This is Us. L’adattamento italiano non riuscito

This is Us. L’adattamento italiano non riuscito

ITALIA – Sta andando in onda su RaiUno la serie televisiva Noi, adattamento italiano del fortunato e pluripremiato drama americano This is Us. Dopo aver amato questa serie in maniera viscerale, ero impaziente di sedermi sul divano davanti alla tv per questa novità tutta italiana. Parzialmente delusa ma con tante cose da dire, eccomi qui a spiegare perché, a mio parere, qualcosa sembra scricchiolare. E perché confrontare un amore a quello precedente impedisce di raccontare storie nuove o di dargli un’anima irripetibile.

Piccola premessa: quando si decide di adattare un prodotto, una cosa già accaduta in passato molte volte, è normale apportare delle modifiche e tradurre in maniera distorta. Altrimenti, invece di chiamarsi adattamento si chiamerebbe fedele trasposizione dell’originale. Nel primo caso, quello della nuova serie Noi, tratta da This is Us, il giudizio globale appare più complesso di quanto si creda. Perché a tratti ci rivediamo intendi a piangere per le vicende della famiglia americana più amata degli ultimi anni, a tratti ci ritroviamo catapultati in un italianismo spicciolo che quasi ci fa rimpiangere gli anni ’90 di Centovetrine.

Noi, prodotta da Cattleya in collaborazione con Rai Fiction, è arrivata in 12 episodi e 6 serate dal 6 marzo su Rai1, per terminare quindi ad aprile.

QUESTI SIAMO NOI

Noi
Foto dalla fan page Instagram @noi_laserie

Dopo dieci minuti scarsi di visione, il quadro della situazione è subito chiaro: gli sceneggiatori – Sandro Petraglia, Flaminia Gressi e Monica Straniero – e il regista Luca Ribuoli, hanno tentato di ricalcare pedestremente, ma puntualmente nei tratti che avrebbero invece dovuto modificare, l’elemento più affascinante della serie originale, ovvero la storia di una famiglia attraverso le generazioni, dagli anni Ottanta ad oggi, con continui flashback e sorprese.

Ma la straordinaria innovazione del family drama – in cui gli americani sono decisamente più bravi di noi – che ha trovato terreno fertile nella bravura di Dan Fogelman, in questa versione italiana interpretata da Lino Guanciale, Aurora Ruffino, Dario Aita, Claudia Marsicano e Livio Kone non riesce ad emergere. E questo perché?

Perché clamorosamente non riesce a differenziarsi a sufficienza dall’originale per trovare una propria identità. Parte tutto dalla storia di una famiglia attraverso le generazioni, fin qui ci siamo e va benissimo. Ma quale storia famigliare italiana anni ’70 – ’80 si poteva raccontare? Molti di noi hanno dei genitori vissuti proprio a cavallo di quell’epoca, alla stessa età dei protagonisti. Ascoltando i loro racconti, sfogliando gli album di famiglia, conoscendoli oggi, possiamo davvero riconoscerci nella famiglia ricalcata in Noi?

Apprezzabili i rimandi alla storia di Roma e Napoli, alla musica, all’abbigliamento, ma il tutto appare sempre e comunque sospeso in uno spazio-tempo indefinito, senza dei contorni precisi e soprattutto senz’anima, appartenenza né passione.

QUESTI SIAMO DAVVERO NOI?

Noi
Foto dalla fan page di Instagram @noi_laserie

Parlando della qualità recitativa e della serie, qualcosa scricchiola senza sosta. Non siamo, probabilmente, pronti per un family drama, né per una serie strutturata su continui effetti sorpresa. Può sembrare una spiegazione eccessivamente metafisica, ma spesso le cose vanno interpretate, piuttosto che rivelate. Le nostre inquadrature statiche e a senso unico, dove tutto viene detto e svelato per paura che lo spettatore non sia in grado di arrivarci da solo, non creano alcun colpo di scena e non emozionano tanto quanto quelle di This is us. Appare, invece, tutto piatto e insensato, quasi come se si trattasse di una parodia mal riuscita.

Altro appunto antipatico ma necessario, l’interpretazione degli attori: nel complesso, pur non volendo criticare in alcun modo la professionalità di attori che riescono senz’altro bene in altro, si poteva fare meglio. Probabilmente, non riuscendo a fare nostro questo prodotto televisivo, non si è riusciti nemmeno a renderlo abbastanza di qualità.

TU VUO’ FA’ L’AMERICANO, MA SI’ NATO IN ITALY

Foto dalla fan page Instagram @noi_laserie

Alcune modifiche sono invece degne di nota: per esempio Claudio – Dario Aita -, il primo dei tre fratelli Peirò, non lascia il set di una sitcom, genere quasi inesistente in Italia, ma in una fiction in cui interpreta il Maestro Rocco, classica rappresentazione di un genere televisivo tutto italiano. E inoltre Betta – Angela Ciaburri – non è nera nella nostra serie Noi. Sarebbe certamente risultato surreale incontrare una coppia composta da entrambi i genitori di colore, rispettati e di successo. Una coppia mista è forse molto più attinente al nostro contesto sociale anni ’90.

Con una scelta di questo genere, tuttavia, molti degli elementi cardine della coppia vengono sviliti e appiattiti, mentre erano invece importanti per l’evoluzione dello stesso figlio di colore protagonista di This is Us.

Non sarebbe stato più giusto e utile tralasciare totalmente l’inserimento di un figlio di colore e parlare di un’adozione differente, magari europea o dai toni diversi? Nel nostro Paese, come sappiamo, la piaga dell’adozione è ancora oggi rilevante: continui ritardi nelle firme dei documenti, impossibilità di adottare neonati dopo una certa soglia di età e al di sotto di una soglia di reddito elevata, impossibilità di trasformare un affido temporaneo in un’adozione senza un aiuto importante dall’alto.

Tema adozione sì, ma trattato in maniera differente e, per evitare di caricaturare la meravigliosa coppia Beth e Randall di This is Us, discostato dall’originale. Idem per quanto riguarda l’introduzione del padre di Daniele: calcare troppo la mano sull’identità della comunità nera e sulla rivendicazione dei propri valori è, se vogliamo, fuorviante rispetto alla vera storia sociologica italiana degli ultimi cinquant’anni. In Italia non si può certamente parlare di un’identità nera tanto quanto se ne può parlare in America, in cui rappresenta invece la parte più rilevante della collettività e delle vicissitudini da secoli.

Un discorso simile si può fare per il tema dell’obesità, di grande importanza e delicatezza in tutto il mondo. L’Italia non è certo esente, ma possiamo davvero dire che l’obesità sia culturalmente rilevante da noi tanto quanto lo è negli USA? E possiamo davvero dire che una persona affetta da obesità in Italia sia sempre così facilmente compresa, guardata di sfuggita per strada e integrata nell’ambiente che la circonda, quale famiglia e lavoro?

Avremmo, forse, trovato più attinente il riferimento ad altri disturbi alimentari, o magari anche a problematiche totalmente differenti, ma che rispecchiassero maggiormente le statistiche italiane e potessero consentire alla maggior parte di noi di riconoscervisi.

La storia di una famiglia trasmessa su un canale televisivo, ambientata in un determinato e preciso periodo storico, vuole o dovrebbe volere che gli spettatori se ne sentissero parte.

Perché, dopotutto, siamo anche noi la Patria della famiglia, dell’amore e delle tragedie. Vuoi che non possa venir fuori una storia bella e credibile da raccontare?

Lo intravediamo da quei pochi elementi di forza della serie: le classiche colonne sonore della musica italiana, la bellezza del sentimento tra Pietro e Rebecca il quale, non senza difficoltà e incertezze, attraversa gli anni e sfonda tutte le barriere che lo mettono alla prova. Tuttò ciò arriva oltre lo schermo e corre ad abbracciarci, ma non riesce a convincerci.

La buona volontà, quindi, c’era, ma si è tradotta in un’occasione persa, poiché si gioca troppo ad acchiapparella con This is Us. Ed è proprio l’ostinata ricerca di un confronto con la storia americana e di un’equiparazione ai loro usi e costumi, che tanto va di moda ultimamente, a farci, inevitabilmente, perdere la partita.

E per noi che abbiamo guardato e divorato This is Us dalla prima all’ultima puntata, è come confrontare un amore vecchio ad un amore nuovo. Ogni magia è unica: per riviverla si deve accettare che ognuna di esse sia irripetibile. E che la successiva debba essere semplicemente…diversa, figlia del proprio tempo, figlia delle proprie situazioni.

L’avete intitolata Noi, non Loro. Tu vuò fà l’Americano, ma sì nato in Italy!

Michela Ludovici

One Response to "This is Us. L’adattamento italiano non riuscito"

  1. Adam   2 Aprile 2022 at 23:27

    sfonda tutte le barriere

    Rispondi

Leave a Reply

Your email address will not be published.