Da Bridgetown in Barbados il photobook di Mario Porchetta

Da Bridgetown in Barbados il photobook di Mario Porchetta

BARBADOS – Why this book? A tu per tu con Mario Porchetta che ha pubblicato Bridgetown Beat. È un photobook che ritrae il lato più intimo della capitale di Barbados, dove da tempo vive e lavora. Io l’ho incontrato in Italia ma se vorrete assistere alla presentazione del suo photobook dovrete pianificare un viaggio l’11 Ottobre in direzione  Barbados… Follows the interview in Italian and English.

Why this book?

E’ una bella domanda, con la quale l’artista apre la sua presentazione. Non sono andata fino a Bridgetown (purtroppo!) per incontrarlo, ma ho approfittato di un suo viaggio nella nativa Italia, dove, tra vacanze in masserie pugliesi e agriturismi in Toscana mi ha omaggiato, con la sua splendida moglie Devika, di una visita nel basso Lazio prima di un break pre partenza nella sua casa di campagna.

 

 

Erano un paio d’anni che non ci vedevamo, anche se non smetto di seguirlo sui social. Quello che colpisce chi incontra Mario Porchetta, sono i suoi modi lenti e gentili, la sua voce pacata ma piena di energia, il suo sorriso contagioso così come la vivacità del suo sguardo. E’ bello parlare con lui, ti sorprende sempre nella lettura delle emozioni offrendo sempre una visione profonda, anche sulle piccole cose.

A parte un “antica” amicizia, con buchi decennali, ho seguito Mario attraverso le immagini che pubblica sulle sue pagine social. Oltre che, come ogni occidentale, ho il mito dei Caraibi, gli scatti dei suoi paesaggi con gli squarci di colore che si alternano tra distese di foreste, mare o cieli dagli orizzonti infiniti, hanno sempre catturato la mia attenzione. Quindi, quando Mario mi ha anticipato che stava pubblicando un libro fotografico, provavo già a definire nella mia mente i confini di una tavolozza di colori infinita.

Una foto di Mario Porchetta© pubblicata su Facebook di un paesaggio ricco di squarci di colore

Quindi sorpresa? Yes, astonished come direbbero loro in questo caso!

Sicuramente la scelta monocromatica è originale, coraggiosa, impone una creatività ed una maestria nella materia che rende il tutto più difficoltoso. Ma, a mio avviso, Mario Porchetta esce perfettamente da questo empasse. Ritrae sguardi ed espressioni nel loro scenario, donando un’energia ed espressività unica all’immagine immortalata. Scatti rubati alla quotidianità di un paese dominato dal ritmo lento. Il silenzio o il vocio assordante emergono esaltati nei contrasti tra luci ed ombre, tra paesaggi paradisiaci e volti aggrinziti dal sole. Contrasti che emergono con ancor più forza grazie ad un dettaglio, un immagine nell’immagine che ti sorprende e ti spiazza. Il  taglio fotografico poi si concentra su una bicicletta sul lungomare, e sul suo orizzonte. Paesaggi, ritratti e espressioni ti attraggono e conducono per mano in queste terre caraibiche baciate dal sole.

Mario quando hai deciso che la fotografia era la tua strada?

Nel 1974 sono entrato per la prima volta in una stanza buia e ho assistito alla nascita miracolosa di un’immagine fotografica dal suo bagno chimico. Fu allora che decisi che volevo fare il fotografo. Un lavoro durante le vacanze mi ha permesso di acquistare una buona fotocamera di seconda mano e una stampante in bianco e nero. Qualche anno dopo ho iniziato a suonare le percussioni jazz e ho trovato la mia seconda chiamata. Ho deciso di seguire entrambi i percorsi: jazz e fotografia.

Che studi hai fatto quando vivevi in Italia?
Nel 1984, dopo aver terminato i miei studi in agricoltura, ho iniziato a lavorare nel mondo dello sviluppo economico in vari paesi africani. La fotografia e la musica, sebbene importanti, hanno dovuto prendere il secondo posto per un pò, anche se ho continuato a fare foto e suonare musica ogni volta che era possibile.

Perché vivevi all’estero? Che lavoro hai fatto?

Ho lavorato con la Commissione Europea (11 anni) e con le Nazioni Unite (3,5 anni) ma questo è stato l’ultimo lavoro a tempo pieno quando ho deciso di dedicarmi soprattutto alla fotografia e alla musica. Mi sono trasferito all’estero (Kenya) primi ‘84 spinto da spirito umanitario (sono andato come volontario per una ONG), e per il desiderio di conoscere il mondo e le sue culture. I paesi dove ho vissuto da 6 mesi fini a 20 anni sono: Kenya, Zimbabwe, Senegal, Hong Kong, Somalia e Barbados.

Beh mondi decisamente molto diversi… o sbaglio?

Mah, in realtà quando all’inizio del 2000 il lavoro di sviluppo mi ha portato nei Caraibi ho potuto constatare che sì, era un mondo molto diverso, ma per molti aspetti strettamente legato all’Africa!

Che ruolo ha avuto Barbados nella tua creatività?
A poco a poco sono diventato più coinvolto nelle arti nella regione. Nel 2012 ho ospitato la mia prima mostra personale come fotografo e ho anche formato un trio jazz che si esibisce intorno alle Barbados. Ora, dopo circa quarant’anni, queste tre chiamate con le loro diverse esperienze contribuiscono alla mia vita di artista. Questo libro è una celebrazione di quelle riconnessioni e un omaggio alla ventennale associazione con la vita alle Barbados.

Come è nato il progetto?
Questo progetto è iniziato mentre stavo camminando a Bridgetown all’inizio di quest’anno. La città pulsa di vita. Ho sempre apprezzato la sua diversità e armonia con la sua ampia sezione di venditori ambulanti, impiegati, turisti, ricchi, poveri e molti colori diversi. Ho sentito il bisogno di catturare aspetti di tutte queste caratteristiche attraverso le immagini. Era come prendere appunti sulla vita di strada e sugli edifici usando una macchina fotografica invece di carta e matita.

A chi ti sei ispirato?

Henri Cartier-Bresson ha lo stile che amo di più in fotografia, ma mai fare paragoni, lui é imparagonabile, direi inavvicinabile dal punto di vista dell’espressione in fotografia. Per me ha prodotto l’espressione più alta possibile nella fotografia, un pò come Picasso per i cubisti e Caravaggio per i classici.  Il grande fotografo Henri Cartier-Bresson ha dichiarato: “per me la macchina fotografica è un quaderno di schizzi, uno strumento di intuizione e spontaneità, il maestro dell’istante che, in termini visivi, mette in discussione e decide contemporaneamente”. Mi sento allo stesso modo.

E poi mi piace molto il brasiliano Sebastiao Salgado, ma la sua é fotografia a sfondo sociale e le immagini di crudeltà umana non fanno parte della mia espressione artistica. Ho avuto molte possibilità, vivendo a contatto con la povertà in Africa, ma intenzionalmente mai fatto scatti riguardanti la sofferenza. 

I bianchi e neri sono dosati come dei tasti di pianoforte. La sequenza ed il taglio fotografico dà ritmo alla pubblicazione concorrendo ad una costruzione poetica dell’immaginario. Cosa hai voluto catturare nelle tue immagini?

Il mio obiettivo in questo libro è di illustrare e trasmettere allo spettatore molti dei movimenti e dei ritmi di Bridgetown. Tutte le immagini sono state scattate in luoghi pubblici.

Io e la redattrice Giuliana D’Urso quando abbiamo incontrato Mario Porchetta per l’intervista, qui con la moglie Devika Khp, in una piovosa domenica nei dintorni laziali

 

Raccontaci come l’artista vive la fotografia
Vedo la fotografia come una testimonianza dell’esistenza della creatività divina. La mia fotografia è una creazione nel momento in cui ritrae la vita di tutti i giorni. Adoro comporre le mie fotografie nel mirino, non nella camera oscura, o come al giorno d’oggi accade davanti a un computer. C’è molta espressione artistica in questo meraviglioso mondo che ci circonda. Questa creazione può essere vista direttamente nella natura o attraverso la creatività delle composizioni umane. I miei occhi sono consapevoli di questa bellezza e usano la fotografia come mezzo per ritrarre e mostrare agli altri i doni che il Creatore ci ha fatto. Ho vissuto per anni in Africa circondato da un’estrema povertà e talvolta da guerre, ma non ho mai fotografato bambini malnutriti o persone in pena o sofferenza. Nel mio lavoro metto in dubbio il significato di cercare di impressionare il pubblico con atrocità ed emozioni negative quando c’è tanta bellezza nell’esistenza quotidiana del mondo. La mia raccolta è la celebrazione della bellezza e cerca di racchiudere tutto ciò che è positivo e che ci circonda nella nostra vita quotidiana.

 

 

Con questa descrizione della sua ricerca artistica approfitto per fargli un ultima domanda, ancora più intima.

Mario puoi raccontare la tua caratterialità e spiritualità a chi non ti conosce?

Non é facile parlare della propria personalità. Vivace, sociale ma selettivo, grandi passioni (come fotografia, musica, arti marziali, meditazione e la Roma calcio) ma senza ossessioni. Insegno TaiChi anche se non mi considero un maestro, insegno anche percussioni e da qualche anno anche le pratiche di meditazione imparate in India. Non sono né buddista né religioso ma neanche agnostico. Lo Yoga spirituale e gli insegnamenti dei grandi maestri spirituali dell’India guidano il mio percorso sulla terra ma non faccio vita ritirata, coltivo le mie passioni ma non soffro se non posso portarle avanti. La pratica del non attaccamento sia alle cose materiali che all’emozioni é una cosa sulla quale sto lavorando da anni e i risultati stanno arrivando.

Un ritmo lento giostra le espressioni e la pigrizia di questi popolo, ma lascia ascoltare la musicalità del sangue che scorre nelle vene dei locali. Onde architettoniche come onde disegnate da una palma all’orizzonte, onde di un mare dai confini infiniti circoscritte in sagome che emergono a contrasto nel paesaggio lunare. E poi ancora ritratti di vita quotidiana e spazi semplici che trattengono la loro pace incontaminata.

Mario Porchetta sorprende nell’immediatezza dell’immagine, nella naturalezza dell’espressione o anche nel taglio fotografico di un ambiente, locale, negozio o mercato che sia, estrapolandone l’anima.

Ci sono barche ancorate, e altre che seguono il vento. Ognuna di essa alla ricerca di un porto immaginario, che possiamo trovare solo dentro di noi. È questo Mario Porchetta, uno che scava nel tuo profondo per fare emergere l’amore per la vita dato dalle piccole cose.

Poche parole supportano il testo fotografico perché non c’è sempre da aggiungere. Il mondo è pieno di immagini e di colori, ma è in questa sintesi sottrattiva, che però non elimina nulla al nostro immaginario, che aggiunge linfa vitale allo creatività che la natura offre.

In Bridgetown Beat troviamo tutta l’energia di un uomo che esprime la sua creatività sommessamente, così com’è, senza sbavature, e senza striduli schiamazzi.

Mario Porchetta durante l’intervista, quando, sfogliando il suo libro, mi illustrava gli scatti del suo photobook su Bridgetown

Tutte le foto pubblicate sono foto di Mario Porchetta©

Una precisazione, alcuni scatti pubblicati qui non sono stati selezionati per il photobook Bridgetown Beat.

Il libro Bridgetown Beat si può acquistare scrivendo un email a Mario Porchetta Sito Ufficiale

Bridgetown Mario Porchetta

 

ENGLISH VERSION

BARBADOS – Why this book? Face to face with Mario Porchetta who published Bridgetown Beat. It is a photobook that portrays the most intimate side of the capital of Barbados, where he has been living and worked for long time. I met him in Italy but if you want to attend the presentation of his photobook you will have to plan an October 11th trip to Barbados …

Why this book? It’s a good question, with which the artist opens his presentation.

I didn’t go to Bridgetown (unfortunately!) To meet him, but I took advantage of his trip to his native Italy, where, between his holidays in Puglia and Tuscany farmhouses he paid me a visit, with his splendid wife Devika in the South of Lazio before a last break in his country home. We had not seen each other for a couple of years, even if I did not stop following him on social networks. What strikes those who meet Mario Porchetta, are his slow and gentle manner, his calm but energetic voice, his contagious smile as well as the vivacity of his gaze . It’s nice to talk to him, he always surprises you in reading your emotions, always offering a profound vision, even on small things.

Apart from an “ancient” friendship, with decades of gaps, I followed Mario through the images he publishes on his social pages. Beyond that, like every westerner, I have the myth of the Caribbean, the shots of its landscapes with the glimpses of color that alternate between expanses of forests, sea or skies with infinite horizons have always caught my attention. Therefore, when Mario told me he was publishing a photobook, I was already trying to define the boundaries of an infinite color palette in my mind.

So surprise? Yes, astonished, as they would say in this case!

Surely the monochromatic choice is original and courageous. Being difficult it imposes creativity and a mastery in this field. However, in my opinion, Mario Porchetta gets out of this impasse perfectly. It portrays looks and expressions in their scenery, giving a unique energy and expressiveness to the immortalized image. Shots stolen from the everyday life of a country dominated by the slow pace. The silence or the deafening shouting emerge exalted in the contrasts between lights and shadows, between paradisiacal landscapes and faces wrinkled by the sun. Contrasts that emerge with even more force thanks to a detail, an image in the image that surprises and displaces you. The photographic cut then focuses on a bicycle on the waterfront, and on its horizon. Landscapes, portraits and expressions attract you and hold your hand leading you towards these sun-kissed Caribbean lands.

Mario when did you decide that photography was your way?

In 1974, I entered a dark room for the first time and witnessed the miraculous birth of a photographic image from his chemical bath. It was then that I decided I wanted to be a photographer. A job during the holidays allowed me to buy a good second-hand camera and a black and white printer. A few years later, I started playing jazz percussion and found my second call. I decided to follow both paths: jazz and photography. What studies did you do when you lived in Italy? In 1984, after finishing my studies in agriculture, I started working in the world of economic development in various African countries. Photography and music, although important, had to take second place for a while, even though I kept taking pictures and playing music whenever possible.

Why did you live abroad? What kind of jobs have you done?

I worked for 30 years in the field of development cooperation, which also include 11 years with the European Commission and 3.5 years with the United Nations, but the latter was the last full-time job when I decided to dedicate myself mainly to photography and music. I moved abroad (Kenya) early ’84 driven by a humanitarian spirit (I volunteered for an NGO), and for the desire to learn about the world and its cultures. The countries where I have lived for 6 months have been 20 years: Kenya, Zimbabwe, Senegal, Hong Kong, Somalia and Barbados.

Well very different worlds … or am I wrong?

Well, actually, when at the beginning of 2000 the development work took me to the Caribbean I could see that, yes, it was a very different world, but in many ways closely linked to Africa! What role did Barbados play in your creativity? Gradually I became more involved in the arts in the region. In 2012, I hosted my first personal exhibition as a photographer and I formed a jazz trio performing around Barbados. Now, after about forty years, I can say that these three calls with their different experiences contributed to my life as an artist. This book is a celebration of those reconnections and a tribute to the twenty-year association with life in Barbados.

How was the project born?

This project started while I was walking in Bridgetown early this year. The city pulsates with life. I have always appreciated its diversity and harmony with its wide cross section of street vendors, office people, tourists, rich, poor and many different colors. I felt an urge to capture aspects of all these features through images. It was like taking notes on street life and buildings using a camera instead of pencil and paper.

Whose inspiration did you take?

The great photographer Henri Cartier-Bresson said: “for me the camera is a sketch book, an instrument of intuition and spontaneity, the master of the instant which, in visual terms, question and decides simultaneously”. I feel the same way. And then, I really like the Brazilian Sebastiao Salgado, but his is social photography and the images of human cruelty are not part of my artistic expression. I had many chances, living in contact with poverty in Africa, but intentionally never made shots regarding suffering. His blacks and whites are like piano keys.

The sequence and the photographic cut gives rhythm to the publication, contributing to a poetic construction of the imaginary. What did you want to capture in your images?

My aim in this book is to illustrate and transmit to the viewer many of the movements and rhythms of Bridgetown. All the images were taken in public places Tell us how the artist experiences photography I see photography as a testimony of the existence of divine creativity. My photography is a creation in the moment that portrays everyday life. I love to compose my photographs in the viewfinder -not in the darkroom- nowadays in front of a computer. There is plenty of artistic expression in this wonderful world that surrounds us. This creation can be seen directly in nature or through the creativity of human compositions. My eyes are aware of this beauty and use photography as a medium to portray and to show to others the gifts the Creator has given to us. I lived for years in Africa surrounded by extreme poverty, and sometimes war, but I never took pictures of malnourished children or persons in sorrow or suffering. In my work I question the significance of seeking to impress the public with atrocities and negative emotions when there is so much beauty in the everyday existence of the world. My compilation is the celebration of beauty and seeks to encompass all that is positive and which surrounds us in our everyday life.

With this description of his artistic research I take this opportunity to ask him a last, even more intimate question.

Mario can you tell your character and spirituality to those who don’t know you?

It is not easy to talk about one’s personality. Lively, social but selective, great passions (such as photography, music, martial arts, meditation and Roma soccer team) but without obsessions. I teach Tai Chi even if I do not consider myself a teacher, I also teach percussion and for some years, meditation practices learned in India. I am neither Buddhist nor religious but neither agnostic. The spiritual Yoga and the teachings of the great spiritual teachers of India guide my journey on earth but I do not live an isolated life, I cultivate my passions but I do not suffer if I cannot carry them forward. The practice of non-attachment to both material things and emotions is something I have been working on for years and the results are coming.

A slow rhythm plays over the expressions and “laybackness” of these people, but the images make you feel the musicality of the blood flowing in the veins of the locals. Architectural waves like waves drawn from a palm tree on the horizon, waves of a sea with infinite boundaries circumscribed in shapes that emerge in contrast in the lunar landscape. And then again, portraits of everyday life and simple spaces that retain their pristine peace. Mario Porchetta surprises you by the immediacy of the image. The naturalness of the expression and the photographic capture exposes the soul of an environment, whether it is a street, a rum shop, or a market stand.

There are anchored boats, and others that follow the wind. Each of them looking for an imaginary port, which we can only find within ourselves.

This is Mario Porchetta, one who delves into your depth to bring out the love for life given by small things. Few words support the photographic text because there is not always much to be added. The world is full of images and colors, but it is in this subtractive synthesis that does not eliminate anything from our imagination but adds vital lymph to the creativity that nature offers.

In Bridgetown Beat we find all the energy of a man who expresses his creativity softly, as it is, without smudges and shrill shouting.

Fabiola Cinque

16 Responses to "Da Bridgetown in Barbados il photobook di Mario Porchetta"

  1. giuliana   8 Ottobre 2019 at 11:42

    Non sono (purtroppo) andata alle Barbados, ma ho avuto modo di conoscere Mario e vedere il suo catalogo. Persona simpaticissima, alla mano e di grande valore spirituale. L’immediatezza e , oserei dire, il lirismo delle sue foto penso siano proprio un riflesso della sua persona. Adoro la fotografia in bianco e nero e forse il paragone con Cartier-Bresson non è poi così troppo ..ardito!

    Rispondi
    • Mario   18 Ottobre 2019 at 17:57

      Grazie Giuliana per le tue belle parole. La fotografia come arte non puo’ che essere un riflesso di quello che uno ha dentro e se vissuta senza passato, presente e futuro riflette molto piu’ l’anima che la persona.

      Rispondi
  2. Stefano Maria Pantano
    Stefano Maria Pantano   10 Ottobre 2019 at 10:55

    Un bellissimo lavoro da parte di intervistatrice e intervistato. Con grande eleganza nello stile viene raccontata una persona incredibilmente affascinante e dalla vita incredibile. La raffinatezza dell’arte fotografica dimostra che le prossime esposizioni e il progetto editoriale meritano tutto il successo del caso. La risonanza che in me avverto maggiormente è la chiamata che Porchetta descrive come proveniente da più muse. Ho sempre creduto che nella vita si dovesse saper fare bene una cosa, ma meglio di chiunque altro. Eppure ci sono casi in cui la natura è generosa di doni, che non possono essere mortificati. Inutile soffermarsi poi sul lato spirituale e marziale che fa da sfondo alla personalità dell’artista (appellativo evidentemente riduttivo). Conosco in modo particolare gli stili tradizionali cinesi, che ho praticato per tanti anni senza smettere di amarli. Degli scatti colpisce la realtà ruvida e semplice di persone e luoghi che diventano partitura di una melodia lenta, soffusa, lontana come i luoghi che non mancano di richiamarci come il canto di sirene irresistibili.

    Rispondi
    • Mario   18 Ottobre 2019 at 18:17

      Grazie Stefano Maria per il tuo bel commento. È vero che la natura è generosa di doni e sapergli cogliere è molto più importante di fare cose meglio degl’altri. Il voler primeggiare ci allontana da quella natura che ci nutre di energia e armonia. Questa separazione indotta dal nostro ego non solo ci porta a sofferenza ma riduce la possibilità di esprimere la nostra creatività che non nasce dal pensiero ma dai meandri del nostro spirito. Le immagini del mondo che ci circonda che fisso attraverso il mirino della reflex ricercano l’essenza della vita, senza fronzoli e maschere delle quali noi umani siamo maestri.

      Rispondi
  3. Melissa Turchi
    Melissa   10 Ottobre 2019 at 11:25

    Un photobook che, semmai ce ne fosse bisogno, accresce il desiderio di correre in aeroporto per prendere il primo volo per Barbados, dove purtroppo non sono mai stata! Foto assolutamente eleganti e dal forte impatto emotivo.

    Rispondi
    • Mario   18 Ottobre 2019 at 18:24

      Ciao Melissa, se dovessi correre verso quell’aereoporto scrivimi e sarai premiata con un piccolo tour fotografico dell’isola 🙂

      Rispondi
  4. Paolo Riggio
    Paolo Riggio   10 Ottobre 2019 at 12:26

    Un lavoro eccezionale che meritava di essere raccontato. Trovo che la particolarità di Mario Porchetta risieda nell’immortalare perfettamente l’anima del soggetto che fotografa in qualsiasi situazione si trovi! Complimenti

    Rispondi
    • Mario   18 Ottobre 2019 at 18:22

      Grazie Paolo per le belle parole. Ho letto il tuo commento dopo aver risposto a quello di Stefano Maria qui sopra. Ho sorriso in quanto hai detto esattamente la stessa cosa riguardo a come cerco di esprimere la mia fotografia. Sei stato molto sensibile nel cogliere le intenzioni dell’espressione del fotografo.

      Rispondi
  5. Steven   10 Ottobre 2019 at 12:29

    The Mario’s career speaks for himself

    Rispondi
    • Mario   18 Ottobre 2019 at 18:32

      Hi Steven, I was not aware I had a career. Actually I don’t even have a pension :-). If I was focusing on a career I would never had produced this book. For some people career is very important for others not. Both tendencies are good provided that we don’t identify and get attached to our doing ……….

      Rispondi
  6. Tommaso   10 Ottobre 2019 at 12:31

    Bellissima la parte in cui spiega la sua filosofia fotografica: “Vedo la fotografia come una testimonianza dell’esistenza della creatività divina. La mia fotografia è una creazione nel momento in cui ritrae la vita di tutti i giorni”.

    Rispondi
  7. Jade the Blake   10 Ottobre 2019 at 12:33

    This was beautiful. Thanks for sharing!! Added so much inspiration

    Rispondi
  8. Roberto Becchi   10 Ottobre 2019 at 12:34

    Amo questi articoli dedicati alle storie dei fotografi. Dovete farne di più Fabiola!

    Rispondi
    • Mario   18 Ottobre 2019 at 18:38

      Caro Roberto, la sensibilità di Fabiola porterà a scoprire molti talenti superiori al mio. Stay tune …..

      Rispondi

Leave a Reply

Your email address will not be published.