Dario Fo e “Lu Santo Jullàre Francesco”

Dario Fo e “Lu Santo Jullàre Francesco”

di Daniela Ferro

Dario Fo incanta un vastissimo pubblico. Serata straordinaria, martedì sera al Teatro Duse, dove il grande artista ha riportato in scena “Lu Santo Jullàre Francesco”, suo incomparabile lavoro, intrattenendo un pubblico attentissimo e visibilmente ammaliato dal grande e amatissimo Maestro.
DarioFo InFugadalSenato2013@creditoobbligatorioLucaVittorioToffolon (2)Definire monologo un simile spettacolo è riduttivo poiché ciò che Dario Fo ha steso di fronte agli occhi dell’attento spettatore è stato un arazzo variopinto i cui fili intrecciandosi hanno dato vita ad una moltitudine di personaggi storici: papi, chierici anche animali, oltre che quella massa, cioè il popolo che tanto a Francesco premeva e che lui aveva saputo ammaliare così bene e che accorrendo numeroso assisteva a quei sermoni pronunciati in volgare, novità e gran trasgressione insieme, per quel tempo. Quella moltitudine riusciva a comprendere e a ben assimilare gli insegnamenti di Francesco, esattamente come ha fatto parecchi secoli dopo, il pubblico di martedì sera – nel Teatro del capoluogo – pur non essendo abituato a un’esposizione linguistica quale l’umbro dei tempi di Francesco.
Il Maestro ha rassicurato gli animi sin da prima che lo spettacolo avesse inizio, sostenendo che passati i primi momenti di stupore, tutto sarebbe divenuto chiaro e comprensibile durante l’arco della narrazione e ‘come per magia’, sue testuali parole, alla fine ognuno avrebbe avuto una comprensione assoluta dell’insieme: e così infatti è stato!
Il testo ha riproposto un’immagine ben diversa da quella tradizionale del ‘poverello di Assisi’ in ragione di un’immagine agiografica volutamente distorta e troppo a lungo sdoganata. Lo stesso Fo evidenzia poi come anche il nome stesso evitato dai papi sia stato adottato – solo dopo secoli – per la prima volta dall’attuale pontefice!
DarioFo InFugadalSenato2013@creditoobbligatorioLucaVittorioToffolon (8)L’opera di Fo è la teatralizzazione di un lavoro di ricerca ad ampio spettro che partendo da una rigorosa indagine su documenti sfortunatamente censurati (o quel che ne resta poiché molti erano stati bruciati o smarriti) durante quella che lui ha definito la crisi di Navarre, approda a una repertazione più consistente, grazie alle ricerche attente della storica Chiara Frugoni e di altri colleghi della nota accademica. Ciò che emerge nella pièce è però un ritratto umano del quale si mette in luce l’aspetto ‘giullaresco’ di quest’uomo, grande comunicatore sì e consapevolmente esperto nell’usare quelle tecniche che gli consentivano di entrare in perfetta sintonia con le folle alle quali predicava il Vangelo, usando pure il volgare, cosa assolutamente ‘moderna’, ma alquanto scandalosa, per quel tempo poiché se da un lato era fatto divieto della predicazione a opera di ‘laici’ – tanto più lo era se questa fosse avvenuta in qualsiasi altra lingua difforme dal latino. Francesco, però, riuscirà ad ottenere niente meno che dal Papa di allora Innocenzo III, la licenza di poterlo usare durante le sue predicazioni.
I ‘giullari’ seppur popolari non sempre godettero di grande fortuna, all’epoca del Nostro, infatti, furono perseguitati e in parte costretti al silenzio in quanto l’editto imperiale di allora promulgato da Federico II contro questi ‘joculatores’, li definiva buffoni esecrandi.
Fo sostiene quindi che Francesco non si definì a caso ‘jullàre’ se della tecnica giullaresca conosceva le movenze e come nelle prediche poi cantasse, recitasse muovendo tutto il corpo suscitando sia commozione che ilarità fra gli astanti, ricorrendo sia al paradosso che al rovesciamento parodico come nello specifico accadde durante la ‘concione’ avvenuta proprio a Bologna nel 1222 nella quale intessendo un’esaltazione della guerra –lui, uomo di pace- ‘macchinò’ tanto che alla fine tutti pretesero la cessazione di ogni azione bellica contro gli Imolesi.
DarioFo InFugadalSenato2013@creditoobbligatorioLucaVittorioToffolon (3)I punti di forza per ciò che riguarda questo straordinario spettacolo sono molteplici: in primis la qualità interpretativa di questo grandissimo Maestro che possiamo ritenere una delle più belle pagine viventi di teatro contemporaneo, lui già Premio Nobel per la letteratura, che alla soglia degli 88 anni, ha ancora tanta energia da poter affrontare un testo così articolato e della durata di 1 ora e 50 minuti circa, superando persino un problema alle corde vocali che l’aveva reso afono per buona parte della mattinata! Dario Fo continua a divertirsi calcando il palcoscenico per il quale è nato e – soprattutto – a far divertire chi l’ascolti, un po’ proprio come accadeva per Francesco.
Il testo e la storia stessa ammaliano e uniscono atei e credenti, nonostante la sobrietà della scena ‘francescana’, questo è certo: un tavolino un po’ dimesso, un leggio se non proprio monacale sicuramente ‘da convento’ sul quale venivano posti, dalle sue collaboratrici, i bozzetti –opera dello stesso Dario Fo, ottimo anche in qualità di pittore!- che l’attore mostrava a compendio della narrazione. C’era anche uno sgabello sul quale poche volte il Maestro si è seduto e un immenso, bellissimo sfondo da lui stesso realizzato vent’anni prima, circa e che rappresenta la ‘Scarruccata di Assisi’, ossia l’abbattimento delle torri della città, avvenimento al quale Francesco ancora giovane e ribaldo aveva preso parte e che gli era costata la prigione.
Nient’altro più ma quella scena così sobria e autenticamente minimalista, senza altri mezzi se non la voce e il gesto di chi conosce fin troppo bene il mestiere dell’attore, ha saputo prendere vita, riempirsi e far percepire a noi che assistevamo incantati la voce di un lupo, degli uccelli, dei contadini, degli uomini e delle donne grazie a un uomo straordinario e attore di grande talento: Dario Fo.

Redazione

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