esempio significativo sul tema quale Poliform con Paolo Roversi. Riguardo la tematica ho una visione di un certo tipo nel quale design e moda seguono la stessa linea di pensiero che è quella di emozionare, stupire e narrare una storia, ma, con la differenza nel modo e nei mezzi con i quali i due raggiungono il risultato. Detto ciò, non sono d’accordo su quanto detto del design visto come una sorta di sempre più somiglianza alla moda, ma piuttosto, come detto precedentemente, penso che i due abbiano lo stesso scopo che li porta conseguentemente ad una risultante somigliante. Inoltre, sono fermamente convinta che lo sfruttarsi a vicenda dei due settori non possa fare altro che portare dei miglioramenti ad entrambi e ad un più completo raggiungimento dello scopo prefissato; ad avvalorare questa considerazione sono sicuramente le grandi collaborazioni di successo tra designer e stilisti avvenute nel corso degli anni, o come riportato in questo articolo l’esempio, che precedentemente non conoscevo, del brand di design Poliform che ha volutamente deciso di affidarsi a Roversi, un fotografo di moda. Infine, ci tenevo a commentare la riflessione (con la quale mi trovo d’accordo) sul quanto sia una rottura di scatole sfogliare una rivista di design d’arredo nella quale ad ogni pagina sai già cosa aspettarti: una stanza perfettamente in ordine o un mobile su sfondo piatto affiancato da una pianta. Al contrario trovo le riviste di moda molto più interessanti in quanto non regna ordine e perfezione ma sconvolgimento e dinamicità. A questo punto, come detto precedentemente, il connubio tra design e moda sarebbe l’ideale per estrapolare il meglio l’uno all’altro e portare entrambi ad un successo egualitario senza sfide e invidie reciproche.

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  101. AliceA Laba   26 Febbraio 2024 at 16:20

    Io credo che le fotografie di grandi artisti (come Paolo Roversi oppure Richard Avedon) nell’ambito della moda possano trasmette delle emozioni o far impersonificare il fruitore in un’identità, il tutto aiutato da un immaginario che rappresenta un oggetto/soggetto sollecitando così il subconscio. Sicuramente in questi casi la collaborazione tra artista e stilista, come avvenuto tra Aldo Fallai e Giorgio Armani, è fondamentale, anche se in alcuni casi, come quello del fotografo di moda Guy Bourdin, dove l’immaginario del fotografo è così impattante e carratistico che gli si lascia consapevolmente carta bianca.
    Il fotografo qui presentato, Paolo Roversi, va oltre la mera rappresentazione visiva dei suoi soggetti. La sua capacità di catturare l’essenza e l’atmosfera dietro ogni immagine è straordinaria. Lo stesso Roversi ha detto che “qualsiasi fotografia per me è un ritratto” infatti qualsiasi cosa si trovi davanti al suo obiettivo viene trattata allo stesso modo. Quest’ultimo unito alla particolare utilizzo, caratteristico, della luce producendo così ombre e texture va a rappresentare un sentimento che va vissuto. Tant’è vero che il suo studio a Parigi gli permette di utilizzare la luce riflessa dai palazzi vicini in questo modo nelle sue fotografie non è mai presente una luce artificiale, identica e ripetitiva. Le sue fotografie sono profonde e stratificate rendendole coinvolgenti e andando al di là della superba leggerezza, possiamo rimanere ore a guardare le sue fotografie che narrano una storia, quello che sta dietro, il punctum. Ciò che rende il suo lavoro così coinvolgente è la sua abilità nel trasmettere un senso di intimità e vulnerabilità nei confronti dei soggetti. Ogni ritratto sembra rivelare una parte dell’anima del soggetto, suscitando curiosità ed empatia da parte di chi l’osserva. Le sue immagini sono intrise di una bellezza malinconica e di una poeticità che cattura l’immaginazione. Ogni dettaglio, dalle pose dei modelli alla scelta dei costumi e degli sfondi, è curato con attenzione maniacale, creando composizioni visivamente affascinanti e ricche di significato.

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  102. Sofia LABA   4 Marzo 2024 at 10:26

    In passato, i rapporti tra i grandi interpreti del design e i creatori di abiti non sono sempre stati amichevoli. Tuttavia, con l’emergere dell’idea che la moda sia uno stile di vita, i designer hanno iniziato a collaborare in modi innovativi. Ci sono affinità e differenze tra arredamento e moda, ma oggi esistono scambi di prestazioni che seguono le tracce delle grandi marche della moda. Il design che fa la differenza non si limita alle forme e alle funzioni, ma cerca di suscitare emozioni e diventare un catalizzatore di narrazioni. Le marche di moda rappresentano un modello di riferimento per tutti i settori del design, influenzando le disposizioni dei consumatori fin dalle prime interazioni con l’oggetto.
    Poliform ha collaborato con Paolo Roversi per celebrare i suoi primi 50 anni di attività, creando un libro celebrativo intitolato Time, Light, Space. Roversi ha un approccio unico nella creazione di immagini che trascendono la perfezione tradizionale, cercando di trasformare gli oggetti in dispositivi visivi che suscitano emozioni profonde, cercando di catturare l’emozione del momento davanti al soggetto e di trasmetterla attraverso le sue immagini. La sua luce, la sua composizione e la sua sospensione del tempo permettono di creare un’esperienza percettiva e emotiva unica, che risuona con alcune persone come un richiamo alla memoria e alla nostalgia. Il libro celebrativo con le foto di Paolo Roversi potrebbe essere utilizzato come pubblicità di marca, contribuendo allo sviluppo dell’immagine della Publiform. Le immagini standard nell’industria del design di arredi potrebbero continuare a seguire paradigmi fotografici tradizionali, ma la percezione della qualità e del valore si sta spostando verso parametri emotivi ed esperienziali. Il minimalismo eccessivo può limitare l’esperienza e le emozioni legate all’oggetto. Le narrazioni emotive svolgono un ruolo importante nell’interazione tra design e percezione. Le marche di moda sono esperte in trasformare percezioni ed emozioni, e il design deve seguire questa sfida.

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