ALL YOU NEED IS LOVE: Giovanni Allevi in concerto a Bologna

ALL YOU NEED IS LOVE:  Giovanni Allevi in concerto a Bologna

Non è stato raggiunto il sold out completo, ma dati la pioggia e il lunedì sera, Sala Cagli era  tutt’altro che deserta, assiepata com’era dai tanti, variegatissimi fans di Giovanni Allevi, in concerto questa sera dopo un’assenza di due anni. Il pubblico comprende ogni fascia di età ma tantissimi sono i presenti al di sotto dei trent’anni, merito di quest’artista controverso da un lato, criticato dagli “accademici” ma oltremodo apprezzato da un ampio seguito, non solo in Italia  ma soprattutto all’estero, magia delle note, le parole vengono da sé. Non a tutti i musicisti, infatti,  la NASA ha  dedicato un asteroide, nello specifico si tratta del #111561Giovanniallevi 2002 Ah3. Scusate se è poco. Il Maestro, dal canto suo,  ha ricambiato con una composizione che porta lo stesso numero, come dire “tu dai una cosa a me, io ne do una a te”. Ma in quest’ottica di  relazione fra le parti, emerge chiaramente, quanto attivo sia lo scambio fra lui e il suo pubblico. Forse il suo mostrarsi con grande naturalezza, lo fa apprezzare proprio per quel suo “essere come gli altri”, anche se non tutti gli altri possono vantare un curriculum pari al suo.

Palcoscenico già pronto dove in mostra, campeggia il pianoforte, luci bassissime, un leggio illuminato che resterà però, vuoto perché Giovanni Allevi non ha bisogno di leggere la musica che lui stesso ha composto.

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Arriva lui: jeans, ginnica ai piedi, una T-shirt nera con una pioggia di cuoricini rossi che gli  ricoprono la spalla destra, a vederlo con quell’aria timida e il look da eterno ragazzo, dal viso incorniciato da quella pioggia di riccioli neri,  non diresti mai che sotto quelle spoglie c’è un compositore che ha già al  suo attivo 13 album; 750.000 copie vendute, Allevi però, non palesa nessun divismo, anzi mostra un understatement che può lasciar perplessi, ma tant’è;  ha l’atteggiamento tipico, di qualcuno che dalla platea sia salito quasi per gioco, sul palcoscenico; invece “per gioco” non è  successo proprio nulla, non a lui comunque, dati: una laurea in Lettere e Filosofia con Lode, due diplomi al Conservatorio conseguiti col massimo dei voti in Pianoforte e in Composizione, insomma ha tutte le carte in regola, per qualificarsi come uno che nella vita ha lavorato sodo. Persona timida, quasi schiva che visibilmente si sforza per intrattenere anche con le parole e non solo con la musica, la siepe di persone radunata lì per lui.

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Dodici i brani in programma, cui lui antepone una breve introduzione, vuoi un aneddoto, un ricordo, un equivoco; narrati con semplicità ma anche un  certo senso dell’umorismo: “Yuzen”, infatti lo deve ai 39° di febbre che l’aveva colpito mentre si trovava in Giappone, il titolo infatti si ispira all’arte di dipingere sulla seta;  segue poi “Amor Sacro”; “Asteroid 111561”, che lui immagina come un asteroide lussureggiante di vegetazione, sul quale invita tutti i presenti per una vacanza. ”Loving you” e “The other side of me” riportano  un aspetto più intimista dell’autore, “The other side of me” è forse il testo strutturalmente più complesso dell’antologia. Riguardo “La stanza dei giochi”, testo dolcemente elegiaco, poiché ripensa alla stanza dei bambini vuota, mentre lui si trova nella sua casa di Milano, per cui   Allevi racconta dei suoi figli, ispiratori del brano stesso, a proposito dei quali dice: “Sì, ho due bimbi, ho capito come si fa, ci ho messo un po.”

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Segue “It doesn’t work”, così intitolato, dall’espressione usata dal tecnico intervenuto a vuoto, per ripristinare l’impianto di riscaldamento in panne, nella sua stanza in albergo, in una New York gelida, dove l’artista si doveva esibire. Riguardo a “Lovers”,  lo anticipa come un  brano ispirato alla passione fisica e a una gioia appena vissuta ma già finita, ma “l’amore” dice Allevi è anche “leggerezza e spensieratezza” come quella espressa in “Come with me”. Precede “Asian eyes”, riferendolo alla disperazione racchiusa nello sguardo di una donna giapponese, di cui lui dice, essere stato  la causa in un’esistenza passata: “In una vita precedente, devo aver fatto soffrire quella donna”. Quando arriva a “My family”, racconta della riunione di famiglia nel suo bilocale milanese, il chiasso, i giochi sfrenati dei figli, la voglia di pace e il suo “andarsene di là”, l’unica alternativa, l’altra sola stanza  (date le dimensioni della casa) dove nel brano l’accenno descrittivo, è dato dal rotolare di una biglia verso un ostacolo, come fa osservare l’autore, ben ravvisabile nel testo.
Il pubblico segue con un silenzio raccolto e intenso insieme, applaude con molto calore e Allevi si indirizza a lui, con un “Che belli che siete!”

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 Chiude con una serie di ringraziamenti all’organizzazione e ai tecnici luci e audio, prima di proporre “Sweetie pie” e “L’Albatros” brani che completano la scaletta ufficiale. “L’Albatros” che si ispira alla celebre poesia di Baudelaire, appare goffo e “impacciato sulla terraferma” poiché dotato di ali immense che gli rendono faticosa la camminata, ma per il musicista l’albatros rappresenta la forma d’amore più difficile, poiché è quella rivolta verso noi stessi. Un saluto rapidissimo e una volata via dal palco, applausi, il ritorno di corsa e la confessione: “Io sono un ansioso, come faccio a fare questo mestiere non lo so!” Ancora applausi, “la mia forza è la mia fragilità”; dal pubblico qualcuno gli grida: “ora la seconda parte, buona la prima!” Inutile dirlo ma Allevi alla gente piace davvero tanto! Lui che continua: “Mi è sembrato di sentire un bis!”. Seguono quindi alcuni “bis”  fra i quali“Back to life”. Qualcuno dal pubblico propone “un tris”.

Un concerto “quasi breve”, ma tutto di un fiato, con un autore che sa molto bene chi è il suo pubblico e sa come estasiarlo, un concerto dove l’affetto è curiosamente ma sinceramente biunivoco, ravvisabile sia in sala, ma anche nei corridoi, visto i commenti entusiastici accalappiati da chi scrive  andando verso l’uscita, dove in tanti si sono radunati in fondo alle scale, ordinatamente in fila ad aspettarlo, per l’autografo o  un saluto.

Non ci era stata garantita nessuna intervista, ma  lo stesso resto in fila e lo attendo per rivolgergli non so ancora bene quale domanda fra le varie pensate. Probabilmente parto con la peggiore, visto che mi dice molto simpaticamente di essere molto stanco questa sera, “la domanda è complessa, in questo momento ho i neuroni annodati tra di loro”, quindi vado con la riserva, più banale, forse, ma almeno ho la certezza di una risposta.

Il titolo “Love”  sottointende anche l’amore per la musica o c’è dell’altro?!

“Dunque, credo che sia qualcosa che va oltre la musica, amore per queste persone, per il loro mondo interiore, cercare un collegamento e un’affinità elettiva con i loro cuori, attraverso la musica”.

Ora so davvero che questo collegamento che lui auspicava, con il cuore pulsante e attento del pubblico, sia stato raggiunto dall’Autore, pienamente.

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Foto Stefano Liberatore
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Daniela Ferro

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