Infierno: istruzioni di bordo per l’ultimo viaggio

Una notte frusinate con “Il Circo degli Orrori” Zoppis.

Siete pronti ad attraversare l’Acheronte a bordo del naviglio del terribile psicopompo Caronte e, soprattutto, avete l’ardire di presentarvi di fronte a lui da vivi?

Se la curiosità di conoscere anzi tempo cosa vi attende sull’altra riva è più forte del timore di fallire nell’impresa, non avendo al vostro fianco una guida della statura di Virgilio -come invece fu per altri più fortunati-, non potete mancare ai nuovi imminenti appuntamenti italiani della tournée del Circo degli Orrori, spostatasi in questi giorni in Ungheria.

Si è concluso infatti il 5 Ottobre 2015 il ciclo di spettacoli tenutosi allo stadio Casaleno di Frosinone a partire dal 25 Settembre, dopo il debutto romano di Marzo presso l’ippodromo Capannelle e altre tappe fra cui Catania, Palermo -in cui l’orrore ha tragicamente sconfinato dai luoghi scenici quando in un gravissimo incidente stradale ha perduto la vita a soli diciassette anni Ivelise Zoppis, figlia del co-produttore del Circo, oltre che co-protagonista dello show- e Latina.

Prima di raccontarvi, senza svelarvi troppi dettagli, la mia esperienza, di cui conservo un piacevole ricordo, alcune perplessità e diversi ematomi sparsi, vorrei dedicare un breve cenno all’origine di questa particolare forma di spettacolo ibrido –il cui fulcro resta comunque il circo- anche per fare chiarezza su alcune cose che sono obiettivamente motivo di confusione in chi decidesse di andare a vederlo.

Innanzitutto si badi che in Italia sono attualmente presenti quattro spettacoli itineranti di questo tipo, ma che nessuno di questi ha realmente a che vedere con l’originale spagnolo Circo de los Horrores, creato dal capocomico Jesùs Silva Gonzàles-detto Suso Silva– che ebbe l’intuizione e la capacità saper rinverdire il tradizionale spettacolo circense, negli ultimi anni in crisi a causa della congiuntura economica globale, di tagli dal FUS e di una crescente perdita d’interesse da parte del pubblico più giovane, oltre che delle sferzate crescenti provenienti dagli ambienti animalisti –non è casuale infatti l’assenza di animali nel Circo degli Orrori-.

Come si può ascoltare dalla viva voce di Silva, che lo dichiara in un’intervista, la compagnia spagnola ha inteso invertire il trend di abbandono degli chapiteau farcendo lo spettacolo classico che tutti conosciamo con gli ingredienti nuovi del macabro, del truculento, del sotterraneo e soprattutto attraverso il mantenimento dello spettatore in uno stato di allerta: il risultato è un mix fra circo, teatro e cabaret.

A ben guardare questi elementi sono nuovi solo in quanto all’applicazione, essendo in realtà mutuati  da tradizioni culturali e da simbologie antichissime.

Il titolo stesso dello spettacolo spagnolo, come di quello italiano di produzione Zoppis, che ne è un ricalco praticamente palmare nel concept e nella scrittura del copione, richiama l’omonima pellicola inglese Circus of horrors, diretta da Sidney Hayers e uscta nelle sale cinematografiche nel 1960.

Va poi aggiunto che l’originale Circo de los Horrores, dopo la tournée in Spagna, America Latina e a Miami, con più di 1.500.000 spettatori, è giunto in Italia nel 2014 e ha registrato un ottimo successo allo Stadio Flaminio di Roma. È stata la stessa compagnia spagnola, nonostante l’effettivo legame con la famiglia Zoppis, evidentemente presente anche nel meccanismo produttivo degli show iberici ma poi appropriatisi del loro format, a diffondere un comunicato nella primavera 2015, in concomitanza col debutto dello spettacolo italiano intitolato Circo degli Orrori-Infierno, in cui si dichiarava la totale estraneità di quest’ultimo e di tutti gli show analoghi allora presenti in Italia con l’originale. L’episodio sembra essere sfociato in un vero e proprio contenzioso -probabilmente tuttora aperto- che ha causato la sospensione della serata romana di debutto di Infierno, successivamente andato in scena in una location alternativa.

Fatti gli opportuni distinguo, intraprendiamo la nostra catabasi nell’oltretomba ciociaro…

Infiernol’ambiguità non risparmia neppure il titolo stranamente spagnolo- resta, al di là delle polemiche in atto, una vera e propria esperienza che, fra tradizione e innovazione, risucchia lo spettatore per due ore intere fuori dalla quotidianità. Sin dal brumoso e olezzante “antinferno” dall’aspetto di un oscuro cimitero gotico ottocentesco, che costituisce un simbolico e necessario trapasso, si viene avvertiti da una voce tonante, proveniente da un profondo oltretomba, del fatto che non sarà possibile tornare fisicamente indietro per tutta la serata una volta entrati nei gironi circolari dell’Inferno: Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate…

Una volta preso posto all’interno della platea circolare che circonda una sinistra arena coronata da una suggestiva scenografia, ma sigillata da un francamente inquietante ed enorme pentacolo rovesciato, siamo costretti ad abbandonare completamente la “zona comfort” spettatoriale, scardinata da uno strabordante “palcoscenico esploso” in cui prende vita un pre-testo che destabilizza come un Cavallo di Troia tutte le nostre certezze. Con uno schema espressivo che ricorda quello di una compagnia teatrale ancora una volta spagnola, La Fura dels Baus, lo stato di allerta costante non ci lascia neppure una volta scoperta l’origine della voce misteriosa e dopo l’ingresso dei padroni di casa, su cui troneggia un livido e dissacrante Lucifero fasciato in abiti vermigli. Il signore del male dà avvio alla sua festa che non risparmia nessuno dei presenti, chiamati in gioco -ricordiamo il nesso semantico del “recitare” con il “to play” o con il “jouer”, che qui diventa ancor più che nel teatro classico un gioco al massacro, seppur mitigato dall’ironia- e sbeffeggiati uno dopo l’altro.

Assistiamo a una rappresentazione simbolica dei sette peccati capitali in una situazione avvolgente in cui sembra di scorgere un po’ della penna di Dante, Stoker, Poe; un po’ delle immagini di Murnau, Coppola, Friedkin, insieme a tante altre suggestioni provenienti dal mondo della letteratura, del cinema e della musica. Quest’ultima è molto importante nel descrivere i tormenti dei dannati, spaziando dal sacro dei Carmina Burana alle melodie di Oldfield -per richiamare il già indirettamente citato “L’esorcista” al rock metal-. Se gli strumenti narrativi fondamentali dello show restano quelli storici del circo –chiara è la dipendenza dal Circle du soleil-, con i suoi trapezisti, acrobati, danzatrici –una spregiudicata e ammaliante vampira-, equilibristi, clown –il cinico Càcato-, lanciatori di coltelli –con l’immancabile ragazza che sfida la sorte e le lame fissata su una ruota che gira su se stessa-, motociclisti che sfrecciano all’interno di sfere metalliche, va detto che ognuno di questi viene a parlarci qui in chiave dark, facendo leva sul nostro lato più emozionalmente primitivo e anche un po’ perverso. L’orrore di shakespeariana e conradiana memoria però viene fortunatamente sdrammatizzato dall’elemento comico cabarettistico. In una fase inoltrata dello show, il longilineo Lucifero assume l’aspetto di uno spaesato viaggiatore con valigia che si rivela essere un talentuosissimo mimo dal viso incipriato. Questa buffa figura allenta in parte una tensione che non scompare mai del tutto: ricordiamo che anche le figure più innocenti come una bambina con carrozzina, all’Inferno diventano imprevedibili e senza sconti –mi si conceda la metafora- verso un pubblico che sorride ma è sempre disturbato allo stesso tempo.

Durante la serata in questione quel mimo ha incluso anche me fra gli attori di una farsa a soggetto di cui non conoscevo neppure il canovaccio. Dal salire sul palco al ritrovarmi in testa occhiali e cuffia da aviatore il passaggio è stato breve. Come da ciò abbia potuto brandire un enorme fiore rosa, corteggiare una sconosciuta all’uopo chiamata in scena dal ringmaster e arrivare a unirmi con lei in un matrimonio infernale non saprei dire. So però che non ho demandato ad altri la climax comica della mia parte di show, al prezzo di non poco dolore, ovviamente… siamo pur sempre all’Inferno: abbandonando il palcoscenico e tornando nell’oscurità dei posti a sedere, l’emozione residua mi ha infatti impedito di vedere l’intercapedine tra l’arena e la platea, prestando il mio fianco –qui non si tratta ahimé di metafora- a una ringhiera metallica e altre parti del mio corpo alle asperità dietro di me.

Sarei tornato poco dopo sulla scena –malvolentieri e dolorante- per improvvisarmi musicista di uno strumento che non conosco in un’orchestra altrettanto maldestra.

Traghettati verso la fine dello show attraverso altri numeri mirabolanti, parte della magia si è rotta nell’apprendere l’assenza, proprio per quella sera, dei musicisti che avrebbero dovuto eseguire “la sinfonia infernale”, che avrebbe indubbiamente fornito un’esperienza ancora più completa.

Al di là del linguaggio non sempre da salotto aristocratico, dell’uso di simbologie esoteriche con cui non sarebbe mai opportuno scherzare troppo e dell’elevata interazione con lo spettatore –che non diventa mai insopportabilmente invadente-, ciò che colpisce in rappresentazioni sceniche come quella di Infierno, sono soprattutto  le lunghe ore di allenamento, il sacrificio del lavoro a denti stretti e la dedizione costante che rendono possibili l’armonia e il talento dei corpi perfetti che vediamo esibirsi in imprese per noi impossibili. Questo, ancor più che nel teatro, è evidente nel circo: una cultura secolare fatta di saperi pazientemente tramandati di padre in figlio e che raccontano intere storie di famiglie e di clan; una cultura che va tutelata e conservata, anche attraverso lunghi canini e seghe elettriche, se necessario.

Una volta restituiti alle nostre vite di sempre, comprendiamo che nonostante il loro aspetto spaventoso, forse, nei loro privati antri oscuri, anche i diavoli possono piangere…

Chi di voi non intendesse attendere il ritorno in Italia del Circo de los Horrores e non fosse comunque intimorito dall’orrorifico campionario nostrano descritto, scioccante sì, ma con ogni probabilità non più delle mostruosità da cui anche i nostri infanti sono disinvoltamente bombardati attraverso media e schermi digitali, è invitato presso l’Ippodromo Capannelle di Roma, dal 15 Ottobre al 22 Novembre 2015, per il secondo capitolo ispirato alla trilogia originale creata dagli artisti spagnoli (Circo de los Horrores, Manicomio, Cabaret Maldido).

La famiglia Zoppis vi aspetta infatti con il suo show intitolato Delirio, vivamente consigliabile vista la qualità del precedente Infierno.

Dall’8 Ottobre al 22 Novembre, sarà anche possibile saggiare l’altrettanto “squilibrata” proposta della famiglia Bellucci, che monterà il tendone del suo Psychiatric Circus davanti il Centro  Commerciale Porta di Roma.

Non vi resta dunque che scegliere a quali mani esperte affidare i vostri tormenti, salvo magari scoprire di non potervi porre rimedio, ma conservando forse la dolce-amara consolazione data da chi affermava, in modo non troppo menzognero, che le cose più grandi ci venissero dalla follia…

Stefano Maria Pantano

Leave a Reply

Your email address will not be published.