Il racconto foto-antropologico del grande fotografo, a tre anni di distanza dalla sua presentazione al pubblico di tutto il mondo rimane una delle testimonianze più efficaci per diffondere l’urgenza di una nuova alleanza tra uomo e natura.
Ritorno alla Terra
Per comprendere le ragioni dell’ultimo racconto/poema fotografico del grande fotografo brasiliano, dobbiamo fare un passo indietro e prendere in considerazione le conseguenze sul corpo dell’autore del lavoro compiuto per terminare la devastante serie di reportage culminati nel libro In cammino (Contrasto, 2000).
L’odio, la violenza, la sofferenza, l’orrore vissuti in prima persona, soprattutto in Mozambico e Ruanda, prostrarono fisicamente e psicologicamente Salgado. La crudeltà dell’uomo vissuta in prima persona, in molti casi insensata e senza limiti, sia nei confronti dei propri simili e sia come sfruttamento della natura, gli avevano lasciato in eredità depressione e pessimismo.
Salgado aveva ripreso masse enormi di individui, famiglie e a volte di intere etnie nei drammatici sradicamenti che accompagnano le guerre, i conflitti etnici, gli sconvolgimenti economici, le crisi ecologiche. Le sue foto, in quel libro, documentavano la distruzione di interi ecosistemi, paesaggi rovinati in modo indelebile, alberi abbattuti, economie agricole abbandonate, megalopoli soffocate dal dolore di milioni di persone senza più passato, dal presente incerto, senza alcun futuro. Credendo ciecamente nel principio di testimonianza come aspetto etico centrale della fotografia di reportage, aveva raggiunto i luoghi nei quali poteva documentare l’esistenza di un’umanità che sarebbe entrata nei libri di storia forse solo come numero, come drammatico effetto collaterale di deliranti questioni ideologiche o semplicemente come tragico destino.
Le sue foto restituivano dignità agli ultimi, ma al tempo stesso facevano traballare le sue certezze interiori generando una sorta di “doppio legame” psicologico: se fotografo tanta sofferenza non rischio di diventare complice dell’orrore, trasformandolo in spettacolo? Ma, per contro, se non fotografo, tutto questo dolore non sarà servito a nulla?
Il profondo senso di depressione rappresentava la risposta somatica al dilemma del fotografo/testimone che risponde alla violenza delle crudeltà della vita con la violenza dell’atto fotografico capace di strappare l’orrore dalle incombenti ombre del nulla, consegnandolo però al mondo ambiguo dei circuiti informativi, delle interpretazioni aberranti, dello sguardo cinico dell’occhio occidentale spesso più attratto dalla spettacolarità dei grandi drammi piuttosto che dai loro risvolti morali o etici.
Nella sua autobiografia, Dalla mia Terra alla Terra (Contrasto, 2014), Salgado racconta che riuscì a ritrovare serenità e forza per tornare a fotografare, grazie a due grandiosi progetti: insieme alla moglie Lelia, creò la rete di alleanze che permisero di ricostruire in parte la foresta atlantica brasiliana, andata distrutta dall’espansione urbanistica; e quindi, forse grazie alle energie positive che gli arrivavano dalla baby foresta in crescita, cominciò a concepire il progetto Genesi, ovvero la riscoperta degli spazi incontaminati del pianeta come suggestiva metafora del luogo delle origini dell’uomo.
Progetto Genesi
L’idea rigenerante di Salgado consisteva in 32 reportage nei territori meno accessibili del pianeta, alla ricerca delle immagini dei luoghi che potessero evocare con verosimiglianza scientifica le origini dell’uomo e delle forma di vita che ne riproducevano i ritmi e le armonie.
Il primo reportage fu realizzato nel 2004, l’ultimo dei viaggi previsti l’intraprese nel 2012.
In otto anni, Salgado percorse il mondo in aerei grandi e piccoli, in navi, in barche, in canoe, a piedi e in mongolfiera. Dopo aver dedicato quasi tutta la sua vita a fotografare donne, uomini, bambini, divenuto uno dei fotografi più celebri del pianeta, mise alla prova tutto quello che aveva appreso, riprendendo vulcani, deserti, ghiacciai, foreste, canyon, jungle, balene, renne, leoni, pellicani etc.
Le parole dell’autore ci fanno capire benissimo cosa rappresentavano quei viaggi per il suo sguardo fotografico, tornato ad essere penetrante, colto, etico: “Sono stati anni magnifici, che mi hanno portato gioie immense. Dopo aver visto tanto orrore, ho potuto contemplare tanta bellezza… Durante la realizzazione dei reportage, Leila mi ha spesso raggiunto nei miei viaggi. Insieme, siamo rimasti tante volte senza fiato di fronte alle maestosità della natura e a tutte le forme di vita che vi regnano, attraverso i milioni di specie che la abitano. Alla fine, la Terra ci ha regalato una magnifica lezione di umanità. Scoprendo il mio pianeta, ho scoperto me stesso e ho capito che tutti noi siamo parte dello stesso insieme – il sistema Terra”.
Tuttavia, mi permetto di aggiungere alle parole dell’autore un non trascurabile supplemento di significanza dei suoi viaggi. A me pare decisivo il fatto che, aldilà del movente interiore e del valore umanistico del progetto, Salgado sia riuscito a restituirci la bellezza di cui parla, nel suo particolare “linguaggio” fotografico, senza cedimenti sul fronte del colore o di tecniche da realismo documentarista. Le sue immagini definitive, ovvero quelle che abbiamo ammirato nelle esposizioni e pubblicate nel libro editato da Tashen, nascono come foto di reportage scattate nei luoghi meno contaminati dalla civiltà della Terra, ma portano anche le stimmate dell’oggetto preso da una vertigine estetica che mi fa pensare al sublime dei grandi pittori romantici e alla celebre enunciazione di Spinosa Deus, sive natura (Dio, ovvero la natura), che ho sempre interpretato come un monito per avere nei confronti del mondo la reverenza necessaria per sentirne la bellezza.
La suggestiva foto delle zampe anteriori di un’iguana, ripresa durante il primo reportage dedicato alla rivisitazione delle Galapagos, così lontana ma anche vicina alla mano di un guerriero del Medio Evo, mi trasmettono il prodigio della diversificazione delle specie, secondo un registro affettivo/passionale che forse non ha lo stesso valore cognitivo delle straordinarie pagine scritte da Darwin (Viaggio di un naturalista intorno al mondo), ma che per certi versi, mi avvicina alle cose del mondo e mi coinvolge facendomi desiderare la loro esistenza.
Posso generalizzare questa impressione di una bellezza sapiente alle foto del Madagascar, a quelle fatte a Sumatra, in Nuova Guinea, in Papuasia, nella Russia Asiatica, in Africa, in Amazzonia, nei grandi ghiacciai del Nord del pianeta.
Anche le foto che si propongono di ritrovare le origini della specie umana trasudano del tono emotivo di bellezza, del quale Salgado è maestro. I ritratti dei Kuikuros, dei Wauras e dei Kamayura del Mato Grosso trasmettono dignità, armonia con la natura, una grazia inaspettata.
Quale e’ il messaggio che le immagini di Salgado trasmettono? A me sembra di capire che il fotografo intenda far dipendere la sottile regolazione del registro di bellezza e gli effetti passionali che le foto evidenziano, dall’atteggiamento di reverente conoscenza dell’ambiente in cui vivono le tribù. Una bellezza che deriva dunque da un’unità tra uomo e ambiente che noi occidentali abbiamo perduto.
Tutte le tribù documentate da Salgado possiedono una conoscenza perfetta dell’ambiente in cui vivono. Il trucco a fin di bene, che il fotografo mette in gioco, è centrato su uno scivolamento metonimico, nel nome della bellezza, tra i frammenti di mondo ripresi e i popoli tribali raffigurati.
Grazie alla sua particolare tecnica fotografica, Salgado, riesce a farci percepire le somiglianze di famiglia tra aggregati di forme eterogenee, ghiacciai che hanno la forza emotiva di un ritratto, ritratti che hanno la consistenza e la magia di una foresta, stabilendo tra esse la sacra unità, raffigurata nel linguaggio, dalla parola quant’altre mai simbolica Genesi.
Perché un mondo in bianco e nero?
Salgado ha lavorato spesso con il colore. Ma per i suoi grandi reportage ha sempre scelto il bianco e nero. Secondo la sua opinione i parametri delle inquadrature a colori erano troppo rigidi per poi sperare di poter configurare l’immagine in post produzione, in modo tale, da restituirle l’impronta emotiva percepita al momento dello scatto.
Le pellicole in bianco e nero invece, hanno la proprietà di permettere al fotografo le sovraesposizioni di qualche diaframma, che in un secondo tempo verranno corrette in laboratorio. Per tentativi ed errori, si può arrivare ad ottenere esattamente quello che si e’ provato al momento dello scatto.
Il vangelo estetico di Salgado si basa dunque sull’idea della continuità, ovvero sulla capacita’ del fotografo di concepire l’atto fotografico come se fosse un processo che inizia prima del clic e prosegue con la distillazione dell’immagine esemplare.
Un’altro argomento contro il colore, per le finalità di Genesi, l’intrinseca bellezza del soggetto-causa dell’atto fotografico.
I colori della natura possono essere così intensi da diventare più importanti delle emozioni (incontrate dal fotografo) contenute in una foto.
La sottile regolazione della gamma dei grigi, invece, ha consentito a Salgado di concentrare la forza visiva sull’intensità delle persone e delle cose, conferendo ad esse la serena dignità che induce reverenza e rispetto.
Scrive il fotografo nella sua autobiografia: “Penso che il potere del bianco e nero sia straordinario e per questo l’ho utilizzato senza nessuna esitazione per rendere omaggio alla natura: fotografarla così era per me il modo migliore di mostrare la sua personalità, far emergere la sua dignità. Bisogna sentire la natura, bisogna amarla e rispettarla per poterla fotografare, come per le persone e gli animali”.
Da queste parole, possiamo inferire facilmente il messaggio che la bellezza sapiente di Salgado vuole meta comunicarci in forma di speranza e non come ideologia.
Se paragonati ai Papua, alle tribù dell’amazzonia, ai Nenci della penisola di Yamal (Siberia) siamo diventati persone molto complicate, spesso tanto complicate da divenire estranei a noi stessi, a chi ci ama, al pianeta. Tuttavia non c’è nulla di definitivo o irrisolvibile. La soluzione non sta nel volgere uno sguardo nostalgico al passato, nel tornare indietro, ma nel ritornare a sentire in noi l’immensa bellezza conservata nel pianeta Terra.
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Conosco bene il progetto Genesi avendolo visto a Forlì. L’articolo me lo ha fatto ricordare. Amando la fotografia pura le foto super elaborate di Salgado mi avevano lasciato qualche dubbio. Ha ragione l’autore: è la mostra più importante fatta dal grande fotografo. Però a me fece più impressione mostra e libro dedicato ai grandi esodi delle popolazioni più sforrtunate.
Salgado non si discute. Però quello che dice Guido è vero. Le foto di Genesi sembrano quasi glamour. Sembrano fatte con una macchina fotografica diversa dal passato. Strano peró, avrei giurato che Salgado fosse attaccatissimo alla Leica.
Salgado è stato un grande reporter, ma non ci trovo nulla di strano se con Genesi oltre alla testimonianza ha cercato anche altre qualità fotografiche che prima non aveva sperimentato. Io non so se ha cambiato macchina o meno però sono sicuro che voleva evitare la resa fortemente contrastata B/N delle sue ricerche precedenti. Con Genesi la sola drammatizzazione non avrebbe trasmesso alla gente il sentimento di poetica grandezza che lui stesso ha dichiarato di provare difronte alla natura.
Quando si parla di Salgado la parola glamour non ci sta proprio. Io credo che, soprattutto con Genesi, il fotografo abbia riflettuto sulla bellezza dello scatto. Ma il glamour è più vicino alla bellezza nel senso della parola inglese beauty (una bello in cui si sente il desiderio). La bellezza di Genesi è grandiosa, rispettosa, reverente. Non è nostalgica e nemmeno mielosa. La complessa sfumatura dei grigi ha il compito di allontanarla da noi (dalle nostre emozioni ordinarie) per farci scoprire una più sottile regolazione del sistema mente-affetti, che ha come fine la creazione di un momentum di sincronia interiore con la natura-messaggio.
Per quanto riguarda il cambio di macchina, Antonio ha avuto una intuizione giusta. Se cercate in internet troverete l’informazione che dovendo fare tanti viaggi, atterrando in aereoporti super controllati per via del terrorismo, Salgado temendo che le ispezioni attraverso rivelatori ai raggi X potessero danneggiare le pellicole, fu costretto a passare al digitale (pesa molto meno, tra l’altro). Probabilmente l’uso del digitale lo ha poi costretto in fase di sviluppo a processi elaborativi complessi. Ma gli ha permesso anche una maggiore precisione nella ricerca delle note affettive che voleva trasmetterci.
Un consiglio per tutti: andate a guardarvi il film documentario girato da Wenders su Salgado. Si intitola il Sale della terra ed è un capolavoro.
Apprendo leggendo l’articolo Salgado che avrebbe impiegato 8 anni di viaggi per il suo progetto. Già solo questa dedizione al vero spirito del reportage annuncia i suoi capolavori. Comunque per me le sue foto sono belle per via della loro forma e non perché il fotografo quando le ha fatte era emozionato,
La pregnanza formale delle immagini di Salgado non ha bisogno di essere marcata: il nostro occhio è in grado di percepirla benissimo senza alcun ingombro concettuale. Ma la loro specificità è di essere, in qualche modo, empatiche. Salgado intenzionalmente tenta di trasmetterci ciò che in quel preciso momento ha sentito (di fronte al soggetto della foto). Cioè sfrutta il lavoro dei neuroni che consentono l’empatia tra l’occhio-mente del fotografo e l’occhio-mente del fruitore dell’immagine. Il contenuto delle sue immagini non è solo una figura di una più vasta narrazione che ha come tema il pianeta terra, la natura, l’origine… Il contenuto che sta a cuore a Salgado è una emozione complessa. Questo sdoppiamento semantico, tra l’altro, nel quale l’affetto o una emozione sovrainveste il contenuto lineare che deriva dal pensiero linguistico/discorsivo, è il tratto caratteristico di una immagine che ha fatto centro. Salgado è abilissimo nel sfruttare la portanza affettiva delle immagini, nobilitandola attraverso cornici concettuali etiche.
Chi non conosce Salgado? A me piace perché trasmette emozioni. Trovo inutile concentrarsi su questioni tecnologiche. E vorrei chiedere all’autore: ma cosa c’entra la moda?
Con la moda intesa come abbigliamento Salgado non ha niente da dire. Se la pensiamo come dispositivo simbolico il discorso cambia. Se fossi un fotografo interessato alla moda la tecnica e contenuti di Salgado mi intrigherebbero.
Non posso fare altro che rimanere affascinato dalle foto di Salgado in particolar modo con Genesi. Alcune di esse mi ricordano degli scatti di Avedon, non per i soggetti in se ma per lo stile chiaramente bianco e nero
Ritengo Sebastião Salgado un grande fotografo del secolo scorso, formatosi da autodidatta, (siccome compì studi prettamente economici), ma con una grande rilevanza anche per la fotografia contemporanea, grazie alla sua importante impronta di reportage dei luoghi che visita e persone che incontra, concentrandosi specialmente sul racconto, e più in generale sul rapporto tra i cambiamenti di essi nel tempo e dellla relazione tra persone ed ecosistema. Cosa che trapela anche nella produzione documetaristica a lui dedicata chiamata “Il sale della terra”, realizzata dal grande regista Wim Wenders, anche grazie al prezioso aiuto di Ribeiro Salgado figlio dell’autorevole fotografo.
Salgado, oltre che gran fotografo, penso sia anche una persona ammirevole con una lodevole considerazione verso la società, in quanto ha svolto una importante opera di bene in Brasile, sua terra natale, ovvero di ripiantare con l’aiuto di sua moglie una grossa parte della foresta amazzonica precedentemente abbattuta per colpa del fenomeno della deforestazione. Facendo ciò, ha persino aiutato lo sviluppo della fauna del luogo.
Probabilmente questo suo impegno è dovuto al fatto di aver passato una vita all’insegna dello scoprire persone, culture e tradizioni, specialmente in condizioni sfavorevoli, e quindi del voler lasciare la propria impronta nel mondo. Motivi spiegati dettagliatamente per l’appunto nella sua produzione “Genesi”, menzionata nell’articolo.
Mi colpisce particolarmente la grande cura che impiega nelle sue produzioni, atte ad evocare forti sensazioni nello spettatore. Infatti è uno dei fotografi che più mi lascia varie riflessioni, insieme ad alcuni colleghi di reportage, come Cartier Bresson e McCurry, fotografi dei quali ho avuto fortunamente l’occasione di partecipare ad un paio di mostre, a differenza di Salgado purtroppo.
Sicuramente non a caso, è riuscito pure ad aggiudicarsi più volte il premio come miglior fotografo dell’anno, oltre che numerosi altri premi.
Mattia Castelnuovo Cinema 1 Laba
Ritengo Salgado un grande fotografo del secolo scorso. In breve tempo la fotografia diventò la sua passione, la sua vocazione e il suo progetto di vita . Salgado infatti documenta i cambiamenti ambientali, economici e politici condizionano la vita dell’essere umano. Salgado fa vari viaggi soprattutto mi colpisce quello in Africa dove si innamora perdutamente della terra e delle persone che ci abitano
Giulia Zappia Cinema 1 Laba
Ho avuto la fortuna di capitare a Roma nel momento giusto, e quindi di non perdermi una delle mostre al di Salgado al MAXXI.
Senza dubbi una delle mostre fotografie più belle mai viste fino ad ora.
Posso confermate quello detto dalla moglie: il voler ‘’ricreare un ambiente in cui il visitatore si sentisse avvolto dalla foresta ..’’ Beh le curatrici del museo ci sono riuscite perfettamente.
Appena entrato in questa stanza buia ogni pensiero in testa è svanito, mi sono sentita immersa nelle fotografie sospese per aria. Sembrava di essere assieme ad Avedon appena scattava ogni singola foto.
Cerano delle piccole televisioni dove erano protettati i leder di ogni comunità indigena che ti trasportavano nella loro vita.
La mostra era divisa in due da una parte, le immagini paesaggistiche senza dubbio eccezionali, ma la seconda parte è quella che mi ha emozionato maggiormente. Erano rappresentati ritratti di donne, uomini e bambini in tutta la loro naturalezza, semplicità. Le foto erano accompagnate da una musica di sottofondo che ti faceva sentire parte della loro tribù, ti trascinava nel loro mondo completamente diverso dal nostro, ma senza farci sentire estranei.
Avrei voluto vedere l’allestimento che evochi. Non capisco il riferimento ad Avedon.
L’articolo presenta il progetto “Genesi” del fotografo brasiliano Sebastiao Salgado, in cui ha viaggiato per il mondo alla ricerca di luoghi incontaminati e ha documentato la vita selvaggia attraverso le sue fotografie. Il lavoro di Salgado viene considerato molto potente e può avere un grande impatto sulla sensibilizzazione delle persone ai problemi dell’ambiente e della società.
Sono rimasto particolarmente colpito dal fatto che Salgado abbia utilizzato la fotografia come una sorta di terapia per superare la depressione causata dalla crudeltà umana e dalla distruzione dell’ambiente che aveva documentato in precedenza. Questo dimostra come l’arte possa avere un effetto terapeutico sulla mente e sul corpo.
In sintesi, il lavoro di Salgado ci invita a trovare un equilibrio tra lo sviluppo umano e la conservazione della natura, ed è un richiamo alla necessità di una nuova alleanza tra l’uomo e l’ambiente. Le sue fotografie ci offrono uno sguardo sulla bellezza della natura e sulla sua fragilità, e dovrebbero essere apprezzate e sostenute da tutti coloro che si preoccupano per il nostro pianeta.
Le foto di Salgado mi hanno penetrato l’anima, il corpo e la mente; in particolare io sono rimasta colpita dal lavoro che ha fatto nel 2007 in Etiopia, che a parer mio è incredibile, entusiasmante e coinvolgente.
Salgado è nato con la natura, è nato nella natura e tutto il suo lavoro parte proprio dalla terra, dall’ambiente che lo circondava.
Lui diceva di essere nato in un paradiso, dove i terreni erano sani, vivi, incontaminati e i paesaggi erano allo stato primordiale.
Con le sue foto Salgado ci urla un messaggio molto importante, ovvero quello di non distruggere il nostro ambiente, la nostra terra, la terra da dove siamo nati, ci urla di proteggere e salvaguardare la natura e tutte le cose che essa ci ha regalato e ci regala.
Proteggere, ammirare e creare, non distruggere
Io non credo che fotografando l’orrore si diventi complici di esso, ma anzi credo che sia coraggioso fotografare il degrado.
Il mondo sarebbe tutto e rosa fiori se non vedessimo mai le cose negative che ci circondano; per questo è bene, a parer mio, mettere in luce anche il buio.
Nonostante Salgado ci mostri “l’orrore”, le sue foto sono affascinanti e coinvolgenti.
Vuole farci riflettere sul rapporto uomo-natura, un rapporto sano che in alcune tribù esiste ancora, dove l’uomo ha rispetto dell’ambiente nel quale vive e l’ambiente ha rispetto dell’uomo.
Io credo che Salgado sia riuscito ha trasmettere il messaggio che voleva, credo che le sue foto siano la sua voce, i suoi occhi, il suo cuore e la sua anima.
Ammiro il suo lavoro perchè è davvero coinvolgente
Sebastiao Salgado, nato in Brasile nel 1944, ha iniziato la sua carriera come economista, ma ha presto deciso di dedicarsi alla fotografia. Dopo aver lavorato per l’agenzia di stampa Magnum, ha fondato la sua agenzia fotografica, la Amazonas Images, e ha iniziato a creare immagini iconiche che hanno documentato alcuni dei problemi più pressanti del nostro tempo.
Uno dei progetti più ambiziosi di Salgado è senza dubbio Genesi, una raccolta fotografica che documenta la bellezza naturale e la diversità culturale del nostro pianeta. Il progetto è stato concepito come una sorta di omaggio alla natura e alla diversità umana, e Salgado ha trascorso otto anni viaggiando per il mondo per catturare immagini mozzafiato di paesaggi, animali e persone. Questo progetto è stato amato da tutti, fotografi e non. Trovo affascinante che con la sua attenzione alla bellezza naturale e alla diversità culturale, Salgado sia riuscito a creare, attraverso questo progetto, un manifesto per la conservazione per l’ambiente e per la promozione della diversità. Salgado è riuscito secondo me nell’intento, è stato in grado di farci riflettere sul fatto di dover rispettare la natura che ci circonda.
Il suo stile fotografico è caratterizzato da una grande attenzione per i dettagli e la composizione. Utilizza spesso una luce naturale intensa e contrastante. Inoltre, scatta spesso in bianco e nero, il che conferisce alle immagini un aspetto classico e senza tempo, ma comunque d’impatto. Dice infatti che solo attraverso il bianco e nero è in grado di trasmettere le sensazioni che provava in quel momento. Uno degli aspetti più distintivi del suo stile è anche la capacità di catturare l’essenza delle persone e dei luoghi che fotografa. Grazie all’effetto chiaroscuro, creando questo forte contrasto, conferisce alle immagini un aspetto drammatico e mozzafiato.
Il testo parla di Sebastião Salgado, uno dei fotografi più importanti e influenti del secolo scorso, la cui produzione si caratterizza per un forte imprinting reportagistico e per un particolare attenzione alla relazione tra le persone, l’ambiente naturale e i cambiamenti che questi subiscono nel tempo. Salgado è stato un autodidatta, sebbene i suoi studi si siano concentrati sull’economia piuttosto che sulla fotografia. Nonostante ciò, la sua impronta sulla fotografia contemporanea è stata molto rilevante e ha influenzato molti altri fotografi.
Sottolinea anche l’importanza di Salgado come figura umana e sociale, evidenziando il suo impegno nella ripiantumazione di una parte della foresta amazzonica, una causa a cui si dedica con passione insieme alla moglie. Questo impegno sociale sembra essere alimentato dall’esperienza di vita di Salgado, che lo ha portato a scoprire persone, culture e tradizioni in condizioni spesso sfavorevoli e che lo ha spinto a voler lasciare una propria impronta nel mondo.
La cura che Salgado impiega nelle sue produzioni fotografiche è descritta come estremamente evocativa e capace di suscitare forti emozioni e riflessioni nello spettatore. In questo senso, le sue fotografie sembrano non solo documentare la realtà, ma anche interrogarsi sulla natura dell’uomo e sulla sua relazione con l’ambiente naturale.
Personalmente, sono molto colpito dalla capacità di Salgado di trasmettere con le sue fotografie messaggi molto potenti e universali. Le sue opere sembrano riflettere una profonda comprensione dell’uomo e del suo ruolo all’interno del contesto naturale, e il suo impegno per la salvaguardia dell’ambiente sembra essere guidato da una visione etica molto forte.
In sintesi, questo articolo sottolinea l’importanza di Sebastião Salgado come fotografo e figura umana impegnata nella difesa dell’ambiente naturale. Le sue fotografie, documentando la realtà, sembrano voler anche interrogarsi sulla natura umana e sul nostro rapporto con l’ambiente che ci circonda. La capacità di Salgado di trasmettere messaggi universali e potenti attraverso le sue fotografie è qualcosa che ammiro molto, e che credo abbia reso la sua opera una delle più importanti e significative della fotografia contemporanea.
Mi rendo conto che l’innamoramento profondo che nutro nei confronti degli scatti di Salgado sia arrivato dopo aver visto il documentario “Il Sale della Terra”. Devo anche essere onesto col dire che non conoscevo minimante l’autore prima che venisse trattato a scuola, e di primo impatto (per tantissimi motivo che non mi spiego appieno) il suo lavoro non mi diceva molto. Da figlio illegittimo di mamma Cinema, devo dire che sicuramente il fatto che ciò che mi abbia fatto innamorare di Salgado sia proprio una forma di cinema (la più “cinematografica forse, il documentario) ha sicuramente giocato a favore di una grande apprensione emotiva nei suoi confronti. Guardando il documentario da spettatore di primo livello, lasciandosi completamente trasportare dalla crudeltà, l’orrore e l’enorme voragine creatasi nel mio stomaco a fine visione mi ha dato l’occasione di poter vivere per poco meno di due ore un centesimo di quello che ha vissuto questo essere umano. Questo di certo ha cambiato completamente la mia visione sui suoi scatti, dove rivedo tutto quello che ho provato in quelle due ore e immediatamente mi connetto con l’urgenza, il bisogno di dire, di fare del fotografo. Oltre a questo, devo ammettere che sono
molto sensibile all’argomento cambiamento climatico, che mi rendo conto essere solo uno dei tanti argomenti trattati da Salgado, ma che da bianco caucasico occidentale è l’unica cosa che sto davvero toccando con mano e sento come elemento preponderante nella mia vita, non avendo ancora vissuto nessuna guerra o disastro naturale sulla pelle. Detta questa necessaria introduzione, non riesco fare a meno di comparare la parte del lavoro di Salgado che ho la possibilità di sentirmi addosso in questo momento della mia vita con il lavoro che sta facendo Ultima Generazione (perché si, perché per quanto se ne possa dire se non hai vissuto un esperienza Ruanda – like è difficile andare in profondità alla questione senza soffermarsi solo sull’ “estetica” del disastro, che da bianco privilegiato si limita ad un assimilare esperienze “formative per se stessi”, unicamente ego riferite e prive di vero contenuto a parer mio). Cosa c’entra Ultima Generazione? Credo che questo gruppo di coraggiosissimi ragazzi non sia nient’altro che un piccolo “esercito” di persone come Salgado. Nel senso che sono certo che una persona come Sebastiao abbia ritrovato la fiducia persa nel mondo Occidentale grazie anche a organizzazioni come questa sparse per tutto il mondo, che hanno deciso di agire non tanto scrivendo di tutto su tutti o parlando ad una schiera di manichini in un parlamento ormai vuoto, ma agendo nel vero senso della parola, proprio come Salgado. Viaggiando, rischiando la vita, rischiando la sicurezza e la calda coperta che è L’Occidente per poter mostrare che esiste speranza, che esiste un modo, che bisogna ancora credere (altrimenti perché vivere col pilota automatico?). Con due forme di comunicazione completamente diverse, Ultima Generazione e Salgado ci stanno mostrando che persone come me e te possono fare qualcosa per riconnettersi con un umanità persa da tempo immemore, per poter sbocciare insieme in una nuova Genesi del pianeta Terra, ormai stanco quanto noi di noi stessi.
Oltre a tutto questo, mi piacerebbe soffermarmi per un attimo sulla potenza del Bianco & Nero e riflettere su quanto siano vere le parole dell’articolo e di Salgado stesso, cioè quanto all’interno dell’apparente assenza di colore si celi in realtà l’anima delle cose così come sono, che permette di colpire molto più a fondo della visione a colori del mondo. Cosi come il medio formato (per quanto riguarda la composizione quadrata innaturale per l’occhio umano) , l’innaturalezza di vedere il mondo desaturato permette davvero di concentrarsi un attimo prima sui bordi delle cose, che spesso vengono sfumati da tanti colori diversi, facendoci accorgere che tutto ha un profilo ben definito, una fine anzi. In un secondo momento si entra in contatto completo con ciò che si guarda, costretti dal fatto che non lo si vedrà mai nella vita reale in quello stato di assenza cromatica, e quindi costretti a cogliere il momento e aggrapparsi alla vera emozione che trasuda l’immagine, senza farsi distrarre da altro. Il B&N è una meravigliosa trappola che permette di fare da specchio alle sfaccettature dell’anima delle cose, che troppo spesso viene nascosta sotto il background noise della vita che viviamo tutti i giorni.
Ottimo intervento. Molta testa e tanto cuore.
Premetto di non aver mai visto le fotografie di Salgado dal vivo, e quindi il mio commento (al momento) sarà limitato al confronto di quanto letto con l’immagine digitale delle sue fotografie. Trovarsi di fronte a tali opere deve essere una sensazione alienatoria, come un viaggio nel cosmo tutto.
Noi siamo parte della Natura e in essa ci si può vedere il cosmo: nella sezione aurea, nel ruolo dei funghi per l’ecosistema, così come nei petali di un fiore. È senza limiti e lo sguardo di Salgado è riuscito a regalarci un viaggio su questo pianeta e all’interno di noi, essendo una cosa sola.
Il dolore e la bellezza che ha provato possono dimostrare la connessione.
Lo scatto di Salgado è puro e penetrante, sublime e utopico. La luce tagliente e il contrasto indelebile, fa suscitare una sensazione totale in noi. Ammirando lo scatto, si percepisce il vento, la calma, l’umidità e più stimoli per i nostri sensi. Guardandole è come se percepissi la fotografia ben oltre alla sua visione. L’occhio umano vi si perde e così la sua mente.
Ti connette con la realtà, è una “lezione di umanità”.
La visione dei ritratti è destabilizzante, è impregnata di ambiente-cosmo, conferisce una forma al legame con la natura. Connessione che ormai in Occidente ricordiamo appena.
Le fotografie sono un messaggio di speranza, sono un segnale molto chiaro per dimostrarci che non bisogna cercare chissà dove e tanto meno che non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno: imparare dalla natura e dalla sua bellezza, lasciarsi trasportare, e tenere a mente che in essa ci siamo anche noi, minuscole creature che crediamo di essere padroni di tutto.
Con la scala di grigi regola la gamma delle emozioni. La loro unione, fusione, la loro divisione, suscitano un fluire di sensazioni.
Guardare le fotografie di Salgado è un ritrovarsi ma anche un abbandonarsi, una forza per credere in qualcosa o perlomeno di provarci. Lasciare le redini delle convinzioni postmoderne per cercare una riconnessione con la natura: la nostra origine e la nostra fine.
Il progetto Genesi di Sebastião Salgado è senza dubbio uno dei suoi lavori più importanti e influenti. Questo progetto fotografico è stato realizzato tra il 2004 e il 2011, in cui Salgado ha viaggiato in molti luoghi remoti del mondo, visitando luoghi incontaminati e inaccessibili, al fine di documentare la bellezza naturale e la diversità della vita selvaggia, nonché la cultura e la vita delle persone che vi abitano.
Ciò che rende il progetto Genesi così importante è la sua intensità e la sua bellezza visiva. Le immagini di Salgado sono sorprendenti, sia per la loro qualità tecnica che per la loro capacità di catturare l’essenza stessa del mondo naturale. La sua abilità nel giocare con la luce e l’ombra, le tonalità di grigio e il contrasto, rende le sue fotografie uniche e immediatamente riconoscibili. Inoltre, la sua capacità di cogliere l’umanità delle persone che incontra è altrettanto impressionante. Le sue foto delle tribù indigene, dei pastori nomadi e dei pescatori costieri rivelano la dignità e la complessità delle culture umane che spesso vengono dimenticate.
Il progetto Genesi non si limita a documentare la bellezza della natura, ma racconta anche la sua fragilità e la necessità di preservarla. Salgado ha mostrato le conseguenze negative dell’attività umana sul nostro pianeta, come la deforestazione, l’inquinamento e il cambiamento climatico. In questo modo, Genesi è anche un invito alla responsabilità e all’azione, alla necessità di proteggere e conservare il nostro ambiente naturale.
Un’altra caratteristica distintiva di Genesi è la sua portata globale. Salgado ha viaggiato in tutti i continenti del mondo, documentando luoghi remoti e spesso poco conosciuti. Ciò ha permesso di mettere in evidenza la diversità culturale e geografica del nostro pianeta, mostrando come la natura e l’umanità si esprimano in modo diverso a seconda del luogo e del contesto. In questo modo, Genesi ci ricorda la nostra connessione universale con la natura e tra di noi, indipendentemente dalle differenze culturali o geografiche.
Inoltre, il progetto Genesi ha un grande impatto sociale. Le immagini di Salgado sono state esposte in tutto il mondo, suscitando l’ammirazione e il rispetto del pubblico e della comunità artistica. Il suo lavoro ha ispirato molte persone a prendersi cura del nostro pianeta e ad agire in modo responsabile nei confronti dell’ambiente. Inoltre, Genesi ha contribuito ad aumentare la consapevolezza sulla necessità di proteggere le culture indigene e le comunità rurali, spesso trascurate o dimenticate.
In conclusione, il progetto Genesi di Sebastião Salgado è una straordinaria rappresentazione della bellezza e della fragilità del nostro pianeta e della diversità culturale dell’umanità.
Trovo gli scatti di Sebastiao Salgado di una potenza fuori da ogni cosa; ha uno sguardo fotografico che riesce a portare lo spettatore in un mondo fatto di pura realtà, ma una realtà che fa rabbrividire.
Egli è in grado di testimoniare tutto ciò che si cela dietro al concetto etico della violenza, dell’odio, della crudeltà, della sofferenza e del tragico che l’essere umano si trova ad affrontare davanti alle guerre, ai conflitti etnici e alle crisi economiche e ecologiche, di cui lui stesso è la principale causa.
Ho trovato interessante il documentario “Il sale della terra” poiché ha trattato in modo dettagliato tutta la sua vita e i suoi lavori ed ha approfondito tutte le caratteristiche che si celano dietro agli scatti e a quanto tempo ci dedicasse.
Salgado ha girato il mondo, ma con occhi diversi, mesi e mesi, ha visto cose immaginabili e le ha portate come testimonianza, una testimonianza spaventosamente bella.
Nel testo viene esposta la tematica della depressione e del pessimismo che si è celato in lui davanti a fatti realmente brutali; mi chiedo difatti come sia possibile per l’essere umano immortalare tali momenti e riuscire a renderli di grande fascino e di una bellezza unica a chi li guarda.
La percezione dei suoi lavori di reportage suscitano all’occhio umano un grande interesse non solo dei fatti ma della loro composizione fotografica, primi piani che lasciano davvero a bocca aperta, paesaggi unici, sguardi degli individui che penetrano dentro e che ti lasciano qualcosa, ma quel qualcosa che non riesci a captare ma che ti colpisce al cuore, quel qualcosa che rimane impresso, quel qualcosa che ha talmente tanta bellezza che rimane impresso, nella mente, quella mente che vuole conoscere, sapere e ammirare ancora, ancora e ancora.
L’uomo è affascinato dal realismo, vuole cogliere più informazioni possibili, e non c’è modo migliore che nei suoi scatti.
Tutto inizia dagli occhi, occhi che sfogliano le sue fotografie, meravigliati, e che le riescono a portare dentro all’anima, dove lì esse spezzano qualcosa, spezzano quel sapere che abbiamo di quelle civiltà ma che non ne abbiamo mai avuto il modo di captarle se non con le parole.
Sono reportage che servono, servono a noi oggi, perché solo da quell’archivio di informazioni si può arrivare a un sapere collettivo, un sapere fatto di puri fatti, fatti che colpiscono.
Penso che una delle caratteristiche da lui utilizzate, d’altronde come tantissimi fotografi, per rendere l’efferatezza meraviglia, sia l’uso del bianco e nero, poiché si intravede questa tecnica fotografica come quel qualcosa in più, come se lo spettatore fosse in grado di captare i colori in automatico, ma senza dargli quella importanza principale, egli testimonia difatti di voler dare omaggio alla natura con questo suo utilizzo della scala di grigi.
Mario Giacomelli è stato anche lui un fotografo amante del bianco e nero, perché lascia quel qualcosa in più, quella curiosità di esaminare meglio le fotografie, fotografie che portano il realismo, detto magico, che a me a colori perderebbe di importanza e di incanto.
La principale caratteristica del nero è difatti quello di suscitare curiosità, e penso che senza curiosità il realismo non potrà mai arrivare all’essere umano, l’avvicinamento di tale colore con l’innocenza del bianco rende tutto perfetto all’occhio; lascia quell’impronta indelebile in noi, difficile da cancellare.
Sebastiao Salgado un giovane ragazzo nato in Brasile , che ha imparato a fotografare da autodidatta ha deciso di seguire la passione per la fotografia che lo porterà ad essere conosciuto e considerato come uno dei grandi fotografi umanisti del XX e XXI , ed è stato più volte candidato per il premio World Press Photo.
Ho preso visione di un documentario su Salgado “Il Sale della Terra” , in cui il fotografo racconta in prima persona ciò che ha vissuto durante tutti i suoi viaggi in Africa.
Partiamo col dire che Salgado da giovane è partito per l’Africa insieme a sua moglie Leila per lui un punto fisso nella sua vita ed è stata la sua salvezza una volta tornato dal viaggio, lei lo accompagnerà per i primi viaggi , poi però dovette abbandonare l’idea poichè incinta e quindi Salgado per gli ultimi suoi viaggi fu costretto a partire da solo.
Durante la visione del documentario , ho potuto notare con quanta crudeltà, violenza , odio , cattiveria c’è nell’essere umano, mi ha lasciato un buco nello stomaco, vedere quelle immagini così crude che raccontano la vita e la morte delle persone,è stato devastante , le sue foto colpiscono nell’anima e Salgado sottolinea durante il racconto che l’umano è un mostro, e ha ragione. Mi ha colpito maggiormente dei suoi report il viaggio in Ruanda, vedere le persone sul ciglio della strada pronti a morire perchè non ne potevano più di scappare accompagnata dalla sofferenza nei loro volti è disarmante.
Questo viaggio vissuto , ha portato in Salgado depressione e pessimismo tanto da voler abbandonare per sempre il mondo fotografico poiché in molti credevano che le sue foto di reportage per quando distruggenti fossero , risulterebbero troppo belle , visto che lo scopo di Salgado non era dare spettacolo ma prendere visione di quello che accadeva nel Sud Africa, allora considerò questa opzione , ma una volta tornato grazie alla moglie riuscì a trovare la voglia di scattare.
Salgado durante la sua infanzia viveva in un paese in cui affianco c’era una foresta gigantesca ma che era stato sdisboscata da lì il terreno era diventato arido e secco ,ma la moglie ebbe un’idea geniale che può essere considerato quasi un miracolo , decise di piantare degli alberi ad oggi sono a 4 milioni per ricreare e ricostruire quel paesaggio bellissimo naturale distrutto, da qui nasce il suo progetto Genesi; un progetto GIGANTESCO durato 8 anni raccolto in 32 reportage dove viene raccontata la bellezza naturale della terra , ha fotografato paesaggi , alberi , animali , si è sentito parente di una tartaruga, perchè quelle rughe che aveva sul corpo raccontava una vita, o anche la zampa di un’iguana in cui gli sembrava una mano di un soldato medioevale, ha raccontato anche di un evento straordinario; durante uno dei suoi tanti viaggi adesso non ricordo il luogo preciso comunque diceva essere stanco perché aveva camminato molto allora si era steso con gli occhi chiusi per riposarsi un po’, dopo poco si è sentito toccare la gamba allora aprì gli occhi e si ritrovò 2 leoni marini , e disse ce lì in mezzo si sentiva anche lui un leone marino.
Prima di concludere parlerei del forte utilizzo del bianco e nero caratteristica principale dei suoi scatti ,per i suoi reportage Salgado ha sempre usato il bianco e nero perchè dice che “Per me il bianco e nero è un’astrazione, è un modo di concentrarmi, di non distogliere la mia attenzione da quello che è il vero oggetto del mio interesse”. In effetti iò bianco e nero crea delle sfumature di grigi molto interessanti rendendo tutto omogeneo , e il nero come contorno per delineare, in modo da far concrentare gli occhi su quel tipo di persone soggetto ecc… .
Concludo questo commento dicendo che Salgado ha visto nel bianco e nero quello che a colori non sarebbe riuscito a vedere .
Salgado è un uomo che attraverso la fotografia ha viaggiato, documentato e vissuto luoghi e culture di tutto il mondo. Probabilmente uno dei migliori fotografi del nostro tempo, grazie ad una trasparenza e verità che riesce a trasmettere nei suoi scatti. L’esperienza degli orrori, che l’uomo può causare, provati in Ruanda ed in Monzambico sono stati un punto importantissimo della vita del fotografo. Infatti come riportato nel documentario a lui dedicato, Il sale della terra, Salgado ha scelto come ultimo progetto fotografico, uno che potesse trasmettere speranza e amore nei confronti del nostro pianeta e quindi anche a lui.
Dalle parole di Salgado ho ritrovato l’idea della natura come totalità, che ritroviamo nel pensiero di Spinoza; il senso secondo cui l’uomo e la natura siano un tutt’uno.
Genesi è un progetto ambizioso, nel quale il fotografo decide di scoprire ed immortalare aree incontaminate, nelle quali la natura ne fa da protagonista.
Leggendo il titolo del documentario, il sale della terra, pensavo che avesse indicasse, in modo implicito, l’aridità che porta l’uomo ovunque esso passi; solo attraverso una rilettura della vita e delle opere di Salgado, sono riuscito ad intendere il messaggio evangelico legato all’amore nei confronti della terra.
Sebastiao Salgado non ha bisogno a parer mio di presentazioni, conoscevo già la sua figura di fotografo, celebre per saper cogliere nei paesaggi, nei ritratti ed in generale nella fotografia delle vibrazioni, quelle che rieccheggiano nella noosta scatola cranica.
Ammiro il suo lavoro legato ad una ricerca estetica, o per meglio dire visiva, ciò che viene catturato dalla sua macchinetta fotografica ha sempre uno spirito ed una certa carica emotiva, da rimarcare il suo approdo su di un concetto diametralmente opposta a quella da lui trattata fino a prima della collezione fotografica “genesi”
Dobbiamo tutti riconoscere anche l’immensa caratura di questo fotografo, attualmente un personaggio di forte rilevanza politica e sociale, ad oggi una sua visione è capace di condizionare un intero mercato, una sua parola potrebbe romperne un altro, potrebbe risollevare polveroni ambientali, a patto che lui stesso lo voglia, potrebbe essere una risorsa macroscopica nel combattimento generale contro il surriscaldamento mondiale, sfruttamento dei lavoratori, della vita umana e molto altre argomentazioni ancora.
Prima della lettura di questo articolo e della visione del documentario di Wim Wenders “Il sale della terra” non conoscevo Salgado e posso dire con certezza che è stata una scoperta che definirei necessaria. Il progetto Genesi, così come i reportage precedenti, dovrebbe essere d’esempio per tutti, indipendentemente dalla propria predilezione verso il mondo della fotografia. Salgado offre infatti attraverso i suoi scatti una visione sul mondo nuova, trasmettendo con la delicatezza del bianco e nero la gravità e l’urgenza di certe situazioni sempre più attuali che interessano diverse parti del pianeta e generando così lo stimolo nell’osservatore ad agire, ad intervenire attivamente per cambiare le cose.
Ritengo particolarmente significativo il concetto di “doppio legame psicologico” introdotto nella prima parte dell’articolo e riferito ai reportage che definirei più difficili, ne sono un esempio “la mano dell’uomo” e “Kuwait: un deserto in fiamme”. Se da una parte Salgado sente quasi la responsabilità di fotografare scene che vedono protagonista la distruzione che l’uomo ha causato, per dare in un certo senso una ragione a tutto quel dolore, dall’altra si chiede se immortalando tanta sofferenza non vada a spettacolarizzare la scena diventando complice di quest’orrore. Forse proprio a causa dell’influenza della società in cui sono nata e cresciuta, che ci mostra da una posizione privilegiata la sofferenza che ogni giorno affligge alcune zone del pianeta, il concetto di “doppio legame psicologico” è stato il primo pensiero che mi è affiorato alla mente dopo aver visto il documentario. Oggi esiste un termine per descrivere l’eccessiva strumentalizzazione da parte dei media della sofferenza, attraverso una narrazione fin troppo empatica che ha come fine ultimo quello di persuadere e di creare engagement nel pubblico: “pornografia del dolore”. Ecco, penso non ci sia termine più lontano dal descrivere gli scatti di Salgado. Quello che fa il fotografo non è spettacolizzare il dolore impacchettandolo e distribuendolo come prodotto da consumare, è al contrario rendersi strumento, attraverso i suoi reportage, di diffusione di consapevolezza. Salgado interviene attivamente nel disperato tentativo di cambiare le cose, e lo fa immortalando scene di vita strazianti, crudeli e violente con una delicatezza inaspettata, mettendoci davanti ad una realtà dei fatti che ci colpisce come un pugno allo stomaco.
È sicuramente l’utilizzo del bianco e nero una delle ragioni per cui gli scatti risultano così potenti e riconoscibili, la scelta di non impiegare il colore consente di indirizzare l’attenzione all’anima della fotografia evitando distrazioni, che si parli di persone o di natura. Così come i reportage a cui il fotografo dedica la sua intera vita, anche il progetto Genesi viene realizzato utilizzando la tecnica del bianco e nero, scelta che potrebbe apparire singolare considerato il soggetto, ma che risulta essere fondamentale nell’atto di immortalare la bellezza della natura e di restituirla all’osservatore. Ritengo inoltre che questo progetto non solo rappresenti un’ancora di salvezza per il fotografo che per troppo tempo si è reso testimone di sofferenze inimmaginabili, ma anche e soprattutto una seconda possibilità per l’uomo (nel suo rapporto con la natura e i suoi simili) per rimediare al male commesso e per diffondere la speranza di un cambiamento ancora possibile.
L’articolo parla del fotografo brasiliano Sebastiao Salgado e del suo progetto “Genesi”, una raccolta di 32 reportage nei luoghi meno accessibili del pianeta alla ricerca delle immagini dei luoghi che potessero evocare le origini dell’uomo. Il progetto è stato concepito da Salgado come un modo per recuperare la sua forza interiore e ritrovare la serenità dopo aver documentato le conseguenze della violenza dell’uomo e lo sfruttamento della natura. Ho trovato l’articolo molto interessante e apprezzo il lavoro di Salgado. La sua fotografia è molto potente e ha il potere di trasmettere emozioni intense. È ammirevole che abbia cercato di trovare una soluzione alla sua crisi interiore attraverso la creazione di un progetto ambizioso come “Genesi”. In un mondo in cui l’umanità sembra aver dimenticato il suo legame con la natura, questo progetto è un potente richiamo alla necessità di preservare il nostro pianeta per le generazioni future. Ho apprezzato anche la riflessione sul dilemma del fotografo/testimone che risponde alla violenza delle crudeltà della vita con la violenza dell’atto fotografico. È una questione delicata che richiede una grande sensibilità da parte del fotografo per trovare un equilibrio tra la testimonianza e il rispetto della dignità umana. Ritengo che il lavoro di Salgado sia importante non solo per la sua valenza estetica, ma soprattutto per il messaggio che trasmette. La sua fotografia ci invita a riflettere sulla necessità di una nuova alleanza tra uomo e natura e ci ricorda che abbiamo la responsabilità di proteggere il nostro pianeta per le generazioni future.
Da enciclopedia Treccani: “Genesi”, dal latino “nascere” , con riferimento a un’opera d’arte, le vie e i modi attraverso i quali la sua prima concezione si è venuta concretando nella mente dell’artista e creazione del mondo , come narrato nel 1° libro della Bibbia intitolato appunto “Genesi”. La concezione evoluzionistica che S.S. ha nei confronti del mondo si discosta completamente dalla sfera religiosa; si sofferma piuttosto sulla diversificazione della specie di cui noi tutti facciamo parte.
È proprio di vera e propria opera d’arte che si parla , una raccolta di immagini straordinarie, capaci di suscitare sentimenti puri e in netto contrasto fra loro.
Gli anni ‘90 furono molto complicati per il fotografo: di ritorno dal Ruanda , segnato dagli orrori e dalla sofferenza che documentò e toccò con mano, Salgado aveva perso totalmente fiducia nei confronti del genere umano. Nello stesso periodo, il padre, allora residente in Brasile nell’originaria tenuta di famiglia, lo contattò con la volontà di cedergli la gestione del terreno e del bestiame; si trovò di fronte alle conseguenze del disboscamento selvaggio tipico di quegli anni: i fiabeschi corsi d’acqua e la florida foresta pluviale che ricordava da bambino avevano ridotto l’intera area in una rude landa desolata.
Con l’obiettivo di ripopolare l’area a loro vicina, i coniugi Salgado fondarono l’organizzazione “istituto Terra”, riuscendo a risollevare in parte alcune problematiche ambientali.
Spinto dalla volontà di omaggiare la natura, diffondere immagini di ambienti incontaminati e sensibilizzare il più possibile le nuove generazioni, nel 2004 scelse di avviare il progetto “Genesi”, raccolta di 32 reportage suddivisi in 8 anni che mostrano i paesaggi mozzafiato rimasti allo stato primordiale e popolazioni che ancora oggi conducono una vita del tutto isolata dalla società.
La fotografia naturalistica appariva del tutto nuova agli occhi di Salgado, abituato a documentare per la maggior parte della sua carriera ritratti intimi e crudi. Salgado stesso definisce il suo operato un “ode visiva naturale”, che porta con se la volontà di riconnettere l’uomo e la natura sullo stesso livello: solo in questo modo si potrà avere qualche effetto positivo.
La scelta del bianco e nero rimase una costante anche per Genesi: come per i precedenti ritratti da lui realizzati, anche in questo caso permane la volontà di mantenere l’attenzione sul soggetto stesso, senza il rischio di farsi distrarre dalla cromatura.
Il documentario “Il sale della Terra” mi ha davvero affascinata, il primo pensiero che ho avuto è stato proprio : perché la scelta del bianco e nero? Con la miriade di colori che caratterizzano i soggetti e i villaggi dei reportage… solamente procedendo con la visione mi sono accorta di come la mia attenzione fosse totalmente orientata allo sguardo delle persone, alle loro espressioni; è come se in qualche modo si riuscisse a filtrare il contorno e lo sfondo, per entrare in contatto diretto con l’anima dell’essere umano.
Sebastiāo Salgado, rappresenta uno dei fotografi più influenti degli ultimi decenni grazie alla sua tenacia, sensibilità e capacità di immedesimarsi nell’ambiente che lo ospita per essere fotografato. Diventato celebre per le fotografie di reportage, che rispecchiano a pieno il metodo fotografico di quest’ultimo. Il suo reportage consisteva nell’immergersi nel popolo ,conoscere le persone, vivere quei climi così diversi dalla sua quotidianità. Ha passato sei anni a girare fra popolazioni indigene di tutto il modo, portando con sé un pezzo della loro storia ed assimilando i loro dolori. È andato incontro a disastri, genocidi, malnutrizioni, malattie infettive, morte, morti ovunque ,corpi che per via del numero smisurato venivano accarastati. Come scena è così lontana da quella da cui era partito, un bimbo ad occhi aperti in una bara piena di fiori in Sud America. Come la Burke disse dopo essere entrata nei campi di concentramento”la macchina fotografica agisce da protezione”, uno schermo verso gli orrori inumani a cui si assiste. Questo schermo, per quanto forte, nel caso di Salgado non è stato sufficiente. La speranza nel genere umano dopo tutto l’orrore vissuto lo sovrastava. Ad avergli salvato la vita è un progetto ideato dalla moglie e collaboratrice, “ripiantare la foresta atlantica brasiliana” , partendo dalla proprietà del padre del fotografo. Partiti da un seme fino a diventare una riserva che ospita 2 milioni e mezzo di alberi oltre che una flora e fauna in ristabilizzazione , hanno ridato speranza a Sebastiāo. Una speranza che si traduce nel suo caso nella ricerca di questa bellezza nella terra ,delle zone inesplorate, dalle zone vergini dall’impatto dell’uomo, capaci di trasmettere la pace della creazione. È proprio questo che fece con Genesi, spese otto anni esplorando l’inesplorato e documentandolo ,sempre seguendo la classicità della sua fotografia, la delicatezza onipresente in essa da cui è possibile ricavare il senso di cui parlavano i “romantici” il sublime , il sentimento che l’uomo prova davanti alla sovrastante bellezza della natura che ci lascia inermi. Una bellezza catturata in bianco e nero per catturarne un anima, silenziando le tante informazioni dei colori per concentrare tutto sull’essenziale, stessa tecnica usata con i suoi reportage negli anni precedenti. Spettacolari si e diretti, fini ed umanitari.
Sebastiao Salgado prima di essere un eccellente fotografo è un uomo dotato di una spiccata sensibilità ed empatia.
Abituato fin da piccolo a viaggiare prima per motivi di studio poi lavorativi unì le sue passioni: la fotografia e il viaggio, l’esplorazione e la scoperta di nuovi mondi.
Fu grazie a sua moglie Lelia che comprò una macchina fotografica per lavoro, abbandonò la carriera da economista per ripartire da zero con la fotografia di cui si appassionò fin da subito.
Non arrivò subito a questa decisione ma notando che durante i suoi viaggi per lavoro ciò che lo emozionava di più erano le fotografie che scattava e non le statistiche economiche, insieme a sua moglie decisero che quella era la strada giusta e con tutto ciò che avevano comprarono attrezzature costosissime.
Sebastiao passò gran parte della vita a viaggiare, lontano dalla sua famiglia e nonostante ciò sua moglie lo supportò sempre anche nei momenti peggiori quando niente poteva salvarlo.
Ammiro tanto questa donna e il profondo sentimento che li lega, la definizione di amore.
Egli si dedica al pianeta intero e a chi lo popola, gli importava molto degli esseri umani.
Gran parte dei suoi viaggi ebbero come destinazione l’Africa, continente che lo ospitò da economista e per gli anni successivi.
Migrazioni, carestie, guerre, fame, malattie, disuguaglianze sociali questi furono i temi più cari a Sebastiao in quegli anni.
Voleva rendere tutti partecipi del dolore che stavano vivendo queste persone e che stava vivendo anche lui.
“Gli uomini sono animali feroci” sostiene infatti, ma io trovo che gli animali siano di gran lunga superiori agli esseri umani e che non sarebbero minimamente in grado di generare talmente tanto odio verso i propri simili.
Le foto che realizza sono talmente tanto vere e crude che scaturiscono rabbia, sdegno, rammarico in chi le guarda.
Grazie alla ricerca dell’ inquadratura perfetta, l’utilizzo del bianco e nero che risaltano le emozioni e la sofferenza di queste persone ci si può quasi trasportare all’interno insieme a loro; ed è proprio quello che faceva anche lui entrando talmente tanto in connessione con i soggetti e addirittura con gli animali da comportarsi come i leoni marini rotolando per sentirsi parte del branco e fotografarli.
La foto che più mi ha colpito ritrae un uomo chino sul corpo della donna defunta che sta lavando e dietro la tenda del campo vi è un’ombra che grazie alla prospettiva sembra l’anima della donna defunta.
Quello che è certo è che Sebastiao riesce a creare con naturalezza composizioni che sembrano artificiali e penso sia questo il vero dono di un fotografo.
Accecato da tutto questo dolore si riprende soltanto grazie a Lelia che decide di ripiantare la foresta nella fazenda del padre Salgado per ricostruire i luoghi di infanzia.
Nasce quindi Genesi, un progetto per omaggiare i luoghi ancora rimasti come il giorno della genesi, ancora privi dell’odio umano.
Per il figlio, Sebastiao era come un supereroe, che viaggiava per il mondo e tornava a casa ogni tanto e lo penso anche io.
Dovrebbero esserci più uomini come lui che tengono alla salvaguardia del nostro pianeta e degli animali che lo popolano, all’attenzione delle persone che soffrono e necessitano di aiuti invece che generare soltanto odio.
Sebastiao Salgado è un gigante dell’arte fotografica. Tutti gli appassionati di fotografia possono riconoscere tranquillamente le sue opere. Un autore che privilegia le stampe di grande formato, che esaltano gli scatti in bianco e nero e spesso i forti contrasti fra i chiari e gli scuri.
Non è la prima volta che sento parlare del progetto Genesi. Alla fine del 2016, avevo 13 anni, ho avuto modo di visitare la mostra dedicata a questo lavoro, realizzata ai Musei San Domenico di Forlì. Definirei questo progetto “un’indagine” per scoprire le bellezze meno celebri della natura, nei luoghi più remoti del mondo. Non per altro, ma l’etimologia della parola Genesi (dal greco “ghenesis”) significa proprio origine. Penso che la scelta del titolo da parte di Salgado non sia assolutamente casuale. Nella mia ricerca a riguardo, mi sono imbattuto in alcune affermazioni della moglie, sua collaboratrice, ove si afferma che lo scopo del progetto fotografico è ricercare il mondo delle origini, come ha preso forma, come si è evoluto, prima che la vita moderna aumentasse i nostri ritmi e ci allontanasse dall’essenza della nostra natura. Per questo Salgado ha raccontato con le sue immagini le regioni più remote della Terra. Tra le immagini che tutt’ora ricordo maggiormente della mostra, vi sono quelle degli indigeni. Chiunque osservando queste immagini, si potrebbe domandare “questi come vivono?”. La risposta è vivono in completa autonomia, in luoghi remoti, in comunità solide e storiche, tali che non hanno necessità di andare oltre, di scoprire usi nuovi. Effettivamente osservandoli ci sembra che vivono con usi e consuetudini dell’antichità. È significativo l’uso o meglio dire il non uso degli indumenti. Le fotografie ci descrivono il loro modo di vivere assai diverso dal nostro, senza dubbio in simbiosi con la natura. Quindi sempre rispettosi dell’ambiente.
Un altro tassello che vorrei trattare è l’utilizzo del bianco e nero. Da sempre riconosco il valore comunicativo del bianco e nero, ma qui per me si è andati oltre. Mi spiego meglio. Non è un bianco e nero convenzionale, è una calibrazione accurata delle varie tonalità di grigio, tali da trasmettere con ogni sfumatura una molteplicità di emozioni. Il colore sarebbe stato un elemento di distrazione, un filtro fra noi e l’essenza dell’immagine, e dalla volontà espressiva di Salgado. Ci sono tanti fotografi, di fama, tra cui annovererei Steve McCurry, che con il colore raccontano storie, ma storie mediate nel loro modo di vederle. Non sto assolutamente dicendo meno bravi, ma la celebre “Ragazza Afgana”, anche se scattata in un contesto di reportage diverso, avrebbe avuto lo stesso successo in bianco e nero? Io personalmente non lo penso. McCurry ha pensato lo scatto a colori ed il colore stesso è il mezzo di narrazione per arrivare allo spettatore.
Salgado per ottenere un risultato del genere realizza invece immagini già pensate in bianco e nero e per questo nel loro essere, comunque sempre dirette e coinvolgenti.
Federico Francia – Graphic Design 1
Il progetto genesi di Sebastião Salgado è stato un progetto fotografico a lungo termine che ha documentato le regioni più remote e incontaminate del mondo. Ha viaggiato in tutti i continenti per fotografare paesaggi, animali e persone che vivono in armonia con la natura. Il progetto ha richiesto otto anni di lavoro e il risultato finale è stato un libro di fotografie di grande formato, pubblicato nel 2013. Apprezzo le fotografie di Salgado per la loro bellezza visiva, ma anche per la loro profondità emotiva e la loro capacità di raccontare una storia. Le sue immagini spesso rappresentano persone e comunità emarginate o in difficoltà, dando voce a coloro che spesso non ne hanno una; le emozioni che trasmette sono lo specchio del esistenza in bianco e nero che evidenzia il forte contrasto, creando un effetto drammatico che enfatizza l’impatto delle immagini. Personalmente, ritengo che le foto di Salgado siano un’importante testimonianza della realtà del mondo in cui viviamo, e che la sua attenzione per le persone emarginate e le comunità svantaggiate sia una testimonianza del suo impegno sociale. Tuttavia, penso anche che la bellezza estetica delle sue foto spesso tenda a nascondere la sofferenza umana e la difficoltà delle situazioni rappresentate, rischiando di limitare la comprensione delle stesse. Inoltre, le critiche sollevate riguardo alla manipolazione delle immagini di Salgado, che talvolta alterano la realtà rappresentata, pongono interrogativi sullo scopo dell’arte fotografica e sulla veridicità dell’immagine.
Ho conosciuto Sebastiao Salgado e le sue opere tramite documentario “Il sale della terra”, in cui si esplora la sua storia, la sua vita e come si evolve la sua carriera di fotografo, analizzando soprattutto i suoi viaggi, i reportage e le fotografie delle tribù indigene che abitano varie aree del pianeta. I suoi scatti sono di una bellezza tragica, la più dignitosa rappresentazione dell’odio e della crudeltà umana, dello sfruttamento della natura e le sue risorse, della sofferenza e delle difficoltà incontro alle quali le povere vittime devono andare a causa di questo mostro assassino, un mostro che appartiene alla loro stessa specie. Una delle tante ragioni per cui ammiro Salgado ed il suo lavoro è proprio questo fatto, il fatto che siamo d’accordo su una cosa: l’uomo è un mostro.
Salgado è stato capace di testimoniare in maniera eccellente tutti gli orrori dei conflitti e delle crisi che affliggono le popolazioni africane e non solo, specialmente durante i suoi viaggi in Ruanda, Mozambico e Sud Africa, con delle fotografie scattate con cura e caratterizzate dalla scala di grigi che sostituisce i colori. Questa tecnica è estremamente funzionale per dare priorità ai soggetti, alla loro storia ed alle emozioni che l’immagine deve suscitare nell’osservatore, una tecnica che innalza il valore dell’immagine e la potenza del suo messaggio. Per Salgado il bianco ed il nero permettono di trasmettere la giusta connotazione emotiva, quella corrispondente a ciò che si è provato nel momento esatto in cui ha scattato la fotografia, mentre i colori possono distrarre dal carico di emozioni che deve raggiungere l’osservatore per spronarlo a riflettere. I colori attirano principalmente l’attenzione degli occhi, mentre le sfumature di grigio devono conquistare l’anima.
Inoltre, quando osserviamo una sua fotografia non percepiamo semplicemente il soggetto, paesaggio, o animale che viene immortalato nello scatto, percepiamo anche un realismo al tempo stesso meraviglioso e straziante, dal quale è possibile ottenere un sapere inconfutabile che va tramandato, specialmente se si tratta di temi come quelli di cui parla Salgado nelle sue opere e nei suoi reportage. Penso che ogni testimonianza è preziosa per riflettere su queste gravi problematiche che dobbiamo assolutamente conoscere, in modo tale da poter fare del nostro meglio per contrastarle e risolverle.
All’interno del testo si analizza lo stato di depressione e pessimismo in cui precipita il fotografo dopo aver visto tutto quell’odio, quella violenza e disperazione in prima persona, esperienza dalla duplice valenza positiva e negativa che in ogni caso lo ha danneggiato fisicamente e psicologicamente. Ritengo infatti che Salgado sia stato immensamente coraggioso nella sua impresa di reportage e, oltre ad aver fatto un’egregia testimonianza, è stato anche molto forte, perché si è portato sulle spalle il peso di un dolore talmente grande che non molti sarebbero stati in grado di sopportare. Il progetto Genesi ha senza dubbio contribuito a confortare, se così si può dire, il fotografo che in questo modo può riaccendere la candela della speranza per tutte le forme di vita del pianeta, incluso l’uomo.
Forse non c’entra nulla, ma in qualche modo l’impresa di Salgado mi fa pensare ai giornalisti che oggi fanno da testimoni ogni giorno del conflitto ancora in corso tra Russia e Ucraina, anche a costo della loro salute fisica, mentale, o della vita.
Sebastião Salgado è un fotografo considerato uno dei più grandi documentaristi viventi. Ha immortalato molte parti del mondo, in particolare l’Africa, l’America Latina e l’Asia. Le sue fotografie sono note per la loro bellezza, profondità emotiva e impegno sociale e sono state utilizzate per documentare conflitti, disastri naturali e questioni ambientali.
Il suo stile fotografico si caratterizza per l’uso del bianco e nero, per la composizione attenta e per la capacità di catturare l’essenza e l’umanità delle persone e delle situazioni che fotografa. Salgado ha sviluppato la sua tecnica fotografica lavorando con una fotocamera a medio formato e utilizzando principalmente la luce naturale. Spesso, le sue fotografie mettono in risalto le ombre e le luci per creare contrasti forti e per evidenziare particolari importanti dell’immagine. Questo, insieme al fatto che fotografa in bianco e nero, crea immagini che sono spesso forti e drammatiche.
“Genesis” è uno dei progetti più conosciuti e ambiziosi di Sebastião Salgado. È una raccolta di fotografie che documenta la bellezza e la diversità del nostro pianeta, concentrandosi sulla natura, le culture indigene e le popolazioni che vivono ancora in armonia con essa. Salgado ha iniziato il progetto nel 2004, dopo aver passato diversi anni a documentare situazioni di conflitto e di sofferenza umana. Sentendo la necessità di documentare anche la bellezza e la diversità del mondo naturale, ha deciso di dedicare la sua attenzione a questo progetto.
Il fotografo brasiliano ha viaggiato in tutto il mondo, visitando luoghi remoti e incontaminati come l’Antartide, le foreste pluviali del Brasile e dell’Indonesia, il deserto del Sahara e le montagne dell’Himalaya. Ha anche raccolto immagini circa le culture indigene e popoli che vivono in armonia con l’ambiente naturale, come i nomadi della Mongolia e le tribù dell’Amazzonia.
La sua più grande forza è sicuramente, in ogni suo progetto, quella di immortalare la dignità e l’umanità delle persone che fotografa, sia che si tratti di lavoratori nelle miniere o di comunità indigene nelle foreste pluviali. Le sue fotografie riescono a trasmettere un senso di profondità e di intimità con i soggetti illustrati e spesso riescono a raccontare storie importanti attraverso gli occhi delle persone ritratte.
Non conoscevo Salgado, non ne avevo mai sentito parlare ma sono rimasta affascinata, colpita e incuriosita. Dall’articolo ho potuto capire che le sue opere in particolare il suo progetto “Genesis”, sono una testimonianza straordinaria dell’impegno e della sensibilità umana dietro l’obiettivo della fotocamera. Salgado è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi fotografi contemporanei, e il suo lavoro va oltre la mera documentazione visiva. “Genesis” rappresenta un’impresa monumentale e una pietra miliare nella carriera di Salgado. Attraverso questo progetto, l’artista si è dedicato a catturare e preservare la bellezza e la diversità della natura e delle culture che ancora resistono agli effetti distruttivi dell’industrializzazione e della globalizzazione. Le fotografie di “Genesis” sono profondamente suggestive e coinvolgenti. Ogni immagine trasmette un senso di meraviglia, rispetto e connessione con il mondo naturale. Salgado ha impiegato molti anni di ricerca, viaggi e interazioni con le comunità indigene per realizzare questo lavoro. Il suo approccio paziente e rispettoso verso le persone e l’ambiente si riflette in ogni fotografia che ho potuto vedere, consentendoci di entrare in contatto con luoghi remoti e culture ancestrali.Ciò che rende il progetto “Genesis” così potente per me è la sua capacità di affrontare temi universali come l’interconnessione della vita, la fragilità degli ecosistemi, l’importanza della conservazione e l’impatto dell’umanità sulla natura. Le immagini di Salgado ci spingono a riflettere sul nostro rapporto con il pianeta e ad interrogarci sulla sostenibilità delle nostre azioni.
Inoltre, le fotografie di Salgado sono caratterizzate da una straordinaria bellezza estetica. L’uso sapiente della luce, dei contrasti e delle composizioni trasmette un senso di grandiosità e intimità allo stesso tempo. Ogni dettaglio è curato con maestria, catturando l’essenza di paesaggi incontaminati e di culture antiche. Attraverso la sua fotografia, l’artista si impegna a portare avanti un messaggio di conservazione ambientale e di rispetto per le culture tradizionali. Le sue immagini sono una testimonianza potente della necessità di proteggere e preservare la diversità biologica e culturale del nostro pianeta.
Come scritto nell’articolo la serie di emozioni, sentimenti e situazioni viste da Salgado durante i suoi viaggi che lo hanno trasportato dal fotografare il dolore e la sofferenza fino al fotografare l’immensità e la bellezza della natura aiutano a capire quanto Salgado sia legato al pianeta ed alla tranquillità in cui un tempo si viveva, come le tribù che fotografava.
Questa critica sociale molto attuale vuole riportarci a dei valori che con il tempo abbiamo man mano perso, questo legame con la natura che viene considerata come un nostro compagno di vita sul nostro pianeta e per questo bisogna salvaguardarla il più possibile, ammirevoli anche tutte le campagne appunto da lui intraprese.
Questa visione della natura è molto in contrasto con la società frenetica e consumista attuale, anche se pian piano ci si sta muovendo sempre di più nella direzione della salvaguardia dell’ambiente.
Sebastião Salgado è un fotografo di grande influenza degli ultimi decenni, grazie alla sua perseveranza, sensibilità e capacità di immergersi nell’ambiente che fotografa. È diventato famoso per i suoi reportage fotografici, che riflettono appieno il suo approccio alla fotografia. Salgado si immerge nel mondo delle persone, conosce le loro storie e vive in climi molto diversi dalla sua quotidianità. Ha trascorso sei anni viaggiando tra popolazioni indigene di tutto il mondo, portando con sé una parte della loro storia e assorbendo le loro sofferenze. Si è trovato di fronte a disastri, genocidi, malnutrizione, malattie infettive e morte, corpi che venivano accumulati a causa del loro numero smisurato. Una scena lontana da quella con cui era partito, un bambino con gli occhi aperti in una bara piena di fiori in Sud America. Come affermò la Burke dopo essere entrata nei campi di concentramento, “la macchina fotografica agisce come una protezione”, uno schermo di fronte agli orrori disumani che si osservano. Ma questo schermo, per quanto forte, nel caso di Salgado non è stato sufficiente. Nonostante tutto l’orrore che ha vissuto, la speranza nell’umanità lo ha sopraffatto. È stato un progetto ideato dalla sua moglie e collaboratrice a salvarlo, “ripiantare la foresta atlantica brasiliana”, partendo dalla proprietà del padre del fotografo. Hanno iniziato con un seme e ora hanno creato una riserva che ospita oltre 2,5 milioni di alberi, insieme a una flora e fauna in ripristino, ridando speranza a Sebastião. Questa speranza si traduce per lui nella ricerca di bellezza nella terra, in luoghi inesplorati, vergini dall’impatto dell’uomo, capaci di trasmettere la pace della creazione. È esattamente ciò che ha fatto con il progetto “Genesi”, dedicando otto anni all’esplorazione dell’inesplorato e documentandolo, seguendo sempre lo stile classico della sua fotografia, caratterizzato da una delicata presenza che permette di percepire il senso di cui parlavano i romantici: il sublime, il sentimento che gli esseri umani provano di fronte alla sopraffacente bellezza della natura che ci lascia inermi. Questa bellezza è catturata in bianco e nero per catturare l’anima, silenziando le molte informazioni dei colori per concentrarsi sull’essenziale, la stessa tecnica utilizzata nei suoi reportage degli anni precedenti. Spettacolari e diretti, fini ed umanitari.
La nostra esperienza di fronte a tali opere dovrebbe evocare una sensazione di estraneità, come un’immersione nello spazio. Essendo parte della Natura, possiamo riconoscere il cosmo in essa: nella sezione aurea, nel ruolo dei funghi nell’ecosistema e persino nei petali di un fiore. Non ci sono limiti e l’obiettivo di Salgado è stato quello di condurci in un viaggio attraverso questo pianeta e dentro di noi, rivelando l’unità fondamentale. I sentimenti di dolore e bellezza che ha sperimentato testimoniano la nostra connessione.
La fotografia di Salgado è pura e penetrante, sublime e utopica. La luce nitida e il contrasto indelebile evocano una reazione totale in noi. Guardando la sua opera, percepiamo il vento, la calma, l’umidità e una moltitudine di stimoli sensoriali. Osservarle significa percepire la fotografia oltre la sua semplice visione. L’occhio umano si perde in essa, così come la mente. Questo tipo di fotografia ci connette con la realtà, è una “lezione di umanità”.
I ritratti presentano una visione sconvolgente, intrisi di un’atmosfera cosmica che dà un’essenza tangibile al nostro legame con la natura. Questo è un legame che, nell’Occidente attuale, tendiamo a dimenticare. Le fotografie sono un inno di speranza, un richiamo incisivo a non cercare altrove e a non dover dimostrare niente, perché la risposta è già dentro di noi. Dobbiamo imparare dalla bellezza della natura, lasciarci trasportare e ricordare che siamo parte di essa, piccole creature che credono di essere padroni di tutto.
Attraverso la scala di grigi, Salgado regola la gamma delle emozioni. La loro unione, fusione e divisione scatenano un flusso di sensazioni. Guardare le fotografie di Salgado significa ritrovarsi e allo stesso tempo abbandonarsi, è una forza che ci spinge a credere in qualcosa o almeno a provarci. Dobbiamo lasciare andare le convinzioni postmoderne e cercare una riconnessione con la natura, la nostra origine e la nostra fine.
Premetto che ho avuto la possibilità di osservare da vicino gli scatti di Sebastião Salgado nella mostra fotografica ad Ancona, e ne sono rimasta affascinata.
Sono appassionata alla fotografia, secondo me ogni scatto è un’opportunità per esprimere la propria creatività, per esplorare nuovi punti di vista e per comunicare con gli altri. Si può trovare la magia in un paesaggio mozzafiato, nei volti delle persone, nelle piccole cose quotidiane che spesso passano inosservate. La passione per la fotografia porta a sviluppare una maggiore consapevolezza dell’ambiente circostante e a cogliere gli istanti fugaci che altrimenti potrebbero sfuggire.
Le immagini di Sebastião Salgado trasmettono un forte messaggio umanitario e ambientale. Salgado è noto per i suoi progetti fotografici che documentano le condizioni di vita delle persone emarginate, le lotte sociali e le conseguenze dell’industrializzazione e dello sfruttamento delle risorse naturali.
Le sue fotografie spesso ritraggono la povertà estrema, il lavoro pesante e le difficoltà che molte comunità devono affrontare in diverse parti del mondo. Salgado cerca di portare l’attenzione sulla sofferenza umana, denunciando le ingiustizie sociali e i problemi socio-economici che affliggono molte persone.
Inoltre, le immagini di Salgado rappresentano anche una riflessione sull’ambiente e sul nostro rapporto con la natura. Molti dei suoi progetti si concentrano sulla distruzione degli ecosistemi, la deforestazione, l’inquinamento e gli effetti del cambiamento climatico. Attraverso le sue fotografie, Salgado cerca di sensibilizzare il pubblico sull’importanza di preservare l’ambiente e di promuovere una coesistenza sostenibile tra l’uomo e la natura.
Le sue immagini sono spesso potenti, commoventi e ricche di dettagli, catturando l’essenza delle persone e dei luoghi che fotografa. Nel complesso, il messaggio che emerge dalle fotografie di Salgado è quello di porre attenzione sulla condizione umana, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la salvaguardia dell’ambiente.
Sono d’accordo sulla scelta del bianco e nero. Senza la distrazione dei colori, l’attenzione viene spostata sulle forme e sui contrasti tonali. Il bianco e nero permette di creare immagini più intime e suggestive, e secondo me riesce a coinvolgere di più lo spettatore, perché porta esso a costruirsi la fotografia cosi come la vede, in questo modo avremo migliaia di versioni di quella stessa fotografia.
Giulia Marrapodi Laba
Premetto che ho avuto la possibilità di osservare da vicino gli scatti di Sebastião Salgado nella mostra fotografica ad Ancona, e ne sono rimasta affascinata.
Sono appassionata alla fotografia, secondo me ogni scatto è un’opportunità per esprimere la propria creatività, per esplorare nuovi punti di vista e per comunicare con gli altri. Si può trovare la magia in un paesaggio mozzafiato, nei volti delle persone, nelle piccole cose quotidiane che spesso passano inosservate. La passione per la fotografia porta a sviluppare una maggiore consapevolezza dell’ambiente circostante e a cogliere gli istanti fugaci che altrimenti potrebbero sfuggire.
Le immagini di Sebastião Salgado trasmettono un forte messaggio umanitario e ambientale. Salgado è noto per i suoi progetti fotografici che documentano le condizioni di vita delle persone emarginate, le lotte sociali e le conseguenze dell’industrializzazione e dello sfruttamento delle risorse naturali.
Le sue fotografie spesso ritraggono la povertà estrema, il lavoro pesante e le difficoltà che molte comunità devono affrontare in diverse parti del mondo. Salgado cerca di portare l’attenzione sulla sofferenza umana, denunciando le ingiustizie sociali e i problemi socio-economici che affliggono molte persone.
Inoltre, le immagini di Salgado rappresentano anche una riflessione sull’ambiente e sul nostro rapporto con la natura. Molti dei suoi progetti si concentrano sulla distruzione degli ecosistemi, la deforestazione, l’inquinamento e gli effetti del cambiamento climatico. Attraverso le sue fotografie, Salgado cerca di sensibilizzare il pubblico sull’importanza di preservare l’ambiente e di promuovere una coesistenza sostenibile tra l’uomo e la natura.
Le sue immagini sono spesso potenti, commoventi e ricche di dettagli, catturando l’essenza delle persone e dei luoghi che fotografa. Nel complesso, il messaggio che emerge dalle fotografie di Salgado è quello di porre attenzione sulla condizione umana, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la salvaguardia dell’ambiente.
Sono d’accordo sulla scelta del bianco e nero. Senza la distrazione dei colori, l’attenzione viene spostata sulle forme e sui contrasti tonali. Il bianco e nero permette di creare immagini più intime e suggestive, e secondo me riesce a coinvolgere di più lo spettatore, perché porta esso a costruirsi la fotografia cosi come la vede, in questo modo avremo migliaia di versioni di quella stessa fotografia.
Salgado come fotografo si propone di riportare la cruda verità del mondo. Quando il fotografo gira per il mondo si ripropone di catturare istanti di tragica quotidianità nei paesi ancora devastati dalle guerre, carestie e alta povertà. Ma le sue foto, a testimonianza di queste facce quasi sconosciute del mondo, portano dignità alle persone che si trovano in questa situazione e rendono tutti noi invece, che viviamo nell’agio, più sensibili e vicini alla causa di chi soffre. Durante la sua vita i suoi soggetti preferiti furono le persone, probabilmente per la loro profondità e la possibilità di esprimere qualsivoglia emozione. Ma più tardi decise di dedicarsi anche al paesaggio scoprendosi attratto da grandezze e calamità naturali che esemplificano la potenza della natura, che possiede un modo diverso di esprimere emozioni rispetto agli esseri umani. Il cambio di prospettiva e di soggetti è stato utile a Salgado per capire che in realtà umanità e natura sono e saranno sempre estremamente collegati. Gli uomini sono il sistema della terra e la terra alimenta gli uomini, non si può vivere l’uno senza l’altro, una piccola scoperta dentro di sé che lo portò al successo con le sue innumerevoli mostre fotografiche in cui era possibile cogliere la forza e allo stesso tempo la sensibilità della natura e degli uomini.
Che dire di Salgado?
Sono andata a documentarmi su internet per riuscire a comprendere meglio questo artista perché le sue foto mi hanno incuriosita davvero tantissimo.
Il suo modo di rappresentare la natura e l’uomo mi ha emozionata, la sua attenzione e cura verso la società, soprattutto quelle più disagiate o meno fortunate mi ha colpito al cuore.
L’odio, la violenza, l’orrore che il fotografo ha vissuto in prima persona per poter catturare questi scatti l’ha cambiato per sempre, sia moralmente che fisicamente.
Per questo motivo, dopo alcuni anni di attività iniziò a domandarsi se fosse giusto fotografare questi orrori, mettendo a conoscenza tutti di queste atrocità. Non è che facendo così lo trasformo in spettacolo? Non è che le persone possano prenderlo come un “ora lo faccio anche io”? Ma d’altra parte, se non metto a conoscenza le persone di ciò che succede intorno a loro non riusciranno mai a capire che purtroppo, non si è tutti fortunati allo stesso modo. E come dargli torto? Anche io se fossi nei suoi panni quasi sicuramente mi sarei posta le stesse identiche domande.
Ma quindi? Come è riuscito ad uscire da questo suo stato di depressione e a “rinascere”?
La risposta è “Genesis” un progetto che portò avanti per ben 8 anni, durante il quale viaggiò tantissimo e visitò luoghi magnifici dove la natura ne fa padrona. (Amazzonia, Congo, Indonesia, Nuova Guinea, Antartide, Alaska ecc…).
Tramite questa raccolta di fotografie che sono più o meno 200, riuscì a sottolineare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta, la natura, gli animali cambiando il nostro stile di vita, avendo più rispetto e comprendendo che senza di loro, noi non esisteremmo.
Le fotografie sono tutte in bianco e nero, perché? Perché secondo Salgado i colori della natura, essendo così presenti e vivaci, potrebbero andare a coprire le emozioni che la fotografia e di conseguenza il fotografo volevano fare trasparire.
Il bianco e nero ha consentito a Salgado di concentrare l’attenzione sulla natura soggetta delle sue fotografie , conferendo ad essa rispetto, importanza e dignità.
Sebastiao Salgado è stato ed è ancora un fotografo di cuore, umano, empatico e sensibile sia verso la natura che verso il genere umano, per questo, attraverso le sue fotografie ha sempre cercato di trasmettere delle emozioni, ciò che in quel momento lui aveva provato e nella sua ultima raccolta ha cercato di trovare un modo per comunicare agli esseri umani di avere rispetto per la natura e di tutto ciò che li circonda.
Per questo motivo apprese un viaggio alle origini del mondo per preservare il suo e il nostro futuro.
“Nelle fotografie a colori c’è già tutto. Una foto in bianco e nero invece è come un’illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda, deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola a poco a poco. C’è quindi un’interazione molto forte tra l’immagine e chi la guarda. La foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una foto a colori, che è un prodotto praticamente finito.”
-Sebastião Salgado-
Salgado è uno dei fotografi contemporanei più importanti. Grazie ai suoi reportage socio – politici ha attirato l’attenzione della massa verso tematiche importanti, quali i diritti dei lavoratori, la povertà, le condizioni di vita nei paesi sottosviluppati.
Personalmente ritengo che le fotografie di Salgado abbiano riscosso così tanto successo, e soprattutto siano riuscite nel loro intento di sensibilizzazione per una serie di motivi.
In primo luogo la formazione del fotografo. Salgado si è formato presso l’università di economia in Brasile, e ritengo che quest’ultima lo abbia sensibilizzato a livello personale riguardo problematiche socio-economiche dei Paesi da lui fotografati, rendendolo capace di inquadrare (sia letteralmente che simbolicamente) nelle fotografie la dignità di queste persone.
In secondo luogo un ruolo importante nelle fotografie di Salgado è giocato dal bianco e nero, ossia dalla mancanza di colori nelle sue foto. Salgado giustifica l’assenza di cromie sostenendo che in questo modo egli sente di poter rappresentare in uno scatto ciò che lui ha provato al momento dell’esecuzione, e che inoltre in questo modo sia in grado di restituire la dignità ai soggetti rappresentati, mettendo in primo piano la loro essenza prima dei colori, che fungerebbero unicamente da elemento di distrazione. Personalmente mi trovo d’accordo, ma credo che la fotografia di Salgado colpisca anche per un’altra ragione. Privando le scene del loro colore naturale crea un ingaggio percettivo tale da fare in modo che gli osservatori entrino maggiormente in contatto con la scena rappresentata, i colori sarebbero solamente una pellicola sull’emozione che traspare e la coprirebbero in parte. Invece in questo modo Salgado pone al cospetto della nostra percezione delle immagini che non fanno parte degli schemi a priori della nostra mente, in quanto siamo abituati a colori forti e vivaci, creando un ingaggio percettivo di fondamentale importanza che opera sia verso una presa di coscienza della tematica ma anche del ricordo di quest’ultima.
Salgado si è sentito più volte combattuto dalla diatriba: sensibilizzazione o spettacolarizzazione? Personalmente ritengo che le fotografie di Salgado trasudino di un elemento propositivo: la restituzione della dignità. Egli attraverso le sue fotografie vuole restituire alle persone rappresentate una dignità, meta comunicando un messaggio di speranza. Di conseguenza ritengo che Salgado ,attraverso le sue opere, non compia una spettacolarizzazione del dolore, bensì operi in favore di una presa di coscienza.
Ad un certo punto Salgado deciderà di abbandonare i soggetti rappresentati abitudinariamente, a causa delle sensazioni che la visione di scene disumane hanno provocato in lui. Riuscirà a ritrovare la serenità restituendo vita ad una foresta di proprietà della famiglia. In questo modo ritroverà la passione per la fotografia, individuando un nuovo soggetto: la natura. Questo mutamento ha suscitato non poche critiche, nonostante ciò il suo lavoro si è rivelato assolutamente florido e rigoglioso. A parer mio è stata proprio la formazione, sia come economista ma anche come fotografo di reportage che ha reso il progetto Genesi così grande.
In questo progetto egli si propone di riscoprire gli spazi incontaminati della natura, e consequenzialmente di indagare le origini dell’uomo e il rapporto che sussiste oggigiorno con quest’ultima. Anche in questo caso le fotografie vengono scattate in bianco e nero, restituendo alla natura non solo la dignità che gli spetta, ma anche la sua forza e intensità che possiede nei confronti dell’umanità.
Il lavoro di Salgado si può ridurre a tre idee chiave: il bianco e nero, l’umanità, la primordialità.
Sceglie il bianco e nero per caricare di emotività ogni posa, ogni ombra, ogni contrasto, di modo che l’occhio non cada sul colore più acceso ma sullo sguardo più intenso o sul bagliore dei raggi del sole che si riflettono sulla superficie dell’acqua. C’è quasi qualcosa di politico nel suo gesto: ogni creatura è dello stesso colore, e l’impressione che resta negli occhi di chi ne vede le opere non è tanto l’enorme diversità che caratterizza il nostro pianeta, ma l’omogeneità che ci rende tutti simili, pieni di linfa vitale, fratelli, figli della natura, madre e matrigna allo stesso tempo.
L’umanità che emerge dagli scatti di Salgado è un’umanità muta, sospesa nel tempo. Veniamo catturati dagli occhi di individui della nostra stessa specie che non possiamo fare a meno di immaginare diversi, lontanissimi da noi, e ci ritroviamo costretti a renderci conto delle nostre somiglianze. Vediamo corpi puri, modellati dal tempo, dalla vita, e non toccati dal pudore a cui siamo stati abituati. Ma nei suoi scatti precedenti vediamo anche un’umanità ferita che pochi hanno il coraggio di notare: è impossibile non creare un collegamento tra il dolore provato da Salgado in quanto semplice spettatore del male e il suo bisogno di ritrarre invece un mondo buono, selvaggio sì, ma giusto ed equilibrato.
La primordialità che Salgado ricerca in questo progetto è proprio, come abbiamo già detto, un ritorno alle origini. Non distante dall’ideale del fanciullino pascoliano, per il quale siamo chiamati a guardare il mondo con occhi da bambini, Salgado cerca proprio di rinfrescare questo nostro sguardo con fotografie tutt’altro che barocche, immagini immediate, dirette, che ci riportino coi piedi per terra e che ci permettano di ritrovare il nostro centro: meno uomini e più animali.
Sebastião Salgado nasce in Brasile nel 1944.
Egli ha dedicato quasi tutta la sua vita a scattare immagini che raccontano storie umane e ambientali complesse, potenti ed emozionanti. Uno dei progetti più significativi di Salgado è “Genesi”, una grande opera fotografica che mostra la bellezza e la diversità del nostro pianeta.
“Genesi” è un progetto complesso che nasce nel 2003 e che dura 10 anni.
Il progetto si basa sulla documentazione delle comunità umane e le regioni selvagge ancora incontaminate.
Il risultato finale è una collezione di immagini in bianco e nero che ritraggono la vastità e la maestosità della natura, insieme alla complessità delle culture e delle tradizioni umane che le abitano.
Le sue fotografie trasmettono un senso di bellezza e di rispetto per il nostro pianeta, ma mostrano anche le sfide che le comunità locali affrontano a causa dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione e dei cambiamenti climatici. Con “Genesi”, Salgado cerca di far luce sulla necessità di proteggere il nostro mondo naturale e culturale.
Le fotografie di Salgado sono molto dettagliate e potenti, offrendo una visione intima delle persone, degli animali e dei paesaggi che incontra.
Le immagini in bianco e nero evocano un senso di “senza tempo” e danno risalto ai dettagli, ai contrasti e alle sfumature. Ogni foto è una storia a sé, ricca di emozioni e significato.
“Genesi” è stato esposto in tutto il mondo, con molto successo.
Il progetto ha contribuito a sensibilizzare il pubblico sulla fragilità della Terra e sull’importanza di preservare le sue meraviglie naturali e culturali.
Sebastião Salgado è anche un attivista per l’ambiente e i diritti umani. Attraverso la sua arte, cerca di porre l’attenzione sulle ingiustizie sociali, sulla povertà e sulle condizioni di lavoro precarie che molte persone affrontano in tutto il mondo. Il suo lavoro incarna il potere della fotografia come strumento per il cambiamento e come forma di espressione artistica che ci invita a riflettere sulla nostra responsabilità verso il pianeta che abitiamo e verso gli altri esseri umani.
In conclusione, Salgado e il suo progetto “Genesi” rappresentano un tributo alla bellezza e alla diversità del nostro mondo.
Personalmente avevo già avuto a che fare con le opere di Salgado, la lettura di questo articolo è stata particolarmente interessante in quanto ho sempre ritenuto gli scatti del fotografo di una magnificenza unica.
Con i suoi reportage ci ha lasciato una testimonianza fondamentale di luoghi, persone e realtà che pensiamo tanto lontane da noi e a cui, forse non diamo l’importanza adeguata;
Con i suoi scatti riesce a rendere sia la magnificenza dei luoghi visitati, che al contempo la cruda realtà di vita delle civiltà indigene, argomento complesso da trattare, ma il fotografo con la sua maestria riesce a restituire queste fotografie con un tocco delicato.
Il progetto Genesi è sicuramente uno dei suoi lavori più rilevanti, consiste in 32 reportage fotografici realizzati nell’arco di otto anni, nei quali il fotografo ha visitato i luoghi più lontani e isolati del pianeta, viaggiando e fotografando ci ha lasciato una testimonianza di tutta la bellezza che la natura possiede e ci offre;
le immagini di questo progetto sono profondamente coinvolgenti, solo osservandole riescono a riportarti nel luogo e con la scelta dell’utilizzo del bianco e nero risultano ancora più suggestive, in quanto l’attenzione dello spettatore rimane sul soggetto fotografato, senza distrazioni interne alla fotografia, quali potrebbero essere i colori se avesse deciso di utilizzarli;
gli scatti della natura li definirei senza tempo, ti lasciano in uno stato di sospensione osservandole, nel quale si è profondamente catturati dalla loro bellezza, una bellezza che ritengo anche tecnica, Salgado riesce ad utilizzare la luce con estrema sapienza, la quale è elemento fondamentale in quanto crea contrasti.
Ritengo infine che il fotografo sia riuscito a trasmetterci le emozioni che lui stesso ha provato di fronte alla maestosità della natura, dando allo spettatore l’opportunità di provare le medesime sensazioni, ammirando le sue opere.
Non conoscevo Salgado prima ma la serie “Genesis” rappresenta un lavoro di straordinaria bellezza e profondità. Attraverso le sue fotografie, Salgado ci porta in viaggio attraverso luoghi remoti e incontaminati, catturando la magnificenza della natura e l’essenza della vita stessa.
Ciò che colpisce immediatamente in queste fotografie è la loro intensa qualità visiva. Salgado utilizza sapientemente la luce, le ombre e i dettagli per creare immagini che trasmettono un senso di mistero e meraviglia.
Oltre all’aspetto estetico, le fotografie di Salgado trasmettono un potente messaggio ecologico e umanitario. Attraverso il suo lavoro, l’artista mette in luce l’importanza della conservazione e della protezione dell’ambiente naturale. Le immagini ci ricordano la fragilità e la bellezza del nostro pianeta, invitandoci a riflettere sul nostro ruolo come custodi della Terra.
Inoltre, mostra un profondo rispetto per le culture indigene e le comunità tradizionali che ha documentato. Le sue fotografie raccontano storie di persone che vivono in armonia con la natura e preservano antiche tradizioni. Questo ci spinge a riflettere sul valore della diversità culturale e sulle ricchezze che esse possono offrire al mondo.
Tuttavia, nonostante la straordinaria bellezza e il messaggio potente delle fotografie di Salgado, alcuni critici sollevano interrogativi sull’etica dell’approccio documentaristico dell’artista. Alcuni sostengono che le immagini possano essere romantiche eccessivamente idealizzate, presentando una visione idilliaca della natura e delle culture indigene. Ciò solleva la questione della rappresentazione accurata e dell’impatto della narrazione visiva sulla percezione della realtà. Le sue fotografie ci trasportano in luoghi lontani e ci invitano a riflettere sulla bellezza e la fragilità del nostro pianeta. Tuttavia, è importante mantenere una prospettiva critica e considerare il ruolo dell’artista nella rappresentazione accurata e nel dibattito sulla conservazione ambientale e la diversità culturale. Le fotografie di Salgado rimangono un potente richiamo all’importanza di proteggere e preservare il nostro mondo naturale.
Il testo parla di Sebastião Salgado e della sua fotografia “Genesi”. L’autore descrive il suo incontro con gli orrori e la sofferenza delle persone lo ha portato alla depressione e al pessimismo.
Ma Salgado ha trovato serenità grazie al progetto “Genesi” è stato composto da 32 racconti che si sono svolti in luoghi remoti e incontaminati del pianeta, cercando di trovare immagini che rappresentassero la bellezza della natura e le origini dell’uomo.
Le sue fotografie in bianco e nero mostrano la diversità delle specie e la bellezza delle tribù indigene, sottolineando l’armonia tra l’uomo e l’ambiente, una connessione che spesso manca nella società occidentale.
L’autore riflette sul significato delle immagini di Salgado, suggerendo che trasmettano un messaggio di rispetto per l’ambiente e conoscenza delle tribù rappresentate nel progetto. Le foto di Salgado cercano di restituire la bellezza del mondo naturale senza semplificare i colori e utilizzando la gamma di grigi per enfatizzare l’intensità delle persone e delle cose ritratte.
Infine, il testo invita a riflettere sul nostro ruolo nella società contemporanea e a riscoprire la bellezza e l’armonia della natura per ripristinare la nostra relazione con la Terra. L’autore sottolinea che non è necessario tornare indietro nel tempo, ma piuttosto coltivare un profondo rispetto e amore per la natura, come per le persone e gli animali, per poter fotografare e vivere in armonia con il mondo.
Sebastiao Salgado, nato in Brasile nel 1944, è un uomo dotato di una forte sensibilità ed empatia, lo dimostra il suo progetto fotografico ambizioso, divenuto una pietra miliare della fotografia contemporanea, ”Genesi”. Una raccolta di reportage in diversi luoghi del mondo per documentare la bellezza ancestrale del nostro pianeta. Ritengo molto interessante la scelta che il fotografo ha compiuto nel cambiare il soggetto dei suoi scatti, dall’uomo alla natura, intesa come la Terra in uno stato privo di contaminazione da parte dell’uomo, per narrare della Genesi della Terra. Una scelta che in molti non hanno condiviso, amici e parenti hanno provato a dissuadere Salgado, che aveva costituito la sua fama con reportage dediti al sociale, a ritrarre l’estrema povertà del Sud del mondo. Ciononostante, egli non si è lasciato influenzare, intraprendendo una svolta drastica nella sua carriera. La visione del film “Il Sale della Terra” è stata, a mio avviso, illuminante, tramite il taglio intimo sulla vita di Salgado ho potuto comprendere la sua prospettiva riguardo al suo mondo fotografico interiore, alle motivazioni dei suoi scatti e anche i soggetti, in alcuni casi violenti e cruenti. Nel documentario, il regista è stato in grado di dare il giusto peso alle immagini, lasciando lo spettatore meravigliarsi dell’esecuzione delle fotografie e, al contempo, essere scosso dall’intensità di esse.
Nutro molto rispetto e ammirazione nei confronti di Salgado, egli ha voluto incentrare la sua fotografia su un messaggio di sensibilizzazione riguardo a problemi che erano ignorati, a ricordarci della bellezza della natura che ci circonda. Il fotografo, come ho precedentemente affermato, possiede una grande empatia, lo dimostra il fatto che interroga se stresso riguardo alla sua colpevolezza degli orrori a cui assistiva, in quanto fotografando temeva di porter essere complice dello scempio. Credo che l’arte della fotografia possa essere un mezzo che può essere usato anche come un tramite di conoscenza e divulgazione; fino a che non si documenta, parla e descrive una condizione non si può sperare che essa cambi, bisogna, innanzitutto, rendere consapevole la società e solo in seguito si può fare qualcosa a riguardo.
Una particolarità dello scatto di Salgado che lo rende unico è l’utilizzo dei colori, in particolare trovo interessante come egli usufruisca del bianco e nero, con neri così profondi ed intensi da evocare l’abisso e la profondità e dei bianchi ben equilibrati. La ricchezza delle sue immagini è stata una fonte di critica ma io penso che rappresenti un pregio, infatti ottenere degli scatti che evidenziano l’ideale di perfezione compositivo non può che essere positivo.
Se Pablo Picasso non avesse dipinto il Guernica avremmo percepito allo stesso modo la Guerra Civile Spagnola? Ebbene, l’arte è un mezzo talmente potente da essere stato impiegato anche come strumento di denuncia sociale. “La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”- Pablo Picasso
Allo stesso modo, come Picasso, il fotografo Sebastiao Salgado ha immortalato con i suoi scatti in bianco e nero tutti gli orrori avvenuti durante il genocidio in Ruanda del 1994, caratterizzato da tensioni etniche e politiche profonde tra gli Hutu, l’etnia maggioritaria, e i Tutsi, l’etnia minoritaria. Tale esperienza, ha giocato un ruolo fondamentale nella vita dell’artista, che viene paragonata quasi ad una discesa verso l’inferno. In questi sette anni in Ruanda infatti, fotografa la morte, la sofferenza, la malattia e la violenza vissuta in prima persona.
Tale progetto fotografico fa parte di una più ampia collezione da lui realizzata che prende in esame le migrazioni. Il soggetto di ogni sua fotografia sono gli “ultimi” le popolazioni perseguitate (i Tutsi), in fuga dalle guerre, ma anche le popolazioni costrette ad emigrare a causa della trasformazione economica che tutti i paesi del sud stavano subendo. Alla fine di tale percorso, era malato e totalmente avvilito dal comportamento umano. Aveva bisogno di fuggire perché, come una spugna, aveva assorbito tutte le mostruosità che gli erano passate davanti agli occhi.
Decise di ritirarsi in Brasile, luogo in cui era cresciuto; decise anche di ritirarsi dalla fotografia, convinto di non voler più proseguire quel percorso. In questi anni si occupò della terra nel terreno dei suoi genitori, e si accorse coltivandola che la terra era distrutta, sterile. Allora ebbe l’idea di ripiantare la flora della zona e, vedendo la vegetazione riappropriarsi del territorio, si riaccese di nuovo in lui la scintilla per la fotografia.
Gli ultimi anni della sua vita li passò in Amazzonia, a contatto con gli indigeni e con la natura incontaminata. Diede così vita al progetto “Genesis”, un progetto che denota anche la rinascita spirituale dell’autore. Salgado, dopo lo smarrimento e le atrocità vissute in Ruanda finalmente riesce a ritrovare anche sé stesso grazie anche all’aiuto degli indigeni, che lui sostiene siano la forma primordiale del nostro essere, prima dell’industrializzazione e della nostra “involuzione”. Egli ci racconta che paradiso esiste sulla terra, ed è l’Amazzonia, il problema è che questo paradiso immenso è un luogo fragilissimo. Sono tanti infatti quelli che, ad oggi, sono i nemici effettivi dell’Amazonia: basti pensare al Presidente Brasiliano Bolsonaro poiché, da quando è salito in carica nel 2019, si registrano aumenti di deforestazione del 75,6 per cento, allarmi per gli incendi forestali cresciuti del 24 per cento e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano aumentate del 9,5 per cento. Lo rivela il rapporto “Dangerous man, dangerous deals”, pubblicato il 24 Gennaio 2022 da Greenpeace, nel quale si evidenziano i crescenti impatti negativi causati dal sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani da parte del governo Bolsonaro negli ultimi tre anni.
Tuttavia, i veri colpevoli di questa terribile distruzione, siamo noi consumatori che, da 40 anni a questa parte, abbiamo comprato senza farci domande i prodotti che vengono da laggiù.
Insomma, ho veramente amato questo autore dalle opere alla sua biografia… Le cose che più ho apprezzato del suo portfolio sono che ogni argomento comunica bene con l’altro, fino a creare un’unico grande macro-tema; vi sono numerosi spunti di riflessione e vi è un’indiscussa maestria nel ritrarre ogni soggetto dei suoi scatti. Inoltre, credo che la storia di Salgado sia una storia avvincente, fatta di passione, delusioni, dubbi e incertezze ma alla fine vi è sempre una rinascita.
Salgado, dopo aver immortalato al mondo migrazioni, carestie, gironi di lavoro infernale, i danni della globalizzazione, ha deciso di farci vedere quanto sia bella e straordinaria la terra per mandare il messaggio più forte: Questo è ciò che abbiamo e che dobbiamo tenerci stretto. Se penso ad un progetto che vuole salvare l’Amazonia, immagino un progetto che parta dalla denuncia, invece Salgado ha fatto propria la lezione di Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo”.
Adoro le fotografie di Salgado, le ho sempre amate dalla prima volta che le vidi. Mi fanno entrare nel suo sguardo, e mi mostrano le bellezze più lontane del nostro pianeta. Che mai avrei pensato di vedere.
Lo ritengo il fotografo più importante, perché mostra a noi esseri umani come siamo, e da dove proveniamo.
Salgado è tra i pochi ad aver assistito alle situazioni peggiori, ed alle disgrazie più senza senso di questo pianeta, ma è anche colui che ci ha mostrato il meglio del pianeta, e la connessione che ogni essere umano ha con esso.
Infatti non poteva fare altro , che andare a cercare il bello del mondo , dopo tutti i disastri che ha subito ovvero: madre natura. È un uomo combattente, che sostiene questo pianeta, e si vede che ci tiene veramente agli esseri umani.
Ho la fortuna di avere a casa il suo libro della Genesi, ho deciso di sfogliarlo tutto prima di iniziare a scrivere questo commento. Ogni volta che lo riguardo mi lascia senza parole. Averi tanto voluto molto essere lì, vedere dal vivo tutti quei magnifici ambienti che il nostro pianeta ospita.
Mi sono sempre chiesto perché non scattasse le foto a colori, dato che ciò che fotografava era pieno di colori, poi essendo paesaggi a maggior ragione. Ma dopo aver letto questo articolo ho compreso, ed a dirla tutta ha molto più senso in bianco e nero: hanno molta più valenza visiva.