Prince, un tributo.

Un omaggio ad un artista che ha caratterizzato un'epoca

Prince, un tributo.

“Since you been gone I can do whatever I want
I can see who ever I choose
I can eat my dinner in a fancy restaurant
But nothing nothing can take away these blues
Cause nothing compares
Nothing compares to you” 

Musicista con un talento superiore, basta guardare le sue partiture per rendersi conto di quello che è riuscito a fare giocando con le note, lui che la musica l’aveva nelle dita e nel sangue essendo figlio e nipote di musicisti. Polistrumentista: voce chitarra, basso, batterie e tastiere e come se non bastasse anche arrangiatore, attore, autore, produttore, regista, uno dei più giovani della storia al soldo della Warner Bros., compositore per sé e per gli altri, nel 1985 aveva firmato  la colonna sonora di Purple Rain, vincendo persino un Oscar e il Golden Globe per il singolo in esso contenuto – When Doves Cry ritenuto dalla critica il miglior brano accanto all’album, che ottenne pari apprezzamento.

Stiamo parlando di  Prince, un piccolo grande genio dalla statura fisica di 158 cm ma dall’imponente grandezza artistica, una cifra stilistica in grado di rivaleggiare con chiunque: pop, funky, soul non disgiunti da una buona dose di “rock bianco”, abilmente amalgamati e compattati con la perizia di un grande compositore, un giocoliere che mescola i motivi ed è comunque in grado di restituire un prodotto di altissimo livello pur essendo facilmente assimilabile data l’orecchiabilità dei brani.

Prince ci ha lasciati ieri, con un’eredità di quarantotto album, quattro live e trentotto in studio oltre le sei raccolte. Un artista con idee chiare su tutto malgrado i suoi mille volti e quell’aura di mistero che accanto alla sua inquietudine profonda lo ha sempre circondato. Sfuggente alle interviste, non così amico di internet, padrone dell’immagine fino all’inverosimile giungendo a cancellare video apparsi su Youtube senza il suo benestare, poco incline all’autobiografia, Prince ha sempre giocato col pubblico mostrando più volti e immagini di sé  infatti diceva che “when you’re twenty years old, you’re looking for the ledge, you want to see how far you can push everything (. . . ) and then you make changes. There’s a lot of things I don’t do now that I did thirty years ago.  And then there’s some things I still do”. 
Lasciando però  buona parte della sua persona in disparte, a vantaggio del suo personaggio,  un modo questo di lasciare che l’immaginario collettivo proiettasse su quel cono d’ombra ciò che  la  fantasia dettava; uno spazio libero su cui ognuno potesse ricamare un arazzo  a proprio uso e consumo, in questo sta anche in parte il grande fascino  dell’artista.

Fortemente apprezzato dai colleghi, Prince è stato spesso criticato ma più spesso osannato, basti pensare alla considerazione del grande Miles Davies che nella sua autobiografia parlava di lui come del nuovo Duke Ellington:  “Prince is from the school of James Brown (…) but Prince got some Marvin Gaye and Jimi Hendrix and Sly in him, also, even Little Richard,” aggiungendo poi “He’s a mixture of all those guys and Duke Ellington. He reminds me, in a way, of Charlie Chaplin, he and Michael Jackson (…) I think Prince’s music is pointing toward the future.”

Purtroppo questo futuro si è fermato per lui a soli 57 anni, “soli” perché Prince aveva ancora tutta l’aria di un ragazzo e non è dato sapere cosa avrebbe ancora tirato fuori dal pentagramma. Un pentagramma, il suo, che pareva infinito  a dispetto degli eccessi e della sua inarrestabile inquietudine.

“Good night, sweet Prince. May hosts of angels sing you to sleep”

RIP PRINCE

 

 

Daniela Ferro

Leave a Reply

Your email address will not be published.