L’Ultima Cena di Leonardo

L’Ultima Cena di Leonardo

Il grandioso affresco del famoso pittore/inventore attira a Milano tutti gli anni una folla immensa di visitatori. Mi piace definirlo “un evento nascosto”. Infatti, la comunicazione a esso aggregata e le restrizioni imposte dai becchini del nostro patrimonio artistico, sono in perfetto stile “masochismo italiano”: praticamente inesistente la prima, dissuasive le seconde. Tuttavia, attraverso il passa parola e il potenziale di notorietà del capolavoro, rappresenta probabilmente la singola opera d’arte più ammirata del nostro Paese.
Cesare_da_Sesto_-_Ultima_Cena_(copia)Secondo la testimonianza di Luca Pacioli, nel 1498 Leonardo terminò di dipingere l’Ultima cena nel refettorio del Convento dei Dominicani di Santa Maria delle Grazie. Per finirlo aveva impiegato ben 4 anni. In quell’arco di tempo a qualcuno della corte di Ludovico il Moro sarà senz’altro nato il sospetto che l’opera potesse rimanere incompiuta. Per fortuna Leonardo, vincendo il demone interiore che gli impediva di terminare molte delle opere che cominciava, riuscì a convincersi che nessuna ulteriore pennellata avrebbe aggiunto qualcosa all’essenziale del dipinto e accettò il trauma della fine. L’impressione dell’affresco sui contemporanei fu enorme. A tutti apparve come una magia artistica e L’ultima Cena divenne per generazioni una delle espressioni universali della pittura.
Persino oggi, per chi ama l’arte, dopo le infinite ramificazioni e sperimentazioni estetiche e formali delle avanguardie e dei movimentismi del novecento, la fruizione dell’affresco di Leonardo rimane evento artistico irrinunciabile per chi crede nei valori trasmessi dalla visione di opere eccezionali. Per motivi di conservazione l’affresco è visitabile solo da gruppi di 20/25 persone per volta. Ebbene in un anno sono più di 300 000 le persone che in fila ordinata e con reverenza attendono l’entrata nel refettorio per contemplare ciò che resta della magia leonardesca.
Ma dove nasce la forza persuasiva dell’affresco? Come definire la sua bellezza?
Proviamo a immaginare come si presentava il cenacolo agli occhi dei frati dominicani che ogni giorno potevano ammirarlo durante i pasti nel refettorio. Probabilmente nessuno di loro era mai stato così vicino ad una immagine sacra. L’effetto creato da Leonardo era tale da far apparire di fianco alla sala reale, una sorta di prolungamento dello spazio nel quale assumeva una forma tangibile la lunga tavola con dietro seduti Cristo e gli Apostoli. L’effetto di verosimiglianza doveva apparire come qualcosa di veramente prodigioso. Per i frati devoti era come se si materializzasse uno dei passaggi chiave dei vangeli di Matteo e Giovanni.
Leonardo infatti aveva sperimentato una nuova tecnica per dare solidità alle forme e alla luminosità della scena. La cura dei dettagli al naturale risultava degna del mito pliniano di Zeusi e in un’epoca in cui le opere d’arte venivano spesso giudicate dai profani secondo la loro somiglianza al vero, possiamo facilmente congetturare quanto questa straordinaria illusione fosse sconvolgente.
Dopo essere stati colpiti dalla forza estetica ed estesica della percezione, i frati devono essersi interrogati sull’efficacia della interpretazione visiva tratta dal Vangelo, dal momento che, la ricostruzione di Leonardo non assomigliava a nessuna delle immagini in circolazione. Le iconografie tradizionali rappresentavano l’ultima cena sistemando gli apostoli ordinati in due file, con Giuda a lato, intorno al centro visivo e simbolico occupato da Cristo che somministrava il sacramento.
fotoLeonardo volle descrivere invece la drammaticità del momento culminate dell’ultima cena, catturando tutte le passioni scatenate dalla sorprendente e inquietante rivelazione di Nostro Signore. L’artista infatti studiò le possibili reazioni umane all’affermazione di Cristo, riportata nel vangelo di S.Giovanni che annunciava l’inizio della fine della sua avventura umana: “In verita, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”.
Asserzione alla quale uno degli apostoli rispondeva: “Sono forse io, Signore”, mentre, si legge nel testo evangelico, l’apostolo prediletto non riuscendo a trattenere un moto di commozione appoggiava dolcemente la sua testa sul petto di Cristo e San Pietro avvicinandosi all’orecchio di uno degli apostoli chiedeva perplesso: “Di chi parla?”.
La messa in scena è veramente magistrale. Leonardo è riuscito a trasformare il racconto di Giovanni in un evento epifanico di rara umanità. Nessuno era mai riuscito a rappresentare le emozioni e le passioni umane con tanta finezza. Osservando i gesti e l’espressione dei volti indoviniamo facilmente l’ombra dell’orrore per la tragica profezia. Alcuni apostoli punti nel vivo sembrano in procinto di dichiarare il loro amore; altri discutono intensamente a chi, Nostro Signore intendesse alludere. Altri ancora, forse paralizzati dalla notizia scioccante, semplicemente lo guardano. Il più colpito nell’interpretazione di Leonardo sembra essere Simon Pietro, raffigurato mentre bruscamente si sporge verso S.Giovanni spingendo contemporaneamente in avanti un Giuda dall’espressione sospettosa e imbarazzata.
cenacolo-1Leonardo ci colpisce per la varietà delle espressioni umane e per la misura che attraversa l’intera messa in scena. Evitando con cura scontate esasperazioni retoriche ci suggerisce lo smarrimento del gruppo di apostoli senza mai perdere il controllo delle significazioni primarie. Il realismo della scena si compie senza perdere la lezione della pacata accettazione del sacrificio imposto dalla redenzione dei peccati umani. Probabilmente, senza la sperimentazione tecnica già citata, Leonardo non sarebbe riuscito a configurare una messa in scena altrettanto efficace. Con la tradizionale tecnica dell’affresco affidata a una veloce stesura del colore sull’intonaco ancora umido, il pittore non avrebbe mai potuto indugiare sui particolari capaci di restituirci l’empatia per le emozioni in gioco. Era assolutamente necessario intervenire sull’intonaco asciutto per poter dare la giusta “fisicità” alle figure ed avvicinarle, tocco dopo tocco, al tono delle espressioni indotte in Leonardo dall’interpretazione del testo sacro. Ma questa tecnica a secco che per primo sperimentò fu anche la fonte principale dei guai che questa incredibile opera incontrò col trascorre del tempo. In pochi anni la pittura si deteriorò costringendo gli estimatori di questo prodigio pittorico a programmare una infinita serie di rischiosi restauri.
L’ultimo in ordine di tempo, terminato nel 1999 e durato vent’anni, ha finalmente rimosso gli strati di pitture che con poco riguardo avevano progressivamente deturpato l’originale, riportando in luce ciò che restava delle stesure originali.

Il capolavoro di Leonardo è accessibile solo prenotando la visita presso le agenzie accreditate. Rigorose misure di salvaguardia hanno costretto a limitare la visione a gruppi di 20/25 persone per volta e per una durata di non più di 20 minuti. Come preparazione alla contemplazione del capolavoro si può ammirare l’Ultima Cena in altissima definizione nel web. Sul sito www.haltadefinizione.com è stata recentemente pubblicata una foto digitale formata da 16 miliardi di pixel che riunisce 1677 foto diverse realizzate con una tecnica d’avanguardia. Un solo dato ci illumina sul potere seduttivo di un’opera divenuta una icona dell’idea stessa dell’arte: qualche anno fa, dopo solo 48 ore dalla messa in onda dell’immagine, già 1 500 000 avevano esplorato i miracolosi dettagli finalmente visibili a tutti, confermando ancora una volta quanto Leonardo e l’Ultima Cena siano divenuti valori universali.

Lamberto Cantoni
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One Response to "L’Ultima Cena di Leonardo"

  1. Pablo Cermeño   4 Agosto 2014 at 16:12

    Gran articolo, per uno dei capolavori dell’arte rinascimentale.
    Ma secondo me, in quest’articolomanca una cosa troppo importante: la faccia di tranquillità di San Giovanni,simile alla faccia di Gesù, forse San Giovanni è consapevole di quello che sta per succedere dopo. Altra cosa che manca in questa opera d’arte è il pane e il calice, forse un gioco di Leonardo da Vinci, dove a differenza d’altri pittori dell’epoca, lui è in grado di creare un’importanza sulla scena più che nell’oggetto.

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