NY Jazz stories alle Officine Fotografiche di Roma. Intervista ad Andrea Boccalini, fotografo del Jazz

NY Jazz stories alle Officine Fotografiche di Roma. Intervista ad Andrea Boccalini, fotografo del Jazz

ROMA – Apre al pubblico giovedì 11 novembre alle 19:00 la mostra NY Jazz stories di Andrea Boccalini, allestita all’interno degli spazi industriali dell’apprezzata e conosciuta Officine Fotografiche, a Roma. Questa interessante esposizione ci catapulterà nelle inebrianti atmosfere di New York, fra il bianco e nero delle immagini e il jazz di sottofondo. Ho deciso di cominciare questo viaggio con un’intervista in esclusiva ad Andrea Boccalini. Per entrare nel vivo della mostra e capire meglio insieme a lui il rapporto fra Jazz e fotografia.

NY Jazz stories: un allestimento di gusto, per un ingresso gratuito e aperto a tutti. L’inaugurazione di Giovedì 11 Novembre inizierà alle 19:00 per terminare alle 21.30. La mostra si configura come occasione d’incontro e di apertura al pubblico dei progetti firmati Officine Fotografiche, lo spazio di via Libetta che ospita l’evento.

Foto: Gallery NY Jazz stories

Infatti, in occasione della mostra è stata creata una piccola rassegna di presentazioni editoriali dal titolo Note Fotografiche. Un vero e proprio viaggio che vale la pena concludere sorseggiando un buon drink nel bar o facendo acquisti all’interno del bookshop.

NY JAZZ STORIES E IL SUO CALENDARIO DI EVENTI

Foto: Gallery NY Jazz stories

Il programma sarà ricco e ben disposto ad accogliere tutti gli interessi dei visitatori. Ecco qui le tappe salienti:

  • Il 18 novembre alle 19:00 Francesco Faraci presenterà il suo libro JOVA Beach Party: cronache da una nuova era  il
  • Il 3 dicembre alle 19:00 Daria Addabbo assieme a Gino Castaldo presenterà il suo volume This Hard Land, un viaggio fotografico all’interno dei celebri testi delle canzoni di Bruce Springsteen.

STORIE DI JAZZ

Foto: Gallery NY Jazz stories

Gli appassionati lo sanno: Eugene Smith,all’apice della sua carriera come fotografo documentarista statunitense, nel 1957 decise di ritirarsi a vivere al civico 821 della Sixth Avenue nel quartiere dei fiori di NewYork, per antonomasia un quartiere povero.

Ma lì, negli angoli più impensati, chi sapeva cercare poteva ritrovarsi negli scantinati dove i più importanti jazzisti dell’epoca si riunivano per dare il via a delle jam session. Non solo concerti ed eventi musicali, ma veri e propri raduni sociali e politici dell’America di quell’epoca.

Foto: Gallery NY Jazz stories

Eugene Smith, in quell’atmosfera irripetibile, scatta ben 40 000 immagini in quasi 9 anni. Immagini senza paragoni, fotogrammi di vere e proprie leggende: dai grandi musicisti come Monk, Rollins, ma non solo: un patrimonio di migliaia e migliaia di immagini che Smith scattò dalla finestra del suo loft, immortalando la frenetica vita dei quartieri bassi.

Registrò anche 4000 ore di musica, perché Smith era convinto che l’anima più profonda e passionale degli Stati Uniti si trovasse visivamente nella musica di quel quartiere popolare, fra le sue note e visivamente attraverso il ritmo del jazz. Cosa ne venne fuori? Come da ogni idea geniale, un’opera geniale, denominata jazz loft project.

Proprio come di gusto e genialità è la mostra NY Jazz stories!

CHI E’ ANDREA BOCCALINI, IL FOTOGRAFO DEL JAZZ

Foto: Gallery NY Jazz stories

Andrea Boccalini, a cui si deve il merito dell’esistenza di quest’importante esposizione dal nome NY Jazz stories, ha mosso i primi passi nella fotografia lavorando come reporter per diversi lavori svolti in Guatemala. Successivamente all’esperienza nel reportage è sopraggiunta in lui la passione per la ritrattistica, che insieme a quella per il jazz lo ha portato a scattare immagini per oltre 200 dischi e a stringere collaborazioni con alcune delle figure più importanti del panorama jazz mondiale.

Il readers pool di Jazzit lo ha eletto per sei anni consecutivi a miglior fotografo jazz italiano. Non si è fatto mancare collaborazioni con riviste nazionali e internazionali di spicco, quali New York Times, New York Post, Jazztimes, Downbeat, Rolling Stones, Musica Jazz e tante altre.

Foto: Gallery NY Jazz stories

Proprio come Eugene Smith, da anni ormai ha intrapreso il racconto di tutte quelle storie ai margini della società. Storie che assumono rilievo e dignità attraverso le immagini. Immagini di periferie urbane, di contesti messi da parte, socialmente distanti. E’ Docente della Leica Akademie ed ha partecipato ad alcuni fra i più importanti festival di fotografia, mediante Workshop, seminari e mostre.

E’ stato il primo fotografo coinvolto nel progetto arte nelle scuole per la Fondazione MAXXI e consulente per le ultime tre stagioni del programma di Sky Arte Master of Photography. Ha inoltre illustrato l’ultimo numero del libro The passenger dedicato a Roma.

IL RACCONTO DI ANDREA BOCCALINI PER NY JAZZ STORIES

Foto: Gallery NY Jazz stories

Andrea Boccalini ha trascorso più o meno due anni a New York e, affiancato dal giornalista Enzo Capua ha iniziato e portato a termine un percorso eccezionale, degno di essere raccontato. Nonostante la sua professionalità nella fotografia del jazz, questo viaggio lo ha arricchito con l’essenza più profonda di questo genere musicale. Lo ha arricchito attraverso la personalità di jazzisti di spessore, nella loro veste più umana e quotidiana.

Dopo aver trattato già più volte il tema del Jazz e la sua celebrazione nel mondo, abbiamo voluto intervistare Andrea Boccalini per farci raccontare che cos’è per lui il jazz, cosa rappresenta per lui professionalmente e come ha cambiato il suo punto di vista.

Foto: Gallery NY Jazz stories

Come sei passato dall’esperienza come reporter in Guatemala al Jazz, e da cosa nasce l’esigenza di ritrarlo?

Il passaggio dal reportage alla fotografia di jazz è avvenuto gradualmente, partendo dall’opera e transitando per il teatro. Un giorno un amico che scriveva recensioni musicali mi invitò ad un concerto jazz, non era la musica di cui ero più appassionato ma l’atmosfera del concerto, la musica, il ritmo istintivo mi catturò subito, inoltre essendo io molto istintivo come fotografo ho trovato subito un’affinità molto profondo tra jazz e fotografia. Era un contesto in cui sentivo di muovermi molto a mio agio, e assecondare le emozioni, le dinamiche anche fisiche di un palco mi riusciva molto naturale. Le prime foto che feci piacquero e da li cominciò tutto, direi in maniera fortuita, anche se credo che ciò che definiamo accidentale in questi casi abbia molto a che fare con un richiamo più profondo che razionalmente non spieghiamo ma che emotivamente ci attrae.

Hai trascorso due anni a New York. Sei andato alla ricerca della profondità delle periferie e degli sguardi di chi si trova ai margini? Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

A New York mi sono concentrato soprattutto sul jazz che in alcuni casi ha a che fare con le vite ai margini della società ma molto di più in passato rispetto ad adesso. Il reportage di contesti periferici lo ripresi tornando in Italia.

Foto: Gallery mostra NY Jazz stories

Durante la tua esperienza a New York, immagino tu sia entrato in contatto diretto con le persone, in particolare con alcune importanti personalità del panorama jazz. Che tipo di rapporto hai instaurato e cosa ci sai dire di loro, se dovessi descriverli come persone?

Posso definirmi un privilegiato, ho conosciuto personaggi che sono nella storia di questa musica instaurando con molti di essi un legame che se non posso definire sempre di amicizia comunque di stima umana e professionale profonda. Di molti di loro mi ha colpito la semplicità e la serenità, spesso in maniera direttamente proporzionale alla loro statura di artisti. Sonny Rollins e il suo sogno di raggiungere un’armonia profonda e totale con la vita e con la natura, uno stato che lui definiva di santità, Wayne Shorter e la sua incredibile capacità di mettersi a confronto alla stessa altezza di chiunque avesse di fronte a prescindere dall’età o di chi fosse il suo interlocutore. Insomma l’umiltà di questi personaggi che per dimostrare la loro grandezza avevano il palco ma fuori da esso emergeva solo la loro grandezza umana.

Dopo il lavoro nel jazz hai preso la strada della musica elettronica, spostandoti a Vienna. Quale dei due universi musicali trovi in generale più stimolante per il lavoro di un fotografo, e a quale dei due senti di essere più legato?

Indubbiamente il jazz è l’ambito che mi ha dato più, anche perchè è l’ambito in cui sono cresciuto, in cui sono anche diventato ritrattista, quindi inevitabilmente il legame che ho con esso è così profondo che anche se oramai il mio lavoro ha volto lo sguardo in altri ambiti fotografici rimane dentro di me un pò come accade con le radici con i luoghi in cui sei cresciuto.

Foto: Gallery mostra NY Jazz stories

Alla base dei progetti svolti nel jazz e nella musica in generale, c’è una passione verso il reportage e poi verso la ritrattistica. Quale delle due pensi debba essere la punta di diamante, oggi, per un fotografo che vuole avere successo?

Io ho cominciato con la fotografia di scena fotografando i concerti. Le foto piacquero e mi aprirono le porte del mondo del jazz inteso come contesto lavorativo, ovvero le commissioni. Ma per i dischi le richieste erano di ritratti, non di foto live, quindi cominciai a concentrarmi sulla ritrattistica, un genere che sentivo mio e che approfondii in maniera appassionata. Sicuramente a livello lavorativo la ritrattistica, commercialmente parlando, può essere declinata in più ambiti rispetto alla fotografia live che per me è stato un portfolio che mi ha consentito di essere ascoltato e acquisire credibilità. Purtroppo oggi a livello remunerativo la fotografia di live offre molto poco, ma a livello creativo è un’esperienza che io adoro ancora. Io credo che comunque un fotografo non debba chiedersi come avere successo, ma debba chiedersi cosa lo appassiona e seguire la sua vocazione, prima di tutto la fotografia deve essere passione, perchè solo grazie ad essa si può trovare la forza di passare attraverso le tante difficoltà che si posso incrociare all’inizio del percorso, dalla gavetta e i compensi bassi, passando per le inevitabili delusioni che prima o poi capitano a tutti, e capiteranno sempre. Quindi per avere soddisfazioni dalla fotografia, soprattutto oggi dove la tecnica è resa più semplice dalla tecnologia, occorre essere autori e non più semplici esecutori, a prescindere dall’ambito in cui si fotografa. Un fotografo può essere sostituito da chiunque fotografi, un autore viene scelto per la sua visione personale e non viene visto Come una figura intercambiabile con il miglior offerente.

Foto: Gallery mostra NY Jazz stories

Com’è nata l’idea della mostra NY Jazz stories e qual è il significato che vorresti fosse comunicato ai visitatori attraverso di essa?

Il progetto nacque per un lavoro che feci con il giornalista musicale Enzo Capua per Rolling Stone. Poi nei due anni in cui stetti a NY fotografai molto jazz, per lavoro e per piacere. Ne nacque un grande archivio, poi tre anni fa insieme a Silvia Bazza prendemmo quel materiale e facemmo un edit per una mostra che venne prodotta dal Padova Jazz Festival e che adesso in un edit rinnovato curato da Emilio D’Itri verrà esposta ad Officine Fotografiche. L’idea alla base della mostra è sentire le vibrazioni di una città come NY attraverso quella che per me è la sua colonna sonora, ovvero il jazz. Anche Eugene Smith volle ricercare i ritmi della società americana nel jazz, io non ambisco a tanto ma spero che in sottofondo alle mie immagini oltre jazz si senta anche il ritmo vibrante di una città come NY.

Ci puoi anticipare qualcosa sui tuoi progetti in cantiere?

In cantiere ci sono dei progetti video su cui per ragioni di embargo non posso anticipare molto, da un pò di tempo ho cominciato a confrontarmi con la fotografia video, l’edit di un lavoro che ho fatto questa estate sulla notte del deserto di Almeria, un progetto fotografico su Roma a quattro mani, e una serie di commissioni private per lavori commerciali uno di ritrattistica con un taglio che rimanda alla ritrattistica come era intesa agli albori della fotografia. Infine tornando al jazz ho cominciato un progetto con un famoso jazz club di Roma, l’Alexander platz, che dopo qualche anno mi ha riportato a raccontare la musica live, che in un jazz club assume sempre un altro sapore, molto più forte e vivo rispetto ai palchi di eventi anche prestigiosi ma che costringono ad una sola prospettiva e impongono limitazioni che vincolano enormemente la creatività del fotografo.

Che dire, grazie infinite Andrea per averci arricchiti con le tue parole di professionista. Non vediamo l’ora di intraprendere questo vero e proprio percorso formativo e artistico alle Officine Fotografiche. Non mancate!

Per info:

Officine Fotografiche Roma
of@officinefotografiche.org
0697274721

Michela Ludovici

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