Metalogo sulla dissoluzione morbida dell’identità.
Firenze, 9 luglio 2015. È passato appena un giorno dalla sfilata Maison Martin Margiela al Gran Palais a Parigi, e già i primi resoconti giornalistici parlano di un grande successo per John Galliano, il recente e controverso Art Director del brand controllato da Renzo Rosso.
Minnie, Sophia, Johnny Scorreggia e Teegay, giovani studenti della famosa Accademia dei bei abiti, si ritrovano in un bar del centro per farsi i saluti prima delle vacanze. Inevitabilmente, la conversazione investe i temi che arrivano dalle sfilate di Parigi.
Per favorire la comprensione del lettore, aggiungo alcune essenziali informazioni sui protagonisti.
Minnie sta per diplomarsi in Fashion Designer; Sophia invece si diplomerà in Brand Management. Johnny Scorreggia ( sulla doppia erre del suo nome circolano inenarrabili leggende) e Teegay sono al terzo anno di fashion communications.
Non è privo di interesse la notazione che la loro amicizia non è nata tanto a scuola, come sarebbe logico pensare, bensì in giro per la città, quasi per caso, frequentandone da bohémiennes i pochi locali di tendenza nei quali ascoltare buona musica.
Minnie (subito dopo aver bevuto con un sorso almeno metà dello spritz ordinato): Sophia, hai visto su Youtube l’ultima sfilata di Galliano? Quell’uomo è un genio!
Sophia (sta scuotendo la flûte piena di prosecco come se fosse un Chianti d’annata, affascinata dalla corrente ascensionale di bollicine): Ti riferisci alla collezione Artisanal di Margiela presentata a Parigi? L’ho vista sul sito di MarieClaire. Mi è sembrata una sfilata molto esclusiva e minimalista…
Minnie: E’ vero…considerata l’importanza, c’erano pochi giornalisti e invitati. Nel video si capisce che c’era intorno a loro tanto spazio vuoto, uno spazio povero di decorazioni. Secondo me, giustamente, volevano dare la massima attenzione agli abiti.
Sophia: Secondo me, invece, volevano evitare che i critici della moda trovassero il fashion show troppo in stile Galliano. Invece, una sfilata così povera di effetti teatrali e un po’ freddina avrebbe fatto pensare immediatamente ai valori di Martin Margiela. Così, fin dalla partenza, la prevedibile maggiore esuberanza della creatività di Galliano rispetto al belga, poteva essere attenuata.
Minnie: Chi pensava che il politically correct un po’ ipocrita della moda lo avesse stroncato, è rimasto fregato… Con due sfilate, prima a Londra ieri a Parigi, John è tornato quello di prima.
Johnny Scorreggia ( finita la birra, alza il braccio per attirare l’attenzione della cameriera): Eh sì! Hai proprio ragione. Per ora l’unico rimasto ad essere molto stroncato è Martin Margiela, quello vero… Ma non è colpa di nessuno… Non puoi vendere il tuo brand, lasciare il settore e al tempo stesso sperare di continuare ad essere proposto con lo stesso rigore del Martin Margiela che ha rivoluzionato la moda. Cosa pretendono i suoi fans? Che un eccentrico e narcisista londinese abbia il medesimo feeling con la creatività di un belga malinconico e con deficit di auto-stima? Comunque sono d’accordo con te che il politicamente corretto ci ha rotto le palle. Farsi trovare ubriaco e strafatto ad insultare turisti ebrei evocando il nazismo in uno dei caffè storici di Parigi, non è stato il massimo per Galliano, lo ammetto. Ma la pretesa che i grandi creativi vivano e la pensino esattamente come la gente normale a me sembra un’insulto all’intelligenza altrettanto grave…
Sophia: …Ma cosa state dicendo! Perché non provate a pensare ai danni d’immagine causati al marchio Dior da quel comportamento! Allora, fatemi capire bene: io ti pago uno stipendio di 6 milioni all’anno per un lavoro prestigioso, e tu insulti con i tuoi comportamenti da squilibrato i miei valori…Ma io ti chiedo i danni! Altro che licenziamento… Dobbiamo finirla col considerare i grandi creativi come se fossero degli artisti ai quali tutto è permesso. Sono persone di talento al servizio del brand. Senza le narrazioni orchestrate dai manager, i creativi non sono nulla.
Minnie: Ma vuoi scherzare, vero? In realtà troppo marketing finirà con l’uccidere la moda!
Sophia: E troppa creatività sregolata allontanerà i consumatori facendo implodere un brand!
Johnny Scorreggia: A proposito di Galliano che fa finta di interpretare Margiela, mi volete spiegare perché un brand non può semplicemente morire? Non avremmo così risolto tutti problemi?
Minnie: I valori promossi da Martin Margiela non moriranno mai! Possono passare come un testimone ad altri creativi. Succede regolarmente. E certo non per merito del marketing o del branding!
Sophia: Il tempo delle marche non scorre come quello delle persone. Noi manager sappiamo come resuscitarle o mantenerle in vita. I valori non sono fatti di carne degradabile. I valori sono idee che necessitano di nuove narrazioni pensate per un mercato in evoluzione. Le nuove narrazioni mantengono in vita il brand.
Minnie: Non sono d’accordo. Prima delle narrazioni come le pensi tu, cioè prima delle storytelling, troviamo l’aspetto più importante di tutta la faccenda che è la creazione di una forma secondo uno stile. Imprimere idee nelle materie con cui sono fatti gli abiti richiede talento, tecnica e maestria. Per me la couture è un’arte che può funzionare solo se i creativi godono di autonomia e libertà. La prima e fondamentale narrazione è quella dell’oggetto moda creato da uno stilista. E’ questo l’evento decisivo che permette alla moda di rinnovarsi: un colpo di genio e un abito esemplare!
Sophia: …Oooh! Quasi quasi mi commuovi. E allora dimmi: quanta libertà dovrebbero avere i creativi? Anche la libertà di fare fallire una azienda? I tuoi eventi decisi dal talento contano ben poco, se non si conosce bene il contesto di mercato entro cui si collocano.
Minnie: Ironizza pure quanto ti pare. Ma pensi veramente che uno stilista viva fuori dal mondo? Non ti viene mai il sospetto che un creativo viva il suo tempo e la gente che lo abita in modo molto più profondo di tutte le indagini di mercato dietro alle quali voi markettari nascondete le vostre false certezze? Quelli che tu chiami brand non erano in origine il risultato di progetti stilistici nati dalle intuizioni di grandi creativi? Non mi pare che fossero tanto fuori dal mondo se hanno avuto successo e oggi vi danno un posto di lavoro…
Sophia: … Oh sì! è proprio vero! Si dà il caso però che tutti noi viviamo nel nostro tempo. Non mi risulta proprio che tutti siano creativi. Al contrario di quello che sostieni, io penso che per essere veri creativi occorra anche sentirsi un po’ fuori dal tempo in cui vivono gli altri. Ecco perché noi manager supponiamo che i soggetti afflitti da questo virus, possano allontanarsene troppo e quindi corriamo ai ripari.
Minnie: Allontanarsi da cosa?
Sophia: Dalla realtà!
Minnie: Ma fammi il piacere! Non raccontate in giro che il vostro compito è vendere sogni?
Sophia: Sì certo! Una parte del nostro lavoro è far sognare il consumatore. Ma questa è solo la superficie. Il lavoro più importante, quello che il consumatore non può vedere, coincide con le tecniche che ci consentono di trasformare in una specie di sogno solo ciò che il mercato può sostenere.
Minnie: Suona tutto un po’ troppo falso. Cinico, falso e presuntuoso!
Johnny Scorreggia (dimenandosi un attimo come un epilettico): Aaaaaaaah! Come godo nel vedervi litigare! La romantica creativa e l’apprendista manager. Molto divertente. Ma scusate, non vi viene il sospetto di essere fondamentalmente uguali. In definitiva entrambe volete decidere come cazzo ci dobbiamo vestire. Entrambe godete nell’esercitate questa innocua ma subdola violenza… Tu Minnie nel nome della creatività e tu Sophia in ossequio al business. Io invece vorrei sempre stare con chi sente l’urgenza di ribellarsi, con chi dà respiro all’invenzione spontanea, senza regole precostituite, senza calcoli da mercante. Ecco perché mi piaceva il Margiela del passato con il quale Galliano non c’entra un bel nulla!
Minnie: Se per te ricerca di bellezza e stile sono violenza, mi spiace tanto, ma non abbiamo un linguaggio in comune per capirci.
Sophia: Io dico che entrambi, quando passerete dalle chiacchiere al fare, prima o poi dovrete arrivare al punto, cioè dovrete immaginare a come diffondere e vendere quel qualcosa che chiamate moda, ricerca di stile o istinto ribelle, non mi importa l’origine…insomma, lo dovrete pur vendere, oh no! … Beh! In quel preciso momento arriverà il randello del marketing…
Minnie: … Secondo me, voi estremisti del marketing il randello ve lo date fondamentalmente sulla vostra testa. Ecco perché la moda ufficiale ci lascia spesso tutti insoddisfatti. Io non conosco nessuno che voglia comprare questo o quest’altro marketing. Tutti desiderano comprare abiti belli, utili, di tendenza…
Johnny Scorreggia: Cara Sophia, confermi il miei sospetti sul fascismo inconsapevole del marketing.
Sophia (con la faccia sorpresa): Questa è bella? Cosa c’entra il fascismo? … Ehi! Sta arrivando Teegay! Perché non lo chiediamo a lui …
(Teegay, dopo aver ordinato un caffè, si avvicina al tavolo degli amici e prende posto tra Minnie e Sophia).
Teegay: … Cosa volevate chiedermi?
Sophia: Niente. Chiacchieravamo sulla sfilata couture di Galliano art director da Margiela. Hai visto la sfilata di Parigi? A Mimmie è piaciuta tantissimo. A Minnie piace anche il Margiela storico però non ci trova nulla di male nell’interpretazione di Galliano. Johnny sostiene invece che lo stilista inglese ha stravolto lo stile del belga. E poi, non so come, si sono coalizzati contro di me, ed è venuto fuori che se l’eccentrico inglese si prende gioco del lugubre belga, è tutta colpa del marketing.
Teegay: Non ho visto la sfilata. Ma nel web oggi ci sono molte eloquenti foto degli abiti…Ho letto anche alcuni commenti. Le grandi giornaliste hanno decretato che Galliano è stato bravo. Capisco però che se si discute sulla relazione tra la svolta british del brand e il passato, il discorso cambia. Margiela non ha mai avuto l’ironia e la stravaganza esibizionista di Galliano. A proposito di ciò, avete letto le Affinità Elettive di Goethe?
Johnny Scorreggia: Il titolo mi sembra promettere poco romantiche mattonate alle palle… No grazie! Non fa per me…I romanzi del paleolitico non mi interessano… A me piacciono gli autori splatter…
Sophia: Io non leggo romanzi da un secolo…
Minnie: E chi ha tempo di leggere romanzi…mi piacerebbe però.
Teegay: Goethe, nel romanzo che ho citato, parla dell’amore-passione e sostiene che persone apparentemente coinvolte in una relazione di opposizione alla fine finiscono misteriosamente con l’attirarsi …Cioè, data una combinazione apparentemente stabile tra due elementi, ne esisterebbero altri elementi in grado di disgregarla… Insomma, la legge dell’affinità elettiva è una metafora chimica utilizzata da Goethe per narrare la dissoluzione dell’amore apparentemente solido tra i due primi protagonisti del romanzo che via via scoprono di essere affini a persone che li coinvolgeranno in un destino tragico. Avete capito qualcosa?
Sophia: Più o meno!
Minnie: Sembra una faccenda intrigante! Come hai detto che si intitola?
Johnny Scorreggia: Cazzo c’entra con il nostro discorso?
Minnie: Aspettate, Io forse ho capito cosa vuoi dire: Galliano e Margiela sono apparentemente gli opposti che si attirano…Cioè, tu vuoi dire che pur essendo in apparenza così diversi alla fine potremmo scoprire che una qualche affinità elettiva li unisce. Non sono mica convinta però che nella realtà i due si amassero. Lo stilista che non rilasciava interviste, non si faceva fotografare, non usciva mai dopo la sfilata a salutare il pubblico, non poteva certo simpatizzare per il collega inglese, che probabilmente era l’essere più vanitoso, esibizionista e narcisista che si sia mai visto nella moda.
Teegay: Tutto vero. Ma ti sei chiesta chi è il vero innamorato in tutta questa faccenda?
Sophia: Di cosa stai parlando ora? Del romanzo o di Galliano chiamato a correggere i difetti di Margiela?
Teegay: Ora, sto pensando al perché della scelta di Galliano per la Maison Margiela, immaginando che non sia una scelta razionale al 100% ma sia determinata anche dall’amore.
Sophia: Non sono sicura di aver capito. Stai suggerendo che è Il consumatore… cioè che è il consumatore l’innamorato!
Minnie ( con una smorfia di sofferenza ): Per piacere Sophia, risparmiaci questo linguaggio da bottegai evoluti. Ti pare che una donna di classe che spende un capitale per un abito couture sia una consumatrice? Chiamala piuttosto cliente fortunata, oppure pazza per la moda…
Johnny Scorreggia: Io chiamerei queste persone che spendono 600 000 euro per una pelliccia di Fendi, esseri folli e immorali.
Minnie: Uffa! Che palle! Sempre il money di mezzo! La couture è ricerca, cultura, perfezione tecnica…Cosa importa quanto costa. Chi ha i soldi comprerà gli abiti che gli piacciono. Siamo in un mondo libero. Gli altri compreranno abiti meno costosi. Ma il fatto che la couture sia un laboratorio di avanguardia dello stile, produce una migrazione dei suoi valori estetici in altre classi di prodotto… Alla fine, si può dire che tutti possano godere dei benefici della couture… Tutti quelli, ovviamente, che ne capiscono il linguaggio…
Sophia: Ah! Finalmente ci arrivi. Se c’è chi compra, c’è chi consuma. Se c’è chi consuma c’è un consumatore… Il linguaggio della moda che tutti capiscono al volo si chiama status, prestigio, distinzione. Chi acquista Alta Moda, acquista il privilegio di attribuirsi questi valori… Perché non dovremmo considerarli una classe di consumatori importanti e quindi studiarli con le tecniche del marketing? Fare questo ci permette di prenderne le misure e di organizzare meglio la produzione e la distribuzione di nuovi prodotti…
Johnny Scorreggia: …Tutte balle! Lo sanno tutti che a voi del marketing interessa solo manipolare la gente. Fate un grande casino alle sfilate, con abiti che nessuna persona normale mai si sognerebbe di comprare, e questo vi serve per rifilargli un profumo o le seconde linee…
Sophia: … Ma se la gente ama le favole cosa dobbiamo fare? Sbattergli in faccia sempre e solo la realtà? Tu sei una bruttona, povera, sfigata e non avrai mai accesso al Paradiso della Moda, dovremmo mandare messaggi di questo tipo?
Johnny Scorreggia: Guarda che è proprio questo il messaggio che indirettamente suggerite! Cosa credi che possano significare modelle inavvicinabili, sempre più giovani, troppo magre per un corpo maturo? Voi rendete le donne ansiose, insicure, fragili e poi ne approfittate…
Sophia: …Sei diventato forse un neo femminista? Questi argomenti di solito li usano loro. Si agitano tanto e poche donne le seguono. Ci sarà una ragione? Forse le consumatrici considerano prevalente la possibilità di continuare a sognare. A parte casi clinici, sono molto poche le donne che vivono lo spettacolo di bellissime modelle vestite con abiti favolosi, come qualcosa di ansiogeno o frustrante.
Minnie: …Scusate, non vi sfiora il sospetto che non potete continuare ad osservare la moda solo tenendo conto di ciò che secondo voi frulla nella mente della gente! È così difficile capire che la moda significa soprattutto creare un abito particolare? Se rispettaste di più la moda in quanto autonomo oggetto estetico e di stile, non verrebbero liquidate in un colpo solo tutte le vostre paturnie? … E poi, volete far parlare anche Teegay?
Johnny Scorreggia: …Così impara a citare libri del cazzo! Ah!ah!ah!
Minnie: …. Allora Teegay chi è l’innamorato? Era questa la domanda che avevi fatto grazie all’analogia tra il nostro caso e il romanzo di Goethe…
Teegay: …Sì!, e la risposta non era il consumatore…
Sophia: …E allora chi?
Teegay: …. Provate a mettere Renzo Rosso nella posizione dell’innamorato. Non è forse lui che ha voluto fortemente un brand dai contenuti molto distanti dal suo mondo? Perché acquistare Maison Martin Margiela? Solo per togliersi di dosso l’immagine di produttore di jeans che se la tirano?
Minnie: Ricordo alcune sue interviste e effettivamente Renzo Rosso sembrava rispettare tantissimo quello che aveva fatto Martin Margiela…
Sophia: …Secondo me aveva valutato la sproporzione tra il grande prestigio del brand e i suoi deludenti fatturati. Se invece di perseguire le politiche naïf di conduzione del marchio imposte da Martin Margiela, si fossero introdotte strategie marketing a misura del brand, allora la crescita sarebbe stata notevole…Per me il ragionamento che ha fatto Renzo Rosso potrebbe essere questo…
Minnie (con un tono di voce alterato) : … Ma daiiii, ma quali politiche naïf ? Riconoscere come ha fatto Margiela che la moda è il lavoro di un team lo trovi così banale? Il suo rifiuto di recitare la parte dello stilista star system e stabilire che la creazione della moda è un lavoro collettivo lo definisci naïf? Rifiutarsi di intossicare la moda drogandola con comunicazione fasulla e marketing, per te evidentemente sono comportamenti incomprensibili… Ma se Renzo Rosso lo ha comprato significa che il suo brand aveva un grande valore, anche se Margiela se ne è sempre fregato di quello che pensavano i manager/mercanti.
Sophia (dopo un ampio respiro): Mi spiace per te ma il Brand senza storytelling costantemente ancorate al mercato, non funziona! Margiela, quello vero, finiva per raccontare sempre la stessa storia. Dopo un po’ ha stancato tutti…
Johnny Scorreggia:…Secondo me, Renzo Rosso ha prima tentato di intervenire con il suo metodo be stupid soft, una specie di marketing alla rovescia che prevedeva, al posto di uno scontato avvicendamento, il mantenimento e l’autonomia creativa del team Maison Martin Margiela, al quale si aggiungeva l’esperienza nella commercializzazione del gruppo Only The Brave. Ma evidentemente non ha funzionato. E quindi è scattato il piano be stupid hard cioè Galliano.
Minnie: Il marketing alla rovescia e il metodo be stupid mi piacciono. Non so con precisione cosa significhino ma credo che si basino molto sull’istinto e sull’ascolto di ciò che ci dice il cuore anche se si va contro le regole. È di questo che ha bisogno la moda.
Sophia: A me sembrano delle gran cagate. Il marketing è scienza, è volontà di misura e di calcolo applicato ad oggetti complessi come la moda, che abbiamo imparato a tenere sotto controllo…
Minnie (sembra veramente incazzata):…SMETTILA DI FARE L’APPRENDISTA TECNOCRATE DI MERDA!
Johnny Scorreggia:…Ah!ah!ah! Apprendista tecnocrate di merda…Bellissimo! Aaaaaaaah…come godo! Siii fatevi del male! Disintegratevi a vicenda…Viva le libere tribù dello stile!
Sophia:…Vaffanculo Minnie! Mi spieghi che cazzo serve il be stupid se le consumatrici non si ritrovano più nell’idea di donna decostruita del vecchio Margiela, tenuta in vita dal suo misterioso team!
Minnie: Sophia, se usi ancora la parola consumatrici ti giuro che mi alzo e me ne vado!
Sophia: Va bene, va bene non la uso più. Ma vorrei farti capire che l’arrivo di Galliano significa semplicemente che la Donna di Margiela non c’è più. Oggi se il brand vuole crescere le collezioni devono avere il sex appeal che Margiela ha sempre rifiutato.
Minnie: Margiela è stato un eroe anche perché ha dichiarato guerra all’ossessione sexy dominante nella moda! Ma hai idea dell’importanza per donne di sentirsi libere dalla schiavitù del sexy! Non sono mica convinta che gli abiti di Galliano della sfilata siano così sexy…io nel tubino fatto con rafia del Madagascar non ci trovo nulla di provocante, e nemmeno nell’abito da sposa fatto con un piumino dai bordi di plastica! Vogliamo parlare degli abiti che rimandano al Giappone…E il trucco che esibivano le modelle?
Johnny Scorreggia: …Come no! Ma secondo te le geishe potevano mai ispirare Margiela? ma dove hai visto questo film? Quando Margiela citava qualcosa non era mai lezioso o banale. Eh no! Cara Minnie ti sbagli! Abbiamo capito che Galliano ti è piaciuto, ma il punto è questo: cazzo c’entra con Margiela! E poi l’idea di Sophie non mi sembra da buttare. Il mondo è in merda e le donne vogliono essere zexy!zexy!zexy! È molto fashion questa reazione! Avanti poveracce di tutto il mondo, non tutto è perduto…beccatevi il zexy!
Teegay: Ehm! Sophia, Minnie, scusate, posso farvi una domanda? Potremmo considerare be stupid come un modo di fare marketing controcorrente?
Sophia: …Per me è così! Nessuno può negare che Renzo Rosso non sia anche un grande imprenditore e un astuto uomo d’affari…
Minnie: … È ovvio! Ma è un marketing diverso…
Teegay: …Allora nella realtà non esiste “il marketing” bensì esistono diverse pratiche organizzative e strategiche che, tanto per intenderci, possiamo per convenzione chiamare in quel modo.
Minnie: E allora? Non capisco dove vuoi arrivare…
Sophia: … Nemmeno io!
Teegay: È molto semplice da capire. Esiste certo un marketing formale, che viene usato soprattutto per la didattica. Ma nella realtà ci sono solo delle pratiche sottoposte al costante logorio dovuto ai problemi che si incontrano e all’efficienza che ogni attività deve raggiungere.
Minnie: Infatti io detesto il marketing formale perché è il contrario dell’efficienza creativa.
Sophia: Ma non può esistere un marketing senza regole!…
Teegay: Immaginiamo che andare contro le regole si dimostri l’azione più efficace, tu a questo punto che faresti?
Sophia: Che domanda! Vado contro le regole…
Minnie: Bella risposta ipocrita!
Sophia: Nessuna ipocrisia! Solo sano realismo.
Johnny Scorreggia: Più vi ascolto e più confermate i miei sospetti. Il vostro dissidio è solo una questione legata al potere. Siete entrambe ossessionate dal chi comanda? Ma in questo modo togliete alla moda spontaneità e lo spirito rivoluzionario che le permette di rimanere in vita.
Minnie: Guarda che ti sbagli, Io sono contro il potere del marketing…
Sophia: …Se il marketing ha potere è solo perché fa funzionare meglio il business…
Teegay:… Che peccato! Eravamo arrivati a trovare un punto di contatto tra libertà creativa e pratiche di marketing ma poi l’uscita di Johnny sul potere ha confuso di nuovo tutto…
Sophia: …Perché? Hai dei dubbi sul fatto che Renzo Rosso abbia il potere di imporre le sue visioni sul marchio Margiela?…
Minnie: … Ma se tutti hanno trovato la collezione di Galliano giustissima, non potremmo pensare che sia questo effetto ad essere importante e non il discorso sul potere?
Johnny Scorreggia: Ma chi sono questi tutti? Giornaliste pagate dai loro editori per sostenere il business. Dal punto di vista critico, per me valgono zero! la sfilata era praticamente solo per loro. Sarà stato un caso? Non può mica cavarsela così? Renzo Rosso ha violentato l’identità del brand coerentemente costruita da Martin Margiela. Poi, potrebbe essere vero che le donne vogliono il zexy, ma questo non cambia l’oltraggio all’identità…
Minnie:…L’identità però, è un’altra di quelle parole dal significato poco chiaro. Per me Margiela ha sempre significato soprattutto avanguardia. Dopo la sua uscita dal circuito della moda, forse i suoi abiti hanno perso l’aura rivoluzionaria che avevano avuto. Il suo vecchio team senza la sua guida ha perso terreno. Con l’interpretazione di Galliano è tornato ad essere un brand d’avanguardia. Dunque io non vedo nessun oltraggio. Vedo piuttosto un passaggio di testimone che ha come obiettivo la manutenzione dei contenuti per mantenere la promessa di avanguardia della Maison Martin Margiela.
Sophia: La manutenzione dei contenuti mi piace! Però fammi capire. Secondo te, quindi, l’identità non è data solo dalla forma degli abiti ma anche dai contenuti cioè dal senso che trasmettono…
Minnie: E perché no! esiste certamente una identità che ha a che fare con i contorni che hanno le cose cioè gli abiti. Ma è una identità debole. I valori o i contenuti specificano meglio l’identità…o lo stile.
Sophia: …Quindi potremmo dire che per mantenere l’identità cioè i contenuti, a volte dobbiamo rivoluzionare i contorni delle cose…
Minnie: …Credo che vada proprio così.
Johnny Scorreggia: Ehi! Cosa sta succedendo? Adesso fate le carine? Minnie, se con dei trucchi si confondono i contorni alle cose alla fine di tutto rimane solo il caos…
Minnie: …Non sempre. Tu dimentichi che le identità della moda devono necessariamente cambiare i contorni. L’unico modo per confermare una identità, mentre sta mutando i contorni, è la coerenza sui valori.
Johnny Scorreggia: Io penso invece che se cambiano i contorni, l’identità di partenza si dissolva…Margiela non c’è più. Ora abbiamo un Galliela cioè qualcosa che non è né l’uno né l’altro. Che senso ha?
Teegay: Johnny, forse l’identità non è una cosa come tutte le altre. Forse è una cosa un pò speciale. Forse non ha gli stessi contorni che per esempio hanno gli abiti quando li vediamo come cose. Forse i contorni delle identità possono essere ridisegnabili, sfumati e mutare nel tempo. Ecco perché un buon lavoro sui contenuti di una identità può permettere una sorta di manutenzione dei suoi contorni…
Johnny Scorreggia: …O il loro definitivo dissolvimento!
Sophia: Comunque la vediate, ritornate sul mio terreno. Un atto creativo va ancorato a un sistema di valori che lo rendono adeguato o inadeguato, conveniente oppure sconveniente, efficace o inefficace. E la misura dei valori di un brand può ben essere definita l’essenza del marketing.
Minnie: Sì, però i valori di cui parliamo non si misurano come se fossero solo numeri, Sophia! Ci vuole un po’ più di cuore e meno calcolo…
Teegay:…Mai d’accordo voi due?
Minnie (sorridendo):…Mai!
Sophia (sorridendo): …Sempre in guerra!
Note:
“Un Metalogo è una conversazione su un argomento problematico. Questa conversazione dovrebbe essere tale da rendere rilevanti non solo gli intenti dei partecipanti, ma la struttura stessa dell’intero dibattito”. Queste parole di Gregory Bateson, contenute nelle pagine iniziali del suo famoso libro “Verso una ecologia della mente” (Adelphi) possono aiutarvi a capire il senso della mia ricostruzione della forma discorsiva di uno dei possibili dialoghi informali tra alcuni giovani studenti che spesso, su altri temi ovviamente, ho avuto il piacere di ascoltare. In breve, il Metalogo che avete letto è certo una fiction; ma la ricostruzione della discorsività ha l’ambizione di restituire al lettore una rappresentazione verosimile degli effetti di testualità emergenti in una conversazione tra giovani appassionati dalla moda.
L’argomento problematico che il mio metalogo mette a fuoco, è la decisione di Renzo Rosso di scegliere John Galliano come art director della Maison Martin Margiela. Annunciata verso la fine del 2014, destò subito tra gli addetti ai lavori molte perplessità e sfumate adesioni. Dopo la prima sfilata a Londra, gran parte dei critici cominciò a far trasparire positivi apprezzamenti per il lavoro di Galliano. La sfilata di Parigi ha rappresentato dunque una conferma del fatto che i più autorevoli giornalisti hanno sostanzialmente promosso la soluzione strategica voluta da Renzo Rosso per il rilancio del brand.
Il principale tema conversazionale, nella mia ricostruzione, subisce numerose deviazioni o fughe che spezzano la progressione lineare dei dialoghi. Non si tratta di un banale espediente letterario per complicarvi la lettura. Io credo che sia invece una verosimile rappresentazione di ciò che ogni conversazione mette in gioco. Provate ad ascoltare in silenzio alcune persone che conversano. Sono convinto che dopo pochissimo anche voi avrete la sconcertante sensazione che continuino a conversare proprio perché si fraintendono.
La deriva dei discorsi, tuttavia, che per certi versi vedo simile alle fughe musicali, ovvero a forme musicali polifoniche basate sul contrappunto tematico, non riesce a nascondere completamente qualcosa che si presenta come un livello agonistico sottostante la conversazione. Questa conflittualità funziona come una struttura ricorsiva alla quale i protagonisti regolarmente ritornano. Nel Metalogo che presento, la semantica conflittuale viene evidenziata dal contrasto tra le ragioni della creatività e la presunta razionalità del marketing. Si tratta di una guerra spesso silenziosa che i giovani studenti della moda percepiscono benissimo. Il mio Metalogo, ispirato da conversazioni reali nelle quali mi trovavo nella posizione di ospite inatteso, cerca di seguire la pulsione del linguaggio nelle contorsioni linguistiche e concettuali che l’avvicinano e l’allontanano da quel punto di incandescenza oltre il quale le parole perdono il loro potere di mediazione. Vorrei far notare che nella mia ricostruzione quel punto non viene mai oltrepassato. È vero che il confronto dialogico è destinato a rimanere aperto, ma al tempo stesso, il sorriso con il quale le protagoniste del Metalogo si congedano da noi, ci invita a non prendere troppo sul serio il conflitto.
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mi interessa il dissidio tra Minnie e Sophia. Non potremmo postulare che esiste una fase 1 della creatività nella quale un creativo deve essere totalmente libero e una fase 2 nella quale chi opera nel mercato suggerisce correzioni ad hoc? Di conseguenza si arriverebbe ad una fase 3 nella quale il dissidio sarebbe funzionale ad un confronto serrato sulle forme da mettere in produzione. Chi ha argomenti migliori a questo punto vince. Vista in questa prospettiva la guerra tra creativi e manager potrebbe risultare molto positiva.
Il problema non è il dissidio, ma chi comanda la fase 3. Se comandano gli algoritmi che si presume riflettano la realtà del mercato non potrà esserci un confronto alla pari: vincerà sempre il punto di vista del manager. Ma il mercato può essere ridotto ad un algoritmo?
Fiorucci sosteneva che ogni atto creativo nella moda è sempre una ricombinazione di elementi che già esistono. Penso volesse dire che nessuno crea dal nulla e che quindi tutto dipende da una nuova visione che si impone a forme di per sè ben conosciute, che per qualche dettaglio o sovrapposizione, finiscono col significare altro. Se è così non vedo troppi ostacoli per inserire nel processo creativo, calcoli e prudenze, che discendono da considerazioni sociologiche ed economiche applicate al mercato particolare di una azienda.
In altre parole, il presunto contrasto tra creativi e manager ha più a che fare con idiosincrasie personali tra individui, piuttosto che da reali attriti tra discipline.
In quanto antopologa non ho potuto fare a meno di leggere il dialogo come un efficace affresco delle attuali tematiche sull’antropopoiesi (Remotti), ossia quelle pratiche che nella società attuale portano l’individuo a costruire e a modificare la propria identità corporea in modo relazionale. Lo sfumare dell’identità provocatorio di un brand solleva inevitabilmente diverse questioni: la provocazione è reale o dettata da leggi di mercato? Insomma la libertà di creazione è costruzione o spontaneità? Purtroppo moda, arte e vita spesso non danno risposta a queste domande, lasciandoci solo con un beffardo sorriso.
Per me la spontaneità oggi è solo un mito. Almeno a livello di stilisti come Galliano. Quando si lavora per brand importanti è normale dover accettare delle indicazioni da altri colleghi di pari grado. Non dico che questo sia bello, dico solo che questa è la realtà. Però io sono d’accordo con Minnie quando sostiene che troppo marketing uccide la moda. I consumatori oggi sanno che i prezzi altissimi degli abiti di prima fascia sono dopati dal marketing. Ecco perché, anche chi se li potrebbe permettere, li compra alle svendite o negli outlet. Potremo avere in futuro un ritorno alla spontaneità? Io spero di sì, anche se non saprei cosa dovrebbe succedere.
Se io fossi una imprenditrice della moda considerei perfetta la sintesi tra Minnie e Sophia. La creatività senza cervello è assurda quanto l’organizzazione senza cuore.
Si investono troppo soldi nel marketing per potersi permettere di lasciar morire un brand. Mi piacciono le idee di Johnny Scorreggia ma sono inattuabili. Le tribù dello stile non sono fuori dal sistema moda. Ne sono diventate uno dei centri. Al tempo di internet parlare di spontaneità degli stili è una cagata pazzesca. Tutto si contamina con tutto. Volete purezza e autenticità ? Buttate la bomba o andate nei territori controllati dal fondamentalismo religioso. La moda è una patologia degli oggetti che si riversa sui soggetti che la vivono. La sua essenza virale impedisce ogni illusione di spontaneità. Siamo contaminati e felici. Fan culo l’autenticità.
L’avventura creativa di Margiela è irripetibile. Un unicum. In questi casi bisognerebbe ritirare il brand dal mercato. Oppure replicare esattamente le sue creazioni per farle circolare così come erano. La vera creatività non invecchia mai.
Mi piace Johnny Scorreggia. Lo trovo inattuale e per questo adeguato alle chiacchiere sulla moda altrimenti confinate in deludenti banalità.
Johnny Scorreggia è un provocatore. Il suo ruolo è di guastare una conversazione. Molto più comune di quanto immaginiamo. Ma se guasta un dialogo credo lo faccia a fino di bene cioè per far emergere comunque un approccio critico.
In effetti mi sono chiesta cosa ci facesse un nome così antimoda in un art dedicato alla moda. Di certo è un personaggio straniante.
Johnny Scorreggia è un mito. Mi piacerebbe averlo come compagno di classe.
Il dissidio tra creativi e manager fa parte della via. Mi permetto di far notare che il famoso Made in Italy è stato creato da una generazione di stilisti che si sono presi le proprie responsabilità e hanno giocato le proprie carte senza troppe paturnie marketing.
Per essere creativi bisogna essere un po’ stupidi. E’ questa l’essenza del metodo be stupid del sig. Rosso? Qualcosa non torna: non si crea una realtà come quella della Disel con la stupidità!
Per me Renzo Rosso voleva prendere per il culo tutti. Tanto per cominciare be stupid è stato un incredibile slogan pubblicitario. E poi se si legge il libro che ha scritto si capisce che il senso di stupido è di osare fare quello che le persone cosiddette piene di senno hanno paura di mettere in atto. Renzo Rosso ha voluto difendere i visionari, ciò quelli che non vedono solo le cose come sono ma riescono ad immaginarle come potrebbero essere se osservate da una angolazione diversa. Senza paura di stupirsi e di stupire.
Ho apprezzato enormemente la forma dialogica, leggibile e scorrevole. Il metalogo è diretto, efficace e permette al lettore di immedesimarsi e/o rivedersi all’interno del contesto.
Ridurrei ancora il numero dei partecipanti ad un massimo di tre per non rischiare di confondere le idee (all’inizio sono dovuta tornare su a rileggere le descrizioni dei personaggi per ricondurle al soggetto corretto).
Per quanto non più la forma bensì il contenuto credo che la moda debba essere il giusto connubio tra la visione di Minnie e quella di Sofia.
Non esistono grandi guadagni per collezioni che non rispondono ai bisogni della società e allo stesso tempo non può esistere un brand rispettabile che non abbia alle spalle un grande creativo.
Vista la lunghezza dell’articolo forse ci sarebbe stata bene una descrizione fisica dei protagonisti. Per esempio Minnie me la sono immaginata molto magra e vestita come una barbi. Sophia come la tipica studentessa in carriera, perfettina in tutto. Teegay potrebbe essere il tipico omosessuale per bene, un po’ in sovrappeso, vestito in modo pulito, ordinario, tale da invecchiarlo un po’.
Johnny Scorreggia invece per me è un mistero. Potrebbe essere un super tatuato con qualche piercing grossolano. Potrebbe avere anche un fisico sgraziato, poco conforme ai canoni fisici dei gommosi della moda.
Johnny Scorreggia è Pulp molto Pulp. Lo vedo vestito come John Travolta nel film di Tarantino Pulp Fiction.
Sì, Johnny Scorreggia ha una conversazione Pulp. Ma il suo look io lo vedo più street .
Bisogna distinguere i contesti. I creativi dell’alta moda hanno bisogno del massimo di libertà. Il pret a porter deve guardare il mercato. Nel metàlogo questa distinzione non appare.
Minnie e Sophia sono due facce della stessa medaglia. Ecco perché succede spesso di ritrovarle nella stessa persona. Per esempio Armani è un grande creativo ma anche un imprenditore che non sbaglia un colpo.
Spesso, per fortuna e purtroppo, si scrive per sè stessi. Premesso che vengo da tutt’altro ambito ma le parole in qualsiasi contesto possono sempre creare frasi e fornire pertugi dai quali entrare e riflettere, evito di deviare dall’esprimere uno sfogo 2.0. Il metalogo sopra non credo avesse funzione specifica, se non ad usum di quanto riportato in calce. Cerca di riordinare un pool di idee che si sono formate prontamente a getto. Il problema è dato dal titolo: identità di marca. Si volesse tentare l’approccio storicistico, il percorso di Margiela mi è sembrato sin dal collettivo identitario, proponendo delle forme tipiche che trovano rimescolii costanti nella contemporaneità (anche modernità, mi riallaccio forse ad un’impressione che ha fornito l’astrattismo). Qui rimane il problema della comunicazione e cioè quanto pesa in un gruppo di persone nell’ambito della moda, il proprio compito. Quindi pubblicizzare, progredire, fornire uno stile, vendere e non di meno, concetto liquido, esprimere e trasmettere. Da profani, è giusto riconoscere e non confinare un’espressione; per tanto, anche un brand sa modificarsi, ma la vera sfida è che mantenga un simbolo, o una costante che ne determini uno stile, che poi verrà pure aggettivato o commentato. Ne risulta che il problema contingente è pure mantenersi sul mercato senza perdere la faccia, per ridurla ai minimi termini. Quindi le scelte fatte in argomento del metalogo su M.M. e G., con testa Rosso le trovo abbastanza coerenti e il marchio in sè vuole in qualche modo continuare ad offrirsi in maniera sfaccettata, a più platee. Infine la serie di argomenti sviluppati vuole anche far emergere non solo il dissidio di diverse posizioni, ma anche delle brutte inquadrature che nel bene o nel male viziano arte, moda, marketing e semeiotica.
Cara R scrivi il modo divinamente complicato. Mi piace la tua idea che per rimanere sul mercato senza perdere la faccia sia oggi necessario ridurla ai minimi termini. Non sono sicura di averti capito perfettamente, ma la trovo una idea originale.
Concordo, R ha idee originali che protegge molto bene con una scrittura criptica.
Dopo aver letto il metalogo mi è nato un pensiero; forse è la diversa formazione che crea incomunicabilità tra Minnie e Sophia. Cioè il problema è creato dalla scuola.
È’ normale le scuole dei creativi sono gestite da docenti che si basano sulle loro idee e su ciò che per loro è esteticamente rilevante. I marketing è scienza e quindi modelli da seguire. I primi hanno dei guru che impongono la loro visione i secondi dei tecnocrati.che hanno pretese di oggettività.
Normale che noi finiamo col risentirne. Io conosco tate Minnie e Sophie. Il metalogo sembra una favola ma è preciso.
Il mio intervento esula dal ragionamento sulla moda, ma si amplia a tutti i settori: può essere applicato al mondo dell’automotive, del food o a quello delle fiere.
Partendo dal concetto “contrasto tra le ragioni della creatività e la presunta razionalità del marketing” vorrei evidenziare quando sinergici siano i due mondi senza che l’uno sovrasti l’altro.
Infatti un bravo creativo è colui che conosce perfettamente le basi del marketing, che sa ciò che il consumatore (clienti fortunati o esseri folli o immorali, chiamateli come volete) vuole. E lo sa raccontare in un modo così originale a cui nessun altro ha mai pensato.
Dall’altra parte il marketing manager è una persona che sa cosa sia una swot Analysis o sappia effettuare un audit di marketing. Ma sa che sono in molti a saperlo. E senza una capacità creativa aggiuntiva si è solamente “uno fra i tanti”.
È questo che il mondo di oggi, in cui la mediaticità ha un ruolo fondamentale, non capisce. Ovvero che i paletti dati da “figure lavorative fisse” oggi non esistono più. Non esiste – o secondo me non dovrebbe esistere – una suddivisione netta. Il marketing non può esserci senza creatività e viceversa. L’uomo (o la donna marketing) non può non conoscere certe tecniche e non può permettersi di non essere creativo per poter dialogare con chi disegna nuovi metodi di comunicazione raccontando il marchio o l’idea in modo nuovo.
Se ci pensate, quanti creativo tra di voi ci sono? Abbiamo tutti idee uniche e meravigliose. Ma quante sono conosciute al di fuori del nostro ufficio di periferia? E quanti laureati in marketing, al momento di proporre un progetto non hanno presentato idee già trite e ritrite? E la creatività dove l’hanno lasciata?
C’è bisogno di persone che sappiano dialogare tra di loro in modo consapevole. Non c’è necessità di un comandate o di un comandato.
La società ha bisogno di idee nuove, capacità di capirle e svilupparle, proporle al mercato e saperle raccontare.
La creatività é un mito. Io non credo che abbiamo bisogno di tanta creatività. É una invenzione del marketing. Quindi il metalogo parte da un conflitto apparente. Sono i manager i più accaniti sostenitori della creatività. I creativi, a parte gli artisti, usano il meno possibile questa parola.
Difficile darti torto. Per l’industria l’appello alla creatività comincia a farsi insistente fin dagli anni cinquanta come giustificazione ante quem del “prossimo prodotto” (obsolescenza simbolica programmata).
Non bisogna dimenticare però altre significazioni. Per esempio la couture moderna nasce e si sviluppa grazie all’uso tattico e strategico della parola creatività. Non è certo per caso se la prima aggregazione tra grandi sarti (Chambre Syndacal de la Mode) utilizzerà il termine créateur de mode per i propri inscritti.
Io credevo che Couture significasse automaticamente creatività. Dire che Margiela e Galliano sono due Couturier é come dire che sono due creativi. O no!
Le uniche terapie veramente efficaci contro le infermità emozionali sono la creatività e la bellezza.
Ritengo assolutamente indiscutibile che nella creazione di un abito siano indispensabili entrambi gli elementi e dunque vorrei concentrare il discorso più su questi due elementi che sulla scelta di Renzo Rosso o sulle leggi di marketing argomento poi, su cui sono totalmente ignorante.
La lettura dell’articolo mi ha subito portato in mente Cocó Chanel e Yves Saint Laurant.
Cocó se avesse dato ascolto alla critica dell’epoca consistente nelle accese chiacchiere delle signore della Parigi bene avrebbe fatto cappelli tutta la vita e noi indosseremmo ancora corsetti strettissimi e gonne eccessivamente ingombranti ma grazie alla sua caparbietà,ha creato assoluti capolavori;unici,dirompenti e assolutamente sconcertanti espressione diretta della sua personalità.
Saint Laurant dal canto suo, eletto erede del sommo maestro in persona (Dior) é stato cacciato dalla maison alla morte di Dior perché il suo nero e il suo stile minimal e geometrico non potevano conciliarsi (secondo le leggi di marketing) con i fiori di Christian. Oggi il lavoro di Saint Laurant é conosciuto e riconosciuto in tutto il mondo.
Quello che qualifica la moda come alta moda é l’arte, intesa come creazione di qualcosa di unico espressione diretta dell’artista che va oltre la critica( so che questa ultima frase può ricordare Rilke) e che viene riconosciuta e apprezzata dagli amanti del bello, non dagli amanti dei marchi, ma dagli amanti del bello, e adesso spudorate te ricorderò Wilde, l’eletto é colui che vede nelle cose belle solo bellezza. Il piacere penso sia una cosa estremamente relativa ma la bellezza é indiscutibilmente reale, immediata, oggettiva.
Il connubio Galliano-Margiela potrebbe funzionare, le novità spaventano tutti, ma ciò non toglie che dall’esperienza di entrambi possa nascere qualcosa di grandioso, finché Galliano rimane Galliano e rispetta il lavoro le intuizioni e la tradizione di Margiela, nel pieno rispetto del lavoro di entrambi gli artisti sarà qualcosa che funzionerà.( lo dico, ricordando la mia assoluta ignoranza nelle leggi di marketing e di consumo)
Infine vorrei aggiungere una considerazione finale: tutti conoscono Mozart, Verdi e Vivaldi( questo fa di tutti esperti nella musica classica per la moda corrente)
Ma pochi conoscono il piacere di Bela Bartok.
È vero, se Chanel avesse dato retta alla mentalità commerciale del periodo non avremmo avuto le sue innovazioni moderniste. Concordo con Karenza. Ma non ho capito cosa volesse dire con Bela Bartok!
Cara Virginia, concediti il piacere immenso di ascoltarlo, consiglio musiche rumene o for children, dopo di che ne riparliamo, capirai che il paragone é azzeccato…
Cara Karenza, il problema è che Galliano per meritarsi lo stipendio non può rispettare quello che ha fatto Margiela. Deve per forza deviare dal suo percorso di stile. Ecco perché ci si può interrogare su questa scelta, legittima per carità, ma anche rischiosa.
Nel postmoderno porsi probl d’identità è ridicolo. Se siamo diventati liquidi noi figuriamoci i brand. Se possiamo fare surfing tra un ruolo e l’altro,tra un valore e il suo contrario, allora perché sorprendersi per l’incoerenza del marketing? Galliano per Margiela funziona benissimo in un mondo dove l’importante è sorprendere,scioccare.
Per me Galliano per Margiela è come un furto d’identità. Andrebbe semplicemente proibito. È come se io cedessi il mio nome ad un’altro. È una aberrazione del capitalismo senza qualità, dal lusso fasullo e dalla creatività sterile.
Non so se avete visto le immagini della sfilata MM di Parigi. Per me non ci sono dubbi: Galliano ormai si è impossessato del brand
Prima di iniziare a commentare questo metalogo vorrei subito chiarire, come è stato giustamente fatto inizialmente presentando i protagonisti, la mia posizione che sarà quella che mi appartiene: da comunicatrice.
Innanzi tutto sostengo che gli argomenti qui affrontati siano principalmente due: uno, prettamente legato alla figura dell’art director (in questo caso Martin Margiela e poi John Galliano), e l’altro legato al continuo contrasto fra marketing e creatività.
Analizzando il primo punto, credo che la scelta di un grande imprenditore e uomo d’affari quale è Renzo Rosso, è stata sicuramente ponderata ma al tempo stesso coraggiosa, perché si deve guardare proprio come una controtendenza, probabilmente un ritorno, un bilanciamento del business della moda verso il suo punto più romantico ovvero la creatività. La collezione Artisanal è tutto quel che resta del giorno della storia di John Galliano, e per questo penso che consentire ad un artista (perché amo considerarlo in questi termini), quale è Galliano di essere l’art director di una grande fetta di storia della moda quale è Maison Martin Margiela, è una scommessa bella grossa. Innanzi tutto i mondi da cui provengono Galliano e Margiela sono diametralmente l’uno opposto all’altro, il primo eccentrico e sopra le righe come pochi art director, amante di quella che è l’arte del bricoleur (ossia quello di reintrepretare oggetti, riciclando materiali e giustapponendoli in modo poco conforme fra loro), l’altro innovatore in termini di decostruzionismo (utilizzando abiti usati va contro le regole del sistema moda che privilegiano la “novità”), facendosi portavoce di un nuovo mondo e capace di dare nuova vita ai vecchi abiti.
Insomma la questione così messa a me non sembra molto differente, se ci si riflette possiamo vedere che seppur con delle differenze sostanziali l’uno e l’altro hanno dei punti in comune come la reinterpretazione di un “qualcosa” di già esistente. Forse possiamo collegarlo alle “affinità elettive” di cui ci parla Teegay citando Goethe?
Galliano comunque, ha senza dubbio ereditato una grossa responsabilità da Maison Margiela, ma a mio dire credo che si sia reso subito conto che questa sarebbe stata una grande opportunità da non lasciarsi scappare sbagliando qualcosa ed è per questo che Artisanal è stata perfetta, commuovente, capace di toccare il cuore dei presenti. In effetti le sfilate sono sembrate molto poco in stile Galliano, gli spettatori quasi scelti a puntino come se avessero partecipato ad una selezione, insomma la conferma avuta a Parigi (dopo la sfilata londinese) ha fatto quasi dimenticare del brutto episodio accaduto quando fu cacciato via da Dior. Il suo finale shock ha sicuramente convinto tutti, il far sfilare alla fine dello show, i modelli in teletta, ovvero col tessuto bianco con cui vengono provati, è ancora più emozionante.Per quanto riguarda la questione creatività vs marketing io mi pongo nel mezzo e, a mio dire, sostengo entrambe le posizioni: quella di Minnie che sostiene la creatività e quella di Sophia che vuole categorizzare la società in termini di analisi quasi scientifiche.
Sicuramente un creativo è colui che non deve pensare a regole, deve sentirsi libero di esprimere le proprie idee, di metterle in atto e sicuramente capace d’imprimere in una materia “fisica” le idee che si hanno non è facile ma sempre più, negli ultimi decenni, questo aspetto deve subire una regolamentazione, di alcune categorie fisse che vengono attribuite tot persone, persone che sostengono la stessa ideologia. E così, come afferma Sophia, i valori sono idee che necessitano di nuove narrazioni pensate per un mercato in evoluzione. Le nuove narrazioni mantengono in vita il brand. Il giusto connubio è quello di avere una moda, creativa seppur sempre regolata da rigide regole di marketing, una sorta di cuscinetto che dovrebbe ammortizzare gli “errori” fatti, senza volerlo dai creativi. Sicuramente le classi sociali studiate dal marketing ci aiutano a muoverci nel mercato, è impossibile quindi per me separare oggi come oggi le due discipline. Anche se c’è da ammettere che in questo business, come spesso succede anche nell’economia contemporanea, lo strapotere della finanza sta finendo per corrodere marchi e maison, con calcoli matematici che vorrebbero sostituirsi al caos creativo.
Partendo già dal titolo che ritengo molto interessante “Metalogo sulla dissoluzione morbida dell’identità”, mi sembra già evidente di come il passaggio da Martin Margiela a John Galliano sia stato emblematico e molto denotativo. E questo concetto lo si può anche intuire dall’analogia che lo studente Taeggay effettua con il romanzo di Goethe, in quanto spiega chiaramente che, persone apparentemente opposte, alla fine finiscono misteriosamente con l’attrarsi; e se guardassimo un po’ più in profondità potremmo capire quanto l’affinità di Goethe che narra la dissoluzione dell’amore viene accostata all’affinità “nascosta” di Margiela e Galliano; l’ amore inteso come un sentimento forte che lega due persone e l’amore verso i contenuti e i valori che legano due individui nell’ universo della moda. Ecco perché la scelta ingegnosa di Russo nel far entrare Galliano nella maison Martin Margiela; le scelte stilistiche di Galliano erano tanto teatrali e sfarzose tanto da essere accostate alle scelte minimaliste dello stilista in questione. E’ molto probabile che in Margiela esistesse una sorta di teatralità nascosta che Galliano ha fatto venir fuori, lo stesso fatto che lo stilista belga soleva decostruire, trasformare e mettere insieme pezzi di vecchi vestiti si collega appunto, alla grandezza e alla teatralità degli abiti di Galliano. Margiela dalla teatralità “nascosta” e Galliano dalla teatralità evidente e visibile agli occhi; un connubio perfetto e indissolubile! Ed è solo guardando a fondo questi contenuti che si può scorgere quanto siano così simili più di quanto l’apparenza non fa credere. O ancora, il fatto stesso che Margiela non si fa nè vedere, nè intervistare, nè essere presente alla fine di ogni sfilata, viene in un molte occasioni proiettato nei suoi abiti attraverso l’accuratezza in cui pezzi di stoffa nascondevano il volto delle modelle: la timidezza e la discrezione dello stilista belga trasportata al design in cui venivano vestite le ragazze. L’innovazione di Galliano calza a pennello con le idee creative di Margiela; vi è una sorta di continuità che cresce e che si sviluppa con le sfilate di Galliano: dal minimalismo decostruito all’esposizione chiara ed evidente di tutte le trasformazioni che prima erano apparentemente nascoste.
“Due sono le realtà, una domina sul genere e sul mondo intellegibile, l’altra sul visibile…”
Platone sosteneva che la conoscenza si divide in due stadi, l’opinione e la scienza, e la rappresentava su un segmento bisecato dove la parte visibile, quella dell’opinione, era rappresentata dal tratto più lungo.
Nel tratto breve metto il creativo che va nell’Iperuranio a cercare la sua episteme, in quello lungo il manager che vuole rendere le idee del creativo “visibili” tramite le narrazioni pensate per il mercato. Ma anche le narrazioni perché funzionino e arrivino al consumatore necessitano di creatività.
Quello che intendo dire è che non esiste marketing senza creatività e la creatività non può fare a meno del marketing, è comprensibile che agli stilisti non piaccia essere più o meno limitati dalle necessità di business ma, a meno ché l’arte in questione non voglia essere fine a se stessa, bisogna vendere e quindi tenere presente ciò che il mercato può sostenere.
Galliano cala il suo personaggio nel minimalismo della Maison reinterpretando l’animo di Margiela secondo i suoi canoni. Questo potrebbe rappresentare il bilanciamento fra business e estro creativo. Galliano rispetta la pulizia formale del minimalismo, riporta il bianco simbolo della Maison, e quindi rispetta le esigenze di brand image, ma contemporaneamente mantiene se stesso e da sfogo al suo estro utilizzando makeup eccessivi e pettinature eccentriche.
Per Galliano potrebbe essere l’occasione per riabilitarsi agli occhi del mondo dopo l’episodio degli insulti razzisti ai turisti, dando un’immagine di se più posata, mentre credo che per Rosso, la scelta di uno degli stilisti più eccentrici sia un modo per tagliare nettamente con il “culto dell’invisibilità”
Da laureata in Design per la Moda ho sempre percepito l’eterna lotta tra libertà creativa e concreta fattibilità, un dissidio quasi impossibile da anestetizzare se non trovando una diplomatica armonia finalizzata al principale scopo di un’azienda: la vendita.
Il metalogo evidenzia chiaramente la posizione dello stilista, incentrata sulla ricerca dell’unicità estetica del prodotto, ma anche sull’autentica innovazione; quella del manager, che deve necessariamente affrontare le diverse problematiche legate alla continuità del brand imponendo anche dei vincoli alla creatività; e quella legata alla comunicazione, fattore determinante per la riuscita del prodotto moda.
A mio parere, tutti i ruoli devono riuscire a dialogare parallelamente per permettere al progetto, agli investimenti e all’arte di proseguire nel delicato mondo del consumatore/osservatore.
Nel caso discusso nel metalogo, ritengo non solo che Renzo Rosso sia riuscito ad aver coraggio nella sua scelta, ma anche a realizzare il rinnovo della Maison Martin Margiela, che seppur distante dall’eccentricità di John Galliano aveva bisogno di uno sprint per rilanciarsi nel sistema moda. Tutto questo credo non comprometta l’identità del brand in sé, e come viene sottolineato nel metalogo, spesso per mantenere vivi i valori di partenza bisogna rivoluzionare il contorno. Galliano risulta essere la mano giusta per estrapolare dal rigore minimalista di Margiela, quel plus necessario per creare novità. Il personaggio di Teegay mette in risalto il legame che si instaura spontaneamente tra gli opposti, e quindi dall’intreccio tra Galliano e Margiela ho potuto osservare un arricchimento spettacolarizzato, qualcosa di inaspettato e di conseguenza indimenticabile. Questa strategia tanto pericolosa quanto vincente, a mio avviso, è necessaria per la continuità di un brand e può essere sostenuta solo se i rischi sono contenuti, per cui appoggio sia l’esigenza del personaggio di Minnie di difendere la creatività con tanto pathos, sia quella del personaggio di Sophia che deve ancorarsi alla limitante concretezza; allo stesso tempo trovo nella figura di Johnny la giusta irriverenza per spronare le altri parti in un delicato compromesso. In conclusione il metalogo mi lascia la sensazione che arte e badget sarebbero in un eterno stato di guerriglia aperta se non fossero equilibrate dalla narrazione creata dalla comunicazione.
Nel 2011 John Galliano viene arrestato in stato di ebbrezza in un bar di Parigi a causa dei suoi comportamenti violenti e degli insulti antisemiti ad un gruppo di persone presenti nel locale. Dopo questo episodio Dior lo licenziò in tronco, una settimana prima della presentazione delle nuove collezioni autunno inverno. Da quel momento Galliano sparì dalla vita pubblica della moda ritornando solo nel 2014 come direttore creativo della Maison Margiela. Ma perché Renzo Rosso ha scelto proprio lui? La sua scelta si basò su due aspetti, il primo riguarda il tipo stilistico e il secondo le ragioni economiche. Indubbiamente Margiela e Galliano sono due persone con uno spirito completamente differente l’uno dall’altro. Margiela è il rappresentante più alto del decostruzionismo e adottava uno stile minimalista. Decostruzionismo, infatti, significa rimuovere ciò che impedisce di vedere la cosa del quale è formato l’abito (si taglia e si cuciono insieme parti di abiti vecchi, si mette in mostra la fodera, si staccano e si riattaccano le maniche) inventando nuovi indumenti, per esempio i maglioni reversibili, il cappotto mantella. Esso introduce nel mondo della moda una novità assoluta ossia la riutilizzazione di abiti usati andando contro le regole strutturali del sistema moda (che privilegiava la novità assoluta) e facendo una critica radicale implicita alla moda ufficiale basata sulla menzogna. Al contrario Galliano era il genio indiscusso del bricoleur, che spettacolarizzava la sfilata e che utilizzava le top model come mezzo per spingere verso l’alto i consumi, sottolineando sempre il lato sexy delle sue muse. Nonostante questa dicotomia tra i due, Renzo Rosso è riuscito a intravedere l’elemento che li legava: entrambi reinterpretano e rielaborano l’oggetto, riciclando una parte dei segni ad esso incorporato, riuscendo a restare in questo modo sempre al passo con i tempi. Per questo motivo mi sento completamente distaccata dal punto di vita di J. Scorreggia quando dice: “Renzo Rosso ha violentato l’identità del brand coerentemente costruita da Martin Margiela assumendo come art director John Galliano.” John Galliano ha reinterpretato lo stile del Margiela secondo il suo punto di vista e secondo il suo modo di sentire la contemporaneità, mantenendo lo spirito fondato da Martin Margiela contorniato da contemporaneità.
È proprio vero, Minnie e Sophia nel metalogo continuano a conversare perché si fraintendono. Ciascuna porta avanti la propria posizione in un’ottica unilaterale che non consente loro di arrivare ad un punto di incontro. Ma possono la creatività e il marketing, il creativo e il manager vivere separatamente? Quando nel 494 a.C. i plebei, per una sorta di “obiezione di coscienza” in massa, abbondonarono la città ritirandosi sul monte Aventino, Menenio Agrippa, secondo quanto ci racconta la tradizione, riuscì a ricomporre la pace sociale con un discorso in cui, paragonando la comunità cittadina ad un corpo umano, fece capire che essa non poteva sopravvivere senza la cooperazione delle sue parti, patrizi e plebei. Convinse così questi ultimi a tornare in città e favorì un accordo tra loro e i patrizi. Ecco, anche nel mondo della moda solo attraverso una sinergia tra creatività e marketing si può arrivare al successo di un brand. In fondo la scelta di Renzo Rosso di affidare a John Galliano la direzione creativa della Maison Martin Margiela ha riscontrato di fatto un esito positivo conseguito dal connubio tra la creatività dell’artista e business. Ma, a parer mio, lo stesso Martin Margiela non era del tutto scevro dal marketing. Infatti, se da una parte l’eccentricità talora appariscente e esibizionista di Galliano possa sembrare più in sintonia con una strategia di marketing e, di contro, il “culto dell’invisibilità” di Martin Margiela possa apparire del tutto lontano da questa, trovo che, invece, il mistero che quest’ultimo ha creato attorno a sé sia stata una strategia alquanto efficace.
Sul fatto poi, che, secondo l’opinione di Johnny Scorreggia, Renzo Rosso abbia violentato l’identità del brand costruita da Martin Margiela, mi trovo parzialmente d’accordo. Se, infatti, nell’accezione di identità che dà Minnie come “avanguardia”, in un certo senso, si può parlare di passaggio di testimone, dall’altra parte, a mio avviso, i valori di fondo di Martin Margiela non potranno mai essere riproposti da un altro creativo che non sia lui stesso, perché ciascuno di noi ha la propria personalità, una propria sensibilità, un modo di interpretare il mondo che lo circonda unico e inimitabile. E, se è vero che un atto creativo non può essere scisso dal marketing, l’importante è, comunque, che il brand non perda di vista la sua “anima”. Insomma, un po’ come per i film, che, se nati come prodotto di un puro calcolo e di investimenti di natura finanziaria, non hanno un’anima, un centro emanatore di identità, non sono nati da un sogno, come afferma il regista Win Wenders.
Ho sentito spesso dire che la non-comunicazione coltivata da Margiela poteva essere considerata una furbata dello stilista per ottenere un in-più- di comunicazione. Io preferisco pensare che l’interesse per la creatività della maison fosse legato alle intuizioni spesso nate dal caso, utilizzate dal team orchestrato da Margiela e dalla sua socia Jenny Meirens, per contestare fattualmente oggetti e modi del Fashion dominante.
Margiela e il suo gruppi rifiutavano il mito del grande creativo ispirato, autore del colpo decisivo. La sua critica al dominio dell’autorialità è stata coerente e persino rischiosa.
È chiaro che è nella logica della situazione che chi si pone fuori dal coro possa essere vissuto in prima battuta come un soggetto stravagante e persino temerario. Ma se il suo atto moda è efficace allora nel tempo diviene un sintomo di coraggio, determinazione e infine di avanguardia.
Non c’è dubbio quindi che a questo punto possa ripristinarsi un effetto di comunicazione là dove sembrava cancellata.
La notorietà della Maison Margiela non è nata di colpo. Èil frutto di un lavoro collettivo che Martin ha rispettato come nessun altro nella storia della moda.
Ti consiglio di guardare il film “We Margiela” realizzato da Ming Film Office. Vi troverai una eccellente documentazione di come funzionava la Maison fondata da Martin e Jenny Meirens.
Più di una volta, durante la lettura, ho sorriso immaginando Minnie e Sophia urlare e dimenarsi discutendo con tenacia e talvolta ipocrisia un argomento tanto delicato quanto effimero: la soggettiva visione dell’universo Fashion.
Entrambe presentando con fermezza e decisione punti di vista rifratti, dimenticano a mio avviso l’importanza della coesione e della totalità.
Creatività, estro ed identificazione risultano di impatto solo in caso di collaborazione, e tale aspetto è reso evidente dalla moderna concezione di Art Director, a cui sempre più viene richiesta una fitta rete di competenze. L’Art Director deve interpretare lo Zeitgeist ed andare oltre le convenzioni estetiche, partire ed arrivare al cuore di un’identità collettiva, i cui contorni però, come sottolineato da Minnie, sono volubili e mutevoli.
Come è possibile dunque coglierne l’essenza?
Forse non lo è, probabilmente essi mutano la loro forma così come muta il tutto che ci circonda.
Partendo dunque dal presupposto che ciò che ci aspetta è qualcosa di alquanto inafferrabile, una buona dose di intuizione artistica deve senz’altro essere abbinata ad uno studio ed un racconto elaborato a mente fredda. Due opposti, secondo le protagoniste del metalogo, come intuibile dalla fine non fine, alquanto inconciliabili.
Ritengo che il metalogo metta in evidenza la posizione dello stilista, incentrata prevalentemente sull’autentica innovazione e quella del manager, il quale, in questo caso Renzo Rosso, debba concentrarsi di portare avanti la continuità del brand, ma per fare ciò deve imporre dei vincoli di creatività.
Reputo che nonostante le due personalità molto diverse di Galliano e Margiela, il primo sia stato capace di riportare il bianco simbolo della Maison Margiela e di rispettare le esigenze del brand image, nello stesso tempo abbia dato sfogo alla sua creatività, mettendo in luce la teatralità degli abiti.
Infine penso che oltre all’innovazione portata da Galliano, ci sia anche una sorta di continuità tra i due.
L’essere umano è composto dalla parte istintiva che è il cuore e dalla parte razionale che è la mente, sempre in conflitto tra di loro. Minnie e Sophia rappresentano esattamente il diverbio che c’è tra di essi. Minnie rappresenta il cuore, la parte delle emozioni, che crede ancora nei sogni, irrazionale, che vive di fantasia e vede nell’haute couture la massima creatività dello stilista. Sophia il suo opposto, rappresenta la mente, la parte razionale, la parte che fa i conti con la realtà, per questo la parte manageriale. Come l’uomo non potrebbe vivere senza una delle due componenti, lo stesso il campo della moda, non esiste creativo senza menager e viceversa. Non esiste un giusto o uno sbagliato, un vero o un falso, ma esiste solamente il punto di vista. E’ vero che i creativi sono liberi e autonomi di creare, però per farlo al meglio devono allontanarsi dalla realtà. Un esempio era Rei Kawacubo che trovandosi fuori dagli schemi poteva creare cose nuove e non rimanere intrappolata. Dopo di chè entrano in gioco i manager che aiutano a rendere reali e vendibili i sogni degli stilisti e a mantenere alti i valori dei brand.
Renzo Rosso è riuscito a comunicare a John Galliano come mantenere alti i valori della maison Margiela. É ovvio che non potranno essere esattamente gli stessi valori di Martin Margiela anche perchè sono persone diverse, per esempio come dice “Jhonny Scorreggia”, Martin Margiela non avrebbe mai tratto ispirazione dalla geisha giapponese, mentre lo stesso Galliano per la spring/ summer 2007 haute couture Dior ha proprio tratto ispirazione da essa, proponendo un fashion show di 35 minuti all’insegna della femminilità ispirata all’oriente. Nonostante la diversità, Galliano è riuscito a continuare la linea della maison Margiela, senza stravolgerla completamente ma arricchendola mettendoci un pò del suo.
Anche la storia della moda ci insegna che quando c’è una forte sinergia tra il manager e l’art director il brand funziona al meglio. Tom Ford e Domenico De Sole hanno fatto grande il nome Gucci. Sempre nella maison Gucci oggi sta toccando ad Alessandro Michele e Marco Bizzarri. Nella maison Valentino Stefano Sassi con Pierpaolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri. Anche se quasi sempre gli amministratori delegati rimangono nell’ombra degli art director questo non riduce la loro importanza.
Renzo rosso scegliendo John Galliano portò al brand Maison Margela una nuova immagine rinnovata, attribuendo un’altra identità a Margela, ”il Margela di Galliano”.
La decisione di Galliano di esibire la sua prima collezione inviò vari messaggi . Quattro anni fa Galliano fu protagonista di un episodio sgradevole che provocò
un disarmonico rapporto con il pubblico a causa del suo comportamento anti-semitico e il suo comportamento non appropriato.
C’è ancora chi non si sente in grado di perdonarlo particolarmente in questo momento di sensibilità per quanto riguarda la libertà di parola e l’estremismo religioso, e secondo me questo fu il momento adatto per cercare di superare l’accaduto e dare una nuova immagine di sé.
Martin Margiela è un designer che ha scelto l’invisibilità come la sua unique selling point, mentre John Galliano è uno degli artisti/stilisti più prestigiosi
dell’epoca, e un uomo che ama sperimentare. Questo primo spettacolo era esattamente quello che ci si poteva aspettare
dall’accoppiamento di questi opposti.
Ci saranno alcuni che senza dubbio criticheranno il ritorno di Galliano, ma chiunque sarà senza alcun dubbio consapevole che si tratta di uno degli stilisti più fantasiosi della sua età e ha fatto il possibile per non deludere le aspettative, non solo lui ma l’intero settore dovrebbe imparare da questo e non criticare lui o altri troppo pesantemente con un sovraccarico irrealistico di aspettative e elogi.
Minnie e Sophie rappresentano idealmente il conflitto, se così si può definire, tra il settore creativo e quello manageriale. I designers sostengono di essere la vera anima pura e l’essenza del mondo moda, il quale deve privilegiare spontaneità, istinto ed arte; mentre i businessman/woman con un approccio più concreto affermano che al primo posto c’è il “fare impresa”, ponendosi come obiettivo quello di far incrementare il reddito dell’azienda e di farla funzionare in modo ottimale. Per fare ciò, non è possibile dare ascolto esclusivamente alla creatività dello stilista, ma è necessario ascoltare precisi suggerimenti dal mercato e seguire contemporaneamente le evoluzioni della società. Per queste ragioni è indispensabile un connubio, un’intesa fra il creativo e il manager poiché sono figure complementari. Oggi un esempio ammirevole è il duo Bizzarri-Michele, considerati la coppia vincente che insieme hanno saputo risollevare lo storico brand fiorentino sotto ogni punto di vista, tanto da registrare dei fatturati record.
Per quanto riguarda invece il caso della Maison Martin Margiela, penso che l’assunzione di John Galliano sia stata una delle più sorprendenti nella storia della moda. La personalità di Galliano è l’esatto opposto di quella del fondatore; il branding Margiela si basava sul non avere un volto, mentre Galliano ha sempre cercato riconoscibilità, per esempio stampando su tutti i capi della sua linea il proprio nome oppure sfilare sulla passerella come una star alla fine dei suoi show. Per questo credo che, oltre alla reciproca predilezione di ciò che è spettacolare anche se in modo differente, in parte sia stata stravolta l’identità del brand sebbene un secondo Martin Margiela non potrà mai esserci. Anche se non nego che la scommessa rischiosa di Renzo Rosso sullo stilista inglese, reduce da un periodo piuttosto tumultuoso, sia ben riuscita.
Dopo aver completato la lettura di questo metalogo fra quattro ragazzi, i quali in una conversazione parlano dell’ultima sfilata di Galliano a Parigi. Da questo dialogo emergono due ragionamenti principali: il primo ragionamento è legato alla figura dell’art director cioè di Martin Margela e John Galliano e l’altro ragionamento è legato a un contrasto continuo fra marketing e creatività. Questo contrasto, tra le ragioni della creatività e la presunta razionalità del marketing, viene considerato principalmente come una “guerra spesso silenziosa” come sostiene lo scrittore all’interno del metalogo.
A mio parere il metalogo evidenza la posizione del manager, il quale si deve occupare della continuità del brand, la posizione dello stilista il quale si occupa nel ricercare la singolarità/ l’eccezionalità del prodotto. In fine evidenza anche la posizione legata alla comunicazione, la quale è il fattore che determina la riuscita del prodotto. Tutti questi fattori a mio parere devono saper comunicare fra loro per la riuscita del progetto finale.
Dunque i due opposti, secondo il continuo conflitto delle ragazze, non saranno mai compatibili e lo possiamo comprendere nell’intero corso del metalogo.
Una domanda che sorge spontanea, dopo aver letto attentamente il metalogo proposto, è: qual’è il motivo che ha spinto Renzo Rosso il 6 Ottobre 2014 ad affidare la direzione creativa della maison Margiela a John Galliano? L’imprenditore italiano era consapevole che questa sarebbe stata una scelta azzardata, perché John Galliano e Martin Margiela hanno, oltre differenti visioni sulla moda, anche un approccio nel lavoro totalmente diverso. Martin Margiela infatti, ci aveva abituato a non mostrarsi troppo, evitava la stampa, non concedeva interviste e comunicava solo via fax; al contrario Galliano che ama auto-celebrarsi ed è considerato un’esibizionista per eccellenza. Da tutto ciò si intuisce che Renzo Rosso non aveva nessuna certezza in mano ed è stato un vero e proprio “salto nel vuoto”. Infatti, nulla avrebbe garantito all’imprenditore che lo stesso pubblico che seguiva la moda rivoluzionaria dello stilista belga, avrebbero apprezzato anche lo stile stravagante ed eccentrico di Galliano. E’ stata una scommessa. Una scommessa vincente, diremo oggi. Ma chi lo avrebbe intuito allora? Bisogna, per questo, riconoscere la genialità e la giusta intuizione di Renzo Rosso. Sarebbe stato “banale” e scontato, infatti, nominare come art director qualcuno che aveva lo stile e un visione simile allo stilista belga. Le collezioni sarebbero potute risultare una “brutta copia” di quelli di Martin Margiela. L’unico modo per tornare vincente era quello di sorprendere, stravolgere, cambiare visione; solo cosi la maison Margiela poteva suscitare interesse e tornare sulla “cresta dell’onda.” Questo è quanto accaduto. Al termine della prima sfilata di Galliano come direttore creativo di maison Margiela; Anna Winter, giornalista britannica e direttrice di Vogue dal 1988, ha dichiarato:«È stato geniale. Mi è piaciuto particolarmente il mix di stili: c’erano tanti elementi tipici del John che conosciamo e amiamo, ma si é impossessato del vocabolario di Margiela e lo ha tradotto in un modo cosí innovativo e affascinante».
Sicuramente Margiela e Galliano sono due menti estremamente diverse tra loro;allo stesso tempo però, sono accomunati da una vena artistica -profondamente- sincera e spontanea.
Entrambi, unici nel proprio genere, esprimono in maniera diversa un modo di concepire la realtà; in particolare modo, “proiettano” sui propri capi la loro idea di libertà e di “femminilità”.
Non mi sento di esprimere un giudizio, e quindi di indurre lo stile di Margiela o di Galliano ad un etichettamento o ad un favoritismo per due motivi: il primo sicuramente perché esprimere un parere è molto difficile e il secondo motivo è che indubbiamente sono ancora molto “acerba” per permettermi di espormi troppo.
Una discussione che però, ha suscitato in me, molte domande e ricerche risale alla questione del marketing e dell’influenza che questo, può avere nel mondo del fashion.
Margiela non si è mai esposto al pubblico eppure si faceva conoscere senza l’aiuto del marketing, si presentava con i suoi vestiti.
Questi sono e racchiudono la sua interiorità e le sue intenzioni e non hanno mai avuto bisogno di “aiuti” esterni.
Spesso i brand, (anzi forse direi tutti) vanno di pari passo al marketing; sicuramente l’idea nasce da sola ma poi per essere sostenuta c è il richiamo di questo, che inevitabilmente, deve fare da -traduttore- e da -sostenitore- per il marchio del momento.
Sono combattuta perché da una parte penso che la moda non abbia bisogno di niente, che la vera moda sia pura creatività e che abbia solo bisogno di essere “compresa” e non solo “pubblicizzata”; dall’altra parte però penso che, al mondo di oggi il marketing sia fondamentale per il mondo del fashion. Questo perché le generazioni sono state stravolte da abitudini e richieste estremamente diverse rispetto a prima.
E’ difficile conoscere veramente la moda se non viene mostrata da tramiti ma allo stesso tempo è difficile non essere influenzati da questi, ed essere indotti a diventare, anziché “psicologi” della moda e -consumisti-, solo consumisti.
Prendendo spunto dalla sfilata Maison Martin Margiela a Parigi , il metalogo attraverso quattro giovani protagonisti porta il lettore a riflettere su una sorta di conflitto da sempre presente nel mondo della moda , protagonisti di tale conflitto sono la creatività e la razionalità , lo stilista e il manager. Sophia e Minnie assumono nei confronti di tale ‘’ conflitto’’ due punti di vista differenti, sostenendo l’una la priorità della creatività e l’altra della razionalità.
Tuttavia il lavoro di Galliano è stato apprezzato dai giornalisti , e di conseguenza anche quello di Renzo Rosso, dunque , queste due figure professionalmente così distanti ed opposte , sono necessarie l’una all’altra , ed è proprio dalla loro coesione ( e non dal ‘’conflitto’’ ) che nasce la moda .
Ogni volta che leggo un metalogo mi stupisco della chiarezza espositiva e dell’articolazione dei concetti, seppur espressi in maniera informale, in una conversazione libera: in questo testo, grazie anche al dissidio tra Minnie e Sophia riguardo alla creatività/managerialità, sono state illustrate tutte le posizioni, contraddizioni e dubbi che possono sorgere ad un interessato cultore della moda. Ho trovato il testo così lindo che non ho potuto concedere eccessivo spazio alla mia interpretazione e visione, ma se posso permettermi di dire la mia riguardo al dibattito nato tra le due ragazze, allora posso affermare di trovarmi in una posizione intermedia. A parere mio nel caso Margiela/Galliano non c’è stata necessariamente una lotta fra marketing e creatività, penso che entrambe le parti abbiano sempre collaborato a creare un’identità, uno stile, che può aver subito una “morbida dissoluzione” al cambiare dell’Art Director, ma che non ha mutato la sua vera essenza. Ed è stata proprio l’unione di due personalità e mondi così apparentemente contrastanti, messa in atto dallo scaltro Renzo Rosso, a creare qualcosa destinato a durare.
Secondo il mio pensiero il marketing non distruggerà mai la moda , il marketing è necessario , quando si arriva al punto di dover vendere un qualcosa , cioè moda , è proprio in quel momento che il marketing dovrà agire.
Credo che se una donna di classe spende un capitale per un abito couture, sia una consumatrice , non importa cosa ha comprato o quanto lo possa aver pagato ma comunque è una consumatrice , una consumatrice che per sua fortuna può spendere un capitale in un abito , ma ciò che dice Minnie mi ha colpito molto :
“Uffa! Che palle! Sempre il money di mezzo! La couture è ricerca, cultura, perfezione tecnica…Cosa importa quanto costa. Chi ha i soldi comprerà gli abiti che gli piacciono. Siamo in un mondo libero. Gli altri compreranno abiti meno costosi.”
Concordo pienamente con questa sua affermazione.
Inoltre trovo molto interessante il discorso di Johnny Scoreggia quando dice che lui vorrebbe sempre stare con chi sente il bisogno di ribellarsi , con chi dà respiro all’invenzione spontanea , senza regole , e questa era Margiela del passato con il quale Galliano non c’entra un bel nulla .
Margiela è sempre stato una persona riservata , non è mai apparso sulla passerella dopo una sfilata , il suo branding si basava sul non avere un volto , al contrario di Galliano , che dopo esser stato licenziato da Christian Dior e successivamente allo scandalo fuori da un bar a Parigi ,ricomincia la sua carriera con Margiela .
Questo mix , forse il più sorprendente nella storia della moda !
Mi piace come ragiona Ilaria P. Il marketing in un mercato globale è come il fisco per una società di cittadini: da fastidio ma non è possibile farne a meno…chi paga per educare i bambini, chi costruisce strade, Ferrovie, aereoporti, assistenza. Una azienda che vuole crescere deve per forza organizzarsi, prevedere, investire, ottimizzare, avere una agenda di priorità, misurare la produttività. Detto questo, io sono anche d’accordo con chi detesta il marketing dogmatico. Riconoscere la necessità del marketing per me non significa banalizzare la creatività. Ci sono tanti modi di fare marketing. È un errore pensare che ci siano regole uguali per tutte le aziende.
Ilaria, Luciano, guardate che di solito chi come me dice di detestare il marketing non sta dicendo che un’azienda non debba organizzarsi. Vuole soltanto dire che l’ossessione per il profitto a tutti i costi toglie alla moda la sua grande bellezza.
Margiela e Galliano li potremmo definire come due poli ben distinti.
Nonostante questo penso che Galliano abbia in qualche modo “rivoluzionato” il branding Margiela.
Ha dato un volto e un’identità.
Sicuramente l’unione di due personalità così contrastanti ,messe in atto da Renzo Rosso hanno dato vita alla creazione di un qualcosa di duraturo.
Marketing e creatività sono un bel connubio che hanno in qualche modo creato uno stile ,e successivamente modificato al cambiare dell’art director.
Indubbiamente la scelta di Renzo Rosso è stata rischiosa e sorprendente. L’intervista “Renzo Rosso: John Galliano mi ha cambiato la vita” (www.d.repubblica.it) mi ha permesso di approfondirla maggiormente:
l’imprenditore descrive Galliano come “uno dei più grandi creativi che esistano al mondo”, come “fonte di ispirazione incredibile”.
Rosso aggiunge che il suo intento è quello di “modernizzare”, mantenendo isolato il life-style della maison, che deve vivere di vita totalmente incontaminata.
E’ riuscito quindi a mantenere invariati i valori della maison Margiela, ma chiaramente essi sono interpretati in una chiave diversa, che più si addice al personaggio John Galliano.
Premetto che non conoscevo la storia del brand ma leggendo questo metalogo posso dire che il percorso di Margiela mi è sembrato sin dal collettivo identitario, proponendo delle forme tipiche che trovano rimescolii costanti nella contemporaneità.
Qui rimane il problema della comunicazione e cioè quanto pesa in un gruppo di persone nell’ambito della moda, il proprio compito.
Credo che sia giusto riconoscere e non confinare un’espressione; quindi anche un brand sa modificarsi, ma la vera sfida è che mantenga un simbolo, o una costante che ne determini uno stile, che poi verrà pure aggettivato o commentato. Ne risulta che il problema è mantenersi sul mercato senza perdere se stessi.
Quindi le scelte fatte in argomento del metalogo le trovo coerenti e il marchio in sè per sè vuole in qualche modo continuare ad offrirsi in maniera sfaccettata.
Il metalogo fa molto riflettere sulle figure contrastanti dello stilista e del manager, entrambe necessarie ad un band che vuole arrivare al successo. Ritengo che la collaborazione tra queste due figure sia d’obbligo. Nel caso della Maison Martin Margiela penso che la scelta di Renzo Rosso sia stata indubbiamente molto azzardata. Tra l’opinione della “romantica creativa” Minnie e quella “dell’apprendista manager” Sophia mi trovo più vicino al pensiero di quest’ultima e in particolare ad uno dei concetti da lei espressi: “Dobbiamo finirla col considerare i grandi creativi come se fossero degli artisti ai quali tutto è permesso. Sono persone di talento al servizio del brand. Senza le narrazioni orchestrate dai manager, i creativi non sono nulla.” Penso che nessuno debba reprime la creatività di uno stilita, le sue idee e le sue linee guida, ma allo stesso tempo penso sia importante per un brand che il designer si rifaccia ai valori della maison e li rappresenti al meglio, inserendo ovviamente quel tocco che deriva dalla propria personalità ed esperienza. Nel caso di Galliano, penso che lo stilista abbia dato alla Maison un volto nuovo, reinterpretando i valori del brand secondo la propria personalità, anche se in parte distaccandosene. Penso però che questo sia inevitabile, poiché ogni valore è interpretato dalla singola persone in modo diverso, secondo una propria chiave di lettura.
Trovo il metalogo molto interessante, soprattutto il dibattito tra Minnie e Sophia.
Fa molto riflettere l’idea di Johnny Scorreggia sul fatto che si investono troppi soldi nel marketing per potersi permettere di lasciar morire un brand e quanto il marketing stia distruggendo il mondo della moda.
Ritengo il marketing essenziale invece per questo mondo, sia per quanto riguarda la pubblicità, sia per la conoscenza di un marchio.
Credo che senza fare marketing, il grande mondo della moda non potrebbe neanche esistere.
Non c’è dubbio che Renzo Rosso e John Galliano siano due persone differente e questo comporta idee diverse. Il primo ha comunicato al suo successore come mantenere alti i valori della maison Margiela; Galliano ha reinterpretato a suo modo le informazioni ricevute. Nonostante sia stato un azzardo ha avuto un esito a dir poco straordinario. Per il pubblico è stata un’esplosione di stile. Ottimo modo per far parlare di sé e del brand!