Per dovere di cronaca, ricontestualizzo ciò che forse conoscete già molto bene. Fra gli show della settimana della moda parigina che ci siamo appena lasciati alle spalle, quello di Chanel è stato indubbiamente il re dei tweet e delle conversazioni virali, forte dell’hashtag #chanelboulevard.
Chiacchieratissima scelta del direttore creativo Karl Lagerfeld, quella di far sfilare sul palco un corteo femminista dal fare rivoluzionario, ben equipaggiato di cartelli di protesta eloquenti ed irriverenti allo stesso tempo. Le proposte moda probabilmente sono rimaste impresse a pochi, ma i messaggi sbandierati dalle modelle in passerella hanno fatto in poche ore il giro del mondo: Ladies first, Make fashion not war, Tweed is better than tweet, Boys should get pregnant too e così via, in pieno stile Giovanna d’Arco. Anzi, in pieno stile Coco Chanel, che ha sempre fatto della sua moda il più importante strumento di provocazione di cui disponeva. Dunque Karl Lagerfeld non ha affatto snaturato l’allure Chanel, da sempre noto per essere uno dei brand più intenzionalmente emancipati del panorama della moda. Piuttosto, ha scelto di riproporre il simbolo della parata femminista (secondo alcuni anche in modo rischioso) in un periodo in cui, a detta sua, c’era necessità di rispolverare la tematica.
Ecco che il Kaiser della moda, da noto agitatore del fashion-system, ha voluto in passerella slogan sulla libertà di espressione femminile, proclamati con incredibile teatralità da Gisele Bundchen e colleghe, ma anche parole a favore dell’amore omosessuale, contro il surriscaldamento globale e contro la guerra in ogni sua forma.
Perché l’ha fatto?
“My mother was very much a feminist and I thought it was something right for the moment. I couldn’t care less if people are for are against. It’s my idea. I like the idea of feminism being something lighthearted, not a truck driver for the feminist movement”. Karl, cuore di mamma.
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